N. 30 SENTENZA 25 gennaio - 9 febbraio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Pena - Conversione delle pene - Conversione delle pene pecuniarie non
eseguite  per  insolvibilita'  del  condannato - Lavoro sostitutivo -
Coefficiente  di ragguaglio con le pene pecuniarie - Determinaziome -
Mancato  adeguamento della misura prevista in relazione alla avvenuta
rivalutazione  del  coefficiente  di ragguaglio tra pene pecuniarie e
pene  detentive  -  Lamentata  irragionevolezza  nonche'  lesione del
principio  di eguaglianza e del principio della finalita' rieducativa
della pena - Non fondatezza della questione.
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 102, terzo comma.
- Costituzione, artt. 3 e 27.
Pena - Conversione delle pene - Conversione delle pene pecuniarie non
  eseguite  per  insolvibilita' del condannato - Lavoro sostitutivo -
  Fissazione   di   un   tetto   massimo   di   durata   -  Lamentata
  irragionevolezza  nonche'  lesione  del  principio di eguaglianza e
  della  finalita'  rieducativa  della  pena - Richiesta di decisione
  additiva   in  malam  partem  -  Manifesta  inammissibilita'  della
  questione.
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 103, secondo comma.
- Costituzione, artt. 3 e 27.
Pena - Conversione delle pene - Conversione delle pene pecuniarie non
  eseguite  per  insolvibilita' del condannato - Lavoro sostitutivo -
  Possibilita'  di  superamento del limite massimo di durata, in caso
  di  elevato importo della pena pecuniaria da convertire - Lamentata
  irragionevolezza  con  lesione  del  principio di eguaglianza e del
  principio  della  finalita'  rieducativa  della  pena  -  Questione
  sollevata  in  via  subordinata  - Difetto di rilevanza - Manifesta
  inammissibilita'.
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 102, terzo comma
- Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.7 del 14-2-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 102, terzo
comma,  e  103,  secondo  comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche  al  sistema  penale),  promossi,  nell'ambito  di diversi
procedimenti  di sorveglianza, con ordinanze emesse il 24 maggio e il
17  giugno  1999  dal  magistrato  di  sorveglianza  del tribunale di
Torino,  iscritte  ai  numeri 531 e 673 del registro ordinanze 1999 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 41 e 50,
1a serie speciale, dell'anno 1999.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 ottobre 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il 17 giugno 1999 (r.o. n. 673 del
1999),  il  magistrato  di  sorveglianza  di  Torino ha sollevato, in
riferimento  agli  artt.  3  e  27  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 102, terzo comma, della legge
24  novembre  1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte
in  cui prevede il canone di ragguaglio tra lavoro sostitutivo e pena
pecuniaria in lire 50.000, o frazione di lire 50.000, per ogni giorno
di lavoro sostitutivo.
    Premette  in  fatto il rimettente che una persona condannata alla
pena  complessiva  di lire 3.850.000 di multa aveva chiesto, versando
in  condizioni  di insolvibilita', l'ammissione al lavoro sostitutivo
come  sanzione  da  applicarsi  in  sede  di  conversione  della pena
pecuniaria;   che  tale  sanzione,  considerato  il  coefficiente  di
ragguaglio  previsto  dall'art. 102,  terzo comma, della legge citata
(lire  50.000  o  frazione  di  lire 50.000 di pena pecuniaria per un
giorno  di  lavoro  sostitutivo), avrebbe dovuto trovare applicazione
nella  misura  massima  stabilita dall'art. 103, secondo comma, della
stessa legge, e cioe' in giorni sessanta.
    Tale  conclusione  si  porrebbe pero' in contrasto, ad avviso del
rimettente, con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    L'art. 102,  terzo  comma,  della  legge  n. 689  del  1981,  che
disciplina  anche  il  coefficiente  di ragguaglio per la conversione
della    pena   pecuniaria   in   liberta'   controllata,   prevedeva
originariamente  che  la  conversione  avesse  luogo  calcolando lire
25.000 di pena pecuniaria per un giorno di liberta' controllata: tale
coefficiente  era,  quindi, uguale al criterio generale di ragguaglio
tra  pene detentive e pene pecuniarie (lire 25.000 di pena pecuniaria
per  ogni giorno di pena detentiva) disposto dall'art. 135 del codice
penale.
