N. 129 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2000
Ordinanza emessa il 22 novembre 2000 dal tribunale di appello di Venezia nel procedimento penale a carico di Ramaro Paolo Processo penale - Giudizio abbreviato - Disciplina transitoria conseguente alla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Procedimenti per delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Giudizio in grado d'appello - Possibilita' per il giudice di rifiutare l'ammissione al rito abbreviato, in caso di incompatibilita' delle prove, gia' da esso ammesse, assumibili o in corso di assunzione, ex art. 603 cod. proc. pen., con le finalita' di economia processuale del rito stesso - Omessa previsione - Possibilita' per il giudice d'appello di escludere la riduzione premiale, tutte le volte in cui, ammessa la parte al giudizio abbreviato, i dati desunti dal fascicolo del p.m., ed opportunamente valutati, non appaiono in grado di impedire la prosecuzione della gia' deliberata rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. - Omessa previsione - Violazione del principio di uguaglianza, sotto il profilo dell'irragionevolezza e dell'ingiustificato trattamento di privilegio per gli accusati che facciano richiesta del rito abbreviato in appello, con conseguente cumulo dei benefici, delle risorse processuali del rito ordinario e del rito speciale - Incidenza sul principio di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione (estensibile all'amministrazione della giustizia). - D.L. 7 aprile 2000, n. 82, conv. in legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 3, lett. b); codice di procedura penale, artt. 438, comma 5, in relazione all'art. 603, commi 1 e 3, stesso codice. - Costituzione, artt. 3 e 97.(GU n.9 del 28-2-2001 )
LA CORTE DI ASSISE D'APPELLO Riunita in camera di consiglio nel procedimento a carico di Ramaro Paolo nato il 24 gennaio 1966 ad Este (Padova), imputato: A) del delitto di cui agli artt. 575, 576 n. 5 C.P., per aver volontariamente cagionato la morte di C. E., percuotendola selvaggiamente, anche con oggetti contundenti, colpendola con un coltello da cucina al collo, e con un piccone alla regione vertebro cervicale ed in altre parti del corpo; commettendo il fatto contestualmente a quello di cui al capo b). Megliadino S. Fidenzio, 24 novembre 1997; B) del delitto di cui agli artt. 81, 609-bis C.P. per aver con violenza, ossia nel contesto degli atti di cui al capo a), costretto C. E. - mentre era ancora in vita - a subire l'introduzione di pali o manici di scopa in bocca ed in vagina. Megliadino S. Fidenzio, 24 novembre 1997; Appellante avverso la sentenza in data 7 aprile 1999 della Corte di assise di Padova che lo ha condannato (concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenuta la diminuente del vizio parziale di mente, dichiarate equivalenti alla contestata aggravante ex art. 576 n. 5 C.P.) alla pena di anni 22 di reclusione in quanto reponsabile del delitto di omicidio volontario e violenza sessuale in danno di C. E . Con applicazione della misura di sicurezza ex art. 219 C.P. e condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita. Ha pronunciato la seguente ordinanza Premessa sullo svolgimento del processo a - La difesa dell'appellante, accusato del delitto di omicidio aggravato, perche' realizzato nell'atto di commettere il reato di violenza sessuale, ha sostenuto nel suo gravame, con consistenti ed articolate argomentazioni di natura tecnica, l'erroneita' delle assunte conclusioni del primo giudice sulla dinamica e la successione degli eventi, nonche' sulle condizioni di mente del prevenuto all'atto della commissione dei fatti, ed ha chiesto ex art. 603.1 C.P.P. l'espletamento di una perizia sulle dette due tematiche. b - La Corte, attesa l'insufficienza e l'inadeguatezza degli esiti delle prove in primo grado, ha aderito alla richiesta di rinnovazione istruttoria, disponendo l'assunzione del mezzo di prova dato da una perizia collegiale, con una estensione e quesiti che hanno superato il tenore delle richieste della parte privata, ed in tale ambito provvedendo a sensi dell'art. 603.3 C.P.P. c - Prima dell'esame dei periti (i quali hanno proposto una inversione della scansione cronologica degli eventi illeciti), l'appellante ha formulato istanza di ammissione al rito abbreviato, giusta disposto dell'art. 4-ter, comma 3), lettera b) legge 5 giugno 2000 n. 144, senza opposizione del Procuratore generale, e la Corte: ha provveduto in conformita' alla richiesta, ex art. 438.4 C.P.P. con ordinanza in data 29 maggio u.s.; ha disposto l'acquisizione del fascicolo del Pubblico ministero; ed ha comunque completato gli incombenti istruttori in precedenza stabiliti ex art. 603 C.P.P. d - Il Procuratore generale in data 20 novembre 2000 ha sollevato, nel corso della discussione finale ex art. 523 C.P.P., la questione della legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 4-ter, comma 2 e 3 lettera b) legge 5 giugno 2000 n. 144, (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 aprile 2000 n. 82, recante "Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato"), in relazione all'art. 603 commi 1 e 3 C.P.P. per violazione degli artt. 3 e 97, nonche' 27, 101 e 111 della Carta costituzionale, ed il Collegio, esaurita la discussione e chiuso il dibattimento, si e' riunito per la deliberazione della sentenza ex art. 525 C.P.P. Ritenuto che la sollevata questione appare non manifestamente infondata, sotto il profilo dei dedotti vizi di illegittimita' costituzionale, nei termini che verranno illustrati, e che il presente giudizio d'appello non puo' essere definito, indipendentemente dalla risoluzione della prospettata questione, con riferimento alla statuizione della sentenza concernente la pena finale complessiva da irrogare O s s e r v a quanto segue, in ordine alle formalita' di accesso al rito speciale ex art. 4-ter, comma 3 lettera b legge 5 giugno 2000 n. 144: 1. l'ordinanza di ammissione al rito abbreviato e' avvenuta in un quadro di richieste probatorie dell'accusato ex art. 603 C.P.P, e prima della conclusione della disposta perizia medico legale, sulle sequenze degli atti di rilievo sessuale in relazione al verificato omicidio, nonche' sull'imputabilita' dell'accusato; 2. pertanto, il provvedimento di ammissione al rito speciale e' stato deliberato "de plano" previa necessaria, positiva valutazione da parte di questo giudice della persistente necessita' delle prove ammesse ex art. 603 C.P.P., pur dopo l'allargamento del materiale processuale conseguito all'avvenuta acquisizione del fascicolo del Pubblico ministero; 3. nessun giudizio sulla compatibilita' o meno della disposta rinnovazione, rispetto alla funzionalita', ai fini ed all'economia del rito, e' stato quindi effettuato dal giudice dell'appello, attesa l'assenza di norme in proposito. L'art. 438.5 C.P.P. infatti, teoricamente applicabile al giudizio di appello in relazione alla regola estensiva dell'art. 598 C.P.P., non risulta operante nella fattispecie, posto che non si tratta di "integrazione probatoria" richiesta dall'imputato, quale condizione per l'ammissione al rito, ma si versa in una situazione nella quale e' lo stesso giudice di secondo grado che ha espresso (ed esprime, pur dopo l'acquisizione e l'utilizzazione degli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416.2 C.P.P.) la constatazione "di non essere in grado di decidere", nelle ipotesi di cui al primo comma dell'art. 603 C.P.P., oppure l'esigenza di una "rinnovazione ritenuta assolutamente necessaria" nelle situazioni di cui al comma 3 del medesimo articolo. Cio' posto, va verificato se la norma dell'art. 4-ter, commi 2 e 3 lettera b), legge 144/2000, la quale consente nel giudizio di appello la riduzione della sanzione da irrogare, quale effetto derivato dell'ammissione al rito abbreviato, sia o meno affetta dai vizi di illegittimita' prospettati dalla parte pubblica. A tal fine, pare opportuno premettere una breve sintesi della nuova fisionomia del procedimento speciale de quo (punto sub a), alla quale fare riferimento nella individuazione dei profili di fondatezza e rilevanza (punto sub b) delle norme censurate. A - Quadro normativo. E' noto che la legge 16 dicembie 1999, n. 479 ("Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale") ha innovato, tra