N. 580 ORDINANZA 15 - 29 dicembre 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Procedure   concorsuali   -   Societa'   ammessa  all'amministrazione
straordinaria   -   Soci  illimitatamente  responsabili  che  abbiano
disposto  di  propri beni personali, dopo l'ammissione della societa'
alla   procedura   di   amministrazione   straordinaria   -  Ritenuta
punibilita'  per  i  soli fatti commessi sul patrimonio sociale e non
anche  per  le  condotte  distrattive dei beni personali - Lamentato,
irragionevole, contrasto con il principio di eguaglianza, per diverso
trattamento    della    medesima    condotta    nel    fallimento   e
nell'amministrazione  straordinaria,  e  per  la  ridotta  tutela dei
creditori  nell'amministrazione  straordinaria  -  Richiesta  di  una
inammissibile pronuncia additiva in malam partem, preclusa alla Corte
- Manifesta inammissibilita' della questione.
- D.L.  30  gennaio 1979, n. 26 (convertito, con modificazioni, nella
  legge  3  aprile  1979, n. 95), art. 1; r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
  art. 203.
- Costituzione, art. 3, primo comma.
(GU n.1 del 3-1-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.l. 30
gennaio  1979,  n. 26  (Provvedimenti  urgenti  per l'amministrazione
straordinaria   delle  grandi  imprese  in  crisi),  convertito,  con
modificazioni,  in  legge  3  aprile 1979, n. 95, e dell'art. 203 del
regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato  preventivo,  della  amministrazione  controllata  e della
liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il
2  dicembre  1999  dal  Tribunale di Torino nel procedimento penale a
carico  di  P.  O.,  iscritta  al n. 81 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  P.  O.  e del Commissario
straordinario  della  Pianelli  &  Traversa S.a.s. in amministrazione
straordinaria   nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28  novembre  2000 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Udito  l'avv.  Giuseppe  Zanalda per il Commissario straordinario
della Pianelli & Traversa s.a.s. in amministrazione straordinaria.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  emessa  il  2  dicembre  1999, il
Tribunale  di  Torino  ha sollevato, in riferimento all'art. 3, primo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  1  del d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti
per  l'amministrazione  straordinaria delle grandi imprese in crisi),
convertito,  con  modificazioni,  in  legge  3  aprile 1979, n. 95, e
dell'art. 203 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,   del   concordato   preventivo,   della  amministrazione
controllata  e della liquidazione coatta amministrativa), "per omessa
menzione",  nella seconda delle norme impugnate, "anche dell'art. 222
della   legge   fallimentare,   con  riferimento  alla  posizione,  e
conseguente   responsabilita'   penale,   dei   soci  illimitatamente
responsabili  di  societa'  ammessa alla procedura di amministrazione
straordinaria che abbiano disposto di propri beni personali";
        che  il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito del
processo  a  carico  di  persona  imputata  del  reato  di bancarotta
fraudolenta  patrimoniale  aggravata, di cui agli artt. 1 della legge
n. 95  del  1979, 203, primo comma, 222, 216, primo comma, numero 1 e
secondo comma, 219, primo comma, della legge fallimentare, per avere,
nella qualita' di socio accomandatario di una societa' in accomandita
semplice,  distratto  beni personali dopo l'ammissione della societa'
alla  procedura  di  amministrazione  straordinaria di cui alla legge
n. 95 del 1979;
        che,  nel ritenere l'ipotesi accusatoria avvalorata, in linea
di  fatto, dall'istruttoria dibattimentale, il giudice a quo esclude,
tuttavia,  che  la  condotta sopra descritta possa venire inquadrata,
alla luce del dato normativo, nella fattispecie criminosa contestata;
        che  -  ricordate  le  contrastanti  opinioni  espresse dalla
dottrina,  in  assenza di specifiche pronunce della giurisprudenza di
legittimita',  circa l'applicabilita' delle norme penali fallimentari
