N. 3 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 gennaio 2001
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 gennaio 2001 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Sardegna - Elencazione degli interventi attivabili con semplice denuncia di inizio di attivita' di trasformazione edilizia - Riferibilita' anche a beni sottoposti a tutela culturale e ambientale - Difformita' rispetto all'elencazione contenuta nella legislazione statale - Denunciata violazione di norme statali "interposte" - Esorbitanza dai limiti della potesta' legislativa regionale. - Delibera legislativa Reg. Sardegna riapprovata il 12 dicembre 2000, artt. 1 e 2 (quest'ultimo nella parte in cui introduce l'art. 14-bis, comma 3, legge reg. 11 ottobre 1985, n. 23). - Costituzione, artt. 5, 9 e 32, primo comma; Statuto speciale Reg. Sardegna, artt. 3 e 5; d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, art. 57; legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 60; d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490; legge 6 dicembre 1991, n. 394.(GU n.8 del 21-2-2001 )
Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato nei confronti della Regione Sardegna, in persona del presidente della Giunta regionale. Avverso la delibera legislativa riapprovata il 12 dicembre 2000 dal Consiglio regionale sardo intitolata "Modifica e integrazione della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23"; delibera pervenuta al Rappresentante del Governo il 14 dicembre 2000. Il 19 luglio 2000 il Consiglio regionale ha approvato una delibera legislativa parimenti intitolata che la Presidenza del Consiglio dei ministri ha rinviato con telegramma 10 agosto 2000. E' seguita riapprovazione con modifiche. Nella seduta del 22 dicembre 2000, il Consiglio dei ministri ha deliberato la proposizione del presente ricorso. L'art. 2 comma 60 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha integralmente sostituito l'art. 4 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398 (che era stato integralmente sostituito dalla legge di conversione 4 dicembre 1993, n. 493). Il testo cosi' novellato di detto art. 4, ai commi da 7 a 15 (nonche' 17), ha previsto l'istituto della "denuncia di inizio dell'attivita'" di trasformazione edilizia (in precedenza una denuncia similare era prevista per le "opere interne" di cui all'art. 26 della legge 28 febbraio 1985 n. 47), e l'ha disciplinato con le cautele palesemente necessarie per prevenire abusi da parte degli operatori interessati. Cosi', tra l'altro, e' stata definita una elencazione tassativa degli interventi "subordinati" alla sola denuncia di inizio dell'attivita' (comma 7), e' sono state poste le condizioni da realizzarsi - "tutte" - per l'esercizio della "facolta' di cui al comma 7" (comma 8). L'art. 11 comma 2-bis al d.l. 25 marzo 1997 n. 67, come convertito nella legge 23 maggio 1997, n. 135, ha inoltre previsto l'obbligo di corredare l'anzidetta denuncia con la "indicazione dell'impresa cui si intende affidare i lavori". Intendendo introdurre anche nella propria legislazione la "facolta'" di cui al comma 7 citato, il consiglio regionale della Sardegna ha prodotto - dopo rinvio - la delibera che ora si sottopone all'esame di codesta Corte. In essa, il primo articolo (sul quale si tornera' nel prosieguo) e' dedicato alla sostituzione dei commi 1 e 2 dell'art. 13 della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23; e con il secondo articolo - da inserire in tale legge ed intitolato art. 14-bis Denuncia di inizio attivita' - "e' data facolta' di attivare gli interventi di cui all'art. 13, con esclusione degli interventi di cui alle lettere i), o) e p) del comma 1 (dell'art. 13 citato), anche con denuncia di inizio di attivita' alle condizioni e secondo le modalita' e le prescrizioni di cui alla normativa statale vigente, fatto salvo quanto stabilito nei seguenti commi". Qui interessa essenzialmente la deroga alla "normativa statale vigente", in particolare al comma 7, lettera a) del citato art. 4; deroga prevista dal comma 3 del deliberato art. 14-bis. Detto comma 3: I) anziche' recitare immobili "assoggettati alle disposizioni" di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 ed alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, usa l'espressione "vincoli di carattere storico-artistico, ambientale e paesaggistico" che non include tutti i "beni" salvaguardati dal predetto decreto legislativo (ad esempio, rimarrebbero escluse le cose immobili di interesse archeologico), e che lascia margini di incertezza sulla inclusione dei beni assoggettati a prescrizioni di tutela indiretta (art. 49 del citato d.lgs.) od ad altre particolari prescrizioni (ad esempio, ex art. 155 stesso d.lgs.); II) reca l'inciso "con specifico provvedimento amministrativo" che - anche prescindendo dalla inesattezza tecnica della parola "provvedimento" riferita (sperabilmente) anche a semplici elenchi - non considera ne' l'art. 5, ultimo comma del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, ne' l'art. 57, ultimo comma del d.D.R. 19 giungo 1979, n. 348, ne', piu' in generale, la rilevanza dell'oggettivo sussistere dell'interesse culturale e/o ambientale anche in assenza di uno specifico provvedimento che lo abbia dichiarato; e non considera neppure la categoria dei "beni tutelati per legge" (art. 146 del citato decreto legislativo), categoria questa di fatto la piu' esposta ad illecite aggressioni; III) l'espressione "vincoli di carattere storico-artistico, ambientale e paesaggistico" parrebbe riferirsi ai vincoli per cosi' dire extraurbanistici ed e' quanto meno dubbio includa in se' anche le destinazioni e prescrizioni (ad esempio, integrative e di completamento dei predetti vincoli) previste da strumenti urbanistici e "volte alla tutela delle loro (degli immobili) caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-artistiche, storicoarchitettoniche