l'altro, in modo radicale, la disciplina del giudizio abbreviato, nell'intento di renderlo piu' appetibile, e quindi di alleggerire il giudizio celebrato nelle forme ordinarie. Almeno cinque sono state le innovazioni significative1), nel senso di un ampliamento della fruibilita' del rito da parte dell'imputato: a) e' stata esclusa l'esigenza del consenso del pubblico ministero, il quale, pure a seguito dei ripetuti interventi limitativi della Corte costituzionale, conservava ancora un limitato potere di interdetto; 1) Parte delle considerazioni sono state tratte dal Disegno di legge d'iniziativa dei senatori Fassone, Russo e Calvi, comunicato alla presidenza il 3 maggio 2000. b) e' stato fortemente .ridotto il potere di rifiuto del giudice (di I grado), il quale puo' negare l'ammissione al rito speciale solamente quando l'imputato subordini la sua richiesta ad un'integrazione probatoria cosi' estesa che il giudice la ritenga incompatibile con le finalita' di economia processuale propria del procedimento; c) e' scomparso il rigore della caratteristica del giudizio abbreviato come "giudizio allo stato degli atti", perche' sia l'imputato, sia il pubblico ministero di riflesso, possono chiedere e il giudice (di I grado) puo' disporre una contenuta integrazione probatoria; d) e' venuta meno la preclusione del rito per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo (senza distinzione tra ergastolo con o senza isolamento diurno2)); e) e' stata ampliata la possibilita' di proporre appello avverso la sentenza di condanna. Per il grado di appello, la legge 5 giugno 2000 n. 144. (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto - legge 7 aprile 2000 n. 82, recante: "Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato") ha ulteriormente e specificamente stabilito: all'art. 4-ter comma 2: Nei processi penali per reati puniti con la pena dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e nei quali, prima della data di entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, l'imputato, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, puo' chiedere che il processo, ai fini di cui all'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale, sia immediatamente definito, anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416 comma 2 del medesimo codice; all'art. 4-ter comma 3: La richiesta di cui al comma 2 e' ammessa se e' presentata: a) nel giudizio di primo grado, prima della conclusione dell'istruzione dibattimentale; b) nel giudizio di appello, qualora sia stata disposta la rinnovazione dell'istruzione ai sensi dell'articolo 603 del codice di procedura penale, prima della conclusione della istruzione stessa; c) nel giudizio di rinvio, se ricorrono le condizioni di cui alle lettere a) e b). Tale disciplina, frutto di una doppia, ed integrata statuizione legislativa, sta concretamente producendo una sistematica richiesta di rito speciale, in appello, negli ambiti di attivita' di rinnovazione dibattimentale, in particolare per i delitti per i quali e' prospettabile l'applicabilita' di una pesante pena, e, di riflesso, il vantaggio di un'automatica attenuazione della risposta sanzionatoria per effetto della diminuente prevista dall'articolo 442 del codice di procedura penale. Il giudizio abbreviato3), infatti non presenta per l'imputato - sia in primo che in secondo grado - rischi maggiori del giudizio ordinario (essendo esso, a differenza del cosiddetto patteggiamento, "a doppia uscita", cioe' con possibilita' di assoluzione, ed essendo ora anche suscettibile di integrazione probatoria), ed offre un beneficio, in termini di pena, che cresce con la gravita' dell'addebito. B - termini e motivi della questione ex art. 23 comma 21. 