ai  soci  illimitatamente  responsabili  di  societa'  sottoposte  ad
amministrazione   straordinaria   (ovvero   a   liquidazione   coatta
amministrativa,  la  cui  disciplina  e' richiamata dall'art. 1 della
legge  n. 95  del  1979) - il rimettente assume, infatti, che l'unica
interpretazione condivisibile del combinato disposto dell'art. 1, ora
citato,  e  dell'art.  203  della  legge  fallimentare sia quella che
circoscrive  la  responsabilita'  per bancarotta dei predetti soci ai
fatti   commessi  sul  patrimonio  della  societa',  con  conseguente
irrilevanza penale delle condotte distrattive di beni personali;
        che  tale  lettura  - la quale muove dal rilievo che i soci a
responsabilita'  illimitata  (a  differenza di quanto si verifica nel
fallimento,  in  forza  dell'art.  147  della legge fallimentare) non
vengono direttamente assoggettati ad amministrazione straordinaria, e
dunque  non  perdono,  in  costanza  di  essa,  la disponibilita' del
proprio  patrimonio  -  si  imporrebbe  segnatamente  a  fronte della
mancata  inclusione,  fra  le  norme  penali  fallimentari richiamate
dall'art.  203  della  legge fallimentare, dell'art. 222 della stessa
legge,  e,  cioe',  proprio  della disposizione che vale a fondare la
responsabilita'  per bancarotta dei soci illimitatamente responsabili
che  abbiano  disposto  di  beni  personali  in pendenza di procedure
concorsuali   diverse  dalla  liquidazione  coatta  amministrativa  e
dall'amministrazione straordinaria: onde una interpretazione di segno
opposto  a  quella  prospettata  si  scontrerebbe  -  ad  avviso  del
rimettente  -  con  il divieto di analogia in malam partem in materia
penale;
        che, in simile prospettiva, le norme denunciate si porrebbero
peraltro  in  contrasto con il principio di uguaglianza, in quanto il
diverso   trattamento  penalistico  della  medesima  condotta  -  nel
fallimento  e  nell'amministrazione  straordinaria - risulterebbe del
tutto  irragionevole:  i  presupposti di ammissione delle societa' di
persone all'amministrazione straordinaria sono, infatti, indipendenti
dalla  condotta  dei  soci  illimitatamente  responsabili, i cui atti
distrattivi  di  beni  personali  avrebbero, anzi, in tale procedura,
effetti  negativi  quasi  sempre  piu'  gravi  che  non  in  caso  di
fallimento;
        che  la  denunciata  lesione  del principio di uguaglianza si
apprezzerebbe  anche nei riguardi dei creditori, i quali, in mancanza
di  un  deterrente  penale  per le condotte considerate, troverebbero
nell'amministrazione  straordinaria una tutela ridotta e "degradata",
rispetto  a  quella  offerta  dal  fallimento:  soluzione  normativa,
questa,   non  giustificabile  neppure  facendo  leva  sulla  diversa
finalita'  delle  due  procedure (conservativa la prima, liquidatoria
l'altra),  essendo  l'obiettivo  del  soddisfacimento  dei  creditori
comune anche alla procedura speciale;
        che   l'assetto   normativo   costituzionalmente  corretto  -
sottolinea,  da  ultimo,  il giudice a quo - sarebbe stato in effetti
adottato   dal  d.lgs.  8  luglio  1999,  n. 270,  recante  la  nuova
disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
stato  di  insolvenza,  il  quale  ha,  per  un verso, esteso ai soci
illimitatamente  responsabili  gli  effetti della dichiarazione dello
stato  di  insolvenza  della  societa'  (art.  23),  e,  per l'altro,
equiparato  la  dichiarazione  stessa  a quella di fallimento ai fini
dell'applicazione  delle  norme penali, ivi compreso l'art. 222 della
legge fallimentare (art. 95 del d.lgs. n. 270 del 1999);
        che tale nuova disciplina risulterebbe peraltro inapplicabile
nel  giudizio a quo al lume dei principi regolatori della successione
di leggi penali nel tempo;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il quale ha concluso per la
declaratoria  di  inammissibilita' o, comunque, di infondatezza della
questione,   rilevando  come  il  rimettente  invochi  una  pronuncia
additiva in malam partem che esorbita dai poteri di questa Corte;
        che  si  e'  costituito  in  giudizio  il  Commissario  della