    Successivamente,  con  la  legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica
dell'art. 135  del  codice  penale:  ragguaglio tra pene pecuniarie e
pene  detentive),  il legislatore ha modificato l'art. 135 del codice
penale,  aumentando  a  lire 75.000 il coefficiente di ragguaglio tra
pene  pecuniarie  e  detentive,  ma  ha lasciato inalterato l'analogo
criterio  di  ragguaglio  tra  pene pecuniarie e sanzioni sostitutive
previsto in caso di insolvibilita' del condannato dall'art. 102 della
legge n. 689 del 1981.
    La  irragionevolezza dell'omesso adeguamento, prosegue il giudice
a  quo,  e' stata rilevata dalla sentenza n. 440 del 1994 della Corte
costituzionale,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 102,  terzo  comma, della legge n. 689 del 1981 nella parte
in  cui  prevede che il ragguaglio ha luogo calcolando lire 25.000, o
frazione  di  lire  25.000,  anziche' 75.000, o frazione di 75.000 di
pena   pecuniaria  per  un  giorno  di  liberta'  controllata,  cosi'
ripristinando  l'originaria equivalenza, con riferimento, pero', solo
alla predetta sanzione.
    Analoghe  ragioni  sussisterebbero, ad avviso del rimettente, con
riferimento  al  lavoro  sostitutivo  che, per la intrinseca maggiore
idoneita'  risocializzante,  deve,  in termini di equivalenza, valere
piu' di un giorno di liberta' controllata.
    Secondo   il   giudice   a   quo,   il   legislatore  aveva  anzi
originariamente  ritenuto  che  il  "valore"  di  un giorno di lavoro
sostitutivo,   determinato   nella   misura  di  lire  50.000,  e  la
potenzialita'  produttiva  di  reddito  della condotta correlata alla
stessa sanzione corrispondessero al doppio del valore risocializzante
di un giorno di liberta' controllata; sanzione che, applicata in sede
di  conversione della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita'
del condannato, equivaleva infatti a lire 25.000.
    La  sentenza  n. 440 del 1994 della Corte, incidendo sul criterio
di ragguaglio solo con riferimento alla liberta' controllata, avrebbe
di  conseguenza alterato l'equilibrio "interno", come originariamente
previsto dal legislatore, tra tale misura e il lavoro sostitutivo.
    Anche  un  confronto  "esterno"  con  il  ragguaglio  tra la pena
pecuniaria  e  quella detentiva porterebbe, ad avviso del rimettente,
ad analoghe conclusioni, sulla base delle stesse argomentazioni della
sentenza n. 440 del 1994. Infatti, essendo stato triplicato il valore
di   ragguaglio   tra   pena  pecuniaria  e  pena  detentiva  per  la
sopravvenuta  svalutazione  della  moneta,  avrebbero  dovuto  essere
parimenti   triplicati   anche   i   valori  relativi  alla  liberta'
controllata e al lavoro sostitutivo. Nell'inerzia del legislatore, la
Corte  aveva  gia'  provveduto  in  merito alla liberta' controllata;
analoga  e  conseguente operazione viene ora richiesta dal rimettente
in relazione al lavoro sostitutivo.
    La  disposizione  impugnata  si  porrebbe  in  contrasto  con gli
artt. 3  e  27  Cost.,  perche'  il mancato adeguamento del canone di
ragguaglio  tra  pena  pecuniaria  e  lavoro  sostitutivo  in  misura
proporzionale  rispetto a quanto avvenuto per la liberta' controllata
determinerebbe  una  disparita' di trattamento tra "situazioni simili
(o, al limite, anche identiche)", imponendo al condannato, in caso di
conversione della pena pecuniaria in lavoro sostitutivo, una sanzione
superiore  a  quella,  meno efficace e meno incisiva sotto il profilo
rieducativo, della liberta' controllata.
    La  questione  sarebbe  rilevante  nel  giudizio a quo posto che,
sulla  base  della  disposizione  censurata,  la  sanzione irrogabile
sarebbe  pari a sessanta giorni, mentre se la questione fosse accolta
(e  il  criterio  di  ragguaglio fosse proporzionalmente adeguato con
ripristino degli originari rapporti), la sanzione sarebbe di ventisei
giorni.