11 marzo 1953 n. 87. Ritiene il Collegio, anche a prescindere dalla avvenuta eliminazione del presupposto del consenso del Pubblico ministero ai fini dello svolgimento del giudizio abbreviato (la quale, secondo un chiaro e non lontano monito della stessa Corte Costituzionale, oltre a risultare non coerente con il disegno attuale del processo penale, varrebbe a determinare ulteriori disarmonie di dubbia costituzionalita' nel sistema: Corte costituzionale 26 febbraio 1998, Ord. n. 33 Cass. pen. 1998,1589 Giur. cost. 1998, 208), che ci si trovi di fronte, in caso di giudizio in appello, alla violazione del principio della possibilita' concreta di controllo (ribadita piu' volte dalla Corte costituzionale4)) sulla ritualita' del chiesto rito abbreviato, da parte del giudice del dibattimento di secondo grado, tutte le volte in cui detto giudice abbia necessariamente disposto la rinnovazione (d'ufficio o su istanza di parte) dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 C.P.P., ed abbia ritenuto di non modificare tale sua decisione, pur dopo aver acquisito e valutato gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico ministero, a giudizio abbreviato ammesso. 2) Su tale omessa previsione si veda il disegno di legge n. 4737, presentato dal ministro della Giustizia e comunicato alla presidenza il 17 luglio 2000, il quale, nella constatata incertezza su come debba essere determinata, nelle ipotesi di concorso di reati o in quella di reato continuato, la pena sulla quale operare la diminuente per la scelta del rito abbreviato, propone, con una norma di natura interpretativa, che il riferimento alla pena dell'ergastolo, di cui al comma 2 dell'articolo 442 del codice di procedura penale, debba intendersi come relativa alla pena dell'ergastolo senza isolamento diurno. 3) Cfr. in termini: il disegno di legge d'iniziativa dei senatori Fassone, Russo e Calvi, comunicato alla presidenza il 3 maggio 2000. 4) Cfr.: Corte costituzionale 4 dicembre 1998, Ord. n. 396 Giur. cost. 1998, fasc. 6 Cons. Stato 1998, I, 1764. In buona sostanza il giudice d'appello non ha alcun potere di impedire l'accesso al rito, nonostante la presenza di una consistente, estesa, massiccia e qualitativamente impegnativa attivita' probatoria (ad esempio: rinnovazione che preveda l'assunzione di mezzi di prova con l'esame delle parti e di testi, oppure l'espletamento di una perizia), la quale appaia in concreto incompatibile per la sua durata e per le risorse impiegate dal Giudicante, con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento, pur modificato, e ristrutturato dalle novelle 16 dicembre 1999, n. 479 ("Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale") e 5 giugno 2000 n. 144. (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto - legge 7 aprile 2000 n. 82, recante: "Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato"), ed in relazione ai criteri connotativi ed alle finalita' proprie del rito speciale, quali individuate dalla sentenza n. 277/1990 della Corte costituzionale. La Corte infatti, con detta decisione (23-31 maggio 1990, Pres. Conso, rel. Dell'Andro), aveva autorevolmente stabilito che l'istituto del rito abbreviato, contemplato dall'art. 438 C.P.P. e che ha il fine di consentire la sollecita definizione del giudizio escludendo la fase dibattimentale, non puo' essere ragionevolmente applicato quando il suo scopo non possa essere piu' perseguito, essendo iniziata la fase dibattimentale ed avendo quindi l'imputato avuto la possibilita' di valutare le prove e l'andamento del dibattimento. Nella fattispecie la decisione della Corte di rinnovare l'espletamento del rilevante e consistente mezzo di prova della perizia collegiale (per chiarire la successione degli eventi delittuosi, e l'imputabilita' dell'accusato), pur dopo l'acquisizione del fascicolo del pubblico ministero (la quale non ha risolto le difficolta' decisorie del giudice dell'appello), ha comportato in secondo grado la ripresa ampia dell'attivita' istruttoria, ed ha reso del tutto irragionevole sotto piu' profili il trattamento di pena, che conseguirebbe all'appellante, ad istruzione dibattimentale conclusa, laddove venisse confermato l'appellato giudizio di responsabilita' penale. Invero, a perizia gia' deliberata, ed in tale momento processuale, la Corte mancava di scelte alternative in ordine al chiesto rito, nel senso che essa doveva dar comunque corso ai fini del conseguimento della verita' (e per la ricorrenza del disposto del terzo comma dell'art. 603 C.P.P.), alle ritenute essenziali attivita' istruttorie, non ovviabili in alcun modo