N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 luglio 2000

Ordinanza  emessa  il  25  luglio  2000  dal tribunale di Palermo nel
procedimento penale a carico di Agate Mariano ed altri

Processo  penale  -  Giudizio  abbreviato  - Disciplina transitoria a
seguito delle modifiche recate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 -
Procedimenti per due o piu' delitti puniti con la pena dell'ergastolo
oppure  per  un delitto punito con l'ergastolo ed altri puniti con la
pena  complessiva  superiore  a  cinque  anni  - Previsto accesso per
l'imputato al rito abbreviato - Conseguente possibilita' di ottenere,
in  caso  di  condanna,  l'impunita'  per  i  delitti  concorrenti  -
Disparita'  di  trattamento  sotto  diversi  profili  -  Lesione  del
principio  della  finalita'  rieducativa  della pena - Violazione del
principio di obbligatorieta' dell'azione penale.
- Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte:
  d.l.  7  aprile  2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella
  legge  5  giugno  2000,  n. 144),  art. 4-ter, commi 2 e seguenti],
  anche in relazione all'art. 442, capoverso, cod. proc. pen.
- Costituzione, artt. 3, 27 e 112.
Processo  penale  -  Giudizio  abbreviato  - Disciplina transitoria a
  seguito delle modifiche recate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479
  -  Procedimenti  per  delitti puniti con la pena dell'ergastolo, in
  fase  avanzata  di  istruzione dibattimentale - Previsto accesso al
  rito  abbreviato  per  l'imputato, su richiesta non sindacabile dal
  giudice,  in rapporto allo stato dell'istruzione ed alla necessita'
  di  stralciare  la posizione di chi abbia fatto richiesta da quella
  degli  altri  coimputati  che  non abbiano voluto o potuto avanzare
  analoga  richiesta  -  Conseguente  duplicazione  del processo gia'
  unitariamente  istruito  -  Disparita'  di trattamento tra imputati
  sotto  diversi  profili  -  Lesione  del  diritto  di  difesa,  con
  riferimento,  in  particolare,  alla posizione delle parti civili -
  Violazione   del   principio   di  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione.
- Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte:
  d.l.  7  aprile  2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella
  legge  5  giugno  2000,  n. 144),  art. 4-ter, commi 2 e seguenti],
  anche in relazione all'art. 442, capoverso, cod. proc. pen.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111.
Processo  penale  -  Giudizio  abbreviato  - Disciplina transitoria a
  seguito delle modifiche recate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479
  -  Procedimenti  per  delitti puniti con la pena dell'ergastolo, in
  fase  avanzata  di  istruzione dibattimentale - Previsto accesso al
  rito  abbreviato  per  l'imputato, su richiesta non sindacabile dal
  giudice  - Conseguente impedimento all'assunzione di mezzi di prova
  chiesti   dalle   altre  parti  e  gia'  ammessi  -  Disparita'  di
  trattamento  tra  imputati  sotto  diversi  profili  -  Lesione del
  diritto  di difesa, con riferimento, in particolare, alla posizione
  delle  parti  civili  -  Lesione  del principio della riserva della
  funzione  giurisdizionale  e  del  principio  di  indipendenza  del
  giudice  -  Contrasto  con i principi costituzionali concernenti la
  formazione    della   prova   -   Violazione   del   principio   di
  obbligatorieta' dell'azione penale.
- Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte:
  d.l.  7  aprile  2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella
  legge  5  giugno  2000,  n. 144),  art. 4-ter, commi 2 e seguenti],
  anche in relazione all'art. 442, capoverso, cod. proc. pen.
- Costituzione,  artt.  3,  24, 101, secondo comma, 102, primo comma,
  111, secondo, quarto e quinto comma, e 112.
(GU n.5 del 31-1-2001 )
                          LA CORTE D'ASSISE
    Riunita in camera di consiglio ha emesso la seguente ordinanza;
    Udite le parti, letti gli atti e sciogliendo le riserve di cui ai
  verbali d'udienza del 9 e del 27 giugno 2000;
    Sulle  richieste  di  immediata  definizione del processo a norma
  dell'art.  4-ter,  comma  2  e  seguenti  della legge 5 giugno 2000
  n. 144,  avanzate  dagli  imputati Prestifilippo Salvatore e Brusca
  Giuseppe  (personalmente all'udienza del 27 giugno 2000), Di Maggio
  Procopio  (mediante  procura speciale conferita all'avv. Ubaldo Leo
  edepositata   il  27  giugno  2000),  Madonia  Francesco  (mediante
  dichiarazione  trasmessa  il  17  giugno 2000, a firma dello stesso
  Madonia   e   debitamente  autenticata  dal  direttore  della  Casa
  Circondariale  presso  cui  trovasi detenuto); nonche' sull'analoga
  richiesta  avanzata  da  altri 36 imputati all'udienza del 9 giugno
  2000, come da verbale in atti;
    premesso  che le richieste degli imputati Di Maggio Procopio e e'
  inammissibile perche' tardiva; mentre appaiono fondati i motivi che
  hanno  impedito  a  Prestifilippo  Salvatore  e  Brusca Giuseppe di
  comparire  alla prima udienza utile per comunicare personalmente la
  loro  volonta'  di fruire dello speciale rito di cui al citato art.
  4-ter;
    ritenuto che e' inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato
  avanzata  (all'udienza  del  9  giugno  2000) dall'imputato Profeta
  Salvatore,  poiche' in questo processo egli non risponde di delitti
  puniti   con   l'ergastolo   (bensi'  di  associazione  mafiosa  ed
  estorsione  aggravata);  e  per  la  stessa  ragione  e'  parimenti
  inammissibile   l'analoga  richiesta  avanzata  dall'imputato  Liga
  Salvatore  all'udienza  del  27  giugno  2000  (richiesta  peraltro
  tardiva  e  in  contrasto con l'opposto intendimento espresso dallo
  stesso imputato alla prima udienza utile, ai sensi dell'art. 4-ter,
  comma secondo e segg. legge 144/2000);

                            O s s e r v a

    La   difesa   di   Liga   Salvatore  ha  sollevato  eccezione  di
  illegittimita'  costituzionale dell'art. 4-ter della legge 5 giugno
  2000  n. 144  per contrasto con l'art. 3 della Costituzione e nella
  parte  in cui non prevede che l'imputato di delitti puniti con pena
  diversa dall'ergastolo possa chiedere il giudizio abbreviato, anche
  dopo  l'inizio dell'istruzione dibattimentale, in processi in corso
  alla  data  di  entrata  in  vigore  della legge di conversione del
  decreto legge 8 giugno 2000.
    L'eccezione  e'  manifestamente  infondata  perche' rientra nella
  discrezionalita'   del  legislatore,  nel  dispone  una  disciplina
  transitoria  qual  e'  quella  in  esame, stabilire se ed entro che
  limiti  le  nuove  norme  entrate  in  vigore debbano estendersi ai
  processi in corso.
    Nel caso di specie il legislatore ha inteso assicurare il ricorso
  al  rito  alternativo agli imputati di reati per i quali, fino alla
  data  di  entrata  in  vigore della legge c. d. "Carotti", esso era
  precluso.  Sicche' nessuna ingiustificata disparita' di trattamento
  si   profila   in  relazione  alla  mancata  estensione  di  questa
  possibilita' agli imputati la cui tempestiva e rituale richiesta di
  giudizio  abbreviato  sia  stata  a suo tempo rigettata per mancato
  consenso  del  p.m.  (condizione  venuta meno a seguito della legge
  n. 479/1999);   e  a  fortiori  nei  riguardi  degli  imputati  che
  addirittura  non  avevano a suo tempo neppure avanzato richiesta di
  giudizio  abbreviato  in  sede di udienza preliminare, pur avendone
  piena facolta'.
    Tutte  le  altre  richieste  rientrano  nella  previsione  di cui
  all'art.  4-ter  comma  2  della  legge  144/2000,  atteso  che gli
  imputati  richiedenti  rispondono  in  questo  processo  di  (piu')
  omicidi  aggravati,  punibili  con  la pena dell'ergastolo; ne', ad
  avviso   di   questa  Corte,  puo'  condividersi  l'interpretazione
  proposta  dal  pubblico  ministero,  secondo cui la norma citata si
  riferirebbe  solo  alle  ipotesi  in  cui  all'imputato, in caso di
  condanna,  potrebbe  irrogarsi  la pena dell'ergastolo; e non anche
  alle  ipotesi  in cui l'imputato risponda, come nel caso di specie,
  di  piu'  delitti  punibili  con l'ergastolo, ovvero, di un delitto
  punito  con  l'ergastolo ed altri delitti puniti con pena detentiva
  superiore a cinque anni: ipotesi in cui alla pena dell'ergastolo si
  aggiungerebbe  la sanzione dell'isolamento diurno a norma dell'art.
  72 c.p.
    In  tali  casi,  secondo  la  prospettazione  del  p.m.,  ove  si
  accedesse alla richiesta di rito abbreviato, il giudice, in caso di
  condanna,   si  troverebbe  costretto  a  scegliere  tra  soluzioni
  parimenti  impossibili  giuridicamente,  o  palesemente  viziate da
  incostituzionalita'  per  contrasto  con  principi fondamentali che
  regolano  la  potesta'  punitiva  e la finzione stessa del processo
  penale, e per le disparita' di trattamento che ne scaturirebbero.
    Infatti,  il  legislatore  ha previsto la sostituzione automatica
  della  pena  dell'ergastolo  con la pena detentiva temporanea della
  reclusione  per  la  durata di trent'anni; ma non ha previsto alcun
  meccanismo  di  riduzione  o di sostituzione rispetto all'eventuale
  ulteriore  sanzione  dell'isolamento  diurno, che, come insegna una
  pacifica   giurisprudenza  di  legittimita',  non  e'  affatto  una
  modalita'  di  esecuzione  della  pena,  bensi'  una vera e propria
  sanzione  penale.  Una sanzione che si sostanzia in un inasprimento
  del  trattamento  afflittivo  corrispondente alla pena a vita, solo
  perche'  non  avrebbe  alcun  senso  infliggere  un'ulteriore  pena
  detentiva   che   di   fatto  non  aggiungerebbe  nulla  alla  pena
  dell'ergastolo.  Sicche'  il  giudice  dovrebbe: o "inventarsi" una
  sanzione  che  non  e'  prevista  dalla legge, e cioe' l'isolamento
  diurno (eventualmente ridotto a sua volta nella misura di un terzo,
  per  effetto  dell'applicazione  della  diminuente  per  il  rito),
  associato  alla pena dei trent'anni di reclusione; oppure, lasciare
  i   delitti   ulteriori,   rispetto   a   quello   gia'   passibile
  dell'ergastolo,  praticamente  impuniti  perche' privi di qualsiasi
  sanzione.
L'unica   via   per  restituire  un  minimo  di  ragionevolezza  alla
  disposizione  in  esame,  sottraendola  a  inevitabili  censure  di
  incostituzionalita',  sarebbe  allora  quella  di interpretarla nel
  senso  che  essa  troverebbe  applicazione solo nei confronti degli
  imputati  che rispondano di un solo delitto punito con l'ergastolo;
  ovvero  agli  imputati  che  rispondano  di  un  delitto punito con
  l'ergastolo  ed  altri  reati  minori  punibili  con pene detentive
  inferiori   ad   anni  cinque.  In  queste  ipotesi,  infatti,  non
  scatterebbe,   in   caso   di   condanna,   la  sanzione  ulteriore
  dell'isolamento diurno.
    Resterebbero  quindi  fuori della previsione normativa i processi
  per  stragi  o  nei  quali  si  contestano  piu'  omicidi parimenti
  aggravati  e  punibili  con l'ergastolo, come sono di regola quelli
  per omicidi commessi in contesti di criminalita' organizzata.