    2.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    A  parere dell'avvocatura gli originari criteri di ragguaglio per
la  conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita'
del  condannato  erano in sintonia con quanto stabilito dall'art. 101
della  legge  n. 689  del 1981, che aveva "aggiornato" l'art. 135 del
codice  penale.  Successivamente,  con  la  legge n. 402 del 1993, il
coefficiente  di  ragguaglio  tra pene detentive e pene pecuniarie e'
stato   ulteriormente  elevato  a  lire  75.000,  mentre  e'  rimasto
invariato quello previsto dall'art. 102 della legge n. 689 del 1981.
    Su  tale disposizione e' intervenuta la Corte costituzionale che,
con  sentenza  n. 440  del  1994,  ne ha dichiarato la illegittimita'
nella  parte  in  cui  stabilisce che, agli effetti della conversione
delle  pene  pecuniarie ineseguite per insolvibilita' del condannato,
il  ragguaglio  ha  luogo  calcolando  lire 25.000 o frazione di lire
25.000,  anziche'  lire  75.000 di pena pecuniaria per ogni giorno di
liberta' controllata.
    Mentre  il criterio di ragguaglio ai fini della conversione delle
pene pecuniarie ineseguite in liberta' controllata e' divenuto uguale
al  criterio  generale  di  ragguaglio  tra  pene  detentive  e  pene
pecuniarie  previsto dal codice penale, risultando cosi' ripristinato
l'originario  equilibrio,  il  coefficiente di ragguaglio relativo al
lavoro  sostitutivo  e'  invece  rimasto ancorato al "vecchio" valore
determinato in lire 50.000.
    Secondo  l'avvocatura,  le  argomentazioni  del  rimettente sono,
sotto   questo   profilo,  certamente  apprezzabili,  e  tuttavia  la
questione deve ritenersi infondata. Il legislatore ha infatti operato
una  non  irragionevole  distinzione, agli effetti della conversione,
tra  liberta'  controllata e lavoro sostitutivo, ritenendo che le due
sanzioni incidessero in modo diverso sulla situazione del condannato;
sicche',  trattandosi  di  scelte riservate alla discrezionalita' del
legislatore,  una  declaratoria  di  illegittimita'  comporterebbe un
inammissibile effetto invasivo.

    3.  -  Con  ordinanza  emessa  il 24 maggio 1999 (r.o. n. 531 del
1999),  lo  stesso magistrato di sorveglianza del tribunale di Torino
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione,
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 103,  secondo
comma,  della  legge  24  novembre  1981,  n. 689, nella parte in cui
determina in giorni sessanta il limite massimo complessivo del lavoro
sostitutivo  nonche'  dell'art. 102, terzo comma, della stessa legge,
nella  parte  in  cui  prevede  il  canone  di  ragguaglio tra lavoro
sostitutivo  e  pena  pecuniaria  in  lire  50.000 per ogni giorno di
lavoro sostitutivo.
    Premette  in  fatto il rimettente che una persona condannata alla
pena   di  lire  13.883.000  di  multa  aveva  chiesto,  versando  in
condizioni di insolvibilita', l'ammissione al lavoro sostitutivo come
misura  da  applicarsi  in  sede  di  conversione della predetta pena
pecuniaria; che tale misura, considerato il criterio di ragguaglio di
lire   50.000   per   un   giorno  di  lavoro  sostitutivo,  previsto
dall'art. 102,  terzo  comma,  della  legge  citata,  avrebbe  dovuto
trovare  applicazione  nella  misura  massima prevista dalla legge (e
cioe', sessanta giorni, ex art. 103, secondo comma).
    3.1.  -  In  ordine alla prima questione il giudice a quo osserva
che  anche dopo la sentenza n. 206 del 1996, con la quale la Corte ha
dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 102 della legge
n. 689  del  1981,  nella  parte in cui ammette il lavoro sostitutivo
solo  in  relazione  a pene pecuniarie non superiori ad un milione di
lire,  la  previsione  di  un  tetto  massimo di durata deve comunque
essere   "ricondotta   nel   sistema   delle   norme   tendenti  alla
armonizzazione   costituzionale   della   sanzione  risultante  dalla
conversione".