societa'  in amministrazione straordinaria, parte civile nel processo
a  quo  il  quale ha chiesto, in via principale, che la questione sia
accolta   e,  in  subordine,  che  essa  sia  rigettata  per  erroneo
presupposto  interpretativo,  dovendosi ritenere che l'art. 203 della
legge  fallimentare  gia'  consenta,  in  realta',  di  punire i soci
illimitatamente   responsabili   di   societa'   in   amministrazione
straordinaria per fatti di distrazione di beni personali;
        che si e' costituito, altresi', l'imputato nel processo a quo
il  quale  ha  concluso,  in  via  principale, per la declaratoria di
inammissibilita'  della questione, in quanto finalizzata a colmare un
"vuoto"  di  tutela  penale,  con  intervento precluso a questa Corte
dalla  riserva  di  legge  sancita dall'art. 25, secondo comma, della
Costituzione;  e,  in via subordinata, per la dichiarazione della sua
infondatezza,  in quanto il vizio di costituzionalita' denunciato dal
giudice a quo deriverebbe, non tanto dalle norme penali che escludono
la  configurabilita' del delitto di bancarotta, quanto piuttosto - ed
"a monte" - dalle disposizioni che non assoggettano alla procedura di
amministrazione  straordinaria,  di  cui alla legge n. 95 del 1979, i
beni dei soci illimitatamente responsabili.
    Considerato   che   il   Tribunale   rimettente  -  muovendo  dal
presupposto  interpretativo  (frutto  di  una  selezione  tra diverse
ipotesi  di lettura) per cui l'art. 203 della legge fallimentare, nel
richiamo fattone dall'art. 1 della legge n. 95 del 1979, punirebbe, a
titolo di bancarotta, i soci illimitatamente responsabili di societa'
in  amministrazione  straordinaria  con  riferimento  ai  soli  fatti
commessi  sul  patrimonio  sociale,  e non anche per quelli aventi ad
oggetto beni personali; ed assumendo, altresi', che tale regime violi
il principio di uguaglianza, nel confronto con la disciplina valevole
in  caso  di  fallimento  -  sollecita  l'estensione della previsione
punitiva a condotte che, secondo la sua stessa prospettazione, non vi
sarebbero  comprese  (quelle incidenti, per l'appunto, sul patrimonio
personale del socio);
        che  all'adozione  dell'invocata  pronuncia  osta  in radice,
tuttavia,  il secondo comma dell'art. 25 della Costituzione, il quale
-  per  costante  giurisprudenza di questa Corte - "nell'affermare il
principio che nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge
entrata  in  vigore  prima  del  fatto commesso, esclude che la Corte
costituzionale  possa  introdurre  in  via additiva nuovi reati o che
l'effetto  di  una  sua  sentenza  possa  essere quello di ampliare o
aggravare  figure  di  reato  gia' esistenti" (v. sentenza n. 411 del
1995 e ordinanza n. 392 del 1998; in generale, sulla inammissibilita'
di  interventi  additivi  in  malam  partem  in  materia penale, cfr.
ordinanze  nn.  317  del  2000; 51, 245 e 337 del 1999; 106 e 413 del
1998; 297 del 1997);
        che,  pertanto, la questione - tesa evidentemente a provocare
una  pronuncia  di  questa  Corte  in  malam  partem  con  effetti di
ampliamento   di   una   fattispecie   criminosa  rispetto  al  campo
applicativo  che  il giudice rimettente, in via d'interpretazione, le
ritiene    proprio    -   deve   essere   dichiarata   manifestamente
inammissibile.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del d.l. 30 gennaio 1979,
n. 26  (Provvedimenti  urgenti  per  l'amministrazione  straordinaria
delle  grandi  imprese  in  crisi), convertito, con modificazioni, in
legge  3  aprile  1979,  n. 95,  e dell'art. 203 del regio decreto 16
marzo   1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo,  della  amministrazione  controllata e della liquidazione
coatta  amministrativa),  sollevata, in riferimento all'art. 3, primo
comma, della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso,  in  Roma,  nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.
                     Il Presidente: Santosuosso
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.
                      Il cancelliere: Fruscella
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