    Ad  avviso della Corte, l'interpretazione proposta dalla pubblica
  accusa  muove  da  due  premesse  sicuramente  fondate  in punto di
  diritto.
    La  prima  e'  che  la  riduzione di un terzo della pena previsto
  dalla  disciplina  transitoria  di  cui  all'art.  4-ter  a  favore
  dell'imputato  che  chieda di essere giudicato immediatamente ha la
  medesima   natura   della   speciale   diminuente   prevista  dalla
  corrispondente  disciplina  (ordinaria) del giudizio abbreviato, al
  cui  modello  sostanzialmente  si  riporta  anche  lo speciale rito
  disciplinato  dal  comma  3  e seguenti dello stesso art. 4-ter. Si
  tratta  dunque di una diminuente che, essendo legata esclusivamente
  al  rito adottato, ha natura processuale, prescindendo da qualsiasi
  valutazione  in  ordine alla gravita' del fatto o alla personalita'
  del  reo,  o all'entita' della pena complessiva da infliggere per i
  reati commessi. Conseguentemente, la sua applicazione si traduce in
  una mera operazione di calcolo aritmetico che va compiuto solo dopo
  che  siano state applicate le disposizioni di carattere sostanziale
  che  regolano la determinazione in concreto della pena da irrogare:
  ivi  comprese,  nel  caso  di  concorso materiale o formale di piu'
  reati,  quelle  concernenti il cumulo (giuridico) delle pene. (cfr.
  per tutte, Cass. pen. sez. I, 27 maggio 1994 n. 6217, Pusceddu: "la
  riduzione   della   pena   in   seguito   al  giudizio  abbreviato,
  risolvendosi   in  un'operazione  puramente  aritmetica  di  natura
  processuale   conseguente   alla   scelta   del   rito   ad   opera
  dell'imputato, logicamente e temporalmente deve essere eseguita dal
  giudice  dopo  la  determinazione  della  pena effettuata secondo i
  criteri  e  nel rispetto delle norme sostanziali". Ed ancora, Cass.
  Pen.  Sez.  I,  22  gennaio  1994  n. 4461, Massenza: "La riduzione
  premiale  prevista  per  il rito abbreviato va computata sulla pena
  risultante  all'esito di tutte le valutazioni dalla legge assegnate
  al  giudicante:  applicazione della disciplina della continuazione,
  riconoscimento    di    circostanze    attenuanti   e   diminuenti,
  riconoscimento di circostanze aggravanti, giudizio di bilanciamento
  ed applicazione di recidiva; e cio' perche' la riduzione di pena ex
  art. 442, secondo comma, c.p.p., per il summenzionato suo carattere
  premiale   ed   in   quanto   assolutamente   disancorata  da  ogni
  apprezzamento  che concerne il reato oppure il reo, non puo' essere
  ricondotta  ne'  alla categoria delle circostanze attenuanti, ne' a
  quella delle diminuenti in senso tecnico-giuridico").
    La  seconda  premessa  esatta  e'  che l'isolamento diurno di cui
  all'art.  72, primo e secondo comma, c.p. non e' una mera modalita'
  di  esecuzione  della  pena,  ma  costituisce  una  vera  e propria
  sanzione  penale  volta  proprio  a non lasciare impuniti i delitti
  commessi dallo stesso imputato riconosciuto colpevole di un delitto
  punito  gia'  con  la pena dell'ergastolo. Delitti che, oltretutto,
  potrebbero in ipotesi essere, singolarmente o nel loro insieme, non
  meno gravi di quello gia' punito con l'ergastolo.
    Cio'  vale  anche  nell'ipotesi di reato continuato o di concorso
  formale.  Anche  in questi casi, infatti, la maggiorazione prevista
  rispettivamente dal primo e dal secondo comma dell'art. 81 c.p. non
  viene  azzerata o assorbita dalla pena inflitta per il delitto piu'
  grave,  quando  la pena base sia gia' l'ergastolo; ma si traduce in
  un inasprimento del trattamento sanzionatorio a norma dell'art. 72,
  che  trova pacificamente applicazione anche nelle ipotesi predette.
  In  particolare una costante giurisprudenza di legittimita' insegna
  che,  nell'ipotesi  di  reato  punito con l'ergastolo e altri reati
  meno  gravi  avvinti  al  primo dal vincolo della continuazione, la
  misura  dell'isolamento  diurno trova applicazione appunto a titolo
  di  aumento per la continuazione (cfr. Cass. Pen. sez. I, 21 aprile
  1993  n. 1218,  Nistri:  "L'isolamento diurno previsto dall'art. 72
  c.p.  costituisce una sanzione penale per i delitti concorrenti con
  quello  con quelli puniti con l'ergastolo, posto che esso afferisce
  alla  genesi  del  rapporto  esecutivo.  Ne  deriva che, ricorrendo
  l'unicita'  del disegno criminoso, puo' applicarsi la continuazione
  tra piu' reati puniti con l'ergastolo ed altri con pene temporanee,
  utilizzando  lo strumento dell'inasprimento della sanzione penale".
  Nella   fattispecie   il   S.C.  osservava  che,  con  la  sanzione
  dell'isolamento diurno, il legislatore ha previsto un meccanismo di
  cumulo  giuridico  anche  al  di  fuori  della  continuazione  e ha
  altresi'  rilevato  che,  applicando  quest'ultima,  l'inasprimento
  della  pena dell'ergastolo avra' luogo normalmente in misura minore
  venendo utilizzato non come pena da infliggere per i singoli reati,
  bensi' come aumento per la continuazione).
    Ma  pur  dovendosi  accedere  alle  richiamate premesse, non puo'
  altresi' condividersi la conclusione che ne trae il p.m.
    Al  di  la'  di qualsiasi considerazione sulla mens legis o sulle
  indicazioni   desumibili   dai   lavori   preparatori   che   hanno
  accompagnato l'inserimento della disposizione di cui all'art. 4-ter
  in  sede  di conversione del d.l. 7 aprile 2000, a confutare quella
  conclusione sono sia il dato letterale della norma; sia l'argomento
  logico-sistematico che impone di leggere la disposizione in oggetto
  alla luce della nuova disciplina ordinaria del giudizio abbreviato,
  a  cui la disciplina transitoria dell'art. 4-ter sostanzialmente si
  riporta.
    E  se  e' vero che l'art. 438 c.p.p. (come novellato dall'art. 27
  legge  16  dicembre  1999  n. 479)  non  figura tra le disposizioni
  richiamate  dall'art.  4-ter,  comma  2  non  puo' da questo omesso
  richiamo   farsi   discendere  una  distinzione-esclusione  che  la
  disciplina  ordinaria  del  giudizio  abbreviato  assolutamente non
  prevede:  quella cioe' tra imputati di un solo delitto punibile con
  l'ergastolo  -  che  in  ipotesi  avrebbero facolta' di chiedere il
  giudizio  abbreviato  - e imputati che, invece, quella facolta' non
  avrebbero in quanto rispondono di piu' delitti passibili della pena
  dell'ergastolo,  ovvero  di  piu'  delitti  passibili,  in  caso di
  condanna,  della  pena  dell'ergastolo  maggiorata  della  sanzione
  dell'isolamento diurno.
    E infatti si sostiene, da parte del p.m., che anche la disciplina
  ordinaria  del  giudizio abbreviato implicitamente contempla quella
  distinzione-esclusione. Ed invero, il meccanismo di riduzione della
  pena  previsto  dall'art. 442 e' identico a quello dell'art. 4-ter,
  che  infatti  si  limita  a  richiamarlo  ed anzi sottolinea che la
  richiesta  dell'imputato  e'  volta  "ai  fini di cui all'art. 442,
  comma  2 del codice di procedura penale". E tale meccanismo prevede
  semplicemente  che  "alla  pena dell'ergastolo e' sostituita quella
  della  reclusione  di  anni  trenta".  (Sicche' si riproporrebbe il
  problema applicativo prospettato dal p.m. per i casi in cui la pena
  da  infliggere in concreto sia l'ergastolo aggravato dalla sanzione
  ulteriore dell'isolamento diurno).
    In  realta',  prima di pervenire ad una conclusione generalizzata
  all'intera  disciplina  del  giudizio  abbreviato, appare opportuno
  rammentare   che   la   misura  dell'isolamento  diurno,  associata
  all'ergastolo  a norma dell'art. 72 c.p., e' si' una vera e propria
  sanzione  penale,  ma  deve  la sua peculiarita' anche alla duplice
  natura  che  riveste:  essa infatti e' pena principale dal punto di
  vista della sua funzione sostanziale (che e' quella di non lasciare
  impuniti i delitti ulteriori commessi dall'imputato colpevole di un
  delitto  gia'  punito  con  l'ergastolo);  ma  al  contempo  e' una
  sanzione  accessoria, dal punto di vista strutturale, in quanto suo
  presupposto  indefettibile  e'  l'inflizione in concreto della pena
  dell'ergastolo per uno dei delitti in concorso o in continuazione.
    Rispetto  ad  una  pena accessoria in senso tecnico e' diverso il
  fondamento giustificativo: la pena accessoria propriamente detta e'
  conseguenza  automatica  della  condanna  ad  una pena di una certa
  entita'   o   della  condanna  per  determinati  titoli  di  reato.
  L'isolamento  diurno a norma dell'art. 72 c.p. invece mira a punire
  un delitto diverso da quello per cui e' inflitta la pena principale
  e del quale lo stesso imputato sia stato riconosciuto colpevole.
    Tuttavia,  quando  il legislatore si riferisce a reati puniti con
  l'ergastolo,   o   quando   parla   di   sostituzione   della  pena
  dell'ergastolo  "con  quella  della  reclusione di anni trenta", il
  riferimento alla pena massima contemplata dall'ordinamento non puo'
  che  intendersi  come comprensivo non solo delle pene accessorie in
  senso  tecnico,  che  sempre e comunque conseguono ope iuris ad una
  condanna  all'ergastolo;  ma  anche  di  qualsiasi  altra eventuale
  misura  o  sanzione  che  si  traduca  in  un mero inasprimento del
  relativo  trattamento  sanzionatorio,  e  in  quanto  tale privo di
  autonomia rispetto alla pena massima considerata.
    D'altra  parte,  l'art. 442 si limita a quantificare la riduzione
  sulla   pena   complessiva   conseguente   all'adozione   del  rito
  abbreviato;  e laddove la pena da ridurre sia l'ergastolo, non puo'
  che  seguirne  la  caducazione  di  tutte  le sanzioni accessorie a
  qualunque titolo irrogabili.
    Si  aggiunga  che  il riferimento ai (processi per) "reati puniti
  con   la   pena  dell'ergastolo",  e'  operato  per  determinare  e
  circoscrivere,  unitamente  al  riferimento temporale tipico di una
  disciplina  transitoria, la tipologia di processi e delle posizioni
  processuali  cui  la  stessa  disciplina transitoria si applica. La
  formulazione  letterale  dell'inciso dunque consente ed anzi impone
  di  ricomprendere  nella  previsione  normativa tutte e soltanto le
  posizioni  degli  imputati  (di  processi  "in  corso  alla data di
  entrata  in  vigore  ecc.")  che  rispondano  di  "reati puniti con
  l'ergastolo": e quindi, indifferentemente, di uno o piu' reati.
    E  in  definitiva,  delle  due l'una: o l'isolamento diurno e', a
  tutti  gli  effetti, una sanzione penale accessoria all'ergastolo e
  come  tale  non  suscettibile  di  considerazione  e  di  una sorte
  autonoma  dalla  pena base cui accede, e allora deve convenirsi che
  il  legislatore,  nel riferirsi ai reati puniti con l'ergastolo, vi
  ha  implicitamente  ricompreso anche le ipotesi di reati puniti con
  la pena dell'ergastolo, aggravata dall'isolamento diurno; oppure si
  tratta di una sanzione penale distinta ed autonoma, perche' diverso
  e'  il  reato (o i reati) per cui viene inflitta, rispetto a quello
  gia' punito con l'ergastolo.