    Ma  se  la  ratio  dell'art. 103,  secondo  comma,  consiste  nel
determinare  il "confine della eccessiva afflittivita' della sanzione
risultante  dalla conversione e se la sanzione del lavoro sostitutivo
e'   da   considerarsi  meno  afflittiva  di  quella  della  liberta'
controllata  (v.  le  sentenze n. 108 del 1987 e n. 206 del 1996), ne
consegue,  secondo  il  rimettente,  che il limite massimo del lavoro
sostitutivo  dovra'  essere, pena la irrimediabile contraddittorieta'
della  disciplina  risultante,  superiore  a  quello  della  liberta'
controllata".
    Il  confronto  tra  il  limite  massimo  del lavoro sostitutivo e
quello  della  liberta'  controllata  conduce invece a conclusioni di
segno  opposto  che, secondo il giudice a quo, sarebbero in contrasto
con  gli  artt. 3  e  27  Cost.,  sia  per  l'irragionevolezza di una
disciplina  che  "a  fronte  di  una  sanzione  dichiaratamente  meno
afflittiva    [...],   prevede   un   termine   massimo   di   durata
contraddittoriamente  inferiore  rispetto  a  quello  previsto per la
sanzione  connotata  di maggiore afflittivita'" sia perche' la stessa
fissazione   di   un  "tetto"  massimo  (che  prescinde  dall'entita'
dell'originaria   sanzione   pecuniaria   inflitta)   finirebbe   per
comportare,  irragionevolmente,  l'equiparazione  di  situazioni  del
tutto  diverse,  e, quindi, "una perdita di efficacia sanzionatoria e
rieducativa, non bilanciata dalla contrapposta soddisfazione di alcun
valore costituzionalmente rilevante".
    La  questione  sarebbe  rilevante  perche'  la  norma  denunciata
impedirebbe  di  applicare  al  condannato  la  sanzione  del  lavoro
sostitutivo in misura superiore a giorni sessanta.
    3.2.  -  La  seconda  questione  di costituzionalita', identica a
quella  sollevata  con  l'ordinanza  emessa  il  17 giugno 1999 (r.o.
n. 673  del  1999),  riguarda  l'art. 102,  terzo  comma, della legge
n. 689  del 1981, nella parte in cui fissa in lire 50.000 l'ammontare
del   coefficiente   di  ragguaglio  tra  pena  pecuniaria  e  lavoro
sostitutivo.
    Preliminarmente  il  rimettente  rileva  che  nel caso di specie,
atteso  l'elevato  importo della pena pecuniaria da convertire (oltre
lire  13.000.000),  sia utilizzando il criterio censurato, sia quello
che   potrebbe   scaturire  da  una  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  della  norma,  verrebbe  comunque  superato il limite
massimo di sessanta giorni, dal che potrebbe apparentemente desumersi
l'irrilevanza  della  questione nel giudizio a quo; peraltro, poiche'
la diversa questione prospettata con la stessa ordinanza, concernente
l'art. 103,  secondo  comma,  e'  posta  in  via principale, solo una
declaratoria  di  non  fondatezza  renderebbe  la  questione relativa
all'art. 102,  terzo  comma,  inammissibile per difetto di rilevanza;
viceversa,   ove   la  stessa  fosse  ritenuta  fondata,  la  seconda
diverrebbe, per cio' solo, ammissibile.
    Nel  merito,  il rimettente sostanzialmente prospetta le medesime
censure svolte nella ordinanza r.o. n. 673 del 1999.
    3.3.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  le questioni siano dichiarate inammissibili o
manifestamente infondate.

                       Considerato in diritto

    1. - Sono sottoposte al giudizio di questa Corte due questioni di
legittimita'   costituzionale   concernenti   la   disciplina   della
conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del
condannato,  sollevate nell'ambito di diversi procedimenti penali dal
medesimo  magistrato  di sorveglianza del tribunale di Torino. Le due
questioni riguardano, rispettivamente, l'art. 102, terzo comma, della
legge  24  novembre  1981,  n. 689,  nella  parte in cui determina il
coefficiente  di  ragguaglio tra pene pecuniarie e lavoro sostitutivo
nella  misura  di  lire  50.000 per ogni giorno di lavoro sostitutivo
(r.o.  nn. 673  e  531  del 1999), e l'art. 103, secondo comma, della
medesima legge, nella parte in cui fissa in giorni sessanta il limite
massimo complessivo del lavoro sostitutivo (r.o. n. 531 del 1999).