per effetto della valutazione dei dati di conoscenza desunti dal fascicolo di cui all'art. 416.2 C.P.P. Nel caso contrario, e cioe' nell'ipotesi in cui il Collegio, pur dopo aver soppesata l'assoluta necessita' della prova al fine del decidere (nella specie la perizia collegiale sulla successione degli eventi di natura sessuale ed omicidiaria, e la perizia sull'imputabilita'), avesse deliberato invece la rinuncia a detta ulteriore attivita' processuale, a causa della mera sopravvenienza del rito abbreviato, quel collegio sarebbe andato in insanabile contrasto argomentativo con le sue stesse premesse di logica della decisione, a meno che non si fossero rinvenuti (esito questo non determinatosi nella presente vicenda), negli atti del fascicolo del pubblico ministero, elementi di giudizio idonei e sufficienti per superare l'incertezza decisoria che aveva dato causa a quella specifica rinnovazione istruttoria dibattimentale ex art. 603 C.P.P.. Appare chiaro infatti che in caso di rinuncia del giudice d'appello alla prova, gia' ritenuta di "cogente indispensabilita'" (senza che dal fascicolo del pubblico ministero siano stati recuperati elementi in grado di risolvere l'incertezza decisoria), ci si troverebbe di fronte al paradossale ed imprevedibile comportamento processuale di un decidente, il quale prima: asserisce la sua impossibilita' a formulare il giudizio finale sulla scorta del materiale versato in atti, e ritiene decisive le istanze probatorie del condannato appellante ex art. 603.1 C.P.P., oppure, afferma la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 603.3 C.P.P. (ovviamente necessarie e funzionali a determinare il giudizio conclusivo di innocenza o reita'), poi quello stesso decidente delibera, invece e comunque, sull'oggetto delle prove, quale delineato dall'art. 187 C.P.P., condannando quell'imputato per il quale egli aveva espressamente ritenuto non decisive le prospettazioni accusatorie, al punto da rinnovare l'istruzione dibattimentale. Le parti private quindi, che in appello, come nella fattispecie, hanno ottenuto la rinnovazione ex art. 603 C.P.P., hanno la certa e valida aspettativa (quale emerge dalla lettura logica e sistematica delle regole prospettate dal detto articolo) che quel giudice, il quale ha gia' inequivocamente manifestato di non essere in grado di decidere (a sensi delle ipotesi dell'art. 603, primo e terzo comma, C.P.P.), e non ha revocato tale sua deliberazione, successivamente all'ingresso del rito abbreviato (una volta avuta integrale contezza del tenore degli atti del fascicolo del Pubblico ministero acquisito), non potra' poi astenersi dal proseguire nell'intrapresa attivita' di arricchimento probatorio, perche', se a cio' il giudice rinunciasse, l'esito dovrebbe essere soltanto, per l'appellante parte privata, quello - scontato - del capoverso dell'art. 530 C.P.P. In tale quadro di alternative deriva che la stabilita facolta' di chiedere il rito abbreviato in grado di appello, per delitti che, prima della novella del 5 giugno 2000 n. 144, non consentivano tale procedimento speciale, si pone in contrasto con il combinato disposto degli arti. 3 e 97 della Costituzione per violazione del parametro della ragionevolezza in quanto equipara tra loro, senza alcuna logica giustificazione, la situazione dell'imputato che, ammesso al beneficio del rito in prime cure, ha, ab origine, rinunciato a proporre istanze probatorie, o le ha proposte in via subordinata, ex art. 538.5 C.P.P., rispetto all'imputato che, gia' condannato in primo grado, in grado di appello (non potendolo fare in prime cure), ha invece facolta' e favorevole opportunita' di scegliere il rito, non solo a "strategie difensive di parte" pressocche' esaurite, ma in un quadro di sviluppi probatori tendenzialmente favorevoli (o, "quoad minus", non - pregiudizievoli) per l'avvenuto ricorso all'art. 603.3 C.P.P.,e senza alcuna contropartita reale per lo Stato. Invero non puo' certo assurgere a reale contropartita, anche in termini di risultato deflativo, la semplice acquisizione degli atti del fascicolo del Pubblico ministero, tutte le volte in cui il contenuto di tali atti sia stato - nella specie ed in concreto - ritenuto privo di efficacia risolutiva per dirimere il dubbio del giudice del gravame, il quale aveva per cio' fatto ricorso alle risorse eccezionali della citata norma dell'art. 603 C.P.P. Nella specie e' convincimento della Corte che la decisione dell'imputato Ramaro, di essere giudicato allo stato degli atti in sede di giudizio di II grado, non ha comportato alcuna rinuncia concreta ad effettive risorse probatorie, ne' lo comporta in tutti gli altri casi in cui il giudice di appello ha gia' disposto ex art. 603 C.P.P. una o piu' prove e, cio', per la semplice ragione che, quando il giudice in appello ha un dubbio, consistente, ragionevole e decisivo, sulla verita' che gli e' prospettata, non puo' rilevare l'accordo delle parti o la loro iniziativa (successiva alla sua decisione di ammettere le prove idonee a togliere il dubbio su una delle tematiche dell'art. 187 C.P.P.), al fine di ostacolare e precludere la ricerca della verita'. Nel nuovo codice di rito, invero, il potere dispositivo delle parti nella formazione della prova non puo' giungere al livello di paralizzare l'iniziativa attivata ex officio dal giudice per conseguire la certezza del risultato di verita', ne' aver forza per togliere efficacia a quelle altre iniziative di istruzione probatoria che lo stesso giudice d'appello abbia in concreto attivato (come nella specie ex art. 603 C.P.P.) anche su impulso delle stesse parti, poi venuto meno, per la scelta del rito. In assoluta sintesi, va ribadito che l'alternativa comportamentale del giudice di appello, che abbia gia' dato vita alla rinnovazione istruttoria ex art. 603 C.P.P., si muove tra due argini - linee assolutamente distinti, e cioe': da un lato, la rinuncia ed il "blocco" della gia' deliberata ed ammessa prova in appello, con assoluzione dell'accusato, in rigorosa aderenza al canone del "in dubio pro reo, se gli atti del fascicolo del Pubblico ministero nulla di efficace hanno apportato per escludere i dubbi decisori del giudice di II grado; dall'altro, la prosecuzione ed il completamento delle attivita' di rinnovazione deliberate, indipendentemente dal regime probatorio del rito speciale adottato (che e' nato e rimane, anche dopo le recenti modifiche, come "rito a prova contratta" e con un bilanciamento di "contropartite" tra Stato e singolo accusato). La prima alternativa, con la rinuncia all'attivita' istruttoria considerata essenziale viola il canone, non solo normativo ma etico del giudizio penale, dell'obbligo di ricercare la verita', anche al di la' ed in assenza di stimoli di parte. La seconda alternativa, laddove praticata, fa si' che il giudice d'appello prosegua la gia' deliberata ed intrapresa attivita' di rinnovazione dibattimentale. Ma anche in questo caso lo Stato nulla ottiene nell'economia del reciproco scambio e l'imputato, dopo aver espresso, con la piu' ampia delle latitudini, le sue strategie difensive - probatorie in prime cure, potra' tranquillamente attendere gli esiti in appello dell'attivita' istruttoria, decisa d'ufficio dal giudicante, senza rischi di rinunciare ad alcunche', anzi, beneficiando degli "scrupoli probatori" di tale giudice del gravame. Trattasi, all'evidenza, di un'irragionevole scelta di un regime che omologa tra loro situazioni diverse, equiparando la "normale" istruttoria dibattimentale di primo grado pur temperata dall'art. 507 C.P.P. alla "eccezionale" rinnovazione in grado di appello5), e che non prevede, appunto, per il giudizio di appello (una volta acquisito il fascicolo di cui all'art. 416.2 C.P.P. ed esaminati gli atti ivi contenuti), che il giudice dell'impugnazione possa formulare, in concreto, un giudizio di compatibilita' del chiesto rito, rispetto all'attivita' istruttoria disposta ex art. 603 C.P.P., in relazione alle finalita' di economia processuale proprie del procedimento abbreviato, e tenuto conto degli atti del Pubblico ministero, appunto gia' acquisiti ed utilizzabili. 