    Ma  anche  in  questa  diversa  prospettiva,  dovrebbe ugualmente
  concludersi  che  la disciplina transitoria ex art. 4-ter, comma 2,
  legge  144/2000  si  applica anche all'ipotesi di piu' reati puniti
  ciascuno   con   l'ergastolo,  ovvero  di  un  delitto  punito  con
  l'ergastolo  ed  uno  o  piu'  delitti  puniti  con  pena detentiva
  temporanea per un tempo complessivo superiore ai cinque anni.
    Infatti,  la  sanzione dell'isolamento diurno non e' inflitta per
  lo  stesso reato gia' punito con l'ergastolo, bensi' per il delitto
  o  i  delitti  con  quello  concorrenti superiore ai cinque anni. E
  quindi  non si prefigura comunque un reato punito o punibile con la
  pena   dell'ergastolo  aggravata  dall'isolamento  diurno,  essendo
  piuttosto tale aggravamento solo il frutto di un'unificazione quoad
  effectum   delle   pene  da  infliggere  per  l'insieme  dei  reati
  concorrenti.
    D'altra  parte,  la  locuzione "nei processi per reati puniti con
  l'ergastolo"   mira   evidentemente   a   determinare  l'ambito  di
  applicazione   della   disciplina   transitoria,  identificando  la
  tipologia dei reati in funzione della pena edittale e non di quella
  da infliggersi in concreto.
    Resta  pero'  impregiudicata  la questione del buco normativo cui
  allude  il  p.m.  un  buco  pero' che sarebbe stato aperto non gia'
  dalla  disciplina  transitoria  di cui all'art. 4-ter, bensi' dalla
  stessa disciplina ordinaria del giudizio abbreviato, come novellata
  dalla   legge  c.d.  Carotti,  in  quanto  l'art.  442  cpv.,  come
  modificato  dall'art.  30  legge 16 dicembre 1999 n. 479, non detta
  alcuna  norma  specifica per l'applicazione della diminuente per il
  rito  nel caso di condanna alla pena dell'ergastolo e all'ulteriore
  sanzione penale dell'isolamento diurno.
    Ad  avviso  della Corte, non esiste pero' una lacuna al riguardo.
  Se  cosi'  fosse,  non potrebbe neppure profilarsi una questione di
  costituzionalita'  nei  termini  cennati  dal  p.m.,  in  quanto si
  solleciterebbe   (dalla   Corte   costituzionale)   una   soluzione
  fatalmente invasiva della discrezionalita' del legislatore.
    Invece,  piu'  semplicemente,  la  legge  Carotti e, per quel che
  rileva  ai fini del presente giudizio, la disciplina transitoria di
  cui  all'art.  4-ter, comma 2, legge n. 144/2000, producono (non e'
  dato sapere con quale grado di consapevolezza da parte dello stesso
  Legislatore)  il  risultato  paventato  dal  p.m. nel suo sforzo di
  pervenire  ad  un  diverso  esito interpretativo e a tale risultato
  sono oggettivamente orientate: la pena dell'isolamento diurno resta
  assorbita  dalla  sostituzione  automatica  dell'ergastolo  con  la
  reclusione di anni trenta, poiche' tale sostituzione fa venire meno
  il  presupposto  indefettibile per l'applicazione della sanzione di
  cui all'art. 72 c.p.
    Conseguentemente,  deve  concludersi  e  ribadirsi  che  anche  i
  processi  a  carico  di  imputati  che  rispondono  di piu' delitti
  complessivamente  passibili  della  pena  dell'ergastolo  aggravato
  dalla  misura  dell'isolamento diurno rientrano nella previsione di
  cui  all'art.  4-ter,  comma  2, legge 5 giugno 2000, n. 144. Ma al
  contempo si pongono, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio
  irrogabile  in  caso  di  condanna  le  incongruenze  e i rischi di
  incostituzionalita' paventati dal p.m.
    Ritiene  peraltro la Corte che anche sotto altri profili la norma
  invocata  ponga  questioni  di  legittimita' costituzionale che non
  appaiono  manifestamente  infondate e sono certamente rilevanti per
  la  definizione  del  presente  giudizio,  in  cui  solo  36 dei 60
  imputati hanno chiesto di, o comunque hanno titolo per fruire dello
  speciale rito di cui all'art. 4-ter, comma 2 legge n. 144/2000.
    Gia'  la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 277 del 23
  maggio   1990,  nel  motivare  l'infondatezza  della  questione  di
  costituzionalita'  che  era  stata sollevata nei riguardi dell'art.
  247  delle  disp.  di  attuazione  del codice di procedura penale -
  nella  parte  in  cui  precludeva  la  possibilita'  di chiedere il
  giudizio abbreviato dopo il compimento delle formalita' di apertura
  del    dibattimento   nei   procedimenti   che   proseguivano   con
  l'applicazione  delle  norme  dell'abrogato  codice di rito - aveva
  sottolineato  l'inseindibile unita' finalistica che la disposizione
  in  quella  sede  impugnata  poneva  tra semplificazione del rito e
  riduzione della pena.
    Da cio' la Corte traeva la conseguenza che, divenuto impossibile,
  con  l'apertura  del  dibattimento, raggiungere le finalita' che il
  legislatore  si  prefigge,  "e'  conseguentemente  e  razionalmente
  impossibile  all'imputato realizzare il c.d. diritto alla riduzione
  della pena".
    In  altri  termini,  poiche'  lo scopo dell'istituto del giudizio
  abbreviato  e'  quello  di  consentire la sollecita definizione del
  giudizio,  escludendo  la  fase  dibattimentale, appariva del tutto
  razionale  che, per i procedimenti in corso alla data di entrata in
  vigore  del  nuovo  codice di procedura penale, tale istituto fosse
  applicabile  soltanto  quando  il  suo scopo era ancora interamente
  perseguibile  ("e cioe' soltanto quando non si sia ancora giunti al
  dibattimento").
    Ma  nella citata sentenza la Corte e' andata oltre, rilevando che
  "irrazionale  sarebbe stata un'applicazione del giudizio abbreviato
  oltre i suddetti limiti". Infatti, "se fosse possibile all'imputato
  chiedere  il rito abbreviato anche nel caso che il dibattimento sia
  gia' iniziato, i benefici non sarebbero piu' giustificati ne' dallo
  scopo  (ormai impossibile) di eliminare la fase dibattimentale, ne'
  dal  rischio  assunto  dall'imputato, il quale invece si troverebbe
  nella  comoda situazione di decidere dopo che il Pubblico Ministero
  ha  gia'  offerto le sue prove e comunque dopo aver potuto valutare
  l'andamento del dibattimento stesso".
    E  aggiunge  la  Corte che, proprio per tale via, si sarebbe dato
  luogo  ad  "una  situazione  ingiustificata ed irrazionale". Non e'
  pertanto  conducente  "il  confronto  fra  imputati  per i quali il
  dibattimento  sia  stato  o  non  sia  stato ancora aperto, proprio
  perche' si tratta di situazioni oggettivamente diverse.
      La  Corte  concludeva  la  motivazione sul punto, ribadendo che
  l'intervenuta   apertura   del   dibattimento   "rende  irrazionale
  l'applicabilita' del giudizio abbreviato".
    Nella  medesima  sentenza  n. 277  del 1990 si osservava altresi'
  come neppure sarebbe invocabile, a sostegno della dedotta questione
  di  illegittimita'  costituzionale, il principio della applicazione
  della legge piu' favorevole all'imputato, giacche' tale principio -
  che  peraltro  e'  sancito dall'art. 2 del codice penale, ma non ha
  affatto  rango  costituzionale - opera soltanto quando vi sia stato
  un  mutamento,  favorevole  all'imputato, nella valutazione sociale
  del fatto tipico oggetto del giudizio, mentre nel caso del giudizio
  abbreviato non e' affatto mutata in melius la suddetta valutazione,
  dal  momento  che  la  riduzione della pena e' prevista soltanto al
  fine  di  incentivare,  nei  limiti  della  sua  esperibilita',  la
  richiesta  da  parte  dell'imputato  del  procedimento  speciale in
  questione.
    Orbene,  le considerazioni sopra richiamate, ribadite dalla Corte
  costituzionale  in  successive  pronunce,  con  le quali sono state
  dichiarate  manifestamente  infondate  analoghe questioni in ordine
  alla  ammissibilita'  esclusivamente  in  limine  litis  cosi'  del
  giudizio abbreviato come della applicazione della pena su richiesta
  delle  parti  (v.  le  ordinanze  n. 320, 355 e 420 del 1990), sono
  state  coerentemente  riprese  nelle  numerose ordinanze con cui le
  Corti  di merito di questo come di molti altri Distretti giudiziari
  hanno    dichiarato   manifestamente   infondata   l'eccezione   di
  illegittimita'   costituzionale  con  la  quale  e'  stata  dedotta
  l'irrazionalita'   della   preclusione,  coincidente  con  l'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale,  che  le  norme impugnate (e cioe'
  l'art. 27 legge n. 479/1999 e l'art. 223 del decreto legislativo 19
  febbraio 1998, n. 51, nel testo modificato dall'art. 53 della legge
  16  dicembre  1999,  n. 479, in relazione all'art. 442 c.p.p., come
  modificato  dall'art.  30  della medesima legge, nella parte in cui
  non consente all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato quando
  sia   iniziata  l'istruzione  dibattimentale)  stabilivano  per  la
  richiesta  da  parte  dell'imputato di essere giudicato con il rito
  abbreviato.
    Ed  invero, anche la ratio della disposizione contenuta nell'art.
  223  del  decreto  legislativo  n. 51  del  1998  consisteva  nella
  finalita', che il legislatore delegato si prefiggeva, di evitare la
  fase  dibattimentale  nel  maggior numero di processi in corso alla
  data di efficacia del decreto istitutivo del giudice unico di primo
  grado,  e  di  assicurare,  per  tal via, la rapida definizione dei
  processi stessi.
    La suddetta finalita', da un lato, non poteva dirsi attenuata - e
  doveva al contrario a maggior titolo affermarsi - in considerazione
  delle   modifiche  apportate  dalla  disposizione  denunciata  alla
  disciplina del giudizio abbreviato (con l'esclusione del necessario
  consenso del p.m. e con il rendere il rito speciale applicabile pur
  quando  il  giudice,  ritenendo  di  non potere decidere allo stato
  degli atti, debba procedere alla necessaria integrazione probatoria
  nelle  forme spedite prevista dall'art. 422 del codice di procedura
  penale);  dall'altro, non poteva ritenersi interamente realizzabile
  se  si  fosse  consentita  l'esperibilita'  del giudizio abbreviato
  anche dopo l'inizio dell'istruzione dibattimentale.
    Si e' detto quindi (e si e' scritto nelle ordinanze predette), in
  conformita'    alla    persuasiva    giurisprudenza   della   Corte
  costituzionale,  che,  contrario  al canone della ragionevolezza, e
  quindi  causa  di  una  sostanziale  e ingiustificata disparita' di
  trattamento,  sarebbe  stato piuttosto un trattamento normativo che
  ignorasse  l'irriducibile  diversita'  delle situazioni processuali
  considerate,  in  rapporto  alle  finalita'  dichiarate  di un rito
  espressamente   previsto   come   alternativo   al  dibattimento  e
  funzionale   ad  una  piu'  sollecita  e  spedita  definizione  del
  giudizio,  con  un  considerevole risparmio di mezzi e di attivita'
  processuali;  e  che paradossalmente consentisse ad alcuni imputati
  di   far   dipendere   la   scelta  del  rito  alternativo  proprio
  dall'andamento    o    addirittura    dall'esito    dell'istruzione
  dibattimentale.
