N. 563 ORDINANZA 13 - 20 dicembre 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  militari  -  Furto  militare  - Esclusione della punibilita' a
querela  della  persona offesa - Lamentata, irragionevole, disparita'
di  trattamento  rispetto alla disciplina del furto comune (a seguito
della  intervenuta  depenalizzazione  dei  reati  minori) - Manifesta
infondatezza della questione.
- Cod. pen. mil. pace, art. 230, primo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.53 del 27-12-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
Giudici:  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,  Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 230, primo
comma,  del  codice  penale  militare di pace, promosso con ordinanza
emessa  il  14  aprile  2000  dalla  Corte  militare  di  appello nel
procedimento  penale  a  carico  di  V.  S.,  iscritta  al n. 411 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 29, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 26 ottobre 2000 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  la Corte militare di appello, con ordinanza del 14
aprile   2000,   ha   sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 230,
primo  comma,  del codice penale militare di pace, nella parte in cui
non  prevede  che  il  delitto di furto militare commesso in danno di
militare  sia  punibile  a  querela  della  persona offesa, salvo che
ricorra  una  o piu' delle circostanze previste dall'art. 61 numero 7
del  codice penale, dall'art. 230, comma 2 o dall'art. 231 del codice
penale militare di pace;
        che  il rimettente pone, a base della sollevata questione, il
rilievo  della  disparita' di trattamento tra il furto militare ed il
furto  comune  che origina dalla modifica apportata all'art. 624 cod.
pen.  dall'art.  12  della  legge  25  giugno  1999 n. 205 (Delega al
Governo  per  la  depenalizzazione  dei  reati  minori e modifiche al
sistema penale e tributario), per effetto della quale il furto comune
e'  divenuto  punibile  a  querela  della  persona  offesa,  salva la
sussistenza di una o piu' circostanze aggravanti ai sensi degli artt.
61 numero 7 e 625 cod. pen;
        che,  ad avviso del giudice a quo la mancata estensione della
perseguibilita'  a  querela  anche  al  furto  militare comporterebbe
violazione  del  principio  di  eguaglianza,  considerata  l'assoluta
corrispondenza,  nelle due fattispecie, degli elementi costitutivi e,
dunque,  l'identita'  strutturale  tra  le  due fattispecie, in nulla
scalfita  dagli  elementi  specializzanti  propri del reato militare,
quali  la  qualita'  di militare dell'agente e del soggetto passivo e
del luogo - parimenti militare - di commissione dell'illecito;
        che,   inoltre,   secondo   il   rimettente  non  vi  sarebbe
ragionevolezza alcuna nel diverso regime di procedibilita', posto che
nessuna  lesione  ad interessi propri del consorzio militare potrebbe
discendere  dalla  perseguibilita'  a  querela  del  furto  militare,
considerando che esso, come si ricava anche da una ragionata rassegna
dei  lavori preparatori, va ricompreso nella categoria dei c.d. reati
`obiettivamente   militari',  cioe'  solo  estrinsecamente  collegati
all'area    degli    interessi   militari,   trattandosi   di   reati
sostanzialmente  comuni - perche' posti a tutela in via prevalente di
interessi comuni - che ledono anche interessi militari;
        che,  dunque,  alla  luce  di  tale inquadramento sistematico
appare  irragionevole  una disciplina sensibilmente differenziata, in
ambito  militare,  rispetto  alla  omologa  del  codice  penale,  con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' o
infondatezza della questione.
    Considerato che questa Corte ha piu' volte e da tempo evidenziato
come  il  regime  della  perseguibilita'  a  querela  -  non previsto
attualmente  in  relazione  ad  alcuno  dei  reati  militari  - debba
ritenersi  con  essi  incompatibile:  e  cio'  in  quanto  "nei reati
militari  e'  sempre insita un'offesa alla disciplina ed al servizio,
una  lesione  quindi  di  un interesse eminentemente pubblico che non
tollera  subordinazione  all'interesse  privato  caratteristico della
querela" (cfr. sentenze nn. 449 del 1991, 189 del 1976 e 42 del 1975,
nonche' ordinanze nn. 229 e 467 del 1988);
        che   tali  concetti  sono  stati  di  recente  espressamente
ribaditi  da  questa  Corte  (cfr.  ord.  n. 415 del 2000), delibando
questione  identica a quella oggetto della presente decisione, con la
specifica  affermazione  che nessuna irragionevolezza puo' ravvisarsi
nella  disparita'  di  trattamento  fra  l'ipotesi del furto comune e
quella  del  furto militare, poste a confronto quanto al regime della
perseguibilita' ed in esito alla modifica apportata all'art. 624 cod.
pen.  su tale specifico profilo: cio' proprio in quanto la disciplina
differenziata   trova   ragionevole   giustificazione  nella  diversa
dimensione  degli interessi tutelati in relazione all'offesa arrecata
con   il   reato   militare,  da  cui  consegue  la  gia'  richiamata
inconciliabilita' della querela con la tipologia dei reati militari.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  230, primo comma, del codice
penale  militare  di pace, sollevata, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione,  dalla  Corte  militare  di  appello con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso,  in  Roma,  nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000.
                     Il Presidente: Santosuosso
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000.
                      Il cancelliere: Fruscella
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