e storico-testimonali" (cosi' recita il comma 8, lettera a) del citato art. 4); IV) si conclude con le parole "salvo preventiva acquisizione dell'autorizzazione rilasciata dalle competenti autorita' preposte alla tutela del vincolo", le quali aprono la strada ad interventi su beni assoggettati a vincolo, con esonero dalla procedura di autorizzazione edilizia, e dopo una semplice denuncia di inizio attivita'. Su quest'ultimo punto giova anzitutto osservare che il d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, all'art. 23 fa obbligo ai proprietari possessori o detentori di beni culturali "di sottoporre alla soprintendenza i progetti di opere di qualsiasi genere... al fine di ottenere la preventiva approvazione" (dunque, approvazione di specifico progetto, e non generica autorizzazione), e all'art. 36 consente di percorrere "procedure semplificate di controllo urbanisticoedilizio" soltanto nel caso di "lavori di restauro espressamente approvati a norma dell'art. 23", e con invio di copia dello specifico progetto approvato al comune interessato. Per gli interventi di cui alla lettera a) dell'elencazione contenuta nell'art. 1 della delibera in esame la deroga alla "normativa statale vigente" e' inutile. Per tutti gli altri interventi previsti da detta elencazione la deroga sarebbe invece costituzionalmente illegittima. Una preventiva autorizzazione (regionale o, in via sostitutiva, statale) e' prevista dall'art. 151 del predetto decreto legislativo per "i progetti delle opere di qualunque genere" che si intendano eseguire in aree o su beni sottoposti a tutela ambientale. Peraltro, l'autorizzazione non e' richiesta per gli interventi indicati nel successivo art. 152; sicche' non puo' escludersi che una "lettura di comodo" del congiunto disposto di detto art. 152 e della disposizione "sub judice" pervenga a ravvisare una autorizzazione "ope legis" e, per tale via, a riconoscere la "facolta' di procedere con denuncia inizio attivita'" anche su beni sottoposti a tutela ambientale. E' appena il caso di rammentare che la materia "edilizia ed urbanistica" di cui all' art. 3 dello Statuto sardo non assorbe in se' la salvaguardia per cosi' dire extra-urbanistica dei beni culturali ed ambientali. Quest'ultima "de iure condito" e' rimasta allo Stato, come confermato dall'art. 5 lettera c) del predetto Statuto, ed anche dall'art. 57 del citato d.P.R. 19 giungo 1979, n. 348, ove e' prevista soltanto una delega di funzioni amministrative circoscritta alla protezione delle bellezze naturali. Pertanto, la sentenza 18 luglio 1997, n. 241, di codesta Corte non puo' essere ritenuta "precedente" pertinente o comunque valorizzabile. Del resto, anche nelle materie elencate all'art. 3 dello Statuto sardo, la legislazione regionale incontra i limiti indicati nello "incipit" dell'articolo stesso. Per quanto precede e per quanto aggiuntivamente potra' essere argomentato, il comma 3 del deliberato art. 14-bis contrasta con gli artt. 5, 9 e 32, comma primo Cost., con gli artt. 3 e 5 dello Statuto speciale per la Sardegna, con l'art. 57 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, e con le norme "interposte" di principio e di riforma contenute nell'art. 2, comma 60 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nel d.lgs 29 ottobre 1999, n. 490 e nella legge 6 dicembre 1991, n. 394. A quanto sin qui osservato occorre aggiungere che l'elencazione di interventi contenuta nell'art. 1 della delibera legislativa "sub judice" si discosta dalla elencazione di interventi contenuta nel comma 7 del citato art. 4. Le lettere da a) ad h) dell'art. 1 in esame, con esclusione della lettera e), coincidono con sette delle otto tipologie di intervento previste dall'anzidetto comma 7 (per le "opere interne" il Consiglio regionale ha verosimilmente, ritenuto superfluo confermare la gia' vigente previsione). Le altre sette lettere del medesimo art. 1, sono invece state prelevate dal previdente art. 13, comma 2, della legge regionale Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23, ancorche' detto art. 13 concernesse ( e tuttora seppur modificato concerna) l'autorizzazione edilizia. Per tre di queste ultime sette tipologie di intervento, e cioe' per quelle di cui alle lettere i) o) e p), lo stesso consiglio regionale ha giustamente escluso la realizzabilita' sulla base di mera denuncia di inizio attivita'; per le quattro residue si ha uno scostamento dalla normativa statale. In particolare, suscita preoccupazione la tipologia di cui alla lettere e) data l'elasticita' e la relativa ampiezza della nozione di "pertinenza ai sensi dell'art. 817 del codice civile". Questa nozione gia' era stata dalla citata legge regionale del 1985 manipolata rispetto all'art. 7, comma secondo lettera a) del d.l. 23 gennaio 1982, n. 2, conv. nella legge 25 marzo 1982, n. 94, ove si legge "le opere costituenti pertinenza od impianti tecnologici al servizio di edifici gia' esistenti". Inoltre, la tipologia di cui alla lettera m) appare idonea a veicolare facili abusi: un'opera edilizia non puo' dirsi "oggettivamente temporanea"; solo il soggetto che ne e' proprietario o possessore e' arbitro della sua temporaneita'. Sicche', per quanto si discosta dalla elencazione contenuta nel comma 7 del citato art. 4, l'elencazione contenuta nell'art. 1 della delibera in esame contrasta con l'art. 3 dello Statuto regionale e con le norme "interposte" di principio e di riforma poste dall'art. 2 comma 60 della legge 23 dicembre 1996 n. 662.
P. Q. M. Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita' costituzionale, nei limiti indicati, della delibera sottoposta a giudizio, con ogni conseguenziale pronuncia. Si depositeranno la delibera anzidetta, il telegramma 10 agosto 2000, e la determinazione 22 dicembre 2000. Roma, addi' 23 dicembre 2000. Vice Avvocato Generale dello Stato: Franco Favara 01C0052