    E  si  e'  concluso  altresi' che il differimento fino all'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale  del  termine utile per avanzare la
  richiesta   di  giudizio  abbreviato  rappresentava  quindi,  nella
  valutazione  del  legislatore,  la massima concessione, compatibile
  con  le  finalita'  di  tale  rito  (e  dei  connessi  benefici per
  l'imputato), alle ragioni di equita' che sollecitavano l'estensione
  agli  imputati  dei  procedimenti  in  corso  della possibilita' di
  avvalersi  della  nuova  disciplina  del giudizio abbreviato, nella
  parte  in  cui  questo  era  reso accessibile (senza necessita' del
  consenso  da  parte  del  p.m.  e senza possibilita' che il giudice
  sindacasse l'ammissibilita' della richiesta) anche per gli imputati
  di delitti punibili con l'ergastolo.
    Ebbene,  con  l'inserimento nella legge di conversione del d.l. 7
  aprile 2000 n. 82 della disposizione di cui all'art. 4-ter, commi 2
  e  seguenti, il legislatore ha evidentemente mutato indirizzo. Egli
  ha  ritenuto  cioe'  di doversi spingere oltre sulla via di un equo
  trattamento,  estendendo  la  possibilita'  di  accedere ad un rito
  modellato sul nuovo giudizio abbreviato anche a quegli imputati (di
  reati puniti con la pena dell'ergastolo) che, in pratica, non erano
  stati  nella  condizione  di  poterne fruire per cause indipendenti
  dalla loro volonta': e cioe' per il fatto che "alla data di entrata
  in  vigore  della  legge  16  dicembre  1999 n. 479, era scaduto il
  termine   per   la   proposizione   della   richiesta  di  giudizio
  abbreviato",  come  recita  testualmente il comma 2 del citato art.
  4-ter.
    E'  di  tutta  evidenza  che  si tratta di una norma transitoria,
  perche'   applicabile  solo  ai  processi  (per  reati  puniti  con
  l'ergastolo)  "in  corso alla data di entrata in vigore della legge
  di  conversione  del  presente decreto"; ed applicabile una tantum,
  perche'  l'imputato che voglia beneficiarne deve avanzare richiesta
  "nella  prima  udienza  utile  successiva  alla  data di entrata in
  vigore della legge di conversione del presente decreto".
    Occorre  allora stabilire - tenendo presente pero' che al giudice
  di  merito  non  compete  una  decisione  nel  merito  di eventuali
  questioni   di   costituzionalita',  ma  solo  una  delibazione  di
  manifesta  o non manifesta infondatezza - se i predetti presupposti
  limitativi  dell'applicabilita'  di  questa  normativa  transitoria
  valgano  a  fugare  i dubbi di incostituzionalita' che si addensano
  nei   riguardi  di  una  soluzione  normativa  che  sembra  essersi
  inoltrata  lungo  una  via  che  gia' la Corte costituzionale aveva
  virtualmente reputato impraticabile per manifesta irragionevolezza.
    La  prima considerazione da fare e' che, salvo restando l'affiato
  equitativo  che, nelle intenzioni del legislatore, giustificherebbe
  l'inserimento  di  questa  norma  transitoria,  le  finalita' della
  relativa   disciplina   non   si  discostano  da  quelle  che  sono
  connaturate  alla  logica  e  agli  scopi  essenziali  del giudizio
  abbreviato:  promuovere  una  sollecita  definizione  del giudizio,
  attraverso  una  semplificazione  del  rito che assicuri una rapida
  conclusione  del  processo,  appunto  in  quanto la scelta del rito
  abbreviato  comporta  la rinunzia all'istruzione dibattimentale (in
  tutto o nella parte ancora da compiersi), con conseguente e congruo
  risparmio di attivita' processuale.
    Tali   finalita'   si  rispecchiano  pienamente  nella  soluzione
  adottata  dalla  disciplina  ordinaria  del giudizio abbreviato che
  pone come termine preclusivo per la proposizione della richiesta di
  essere   giudicati   con   il  rito  abbreviato  il  momento  della
  precisazione  della  conclusione  all'udienza  preliminare; e cosi'
  pure  nella  disciplina transitoria di cui al primo comma dell'art.
  4-ter,  che  estende  la possibilita' di scelta per l'imputato e il
  conseguente  diritto  alla  riduzione  della  pena, sino all'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale, (con riferimento allo stato in cui
  versa  il  processo  alla  data di entrata in vigore della legge di
  conversione del d.l. n. 82/2000).
    Ma  le  medesime  finalita' di economia processuale sono altresi'
  alla  base della disciplina transitoria che, per ragioni di equita'
  nei riguardi degli imputati che non avevano potuto fruire di questa
  possibilita'  in  quanto  l'istruzione  dibattimentale  era gia' in
  corso alla data di entrata in vigore della disposizione transitoria
  di   cui  all'art.  223  del  d.lgs.  n. 51  del  1998,  ha  esteso
  l'esperibilita'  del  rito  abbreviato  oltre  il limite preclusivo
  segnato  dall'effettivo  inizio  dell'istruzione  dibattimentale (e
  sempre  con  riferimento  allo  stato in cui versa il processo alla
  data  di  entrata  in  vigore della legge di conversione del citato
  decreto-legge).
    Lo  conferma del resto la scelta di consentire il rito abbreviato
  anche  in  grado  di appello, ma solo qualora sia stata disposta la
  rinnovazione   dell'istruzione   dibattimentale   e   "prima  della
  conclusione  dell'istruzione  stessa";  e  persino  nel giudizio di
  rinvio,  ma solo "se ricorrono le condizioni di cui alle lett. a) e
  b)",  ossia  se  comunque l'istruzione dibattimentale e' in corso e
  non ancora chiusa.
    Conseguentemente,  nessuna  violazione del fondamentale canone di
  ragionevolezza puo' ravvisarsi nella scelta operata dal legislatore
  di  precludere,  agli  imputati  di processi che versino nella fase
  della   discussione,   la   possibilita'  di  optare  per  il  rito
  abbreviato,  o,  piu'  esattamente,  per  lo speciale rito previsto
  dalla  disciplina  transitoria introdotta dall'art., 4-ter comma 2,
  della  legge  5 giugno 2000 e regolato dai commi 3 e seguenti dello
  stesso art. 4-ter.
    Tale  scelta  infatti  e'  del  tutto  coerente  e  consona  alle
  finalita'  dichiarate del giudizio abbreviato di cui agli artt. 438
  e  segg.  c.p.p.( come modificati dalla legge n. 479/1999) che sono
  anche  quelle  dello  speciale  rito  introdotto  dalla  disciplina
  transitoria  qui  in  esame. Ed e' evidente che nessun risparmio di
  attivita'  processuale  potrebbe  derivare  dalla  scelta  del rito
  abbreviato  nell'ambito  di  processi  che  versino gia' in fase di
  discussione.  D'altra parte, l'imputato non rinunzierebbe ad alcuna
  attivita'   istruttoria   e   la  scelta  del  rito  abbreviato  si
  risolverebbe  per lui esclusivamente in un ingiustificato sconto di
  pena.
    Resta  pero'  da  vedere se la soluzione adottata dal legislatore
  non  sia  manifestamente  incongrua,  rispetto  alle pur dichiarate
  finalita' di economia processuale che pervadono anche la disciplina
  transitoria  in  esame.  E  se,  nella  prospettiva  di  un  equo e
  razionale  bilanciamento  di valori costituzionali in conflitto, il
  vantaggio  che  puo' derivarne in termini di risparmio effettivo di
  attivita'  processuali e sollecita definizione dei giudizi pendenti
  per i delitti piu' gravi, quali sono quelli puniti con l'ergastolo,
  non  sia  manifestamente  irrisorio,  avuto  riguardo alla deroga a
  principi fondamentali e al sacrificio o alla compressione di valori
  e  diritti  costituzionalmente garantiti che sicuramente conseguono
  ad  una  soluzione  che estende la possibilita' di accedere al rito
  abbreviato, a semplice richiesta dell'imputato, non sindacabile dal
  giudice, anche quando l'istruzione dibattimentale e' in pieno corso
  o addirittura ormai prossima a concludersi.
    E  cio'  con  particolare  riguardo  all'esigenza  di  tenuta  di
  principi  come quello del contraddittorio, della parita' tra accusa
  e   difesa,   dell'oralita'   e  immediatezza  intesi  come  canoni
  fondamentali  del  giudizio  in fase dibattimentale; ma anche delle
  garanzie connesse ai principi di obbligatorieta' dell'azione penale
  e  di indefettibilita' della giurisdizione (artt. 112, 101, secondo
  comma  e  102  primo  comma  Cost.); ed ancora con riferimento alla
  garanzia dello stesso diritto di difesa (art. 24) e alle disparita'
  di  trattamento  (art.  3)  che  inevitabilmente conseguono per chi
  accetti  di  essere  giudicato  secondo  il  rito abbreviato, e che
  appaiono  tanto piu' manifeste tra imputati dello stesso reato, dei
  quali  solo uno o solo alcuni optino per il rito abbreviato (questi
  ultimi,  infatti  saranno  giudicati anche sulla base del materiale
  istruttorio contenuto nel fascicolo del p.m. ed elevato ope iuris a
  dignita' di prova utilizzabile per la decisione).
    Sul  punto  relativo al sacrificio del diritto di difesa - che si
  verifica  anche  nella disciplina ordinaria del giudizio abbreviato
  perche' anche qui l'imputato rinunzia non solo all'assunzione delle
  prove  a  discarico, ma anche all'assunzione di quelle a carico con
  la  garanzia  del  contraddittorio - e' appena il caso di segnalare
  che  il  beneficio  della riduzione della pena e' un incentivo alla
  scelta  del rito abbreviato, ma non costituisce certo il fondamento
  giustificativo  della  compressione  che  ne  deriva  al diritto di
  difesa,   quasi   che   fosse   ammissibile  barattare  un  diritto
  fondamentale   della  persona  (e  in  quanto  tale  indisponibile,
  relativamente  almeno  alle  garanzie  che  lo  assistono)  con  un
  beneficio  individuale,  seppur di rilevante entita'. In realta', a
  giustificare quell'obbiettiva compressione del diritto di difesa e'
  l'interesse  pubblico alla semplificazione del rito come veicolo di
  accelerazione nella definizione dei processi; e il vantaggio che la
  complessiva  efficienza  del servizio giustizia puo' ricavare da un
  risparmio  di attivita' processuale, in quanto questo si traduce in
  un risparmio di risorse, di tempi e di costi.
    Sotto  questo profilo, ma anche in rapporto alla compressione del
  principio  di  obbligatorieta' dell'azione penale, del principio di
  indefettibilita'   della   giurisdizione   e   del   principio  del
  contraddittorio, le maggiori perplessita' nascono dal fatto che, in
  base  alla  disciplina  transitoria - che riproduce pedissequamente
  sul  punto  la  nuova  disciplina  del  giudizio  abbreviato  -  la
  richiesta  dell'imputato  non  solo  non necessita del consenso del
  p.m.,  ma non e' sindacabile dal giudice, neppure in relazione allo
  stato  del  processo: e segnatamente, all'istruzione dibattimentale
  gia' compiuta e a quella ancora da compiersi.
    Ora,  non  si vede quale risparmio di attivita' processuale possa
  derivare  dalla  scelta  del  rito  abbreviato  nell'ambito  di  un
  processo che versi gia' nella fase c.d. del "507": la fase cioe' in
  cui,  terminata  l'assunzione  delle  prove  chieste dalle parti il
  giudice  dispone  ulteriori attivita' istruttorie o di integrazione
  probatoria  per  acquisire  elementi  che  reputi  necessari per la
  decisione.  E'  di  tutta evidenza che in questo caso la scelta del
  rito abbreviato non fara' venire meno la necessita' delle attivita'
  istruttorie   gia'   disposte   d'ufficio  in  quanto  ritenute  (e
  dichiarate)  indispensabili  per  la  decisione. E infatti anche in
  base  al  rito  modellato  sul  giudizio  abbreviato,  con espresso
  richiamo  tra  gli  altri anche dell'art. 441 c.p.p., gli ulteriori
  accertamenti   gia'   disposti  restano  ammissibili  a  titolo  di
  integrazione probatoria.
