N. 570 ORDINANZA 14 - 21 dicembre 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Competenza territoriale - Disciplina in materia per
i  procedimenti  riguardanti i magistrati - Omessa estensione di tale
disciplina ai procedimenti riguardanti i collaboratori di cancelleria
quando   prestino  servizio  nello  stesso  ufficio  giudiziario  dei
giudicanti - Lamentato, possibile, pregiudizio dell'imparzialita' del
giudice,  del  diritto  di  difesa e del principio di eguaglianza per
disparita'   di  trattamento  di  situazioni  identiche  -  Manifesta
infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 11.
- Costituzione, artt. 3, 24, 101, 104, 107, primo comma, e 111.
(GU n.53 del 27-12-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 11 del codice
di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale,
con  ordinanza  emessa  il 18 novembre 1999 dalla Corte di appello di
Bari,  iscritta  al  n. 749  del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale,
dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 15 novembre 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  la  Corte  di  appello  di  Bari  ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 107 della Costituzione, questione
di  legittimita'  costituzionale dell'art. 11 del codice di procedura
penale,  nella  parte in cui non prevede che la disciplina dettata in
materia  di  competenza  territoriale  per  i procedimenti in cui sia
imputato o parte lesa un magistrato si applichi anche ai procedimenti
in  cui  tale  veste  sia assunta da un collaboratore di cancelleria,
quantomeno   quando  questi  presti  servizio  nello  stesso  ufficio
giudiziario cui appartengono i magistrati giudicanti;
        che   il   rimettente  premette  che  una  collaboratrice  di
cancelleria,  condannata in primo grado per i reati di rivelazione di
segreti  di  ufficio  e di favoreggiamento personale, commessi mentre
era  in  servizio  presso  la  sezione  dei  giudici  per le indagini
preliminari del tribunale di Bari, nelle more del processo di appello
era  stata  trasferita  presso la Corte di appello di Bari e le erano
stati   assegnati   incarichi   concernenti   la  esecuzione  penale,
comportanti  rapporti  particolarmente  frequenti  con  i consiglieri
delle   sezioni  penali,  in  particolare  con  quelli  del  collegio
investito dell'appello da lei proposto;
        che   tali   rapporti   di  collaborazione  e  di  conoscenza
potrebbero secondo il giudice a quo turbare la "serenita' funzionale"
dei   magistrati   chiamati   a  giudicare  dell'appello,  con  grave
pregiudizio per l'imparzialita' del giudice;
        che,  nella specie, non e' stato possibile porre rimedio alla
situazione cosi' creatasi ricorrendo all'istituto dell'astensione per
gravi  ragioni  di  convenienza,  in  quanto la dichiarazione in tale
senso  presentata  dal  presidente-relatore  del  collegio  e'  stata
respinta dal Presidente della Corte di appello;
        che  il  rimettente rileva che, come sottolineato dalla Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 390 del 1991 e con la ordinanza
n. 462  del  1997,  proprio  al  fine  di  assicurare  la serenita' e
l'obiettivita'  dei giudizi, l'imparzialita' e terzieta' del giudice,
il  diritto  di  difesa e il principio di eguaglianza, tutelati dagli
artt. 3, 24, 101 e 107 Cost., l'art. 11 cod. proc. pen. prevede che i
criteri  per  la  determinazione  della competenza territoriale siano
derogati  nel caso in cui vengano giudicati - in qualita' di indagati
o  imputati, persone offese o danneggiati - magistrati che esercitano
o  esercitavano  al  momento  del fatto le funzioni nel distretto cui
appartiene l'ufficio competente secondo le regole ordinarie;
        che,  a  maggior  ragione,  le  medesime esigenze di garanzia
sussisterebbero,  ad  avviso  del  giudice  a quo nella situazione di
fatto  sopra descritta, ove ad essere giudicata e' una collaboratrice
di  cancelleria,  con  la  quale  intercorre  un  reale  rapporto  di
conoscenza,  di collaborazione e di frequentazione, e non un rapporto
formale   di   colleganza,  quale  quello  tra  magistrati  che,  pur
appartenendo  al  medesimo  distretto  di  corte di appello, svolgono
talvolta  le  loro  funzioni  in  sedi diverse e distanti tra loro, e
potrebbero neppure conoscersi;
        che  l'omessa estensione della disciplina derogatoria dettata
dall'art.  11  cod.  proc.  pen.  ai collaboratori di cancelleria che
prestano  servizio presso lo stesso ufficio del magistrato giudicante
si  pone pertanto in contrasto, ad avviso del giudice rimettente, con
l'art. 3 Cost., a cagione della disparita' di trattamento riservata a
situazioni  identiche,  nonche' con i principi costituzionali evocati
nelle gia' menzionate pronunce della Corte costituzionale;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che la questione sia dichiarata infondata, in base
alla  considerazione  che  la disciplina derogatoria della competenza
territoriale   dettata  dall'art.  11  cod.  proc.  pen.  ha  portata
eccezionale,  in quanto strettamente legata alla particolare funzione
giudiziaria  svolta dal magistrato, e pertanto non e' suscettibile di
essere  estesa  alla  situazione,  disomogenea e non comparabile, dei
collaboratori  di  cancelleria,  ai  quali  non sono riferibili ne' i
compiti ne' i poteri propri della funzione giurisdizionale.