    Le  censure rivolte all'art. 102, terzo comma, della legge n. 689
del  1981,  formulate in termini sostanzialmente identici in entrambe
le  ordinanze,  muovono  dalla  premessa che, contrariamente a quanto
avvenuto  in tema di liberta' controllata - sanzione per la quale, in
caso di insolvibilita' del condannato, il coefficiente di ragguaglio,
a  seguito  della  sentenza  di  questa  Corte  n. 440  del  1994, va
calcolato   in   lire  75.000  pro  die  essendosi  cosi'  triplicata
l'originaria  misura di lire 25.000, in coordinazione con la modifica
introdotta  dall'art. 135  del  codice  penale  - per la sanzione del
lavoro  sostitutivo  non  e'  intervenuto  alcun adeguamento rispetto
all'originaria previsione normativa di lire 50.000 per ogni giorno di
lavoro  sostitutivo:  il mancato adeguamento si porrebbe in contrasto
con  gli artt. 3 e 27 Cost., perche' determinerebbe una disparita' di
trattamento  tra situazioni sostanzialmente omogenee, che verrebbe ad
incidere anche sulla funzione rieducativa della pena.
    La  questione  di costituzionalita' dell'art. 103, secondo comma,
della  legge  n. 689  del  1981  riguarda il supposto contrasto della
norma censurata con gli artt. 3 e 27 Cost.: la previsione di un tetto
massimo  complessivo  di durata del lavoro sostitutivo determinerebbe
una  irragionevole  equiparazione  di situazioni diverse, nonche' una
"perdita  di  efficacia  sanzionatoria  e retributiva, non bilanciata
dalla  contrapposta  soddisfazione di alcun valore costituzionalmente
rilevante"   impedendo   di  tenere  conto  dell'entita'  della  pena
pecuniaria da convertire.
    Poiche'  le  questioni concernenti l'art. 102, terzo comma, della
legge   citata,   sollevate   con   entrambe   le   ordinanze,   sono
sostanzialmente identiche, mentre la questione relativa all'art. 103,
secondo  comma,  della  stessa  legge riguarda comunque la disciplina
della  conversione  delle pene pecuniarie in lavoro sostitutivo, deve
esser disposta la riunione dei relativi giudizi.
    2.  -  La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 102,
terzo  comma,  della  legge  n. 689 del 1981, sollevata con ordinanza
n. 673 del r.o. del 1999, e' infondata.
    3.  -  La  disciplina della conversione delle pene pecuniarie non
eseguite per insolvibilita' del condannato e' contenuta nell'art. 102
della  legge  n. 689  del  1981. Nella sua originaria formulazione il
terzo  comma  dell'art. 102 prevedeva che la conversione avesse luogo
calcolando lire 25.000, o frazione di lire 25.000, di pena pecuniaria
per  un  giorno di liberta' controllata, e lire 50.000, o frazione di
50.000,  per  un  giorno  di  lavoro  sostitutivo. Contemporaneamente
l'art. 101 della medesima legge n. 689 del 1981, che aveva sostituito
l'art. 135 del codice penale, portava a lire 25.000 pro die la misura
del  ragguaglio, per qualsiasi effetto giuridico, tra pene pecuniarie
e  pene detentive. Il coefficiente relativo alla liberta' controllata
era  quindi  stato  individuato  dal legislatore in misura identica a
quello,  previsto  in  via  generale,  per  il  ragguaglio  tra  pene
pecuniarie  e  pene  detentive.  Successivamente, la legge n. 402 del
1993,  intervenendo  sull'art. 135  del codice penale, ha aumentato a
lire  75.000  il  criterio  generale  di  ragguaglio,  senza peraltro
modificare  i  coefficienti  di  conversione delle pene pecuniarie in
sanzioni  sostitutive  in  caso  di  insolvibilita'  del  condannato,
rimasti   quindi   fissati   in   lire   25.000  e  in  lire  50.000,
rispettivamente,   per  la  liberta'  controllata  e  per  il  lavoro
sostitutivo.  Con  la  sentenza  n. 440  del  1994,  questa  Corte ha
ritenuto  che,  con riferimento alla liberta' controllata, il mancato
adeguamento  del  tasso  di  conversione  delle  pene  pecuniarie non
eseguite   per   insolvibilita'   del   condannato  determinasse  "un
macroscopico  squilibrio"  e,  in  particolare,  lo svuotamento delle
finalita'  tipiche  dell'istituto della conversione, "con conseguente
grave  compromissione  del  principio  di eguaglianza" ed ha pertanto
dichiarato  illegittimo  il  terzo  comma  dell'art. 102  della legge
n. 689 del 1981, nella parte in cui stabiliva che il ragguaglio fosse
calcolato  nella  misura  di  lire 25.000, anziche' in quella di lire
75.000 di pena pecuniaria per ogni giorno di liberta' controllata.