    La  scelta  del rito abbreviato non avra' allora altro effetto se
  non   quello   di   realizzare   a   beneficio   dell'imputato   un
  ingiustificato  sconto di pena: e non e' questo lo scopo perseguito
  dalla  stessa  disciplina  transitoria. Ne segue anche la manifesta
  violazione  degli  artt.  3  e  27  della  Costituzione. Viene meno
  infatti la correlazione tra il beneficio della riduzione della pena
  e   la   semplificazione  del  rito;  e  con  essa  quella  residua
  giustificazione  del  beneficio concesso agli imputati dei processi
  che rientrano nella previsione di cui al comma 2 dell'art. 4-ter. E
  non  si  comprende  piu' perche' tale beneficio debba essere negato
  agli  imputati  di processi che alla stessa data versino in fase di
  discussione.  Ne'  si  comprende  per  quale ragione il legislatore
  abbia  mantenuto  fermo,  nella norma transitoria di cui al comma 1
  del   medesimo  art.  4-ter,  il  limite  invalicabile  dell'inizio
  dell'istruzione dibattimentale.
    Ora  e'  proprio  questo il caso del presente giudizio, che versa
  appunto nella fase dell'istruzione ulteriore (comprensiva di alcune
  complesse  perizie  balistiche  e  di  accertamenti sullo stato dei
  luoghi)  disposta  d'ufficio  dalla  Corte  con ordinanza emessa ai
  sensi  dell'art.  507  c.p.p.  in  data  14  aprile  2000.  Sicche'
  dall'adozione  del rito abbreviato nei confronti degli imputati che
  ne  hanno  fatto  richiesta  non  discenderebbe  alcun risparmio di
  attivita'  processuali,  giacche'  le attivita' istruttorie gia' in
  corso  e disposte d'ufficio al fine di acquisire elementi necessari
  per la decisione, dovrebbero comunque essere portate a compimento.
    Ma  a  conclusioni  analoghe, nel senso della carenza assoluta di
  qualsiasi   effettivo   risparmio  di  attivita'  processuali  deve
  pervenirsi  anche  quando,  ed e' anche questo il caso del presente
  processo,  l'istruzione  dibattimentale di un processo con decine e
  decine  di  imputati  sia  formalmente  aperta,  ma in realta' gia'
  chiusa  di  fatto  per molti imputati e rispetto a tutti i reati di
  cui essi sono chiamati a rispondere.
    Ed appare piu' che fondato il dubbio che manifestamente irrisorio
  sia  il  risparmio di attivita' processuale conseguente alla scelta
  del  rito abbreviato nell'ambito di un processo la cui istruzione -
  che  magari  si  era  protratta  per  anni  -  e'  assai prossima a
  concludersi, in quanto resta da assumere un solo teste o poco piu'.
  (Piu'  in  generale  va  rilevato  che  in  tutti  i  casi  in  cui
  l'istruzione dibattimentale e' prossima a concludersi, le prove non
  ancora  assunte  e sulle quali le parti richiedenti insistano, sono
  verosimilinente prove necessarie per la decisione, poiche', in caso
  contrario,  il  giudice  le  revocherebbe. E quindi esse potranno e
  dovranno  ugualmente assumersi a titolo di integrazione probatoria:
  v. infra).
    Le   finalita'   di   economia  processuale  appaiono  ugualmente
  smentite,  ed  anzi il contrasto diviene eclatante, nei processi in
  cui  solo  alcuni  degli imputati optino per il rito abbreviato: in
  questi   casi,   infatti,  il  processo  originariamente  unico  si
  sdoppiera',  perche' un troncone proseguira' con il rito ordinario,
  con  possibile  duplicazione  anche delle attivita' istruttorie che
  appaiono comunque indispensabili per la decisione. Inoltre, per non
  incorrere  in una situazione di incompatibilita', il giudice dovra'
  spogliarsi  di  uno  dei  due  tronconi,  verosimilmente quello che
  prosegue  con  il rito ordinario, che dovra' essere deciso da altro
  giudice, previa rinnovazione del dibattimento: in altri termini, il
  processo,  sottratto  al giudice naturale per effetto di una scelta
  unilaterale  e  non sindacabile di un imputato o di alcuni imputati
  (cui   verrebbe   cosi'   attribuito   il   potere  di  determinare
  l'incompatibilita' dell'organo giudicante), ripartira' dall'inizio.
    Anche  il  presente  processo,  nel  caso  di  adozione  del rito
  abbreviato,  si  frantumerebbe  in  due  tronconi,  uno  dei  quali
  proseguirebbe  con  le  forme  del  rito  ordinario  investendo  la
  posizione di ben 24 imputati su sessanta.
    In   particolare,   non  hanno  avanzato  richiesta  di  giudizio
  abbreviato,  o  non  hanno  comunque titolo per fruirne, i seguenti
  imputati:
        Geraci  Antonino cl. 1929, Gambino Giacomo Giuseppe, e Intile
  Francesco,   (che  risultano  tutti  e  tre  deceduti);  Provenzano
  Bernardo,  Giuffre'  Antonino, La Rosa Filippo e Genovese Salvatore
  (che  sono  tutti  e quattro latitanti); nonche' Madonia Francesco,
  (che  ha  trasmesso  la  richiesta  solo  il  17 giugno); Di Maggio
  Procopio  e  Geraci  Antonino  cl.  1917  (entrambi  hanno avanzato
  richieste  tardive);  Liga Salvatore e Profeta Salvatore (richieste
  inammissibili   perche'   non  rispondono  di  delitti  puniti  con
  l'ergastolo);  ed  ancora  Gargano  Antonino, Greco Giuseppe, Greco
  Leonardo,   Mineo   Gioacchino,   Prestifilippo   Giuseppe,  Brusca
  Mariuccio,  Bono Giuseppe, Bonta' Antonino, Brusca Bernardo, Brusca
  Giovanni, Marchese Antonino, Nania Filippo.
    I 24 imputati rispondono tutti - ad eccezione di Profeta e Liga -
  di  svariati omicidi aggravati (ed altri gravi e connessi reati) in
  concorso con i coimputati che avrebbero diritto al rito abbreviato.
  E  alcuni  di loro sono chiamati a rispondere di tali delitti nella
  medesima  veste  di  mandanti  e,  sempre secondo la prospettazione
  accusatoria,  in quanto componenti della Commissione Provinciale di
  Cosa  Nostra.  Sicche'  e'  di  tutta  evidenza  l'intreccio  delle
  posizioni  processuali  (e  sostanziali)  degli  imputati  nei  cui
  confronti  deve  comunque  procedersi secondo il rito ordinario con
  quelle   dei  coimputati  che  hanno  invece  chiesto  il  giudizio
  abbreviato.
    Il contrasto con le finalita' di economia e celerita' processuale
  appare  dunque  tanto piu' evidente nella misura in cui lo stralcio
  delle   posizioni   processuali   darebbe   luogo   ad  inevitabili
  incompatibilita' del Collegio giudicante.
    Esiste  poi il profilo generale e assorbente di contrasto con gli
  artt.  3  e  27  della  Costituzione  che riguarda tutti i casi che
  rientrano  nella disciplina transitoria in esame, lambendo peraltro
  la   stessa  disciplina  ordinaria  del  giudizio  abbreviato  come
  innovata dalla legge c.d. "Carotti"; e che e' stato gia' anticipato
  nell'esaminare l'eccezione preliminare di inammissibilita' del rito
  abbreviato sollevata dal p.m.
    Al riguardo va ancora premesso quanto segue.
    La   definizione  in  concreto  della  pena  rientra  nel  potere
  discrezionale  del  giudice ex art. 132 c.p., ma poiche' e' un atto
  indefettibilmente    giurisdizionale    esso    assume    rilevanza
  costituzionale ai sensi dell'art. 102 Cost.
    A  sua  volta, l'art. 27 Cost., nella parte in cui afferma che la
  responsabilita'  e' personale, sembra esigere anche che la pena sia
  in concreto ragguagliata alla gravita' del fatto e alla capacita' a
  delinquere del colpevole.
    Pertanto,  il  principio della discrezionalita' del giudice nella
  determinazione in concreto della pena, previsto dall'art. 132 c.p.,
  trova  un  sicuro  fondamento  in alcuni principi costituzionali, e
  segnatamente  nel  principio  della responsabilita' personale (art.
  27); e nel principio di eguaglianza (art. 3), che impone parita' di
  trattamento  per  situazioni  uguali; ma impone di trattare in modo
  differente  situazioni obbiettivamente diverse, avuto riguardo alla
  ratio della norma da applicare.
    Il  principio generale di proporzionalita' della pena rappresenta
  poi  un limite logico, prima che equitativo, alla potesta' punitiva
  dello  Stato  (almeno  in  uno  Stato  di diritto) ed e' insito nel
  concetto  retributivo  di  pena  non  meno  che  nella sua funzione
  rieducativa, a norma dell'art. 27, terzo comma Cost.
    Orbene,  non  e'  qui in discussione la scelta del legislatore di
  consentire agli imputati (compresi quelli chiamati a rispondere dei
  delitti  puniti  con  le massime pene) di ottenere, a loro semplice
  richiesta,  non  sindacabile  dal  giudice  sotto  il profilo della
  congruita'  del  trattamento  sanzionatorio  finale,  una riduzione
  nella  misura  fissa di un terzo della pena determinata in concreto
  dal  giudice.  La deroga ai principi anzidetti e' attenuata proprio
  dal  fatto  che  la  riduzione  e'  predeterminata per legge in una
  misura    fissa,   finendo   cosi'   per   rispettare   una   certa
  proporzionalita' rispetto alla pena determinata dal giudice.
    Ne  soffre  la  funzione  rieducativa  della  pena, perche' se e'
  considerata  rieducativa  la  pena  fissata in una certa misura, in
  relazione  ad  un  determinato  reato  commesso  da  un determinato
  imputato,  parrebbe  non  essere  piu'  rieducativa  la stessa pena
  diminuita  ex  legge  di  un terzo; e d'altra parte se questa fosse
  nondimeno  ritenuta  congrua, non lo sarebbe piu' (per quel reato e
  per  quell'imputato) una pena maggiorata di un terzo in conseguenza
  del rito ordinario.
    Qui  e'  peraltro  troncante  la  considerazione che la riduzione
  correlata alla scelta del rito alternativo non e' un'attenuante, ma
  una  diminuente  di  carattere  squisitamente  processuale, che non
  involge  la  valutazione  di  merito  del  giudice  in  ordine alla
  gravita'  del  fatto o alla congruita' della pena. Ed e' voluta dal
  legislatore  come  mero  incentivo alla deflazione dei processi che
  pervengono alla fase dibattimentale.
    Il  problema posto dalla nuova legge e aggravato dalla disciplina
  transitoria qui in esame e', pero', un altro.
    L'art.  30  lett.  b)  della legge n. 479 del 16 dicembre 1999 ha
  modificato  l'art.  442 c.p.p. introducendo nel comma 2 il seguente
  periodo:  "alla  pena  dell'ergastolo  e'  sostituita  quella della
  reclusione  di  anni  trenta".  E'  stata  cosi'  ripristinata  una
  previsione  inserita  nell'originario  testo dell'art. 442 c.p.p. e
  dichiarata  costituzionalmente  illegittima, per eccesso di delega,
  dalla  Corte costituzionale con sentenza n. 176 del 23 aprile 1991.