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sottoposta   all'esame  di  questa  Corte  ha  come  presupposto  una
situazione  di fatto assolutamente patologica, quale e' quella di una
collaboratrice  di  cancelleria  che,  condannata  in primo grado per
reati  contro  la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione
della   giustizia,   nelle  more  del  processo  d'appello  e'  stata
trasferita   proprio   presso  l'ufficio  giudiziario  ove  pende  il
procedimento  a  suo carico, nel quale per di piu' svolge un servizio
che  comporta  frequenti  rapporti  con  i  magistrati  delle sezioni
penali;
        che  l'anomalia  di  tale  situazione  dimostra  di  per  se'
l'infondatezza   della   pretesa   del  rimettente  di  estendere  ai
collaboratori  di  cancelleria  la  deroga  prevista dall'art. 11 del
codice  di  procedura  penale  in tema di competenza territoriale nei
casi  in  cui  un magistrato assuma la qualita' di persona sottoposta
alle  indagini,  di  imputato, ovvero di persona offesa o danneggiata
dal reato;
        che, infatti, le posizioni del magistrato e del collaboratore
di  cancelleria sono del tutto disomogenee e non comparabili, per cui
solo  nei  confronti  dei  magistrati,  la cui attivita' si svolge in
uffici  individuati secondo regole rigide di competenza territoriale,
nel  rispetto  del  principio  del giudice naturale precostituito per
legge,  si giustifica la disciplina derogatoria prevista dall'art. 11
cod. proc. pen. (ordinanza n. 462 del 1997);
        che,  in  particolare,  il  principio dell'indipendenza delle
funzioni  giudiziarie  (art.  104 Cost.) trova tra l'altro attuazione
nella garanzia della inamovibilita' del magistrato, sancita dall'art.
107,  primo  comma,  Cost.,  con  la  conseguenza che, non potendo il
magistrato  sottoposto a procedimento penale (ovvero persona offesa o
danneggiata)   essere   per  cio'  solo  trasferito  ad  altra  sede,
l'imparzialita'  del  giudice  chiamato a giudicare un collega, anche
sotto  il profilo della immagine di neutralita' e di terzieta' presso
l'opinione  pubblica,  e'  stata assicurata trasferendo la competenza
per  territorio a giudice appartenente ad altro distretto di corte di
appello, cosi' come disposto dall'art. 11 cod. proc. pen;
        che,  al  contrario, il collaboratore di cancelleria imputato
per  reati  rientranti  nella  sfera  della  competenza  territoriale
dell'ufficio    giudiziario    ove   svolge   le   proprie   funzioni
amministrative  puo', nel rispetto della disciplina che regola il suo
stato  giuridico,  essere trasferito ad altra sede e, comunque, nella
specie,  non  avrebbe dovuto essere assegnato all'ufficio giudiziario
designato a giudicarlo;
        che,  come  questa  Corte  ha avuto recentemente occasione di
precisare,  non  possono  essere  poste  a  base  dello  scrutinio di
legittimita'  costituzionale  censure  che  traggono  origine "da una
situazione  prospettata come patologica" (ordinanza n. 439 del 1998),
dovendosi invece, nei singoli casi in cui si determini in concreto un
pregiudizio  per  la  imparzialita'  del  giudice,  fare ricorso agli
istituti della astensione e della ricusazione;
        che  a  tal  proposito i magistrati della Corte di appello di
Bari   dovranno   valutare  se  la  dichiarazione  di  astensione  in
precedenza  respinta  possa  essere  riproposta sulla base del canone
interpretativo  secondo  cui  "il  valore  deontico del principio del
giusto processo" (formalmente enunciato nel nuovo testo dell'art. 111
Cost.)  impone  di  attribuire alla locuzione "altre gravi ragioni di
convenienza"  (art.  36,  comma  1,  lettera  h  cod.  proc. pen.) la
funzione  e  la  portata  di  norma  "di  chiusura",  che assicuri la
imparzialita'   del   giudice   per   ogni  ipotesi  non  tipicamente
individuata  (sentenza  n. 113  del  2000,  richiamata dalla sentenza
n. 283 del 2000);
        che    la   questione   deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  11  del  codice di procedura
penale,  sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 107 della
Costituzione,  dalla  Corte  di  appello  di Bari, con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2000.
                     Il Presidente: Santosuosso
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 21 dicembre 2000.
                      Il cancelliere: Fruscella
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