    Richiamandosi  a  tale  precedente,  il giudice a quo chiede alla
Corte  un  intervento  volto  ad  adeguare  anche  il coefficiente di
conversione  delle  pene  pecuniarie  in  lavoro sostitutivo. Poiche'
nella  disciplina  originaria  il  legislatore  aveva attribuito a un
giorno  di  lavoro sostitutivo un valore corrispondente al doppio del
valore  di  un  giorno di liberta' controllata, il rimettente ritiene
che  il  mancato  adeguamento  del  coefficiente di ragguaglio per la
conversione  delle  pene  pecuniarie in lavoro sostitutivo alteri sia
l'equilibrio  "interno"  tra  le  due  sanzioni  sostitutive,  sia il
rapporto   "esterno"   tra  pene  pecuniarie  e  pene  detentive.  In
conclusione,  ad  avviso del rimettente la triplicazione del criterio
di  ragguaglio  tra  pene  pecuniarie e pene detentive disposta dalla
legge  n. 402 del 1993 dovrebbe comportare anche la triplicazione del
coefficiente   di   conversione   delle  pene  pecuniarie  in  lavoro
sostitutivo,  analogamente  a  quanto  determinatosi  a seguito della
sentenza n. 440 del 1994 in tema di conversione delle pene pecuniarie
in liberta' controllata.
    Le  argomentazioni  del  giudice  a  quo  si basano su un duplice
assunto:  da  un  lato,  che  la  disciplina  del ragguaglio tra pene
pecuniarie e pene detentive, dettata dall'art. 135 del codice penale,
e l'istituto della conversione, in caso di insolvibilita', delle pene
pecuniarie  in  sanzioni sostitutive, di cui all'art. 102 della legge
n. 689  del  1981,  si  iscrivano in un unico sistema coerentemente e
logicamente  sorretto  da esigenze e criteri unitari; dall'altro, che
liberta'  controllata  e  lavoro  sostitutivo siano sanzioni tra loro
comparabili  sotto  tutti i profili. Sulla base di queste premesse il
rimettente  ritiene  che qualsiasi mutamento del criterio generale di
ragguaglio  tra  pene  pecuniarie  e  pene  detentive,  nonche' dello
specifico  coefficiente  di  conversione  delle  pene  pecuniarie  in
liberta' controllata in caso di insolvibilita', debba automaticamente
riflettersi   sull'entita'   del  tasso  di  conversione  della  pena
pecuniaria   in   lavoro   sostitutivo,  originariamente  determinato
dall'art. 102,  terzo  comma,  della  legge n. 689 del 1981 in misura
pari  al  doppio  del  tasso  stabilito per la conversione delle pene
pecuniarie in liberta' controllata.
    In  realta',  i  rapporti  tra  pene detentive, pene pecuniarie e
sanzioni  sostitutive sono assai piu' articolati di quanto ritenga il
giudice a quo.
    In  primo  luogo  va  considerato che, come si e' visto, la legge
n. 402  del  1993,  intervenendo  sull'art. 135 del codice penale, ha
triplicato,  da  lire  25.000  a lire 75.000, il criterio generale di
ragguaglio  tra  pene  pecuniarie  e  pene  detentive, senza peraltro
adeguare  - come invece aveva fatto la stessa legge n. 689 del 1981 -
le pene pecuniarie comminate dal codice penale e dalle leggi speciali
al  mutato  potere  d'acquisto  della  lira  e  senza  modificare  la
disciplina  della  conversione  delle  pene  pecuniarie  in  liberta'
controllata  e  in lavoro sostitutivo, con la conseguenza che le pene
pecuniarie  sono  risultate  svalutate  rispetto alle pene detentive,
mentre  e'  rimasto  immutato  il  ragguaglio  tra  pene pecuniarie e
liberta' controllata o lavoro sostitutivo.