  Tale  recente modifica normativa si colloca all'interno di una piu'
  generale  riforma che ha rimesso alla semplice scelta dell'imputato
  la  possibilita' di procedere con il rito abbreviato, escludendo la
  necessita'  del  consenso del p.m. e stabilendo che, in presenza di
  una  richiesta  dell'imputato  non  subordinata ad una integrazione
  probatoria,  necessariamente "il giudice provvede con ordinanza con
  la quale dispone il giudizio abbreviato".
    Il   giudice,   quindi,  deve  applicare  la  riduzione  di  pena
  conseguente  al  giudizio  abbreviato  anche qualora ritenga che la
  pena cosi' irrogata sia inadeguata rispetto alla gravita' del fatto
  (diversamente  da quanto avviene nell'ipotesi del "patteggiamento",
  in  cui  il  giudice  ha il potere di respingere la richiesta delle
  parti se ritiene incongrua la pena da loro indicata).
    Qualora  in  sede  di giudizio abbreviato l'imputato sia ritenuto
  responsabile   di   piu'  reati  per  ciascuno  dei  quali  sarebbe
  astrattamente  irrogabile  la  pena dell'ergastolo, la pena massima
  complessiva  che  puo'  essere  applicata rimarra' sempre quella di
  anni  30  (suscettibile  di  ridursi  ad  anni  24  in virtu' della
  liberazione  anticipata):  infatti  la riduzione prevista dall'art.
  442  c.p.p.  si applica sulla pena unica determinata dal giudice ai
  sensi  dell'art. 73 c.p. Si vanifica in tal modo la ratio dell'art.
  73  comma  2  c.p., volta ad "evitare che possano le pene piu' alte
  costituire  pel  condannato  una specie di viatico alla delinquenza
  reiterata" (secondo quanto si specificava nella Relazione al Codice
  Rocco).
    L'art.  4-ter  del  decreto  legge  7  aprile  2000  n. 82,  come
  modificato  dalla  legge  di  conversione  5  giugno  2000  n. 144,
  stabilisce che:
        1.   -   Salvo   quanto   previsto  dai  commi  seguenti,  le
  disposizioni  di  cui  agli  articoli  438 e seguenti del codice di
  procedura  penale  come  modificate  o  sostituite  dalla  legge 16
  dicembre   1999,  n. 479,  si  applicano  ai  processi  nei  quali,
  ancorche'   sia  scaduto  il  termine  per  la  proposizione  della
  richiesta   di   giudizio   abbreviato,  non  sia  ancora  iniziata
  l'istruzione  dibattimentale  alla  data di entrata in vigore della
  legge di conversione del presente decreto.

        2. - Nei  processi  penali  per  reati  puniti  con  la  pena
  dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge
  di conversione del presente decreto e nei quali prima della data di
  entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto
  il   termine  per  la  proposizione  della  richiesta  di  giudizio
  abbreviato,  l'imputato,  nella prima udienza utile successiva alla
  data  di  entrata in vigore della legge di conversione del presente
  decreto, puo' chiedere che il processo, ai fini di cui all'articolo
  442,  comma  2,  del codice di procedura penale, sia immediatamente
  definito,  anche  sulla  base degli atti contenuti nel fascicolo di
  cui all'articolo 416, comma 2, del medesimo codice.

        3. - La  richiesta  di  cui  al  comma  2  e'  ammessa  se e'
  presentata:
          a)  nel  giudizio  di  primo  grado prima della conclusione
  dell'istruzione dibattimentale;
          b)  nel  giudizio di appello, qualora sia stata disposta la
  rinnovazione  dell'istruzione  ai  sensi  dell'articolo  n. 603 del
  codice   di   procedura   penale,  prima  della  conclusione  della
  istruzione stessa;
          c)  nel  giudizio  di rinvio, se ricorrono le condizioni di
  cui alle lettere a) e b).
    4.  -  La  volonta' dell'imputato e' espressa personalmente o per
  mezzo  di  procuratore  speciale e la sottoscrizione e' autenticata
  nelle  forme  previste  dall'articolo  583,  comma 3, del codice di
  procedura penale.
    5.   -   Sulla  richiesta  il  giudice  provvede  con  ordinanza,
  disponendo  l'acquisizione  del  fascicolo di cui all'articolo 416,
  comma 2, del codice di procedura penale.
    6. - Ai fini della deliberazione, il giudice utilizza, oltre agli
  atti contenuti nel fascicolo di cui al comma 5, le prove assunte in
  precedenza.
    7.  - Per quanto non previsto nel presente articolo, si applicano
  le disposizioni di cui agli articoli 441, escluso il comma 3, e 442
  del codice di procedura penale, nonche' l'articolo 443 del medesimo
  codice se la sentenza e' pronunciata nel giudizio di primo grado.
    La  liberazione  anticipata,  che  (secondo il disposto dell'art.
  4-bis  dell'Ordinamento  Penitenziario)  puo'  trovare applicazione
  anche  nei  confronti dei detenuti per delitti commessi avvalendosi
  delle  condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di
  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  di  tipo  mafioso,  e'
  disciplinata    dall'art.    54   dell'Ordinamento   penitenziario.
  Quest'ultima  norma prevede che "al condannato a pena detentiva che
  ha dato prova di partecipare all'opera di rieducazione e' concessa,
  quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo piu'
  efficace  reinserimento nella societa', una detrazione di 45 giorni
  per ogni singolo semestre di pena scontata".
    Tale disposizione rimane priva di significativa rilevanza pratica
  per  i  soggetti  condannati  all'ergastolo  per i delitti commessi
  avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero
  al  fine  di  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  di  tipo
  mafioso,  poiche'  costoro  sono  soggetti ad una pena perpetua. La
  medesima  disposizione, invece, vale a ridurre (nella misura di tre
  mesi  per  ogni anno di detenzione) la durata della pena temporanea
  inflitta per i suddetti delitti in sede di giudizio abbreviato.
    Cio'  posto,  la  possibilita'  di  beneficiare  di  un'ulteriore
  riduzione  della  pena,  attraverso il meccanismo della liberazione
  anticipata,  e  di  scendere  cosi'  al  di  sotto  del  limite dei
  trent'anni (fino a 24 anni), anche in favore di soggetti condannati
  in  primo grado all'ergastolo per stragi o per aver commesso decine
  di  omicidi,  non  puo'  non  riproporre  in  termini  eclatanti il
  problema  della  congruita' della pena, ovvero della sindacabilita'
  sotto  questo  profilo  specifico, della richiesta dell'imputato di
  essere giudicato ai sensi dell'art. 4-ter, comma 2 e seguenti.
    Troppo  stridente  appare la forbice tra l'effetto di sostanziale
  vanificazione  della  funzione rieducativa della pena effettiva che
  residua  all'esito  dei benefici cumulabili dall'imputato che abbia
  optato  per  il  rito  abbreviato; nonche' l'evidente disparita' di
  trattamento  che  sotto  questo  profilo  ne  consegue  rispetto ai
  condannati  per  reati  anche  meno  efferati;  e l'effetto davvero
  modesto  o addirittura irrisorio di semplificazione delle attivita'
  processuali conseguente alla scelta del rito abbreviato.
    Ma  si  adombrano  ulteriori  e ancora piu' stringenti profili di
  incostituzionalita'   della   normativa   transitoria   sempre  per
  contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.
    Infatti,  quando  la  legge sostituisce automaticamente alla pena
  dell'ergastolo   quella  della  reclusione  nella  misura  fissa  e
  predeterminata di 30 anni, implicitamente statuisce che tale misura
  costituisce  un  limite  inderogabile,  ossia  la pena finale al di
  sotto  della  quale  non  si  puo'  scendere,  per  i  delitti  che
  dovrebbero   essere  (altrimenti)  puniti  con  l'ergastolo,  anche
  all'esito dell'applicazione del beneficio correlato alla scelta del
  rito abbreviato.
    Ma  che  dire  dei  casi  in  cui l'imputato che opta per il rito
  abbreviato  sia  riconosciuto  colpevole di piu' omicidi, ovvero di
  stragi e omicidi?
    Ove tra i delitti per cui e' condanna si ravvisi il vincolo della
  continuazione,  dovra'  procedersi,  in conformita' ad una pacifica
  giurisprudenza  di  legittimita', all'applicazione della diminuente
  per   il   rito   solo  dopo  l'applicazione  dell'aumento  per  la
  continuazione, calcolato sul delitto piu' grave. Ma se la pena base
  per il computo della pena da infliggere per il reato continuato sia
  gia'   quella  dell'ergastolo,  l'aumento  della  continuazione  si
  tradurra' in un inasprimento del trattamento sanzionatorio ai sensi
  dell'art.  72  c.p.: la pena detentiva resta l'ergastolo, aggravato
  pero'  dalla misura dell'isolamento diurno, da applicarsi appunto a
  titolo  di  aumento  per  la  continuazione.  Su questo trattamento
  sanzionatorio  andra'  pero'  ad incidere la diminuente per il rito
  che  si  traduce nella sostituzione automatica della pena detentiva
  di  trent'anni,  senza  che residui alcuno spazio per l'aumento che
  doveva  essere applicato a titolo di continuazione. Non e' corretto
  parlare  di assorbimento dell'aumento, perche' anche quando la pena
  per  il  reato  continuato  venga  ridotta  in  applicazione di una
  diminuente  per  il  rito  (come  nelle  altre  ipotesi  di giudizi
  abbreviato  o  in  quelle  di  patteggiamento),  la riduzione opera
  proporzionalmente  sulla  pena finale e complessiva determinata per
  il reato continuato, comprensiva dell'aumento per la continuazione,
  che  quindi  non  resta irrilevante, ne' subisce alcun assorbimento
  (neppure  l'art.  78  c.p., che in caso di cumulo di pene detentive
  temporanee fissa il tetto massimo di trent'anni di reclusione e che
  e'  pacificamente  ritenuto applicabile anche nell'ipotesi di reato
  continuato, determina un integrale assorbimento dell'aumento dovuto
  ex  art.  81, comma 2, c.p.: l'osservanza del principio enucleabile
  dall'art.  78  postula piuttosto che l'aumento per la continuazione
  sia contenuto e non assorbito entro il limite dei trent'anni).
    Se  cosi'  non  fosse,  i reati satelliti, o comunque considerati
  tali  ai  fini  del  computo  della  pena,  resterebbero  del tutto
  impuniti e questo e' un effetto inammissibile.
    Ma proprio questo effetto si verifica attraverso il meccanismo di
  riduzione   ope  iuris  innescato  dalla  richiesta  unilaterale  e
  insindacabile   dell'imputato   che  si  avvalga  dell'opportunita'
  concessagli  dalla  disciplina transitoria di cui all'art. 4-ter. E
  si  tratta  a ben vedere di un effetto che esula dalle finalita' di
  quella  disciplina  o addirittura si pone in contrasto con essa, se
  e'  vero  che,  sia  pure  implicitamente, il legislatore ha inteso
  porre  i  trent'anni  come  limite  di  pena  inderogabile in luogo
  dell'ergastolo,   e   all'esito   dell'applicazione  del  beneficio
  concesso  all'imputato  effettivamente reo di un delitto punito con
  l'ergastolo.
    Ancora  piu'  eclatante  appare il contrasto con gli artt. 3 e 27
  della Costituzione nell'ipotesi di concorso materiali di piu' reati
  puniti  con  l'ergastolo.  Anche  qui,  si  procedera'  nel caso di
  condanna    inflitta    nell'ambito    del    medesimo    processo,
  all'applicazione  della  diminuente  per  il  rito solo dopo che il
  giudice  avra'  applicato tutte le norme di diritto sostanziale che
  regolano  la  determinazione  della  pena,  ivi comprese quelle che
  disciplinano  il  cumulo  (delle pene da infliggere con la medesima
  sentenza).