5) Nel vigente sistema processuale, la rinnovazione istruttoria in appello mantiene le connotazioni di istituto eccezionale, attesa la presunzione di completezza dell'indagine probatoria dibattimentale in primo grado, cui va fatto discrezionale ricorso solo nell'ipotesi di una impossibile decisione allo stato degli atti (Cass. Pen. SS.UU. 26 gennaio 1996 in ric. Panigoni, sez. III, 20 novembre-23 dicembre 1997, Pres. Papadia, rel. Grillo, in ric. Cantoni). La formulata questione di costituzionalita' delle norme di cui agli artt. 438.5 C.P.P., in relazione all'art. 603 commi 1 e 3 C.P.P. e dell'art. 4-ter, comma 3 lettera b) legge 5 giugno 2000 n. 144, appare quindi ampiamente fondata laddove la si rapporti al parametro della ragionevolezza ex art. 97 Cost. e la si raccordi ai principi di eguaglianza indicati dall'art. 3 Carta costituzionale: sia in relazione all'omessa previsione della possibilita' per il giudice in appello di rifiutare l'ammissione al rito allorquando le prove, da esso gia' ammesse ex art. 603 C.P.P., appaiano non compatibili con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento (rimane infatti incomprensibile come sia consentito al giudice di I grado di escludere, agli effetti della richiesta del rito, l'integrazione probatoria prospettata dalla parte privata, anche se necessaria, quando essa risulti incompatibile con le finalita' di economia processuale proprie del giudizio abbreviato, e tale potere non sia invece attribuito al giudice di appello per le prove assumibili od in corso di assunzione ex art. 603 C.P.P., qualora dette prove siano del pari incompatibili con le identiche finalita' di economia processuale proprie dell'ammesso rito); sia in relazione all'omessa previsione per il giudice di appello di poter escludere la riduzione premiale, tutte le volte in cui, ammessa la parte al giudizio abbreviato, i dati desunti dal fascicolo del pubblico ministero, ed opportunamente valutati, non appaiono in grado di impedire la prosecuzione della gia' deliberata rinnovazione istruttoria ex art. 603 C.P.P., con la conseguente necessita' di un'attivita' di istruttoria dibattimentale a tutto campo, senza alcun vantaggio in termini di speditezza del processo e vantaggi per lo Stato; sia infine con riferimento alla diversa situazione processuale, sotto il profilo probatorio, tra imputati che facciano richiesta del rito in primo grado, e quelli che cio' facciano in appello (forti della nuova istruzione dibattimentale, e ad istruzione dibattimentale gia' completata e conclusa davanti al primo giudice) sia pure quale effetto di una nuova attribuzione di potere processuale, realizzandosi per questi ultimi accusati il paradossale risultato di un inammissibile cumulo dei benefici e delle risorse processuali del rito ordinario e del rito speciale. E' noto che il giudizio di eguaglianza, in quanto giudizio di relazione, comporta che la disamina della conformita' di una norma a quel principio si sviluppi secondo un modello dinamico, incentrandosi sul perche' una data disciplina operi una specifica distinzione, con la conseguenza che il vizio puo' essere identificato solo a seguito della verifica della carenza della causa della disciplina introdotta, siccome fondata sulla irragionevole scelta di un regime che omologa tra loro situazioni diverse, o, al contrario, differenzia il trattamento in situazioni analoghe (Corte cost. n. 386, 5 novembre 1996, Pres. Ferri, rel. Vari, Corte cost. n. 89, 28 marzo 1996; Corte cost., n. 454, 30 dicembre 1997, Pres. Guizzi, rel. Vari). Conclusione questa che trova fondamento nella pregevole prospettazione di regole espressa dalla sentenza n. 89 del 28 marzo 1996 (Pres. Ferri. rel. Vassalli. in Sarlo e Presidente del Consiglio dei ministri). Da tale decisione si rileva infatti: I. che il parametro dell'eguaglianza davanti alla legge non determina l'obbligo di rendere immutabilmente omologhi tra loro fatti o rapporti che, sul piano fenomenico, ammettono una gamma di variabili estesa quante sono le situazioni in concreto storicamente verificabili; II. che tale parametro pero' individua il rapporto funzionale che correla la positiva disciplina di quei fatti o rapporti al paradigma dell'armonico trattamento da riservare ai destinatari della disciplina normativa in modo da scongiurare l'intrusione di elementi arbitrariamente