    La  nuova  corrispondenza  tra  pene  pecuniarie e pene detentive
esprime  quindi  una  scelta di politica legislativa che non comporta
necessariamente  anche un diverso rapporto tra pene pecuniarie e pene
di  "conversione":  i  due  criteri  di  ragguaglio  non sono infatti
stabiliti  in  termini tra loro correlati, sicche' quando muta uno di
essi, non ne deriva un corrispondente adeguamento dell'altro.
    Sotto  questo  punto  di  vista, si deve dunque affermare che non
sussiste  un rapporto di necessaria interdipendenza tra la disciplina
dei coefficienti di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive e
il  valore  da assegnare al lavoro sostitutivo in caso di conversione
della  pena  pecuniaria per insolvibilita' del condannato, quantomeno
nel  senso  che  le  differenti esigenze che sottostanno alle diverse
discipline  escludono che un mutamento dei coefficienti di ragguaglio
rispettivamente  previsti,  si  traduca  di per se' in violazione dei
principi di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
    Anche    l'altro    assunto   del   rimettente,   relativo   alla
comparabilita' tra liberta' controllata e lavoro sostitutivo e' privo
di  fondamento.  I  contenuti della prima sanzione sostitutiva, quali
emergono  dall'art. 56 della legge n. 689 del 1981, si sostanziano in
limitazioni  della  sfera  della liberta', in divieti e in controlli,
per  cui  sono  prevalenti  gli aspetti afflittivi e sanzionatori; il
lavoro sostitutivo, invece, come indicato dalla stessa denominazione,
e  come precisato dalla definizione fornita dall'art. 105 della legge
n. 689  del  1981,  consiste  nello  svolgimento  di un'attivita' non
retribuita  a  favore della collettivita' per una giornata lavorativa
per  settimana,  salvo  che il condannato chieda di essere ammesso ad
una  maggiore  frequenza;  di  conseguenza, la valutazione del lavoro
assume  rilievo  centrale  per  la determinazione del coefficiente di
ragguaglio in caso di conversione delle pene pecuniarie. Al riguardo,
e'  significativo  che la sanzione del lavoro, proprio per i problemi
che  comporta in tema di utilizzazione e di valutazione delle energie
lavorative della persona, sia applicabile solo a seguito di richiesta
del condannato (art. 102, secondo comma, della legge n. 689 del 1981)
e  non  sia stata sinora disciplinata come autonoma pena principale o
sostitutiva.
    Solo  recentemente il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274,
recante  "Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a
norma  dell'art. 14  della legge 24 novembre 1999, n. 468", destinato
ad entrare in vigore il 4 aprile 2001, ha introdotto, in relazione ai
reati  attribuiti  alla  competenza del giudice di pace, il lavoro di
pubblica  utilita'  quale  pena  principale, oltre che quale sanzione
sostitutiva in caso di conversione delle pene pecuniarie non eseguite
per  insolvibilita'.  La  nuova sanzione, irrogabile solo a richiesta
dell'imputato, e' strutturata in forma sensibilmente diversa rispetto
al modello dell'attuale lavoro sostitutivo, sia per quanto riguarda i
contenuti,  sia  per  le  modalita'  di svolgimento, sia infine per i
criteri di ragguaglio, indicati in ragione di tre giorni di lavoro di
pubblica  utilita'  per  un giorno di pena detentiva e, ai fini della
conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del
condannato,  in  ragione  di  lire  25.000  per ogni giorno di lavoro
sostitutivo.   La  disciplina  complessiva  del  lavoro  di  pubblica
utilita'   e,  in  particolare,  i  nuovi  parametri  di  conversione
confermano che la determinazione del "valore" da attribuire al lavoro
come  misura  sanzionatoria  e'  tema  la cui soluzione dipende dalla
utilizzazione  e dalla valutazione comparativa di svariati parametri,
qualitativi    e    quantitativi,    rientranti    nella   sfera   di
discrezionalita'  del  legislatore,  ovviamente  nei limiti della non
manifesta irragionevolezza.