    Si   applichera'   dunque   l'art.   72   cod.   penale   e  solo
  successivamente   la  diminuente  per  il  rito,  che,  sostituendo
  all'ergastolo  la  pena  di  trent'anni  di reclusione, finisce per
  azzerare   anche   l'inasprimento   del  trattamento  sanzionatorio
  previsto  dall'art.  72  appunto  nel  caso  di concorso di delitti
  parimenti  puniti  con l'ergastolo. Ne' potrebbe essere altrimenti,
  perche'  la  diminuente  per  il  rito  si applica nei riguardi del
  singolo  imputato  una  sola  volta  e  con  riferimento  alla  sua
  posizione  processuale complessiva, unitariamente considerata quoad
  poenam,  ai  fini  del calcolo della diminuente stessa; e non tante
  volte  quanti  sono i reati, concorrenti tra loro, per i quali egli
  abbia   riportato   condanna  nell'ambito  del  medesimo  processo.
  Pertanto,   l'imputato   che   abbia   commesso  un  solo  omicidio
  soggiacera'   alla   stessa   pena   e   allo   stesso  trattamento
  sanzionatorio  complessivo  inflitto a chi abbia commesso decine di
  omicidi, oppure piu' omicidi e stragi.
    E  l'imputato  che  abbia  commesso decine di omicidi ovvero piu'
  omicidi  e  stragi  rispondera'  in  pratica  di  uno  solo di tali
  delitti, restando gli altri del tutto impuniti. Effetto palesemente
  contrario,   come   gia'   rilevato,   alla  ratio  che  ispira  la
  disposizione  di cui all'art. 73 comma 2. Non solo, ma chi risponda
  di  due  omicidi, per nessuno dei quali siano contestate aggravanti
  che   lo   rendano  passibile  della  pena  dell'ergastolo,  e  sia
  riconosciuto  colpevole  di entrambi, non potendo fruire (per cause
  ovviamente   indipendenti   dalla   sua  volonta')  della  speciale
  normativa   transitoria   di  cui  all'art.  4-ter,  dovra'  essere
  condannato all'ergastolo, in applicazione delle norme sul cumulo di
  pena,  ove  non  riporti,  per almeno uno dei due omicidi, una pena
  inferiore a 24 anni.
    Ma  c'e'  di piu'. L'applicazione della norma di cui all'art. 73,
  comma   2,   sostanzialmente  inibita  o  comunque  vanificata  dal
  meccanismo di operativita' della diminuente per il rito - nel senso
  che  questa  si applica una sola volta per ciascun imputato, e dopo
  che si e' determinata la pena complessiva da infliggergli per tutti
  i   delitti  per  cui  e'  condanna  -  continua  mvece  a  trovare
  applicazione  in sede di esecuzione, con ulteriore e ingiustificata
  disparita'   di  trattamento  tra  gli  imputati  che  siano  stati
  giudicati  e  riconosciuti  colpevoli  di  piu'  delitti puniti con
  l'ergastolo,  nell'ambito  del  medesimo  processo;  e gli imputati
  riconosciuti  colpevoli dei medesimi reati, ma in separati processi
  (che, a differenza dei primi non potranno sfuggire all'applicazione
  dell'art.  73,  secondo  comma,  pur avendo beneficiato, come loro,
  della diminuente per il rito).
    Possono  dunque riassumersi come segue i profili di contrasto che
  la  normativa  in esame pone, ad avviso di questa Corte rispetto ai
  parametri costituzionali.
    Art.  112  Cost.,  nella  parte  in  cui  impone all'organo della
  pubblica  accusa  di  dare  impulso alla formazione della prova per
  verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della pretesa
  punitiva   dello   Stato:  il  contrasto  e'  evidente  laddove  la
  disciplina   transitoria   consente   all'imputato,   con  una  sua
  unilaterale  manifestazione di volonta' e senza alcuna possibilita'
  di  sindacato  da  parte  del  giudice, di espungere dal novero del
  materiale  utilizzabile  per  la decisione le prove gia' ammesse su
  richiesta  del p.m. e non ancora assunte. (Ne' puo' trascurarsi che
  resterebbe   precluso  l'accesso  agli  atti  utilizzabili  per  la
  decisione  anche dell'eventuale attivita' integrativa espletata dal
  p.m.  nelle  more  del  dibattimento.  Infatti, e' vero che a norma
  dell'art.  433 "nel fascicolo del pubblico ministero e' inserita la
  documentazione  dell'attivita'  prevista  dall'art.  430";  ma solo
  "quando  di  essa  le  parti si sono servite per la formulazione di
  richieste   al  giudice  del  dibattimento  e  quest'ultimo  le  ha
  accolte").
    Artt. 101, secondo comma e 102, primo comma Cost., nella parte in
  cui  sanciscono  che  la funzione giurisdizionale e' esercitata dai
  giudici  ordinari,  che  sono  soggetti  soltanto  alla  legge:  il
  disposto  costituzionale implicitamente postula l'illegittimita' di
  qualunque    forma,   anche   mediata,   di   interferenza   e   di
  condizionamento da parte di soggetti diversi.
    Ebbene,  il contrasto si delinea quando, come nel caso di specie,
  si  consente  all'imputato, con una propria decisione unilaterale -
  che  la  legge  pudicamente  definisce richiesta - di modificare il
  rito di un giudizio che si era gia' instaurato nelle forme del rito
  ordinario,  optando  per  il  giudizio  abbreviato;  e senza alcuna
  possibilita'  per  il  giudice  di  valutare la congruita' del rito
  richiesto  (rectius,  imposto  dall'imputato),  sia  rispetto  agli
  interessi  delle altre parti in causa, sia rispetto all'esigenza di
  un armonico esercizio della giurisdizione.
    Infatti,  il controllo del processo (e sul processo) da parte del
  giudice,  e'  un  elemento essenziale e inderogabile della finzione
  giurisdizionale,  a  garanzia  di tutte le parti (comprese le parti
  civili).  E una volta che il giudizio si sia instaurato nelle forme
  del  rito  ordinario, con la conseguente attivazione di quel potere
  di  controllo,  esso  non appare compatibile con il conferimento ad
  una  sola  delle  parti  di un cosi' rilevante potere sulla forma e
  sulle  modalita'  di definizione del processo (tanto piu' che dalla
  scelta  insindacabile di una sola parte dipendono conseguenze tanto
  rilevanti anche su piano del trattamento sanzionatorio).
    Ne  segue  che  e' violato anche il principio di uguaglianza, per
  l'irragionevole  privilegio  accordato nei termini suesposti ad una
  sola delle parti del processo.
    Artt.  102,  3  e  24  Costituzione: corollario del principio del
  controllo deputato al giudice sul processo, a sua volta connaturato
  all'esercizio  della funzione giurisdizionale ex art. 102 Cost., e'
  anche  il  principio di indisponibilita' delle fonti di prova, che,
  una  volta  ammesse, non possono essere sottratte per decisione del
  solo imputato (o del p.m.) all'assunzione ad iniziativa delle parti
  che  vi abbiano interesse. Anche sotto questo profilo si delinea il
  contrasto  con  l'art.  102,  ma  anche  con gli art. 3 e 24 Cost.,
  soprattutto  con  riferimento  alla  posizione  delle parti civili.
  Inibendosi  il  diritto alla prova di queste ultime, infatti, se ne
  vanifica di fatto la partecipazione al giudizio penale e il diritto
  a ottenere tutela per i propri diritti in quella sede.
    Art.  111  Cost.,  nella  parte  in cui ammette che la formazione
  della  prova  possa non aver luogo in contraddittorio, per consenso
  dell'imputato.
    Ed invero, non sembra proprio che la previsione costituzionale si
  spinga  fino  al  punto  di  tollerare  che l'imputato, con propria
  richiesta  unilaterale  e  non soggetta ad alcuna verifica da parte
  del  giudice, possa impedire l'assunzione delle prove gia' ammesse.
  Infatti,  l'art.  111 si limita a stabilire che la formazione della
  prova  puo',  se  l'imputato lo consenta, non avvenire nel rispetto
  del  principio  del  contraddittorio,  e  cio'  nei  casi  all'uopo
  regolati con legge ordinaria. Ma nulla dispone in ordine alle prove
  che  sono  state gia' ammesse e debbono ancora essere assunte. E se
  e' ancora tollerabile che l'imputato interessato al rito abbreviato
  possa  rinunziare  alle  prove  che  lui  stesso  aveva  chiesto di
  assumere, non si vede come possa altresi' impedire alle altre parti
  di assumere le prove gia' ammesse su loro richiesta, senza con cio'
  violare  il  disposto  dell'art.  111 Cost. - nella parte in cui la
  norma   eleva   il  contraddittorio  a  strumento  privilegiato  di
  accertamento  della  verita'  processuale,  oltre che indefettibile
  garanzia  per  i  diritti  della  difesa  -  e senza determinare al
  contempo  un'ingiustificata  disparita' di trattamento nei riguardi
  delle altre parti (p.m. e parti civili).
    In  realta',  l'art.  111, quinto comma, Cost., guarda proprio ai
  riti alternativi nella loro disciplina "ordinaria", che non prevede
  in  effetti  alcuna commistione tra rito ordinario e rito speciale,
  mentre  la  disciplina introdotta dal comma 2 dell'art, 4-ter della
  legge  di  conv.  del  d.lgs. 7 aprile 2000 n. 82 crea una sorta di
  ibrido tra le forme del rito ordinario e quelle dello speciale rito
  proprio  del giudizio abbreviato. Motivo di piu' per dubitare della
  compatibilita'  di  tale  normativa  con l'art. 111 Cost., quarto e
  quinto comma.
    Art.  111  Cost.,  nella parte in cui stabilisce che "il processo
  penale   e'   regolato  dal  principio  del  contraddittorio  nella
  formazione della prova".
    Il  nuovo art. 111 assume invero tale principio nella sua duplice
  valenza:  da  un lato, come istituto fondamentale di garanzia per i
  diritti  della  difesa  dall'altro strumento altrettanto essenziale
  per garantire un giusto ed efficace accertamento della verita'.
    Infatti,  accertamento  della  verita' e giusto processo sono due
  facce  della  stessa  medaglia, nel senso che, affinche' vi sia una
  giusta  decisione, il giudice deve essere posto nelle condizioni di
  poter  pervenire  alla  piena conoscenza (per quanto possibile) del
  fatto  oggetto  del  giudizio; e la via migliore per garantire (per
  quanto  possibile)  una  piena  cognizione  dei fatti, e' quella di
  assumere   le  prove  nel  contraddittorio  delle  parti,  e  cioe'
  attraverso  il  dialettico  confronto  delle  rispettive  ragioni e
  difese.
    La  scelta  del rito abbreviato comporta quindi un sacrificio che
  non  puo'  essere  bilanciato  e  reso  legittimo solo dal consenso
  dell'imputato,  poiche' e' in gioco un interesse indisponibile qual
  e'  quello  di  pervenire all'accertamento della verita', che resta
  uno degli scopi fondamentali del processo.
    E  infatti,  nella  logica  dell'istituto, e tra le sue finalita'
  dichiarate,  spicca  proprio  l'interesse pubblico ad una sollecita
  definizione  del  procedimento,  attraverso  l'adozione  di un rito
  semplificato  che  implica  la  rinunzia  alla fase dell'istruzione
  dibattimentale,  e  fatta  salva  la  possibilita'  di una limitata
  integrazione  probatoria  (limitata  cioe'  all'acquisizione  degli
  elementi  che il giudice reputi indispensabili per la decisione); e
  fatta   salva  altresi'  l'ipotesi,  contemplata  dalla  disciplina
  ordinaria  del  giudizio  abbreviato, di una richiesta condizionata
  all'assunzione di talune prove: ma in questo caso il richiedente si
  espone  al  rischio  di  vedere  rigettata la richiesta, appunto in
  quanto incompatibile con le peculiarita' del rito richiesto.