discriminatori; III. che lo sbarramento all'intrusione di detti elementi di arbitrarieta' impone che la conduzione della disamina della conformita' di una norma al principio di eguaglianza si muova secondo un modello dinamico, incentrandosi sul "perche'" una determinata disciplina operi quella specifica distinzione all'interno del tessuto egalitario dell'ordinamento; IV. che siffatto modello dinamico porta pertanto ad un giudizio di ragionevolezza, ossia ad un apprezzamento di conformita' tra regola introdotta e la "causa" normativa, obiettivata nel sistema che la deve assistere; V. che il controllo di costituzionalita' deve saldarsi al generale principio di conservazione dei valori giuridici, e restare comunque circoscritto all'interno dei confini propri dello scrutinio di legittimita'; VI. che l'ambito della disamina di costituzionalita', quando sia invocato il principio di eguaglianza, non puo' travalicare in apprezzamenti della ragionevolezza che sconfinino sul merito delle opzioni legislative, specie nelle ipotesi in cui la questione dedotta investa sistemi normativi complessi all'interno dei quali la ponderazione dei beni e degli interessi non si possa ritenere frutto di soluzione univoche; VII. che pertanto, non qualsiasi incoerenza, disarmonia, o contraddittorieta', che sotto taluni profili o per alcune conseguenze, una data previsione possa lasciar trasparire, sono rilevanti, giacche', in tale prospettiva verrebbe a sovrapporsi al controllo di legittimita', una verifica di opportunita', spesso condotta alla stregua di un etereo parametro di equita' e di giustizia, al cui fondo sta una composita selezione di valori, non appartenente ai compiti della Corte costituzionale. Orbene, nella fattispecie, e' proprio il rigoroso rispetto delle impeccabili regole di confine tra "il consentito controllo di costituzionalita'", secondo un modello dinamico, e "la vietata verifica di opportunita'", che suggerisce ed impone alla Corte di merito il ricorso alla suprema valutazione del giudice costituzionale. Non si tratta infatti, nella specie, di una scelta di opportunita', la quale ha indotto il legislatore a limitare i benefici del rito abbreviato, e soltanto in prime cure, al giudizio di compatibilita' rispetto alle integrazioni probatorie richieste dalla parte privata, ma nella intrusione di elementi irragionevolmente discriminatori tra il giudice di I e II grado, con ulteriore derivata disparita' di trattamento tra l'imputato, il quale in prime cure ha accettato il giudizio allo stato degli atti, e l'imputato che, in grado di appello, avendo gia' esaurito ogni Strategia difensiva, sicuro della rinnovazione istruttoria dibattimentale, disposta ex art. 603 C.P.P., senza alcuna reale contropartita e non avendo nulla da rischiare, formula la richiesta di ammissione al procedimento speciale, prima non consentitagli. Da ultimo, detta questione di legittimita', oltre che non manifestamente infondata, risulta di concreta rilevanza nel giudizio di appello a carico del Ramaro, attesa l'inoppugnabile attribuibilita' alla sua azione dell'evento mortale in danno della C. con la derivata conseguenza che potra' procedersi o meno alla riduzione premiale della sanzione da irrogarsi a seconda del corrispondente esito del provocato controllo di legittimita' della Corte costituzionale, sugli artt. 438.5 C.P.P., in relazione all'art. 603 commi 1 e 3 C.P.P. e dell'art. 4-ter, comma 3 lettera b) legge 5 giugno 2000 n. 144.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con riferimento agli artt. 4-ter, comma 3, lettera b) legge 5 giugno 2000 n. 144, 438 comma 5 C.P.P. in relazione all'art. 603, primo e terzo comma C.P.P.; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'indicato giudizio di legittimita' costituzionale delle dette norme in relazione al parametro della ragionevolezza ex art. 97 Cost. e con riferimento ai principi di eguaglianza indicati dall'art. 3 Carta costituzionale; Sospende il giudizio penale in corso a carico di Ramaro Paolo; Ordina ex art. 23.4 legge 87/1953 che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Venezia-Mestre, addi' 22 novembre 2000. Il Presidente: Lanza 01c0204