    La  questione  relativa  all'art. 102,  terzo  comma, della legge
n. 689  del  1981, sollevata con l'ordinanza r.o. n. 673 del 1999, va
pertanto dichiarata infondata, essendo compito del legislatore sanare
le  disarmonie  dell'attuale  disciplina,  tenendo  conto del rilievo
centrale  che assume la determinazione del valore del lavoro ove tale
attivita' entri a fare parte del sistema sanzionatorio.
    4.  -  Entrambe le questioni sollevate con l'ordinanza n. 531 del
r.o. del 1999 vanno invece dichiarate inammissibili.
    5. - L'art. 103, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 viene
censurato,  per  violazione  degli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in
cui  fissa un limite massimo di durata, stabilito in sessanta giorni,
della  sanzione  del  lavoro  sostitutivo,  sia in quanto tale limite
sarebbe contraddittoriamente inferiore rispetto a quello previsto per
la  liberta'  controllata,  ritenuta  di maggiore afflittivita', sia,
piu'  in  generale,  per  la  stessa previsione di un "tetto" massimo
entro  il  quale  deve  operare  la  conversione,  cosi' prescindendo
dall'entita' della pena pecuniaria inflitta in concreto.
    L'intervento   richiesto   alla   Corte   mira   quindi,  in  via
alternativa,  alla  eliminazione del limite complessivo di durata del
lavoro  sostitutivo, ovvero alla individuazione di un "tetto" massimo
superiore rispetto a quello attuale.
    A  prescindere dall'esattezza delle considerazioni del rimettente
circa la durata massima del lavoro sostitutivo, che sarebbe inferiore
rispetto  a  quella  della  liberta'  controllata (il confronto viene
infatti  operato  tra  termini  del  tutto  disomogenei),  e circa la
ragione (affermata ma non argomentata) per la quale, ove cosi' fosse,
la   disposizione  censurata  dovrebbe  ritenersi  irragionevole,  la
previsione  di  un  tetto  massimo  di  durata del lavoro sostitutivo
assolve   evidentemente   all'esigenza   di   evitare  una  eccessiva
afflittivita'  della  sanzione,  in  conformita'  con il principio di
eguaglianza  e  con  la  funzione  rieducativa  della pena (ordinanza
n. 152 del 1992).
    Entrambe  le soluzioni prospettate dal rimettente, condurrebbero,
comunque,   a   un  intervento  additivo  in  malam  partem,  che  si
risolverebbe   in   un  trattamento  sfavorevole  per  il  condannato
insolvente,    precluso    a   questa   Corte   secondo   consolidata
giurisprudenza.  La  questione  va pertanto dichiarata manifestamente
inammissibile.
    Da tale pronuncia discende altresi' la manifesta inammissibilita'
della  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 102,  terzo comma,
della  legge  n. 689  del 1981, sollevata con la medesima ordinanza e
prospettata dallo stesso rimettente come subordinata all'accoglimento
della prima censura.
    Lo  stesso  giudice  a  quo  mette infatti in rilievo che, stante
l'elevato  importo  della  pena  pecuniaria  da  convertire in lavoro
sostitutivo (per la precisione, lire 13.883.000), sia il coefficiente
di  conversione  censurato  (lire  50.000),  sia quello suggerito per
sanare  la  supposta  illegittimita'  costituzionale  (lire 150.000),
determinerebbero  il  superamento  del  limite  massimo  di durata di
sessanta  giorni  previsto  per  il lavoro sostitutivo dall'art. 103,
secondo  comma,  della  legge  n. 689  del  1981:  ne  deriva  che la
questione  difetta  di rilevanza nel giudizio a quo restando travolta
dalla declaratoria di inammissibilita' della questione principale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 102,  terzo  comma,  della  legge  24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3
e 27 della Costituzione, dal magistrato di sorveglianza del tribunale
di Torino, con l'ordinanza in epigrafe;
        Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle questioni di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 102,  terzo  comma, e 103,
secondo  comma,  della  legge  24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema  penale),  sollevate,  in riferimento agli artt. 3 e 27 della
Costituzione, dal magistrato di sorveglianza del tribunale di Torino,
con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2001.
                     Il Presidente: Santosuosso
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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