    Ma questa finalita' di economia processuale appare contraddetta o
  vanificata  nei  processi  che  versano  gia'  in  fase avanzata di
  istruzione dibattimentale.
    Richiamando  quanto  precedentemente  osservato  in  ordine  alle
  complicazioni  che scaturirebbero da un frazionamento del processo,
  riflettendosi  negativamente  sulla  economicita' e celerita' della
  sua definizione, va anche segnalato che in questi casi il vantaggio
  che  dovrebbe  discendere dall'adozione del rito abbreviato ai fini
  di una sollecita definizione del procedimento e' pressocche' nullo,
  tenuto  conto, oltretutto, della possibilita' (o necessita') che il
  giudice  disponga d'ufficio un'attivita' di integrazione probatoria
  che,  per  la  sua  complessita',  potrebbe  risultare  assai  poco
  compatibile   con   l'obbiettivo  di  una  rapida  conclusione  del
  processo.
    Ne'  va  trascurata,  per la sua negativa incidenza sull'economia
  processuale,   la   necessita'  che  l'intero  Collegio  giudicante
  (composto,  per  quanto concerne le Corti d'Assise, anche da almeno
  sei   giudici   popolari)  proceda  all'esame  di  tutti  gli  atti
  precedentemente non portati alla sua cognizione (ossia tutti quelli
  contenuti  nel  fascicolo  del  p.m.);  con  la possibilita' che si
  ravvisi proprio all'esito di tale esame, la necessita' di procedere
  ad una congrua integrazione probatoria.
    Si  aggiunga  poi  che  quando il processo e' in fase avanzata di
  istruzione  dibattimentale,  le  prove  gia'  ammesse, ma ancora da
  assumersi,  sono presumibilmente necessarie ai fini della decisione
  (con  la  conseguenza  che  andrebbero  indefettibilmente assunte a
  titolo   di   integrazione   probatoria   anche  in  caso  di  rito
  abbreviato);  ovvero, se superflue, il giudice ne potrebbe revocare
  l'ammissione.  Infatti, quando l'istruzione e' in fase avanzata, il
  giudice  possiede  ormai gli elementi necessari per una valutazione
  in  ordine alla rilevanza o meno delle prove da assumere molto piu'
  penetrante  rispetto  a  quella  che egli poteva operare all'inizio
  dell'istruzione stessa.
    Di   conseguenza,   l'adozione   del   rito   abbreviato,  almeno
  teoricamente,  non  si  tradurrebbe in un risparmio apprezzabile di
  attivita' processuale.
    Artt.  3,  24 e 97 Cost. di contro, si profila un elevato rischio
  di   ingolfamento   nella   definizione  dei  procedimenti,  almeno
  nell'ipotesi  in  cui  taluno  o  piu' degli imputati di uno stesso
  processo  non  opti  per il giudizio abbreviato. In tal caso, se ne
  dovra'  stralciare  la  posizione,  ovvero  si dovra' stralciare la
  posizione  di  quanti hanno invece optato per il rito abbreviato. E
  per  gli  imputati  che  non  abbiano  optato  per l'abbreviato, il
  giudizio   proseguira'   nelle   forme   del  rito  ordinario,  con
  conseguente  duplicazione  di  una  parte  almeno  delle  attivita'
  processuali  (in  particolare,  quelle che dovranno disporsi, anche
  nell'ambito  del  giudizio  abbreviato,  a  titolo  di integrazione
  probatoria).   Ma   soprattutto,   si  innesca  una  situazione  di
  incompatibilita'  nei  riguardi  del giudice originario, che dovra'
  spogliarsi  del  troncone  di processo destinato a proseguire nelle
  forme  del  rito  ordinario:  questo sara' quindi definito da altro
  giudice, ma previa innovazione del dibattimento.
    Si  profila  dunque,  in  questi casi, una sorta di partenogenesi
  processuale  per  cui  l'originario unico procedimento si scinde in
  due  distinti tronconi. Con l'ulteriore aggravante che due imputati
  che  rispondano  dello  stesso  fatto potrebbero trovarsi ad essere
  giudicati  da  due  giudici diversi con sottrazione peraltro di uno
  degli  imputati  alla  giurisdizione del suo giudice naturale, cosa
  che  non si verifica invece nella disciplina ordinaria del giudizio
  abbreviato)  e sulla base di un materiale probatorio oggettivamente
  diverso e diversamente formato.
    Non  e'  difficile  prevedere  a quale aggravio di tempi di costi
  energie  e  risorse il servizio giustizia possa andare incontro per
  processi  del  genere  di  quelli  trattati dalle Corti d'Assise di
  questo  distretto,  che  hanno spesso ad oggetto decine e decine di
  imputazioni per delitti in materia di criminalita' organizzata, con
  la  necessita'  di  esaminare imputati collaboratori di giustizia o
  imputati  di  reato  connesso  di  regola  in  video  conferenza; e
  disponendo  di  un  numero  esiguo  di  aule  attrezzate per questo
  servizio.
    Da  qui  il sospetto di incostituzionalita' per contrasto con gli
  artt.  3  e  24;  ma  anche  97  della Costituzione. Tale contrasto
  sarebbe  tollerabile  solo  se ne derivasse, come e' peraltro nella
  disciplina  ordinaria  del  giudizio  abbreviato,  un  apprezzabile
  vantaggio  in termini di economia processuale: vantaggio che invece
  e'  di  fatto  inesistente  nei  casi  sopra esaminati, tra i quali
  rientra anche il presente giudizio.
    Art. 3 Cost.: violazione del principio di uguaglianza. Si profila
  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei  riguardi degli
  imputati  che  soggiacciono,  quanto ai limiti di esperibilita' del
  rito  abbreviato,  alla  disciplina di cui all'art. 438 c.p.p., e a
  quella transitoria di cui all'art. 4-ter, comma 1.
    Si  procura  infatti  un vantaggio del tutto ingiustificato, o la
  cui  giustificazione  appare  manifestamente incongrua il vantaggio
  consiste  nel  poter  optare  per  il  rito abbreviato in base alla
  conoscenza  di  quello  che  e'  stato  fino  ad allora l'andamento
  dell'istruzione dibattimentale o addirittura in base al prevedibile
  esito  delle  prove ancora da assumere (e la cui assunzione sarebbe
  inibita  o preclusa dalla volonta' unilaterale dell'imputato, anche
  quando  si tratti di prove chieste dal p.m. o dalle parti civili, o
  da  altri  imputati  che  abbiano una posizione di contrasto). E la
  valutazione  di  non congruita' della giustificazione in termini di
  economia  processuale  e'  implicita  nella  stessa  legge, laddove
  mantiene   come  limite  invalicabile  per  la  proposizione  della
  richiesta    di    rito    abbreviato    l'inizio   dell'istruzione
  dibattimentale,  o  addirittura,  nella  disciplina  ordinaria  del
  giudizio   abbreviato,   il   momento   della   precisazione  della
  conclusioni all'udienza preliminare.
    Ed  invero  delle  due l'una: o l'adozione del rito abbreviato in
  qualsiasi   momento   dell'istruzione  dibattimentale  conserva  un
  apprezzabile  interesse  pubblico  sotto  il  profilo dell'economia
  processuale  che puo' discenderne; oppure, questo tipo di vantaggio
  non  e' apprezzabile, o almeno non fino al punto da giustificare la
  deroga a principi fondamentali e la compressione o il sacrificio di
  valori e diritti costituzionalmente garantiti.
    Nel  primo  caso,  non si vede perche' non si debba generalizzare
  questa  facolta' di scelta a tutti gli imputati di processi che non
  versino  gia'  in fase di discussione. Nel secondo caso, invece, il
  beneficio  accordato agli imputati dei processi che rientrano nella
  previsione  di  cui  al secondo comma dell'art. 4-ter della legge 5
  giugno   2000   si   risolverebbe   in  un  privilegio  tanto  piu'
  ingiustificato   perche'  contrario  alle  finalita'  (di  economia
  processuale) perseguite dalla stessa legge.
    La  violazione  del principio di uguaglianza si profila anche nei
  riguardi  degli  imputati  di  processi  che  pendano  in  fase  di
  discussione,  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
  conversione del d.lgs. n. 82/2000.
    Tutte  le  volte  che  il  beneficio della riduzione di pena (con
  conseguente  sostituzione  della  reclusione  temporanea  alla pena
  dell'ergastolo)   sia   sganciato   da   un'effettiva  correlazione
  funzionale  con un concreto risparmio di attivita' processuale, non
  si  vede perche' lo stesso beneficio dovrebbe negarsi agli imputati
  che,  per  ragioni  del  tutto  accidentali,  hanno visto chiudersi
  l'istruzione  dibattimentale dei processi a loro carico appena poco
  prima della data predetta.
    In  realta', e' del tutto ragionevole, perche' coerente e consono
  sia  alla  disciplina  ordinaria  del  giudizio abbreviato che alle
  finalita'  dichiarate anche del piu' recente intervento legislativo
  in  materia,  negare  il  beneficio  agli imputati dei processi che
  versino  gia'  in  fase  di  discussione. Irragionevole e', semmai,
  estenderlo  agli  imputati  dei  processi  in  fase  di  istruzione
  dibattimentale  gia'  in  corso,  tanto piu' se si versa nella fase
  c.d. del "507".
    Alla  luce  delle  considerazioni  che precedono, va sollevata di
  ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-ter
  comma   2  e  seguenti  della  legge  n. 144/2000  con  conseguente
  sospensione   del  processo  nelle  more  della  definizione  della
  questione da parte della Corte costituzionale cui, ex art. 23 legge
  11 marzo 1953 n. 87 vanno trasmessi gli atti.
                              P. Q. M.
    Solleva   d'ufficio   questione  di  legittimita'  costituzionale
  dell'art.  4-ter  comma  2  e  seguenti legge n. 144/2000, anche in
  relazione all'art. 442 cpv. c.p.p., per:
      a) contrasto con gli artt. 3, 27 e 112 della Costituzione nella
  parte  in  cui  consente,  anche all'imputato di due o piu' delitti
  puniti  con la pena dell'ergastolo, oppure di un delitto punito con
  l'ergastolo  ed altri delitti puniti con pena complessiva superiore
  a  cinque anni, di accedere al rito abbreviato e cosi' ottenere, in
  caso di condanna, l'impunita' per i delitti concorrenti;
      b) contrasto con gli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost, nella parte in
  cui   consente   all'imputato   di   delitti  puniti  con  la  pena
  dell'ergastolo,  in  un  processo  in  fase  avanzata di istruzione
  dibattimentale, di accedere al rito abbreviato a sua richiesta, non
  sindacabile  dal  giudice  in  rapporto  allo stato dell'istruzione
  stessa  ed alla necessita' di stralciare la posizione dell'imputato
  (o  degli  imputati)  che  abbiano chiesto il rito speciale ex art.
  4-ter  comma  2, legge n. 144/2000 da quella degli altri coimputati
  che  non abbiano potuto o voluto avanzare analoga richiesta, con la
  conseguente duplicazione del processo gia' unitariamente istruito;
      c)  contrasto con gli artt. 3, 24, 101 secondo comma, 102 primo
  comma,  111 secondo, quarto e quinto comma e 112 Cost., nella parte
  in cui consente all'imputato di accedere allo speciale rito ex art.
  4-ter  comma  2,  legge  n. 144/2000  a  sua semplice richiesta non
  sindacabile   da  parte  del  giudice  in  rapporto  alle  esigenze
  istruttorie ed alla loro compatibilita' con il rito richiesto e con
  l'effetto  di  inibire l'assunzione di mezzi di prova chiesti dalle
  altre parti e gia' ammessi;
    Sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza di
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al
  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  comunicata  ai
  Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Palermo, addi' 25 luglio 2000.
                        Il Presidente: Nobile
                                        Il giudice estensore: Pellino
01c0079