N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 2000

Ordinanza  emessa  il  28  giugno  2000  dal tribunale amministrativo
regionale della Puglia sez. staccata di Lecce sul ricorso proposto da
Verbena Giovanni contro comune di Galatina

Impiego  pubblico  -  Diritto  degli  impiegati civili dello Stato al
trattamento   economico   nella   misura   stabilita  dalla  legge  -
Retribuibilita'  delle  mansioni  superiori  esercitate - Esclusione,
secondo  l'indirizzo  interpretativo  del  Consiglio  di  Stato,  non
condiviso   dal   rimettente,  ma  costituente  "diritto  vivente"  -
Violazione  del  principio  dell'equa  retribuzione considerato dalla
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  di  immediata efficacia
precettiva  -  Richiamo  alle sentenze della Corte costituzionale nn.
57/1989, 296/1990, 236/1992 e 101/1995.
- D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 33.
- Costituzione, art. 36.
(GU n.9 del 28-2-2001 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha   pronunciato   la   presente   ordinanza   sul  ricorso  R.G.
n. 3320/1994  proposto  da  Giovanni  Verbena, rappresentato e difeso
dall'avv. Francesco  Galluccio  Mezio,  come da mandato a margine del
ricorso, presso lo studio dello stesso in Lecce, piazza Mazzini n. 72
elettivamente domiciliato.
    Contro  il  comune  di Galatina, in persona del Sindaco in carica
pro-tempore,  rappresentato  e difeso, in virtu' di mandato a margine
dell'atto di costituzione in giudizio e presupposta delibera di G.M.,
dall'avv. A.  Lino Spedicato, presso lo studio dello stesso in Lecce,
via Calabria n. 1 elettivamente domiciliato, per l'annullamento della
deliberazione  della  Giunta comunale di Galatina n. 811 del 5 agosto
1994  e  di  ogni  altro  atto  presupposto,  connesso,  collegato  e
conseguenziale  per  la  declaratoria del diritto del ricorrente alla
percezione   delle   differenze   retributive  tra  la  IV  qualifica
funzionale,    qualifica    di   inquadramento   formale   e   quella
corrispondente  alle mansioni svolte, riconducibili alla VI qualifica
funzionale,  a  far  tempo  dal 15 febbraio 1982, oltre rivalutazione
monetaria  e  interessi  fino alla data di effettivo soddisfo nonche'
per  la declaratoria perdurando lo svolgimento dei compiti superiori,
del  diritto del ricorrente alla percezione del trattamento economico
corrispondente alla VI qualifica funzionale.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
resistente;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udito  all'udienza  del  28  giugno 2000, il relatore dott. Luigi
Viola;  uditi  altresi',  l'avv. Persico in sostituzione di Galluccio
Mezio  per il ricorrente e l'avv. Aprile in sostituzione di Spedicato
per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                              F a t t o
    Il  ricorrente, dipendente di ruolo del comune di Galatina con la
qualifica   di  collaboratore  amministrativo,  inquadrato  nella  IV
qualifica  funzionale e addetto dal 1982 all'ufficio tecnico comunale
ha  impugnato,  sul  presupposto  di  aver  svolto mansioni superiori
(riconducibili  alla VI qualifica funzionale) dal 15 febbraio 1982 in
seguito  a  formale  incarico,  la  deliberazione di G.M. n. 811/1994
(emessa  a  seguito dell'attivazione della procedura di constatazione
dell'illegittimo   silenzio   della  p.a.  su  precedente  istanza  e
reiettiva   delle   sue   richieste)  ed  ha  chiesto  l'accertamento
dell'espletamento,  da  parte  sua, delle suddette mansioni superiori
con riconoscimento dei conseguenti benefici economici.
    In  particolare,  la  difesa  del Verbena ha sostenuto che l'atto
della  Giunta  municipale  del  comune di Galatina sarebbe affetto da
illegittimita' per:
        1)  violazione  dell'art. 72  del d.P.R. 268/1987, eccesso di
potere  per  erronea  interpretazione  dei principi giuridici e delle
norme  operanti,  nel  comparto  degli  enti  pubblici,  in  tema  di
esercizio   di  mansioni  superiori  rispetto  a  quelle  di  formale
inquadramento:  dalla  disposizione  richiamata, dalla giurisprudenza
del  Consiglio  di  Stato  e  della  Corte  costituzionale ed infine,
dall'art. 2103  del codice civile (come modificato dall'art. 13 della
legge   20  maggio  1970  n. 300)  emergerebbe  infatti  un  generale
principio  di  retribuibilita'  delle  mansioni  superiori svolte dal
dipendente pubblico;
        2)  eccesso di potere per travisamento dei fatti: la delibera
avrebbe infatti errato nell'assumere, a base delle determinazioni, il
presupposto   della  richiesta  di  un  formale  inquadramento  nella
qualifica  formale  superiore  e  non invece la reali richiesta della
corresponsione   del  solo  trattamento  economico  corrispondente  a
quest'ultima;
        3)  violazione  di  legge  ed  eccesso  di potere per erronea
interpretazione  dei  principi  applicabili, nel settore del pubblico
impiego, in tema di prescrizione: l'intervenuta prescrizione rilevata
dalla  delibera  impugnata con riferimento al periodo anteriore al 15
aprile  1988,  contrasterebbe  infatti  con  il pacifico insegnamento
giurisprudenziale   che   attribuisce   valore   interruttivo   della
prescrizione  al riconoscimento, da parte dell'Ente, della fondatezza
della pretesa;
        4)  eccesso  di  potere  per  contraddittorieta'  dell'azione
amministrativa:  il diniego del trattamento economico della qualifica
funzionale    superiore   contrasterebbe   infatti   con   precedenti
manifestazioni  dell'amministrazione  (soprattutto ordini di servizio
del  Sindaco  di  Galatina)  che  avrebbero attribuito e riconosciuto
l'esercizio di mansioni superiori rispetto a quella di inquadramento.
    Si   e'   costituita   l'amministrazione  comunale  di  Galatina,
controdeducendo  sul  merito  della pretesa di controparte e comunque
eccependo,   in   via  subordinata,  la  prescrizione  delle  pretese
economiche anteriori al 15 aprile 1988.
    All'udienza  del  16  novembre  1994  la sezione ha respinto, con
l'ordinanza  n. 1868/1994, la richiesta di tutela cautelare formulata
dal ricorrente.
    Dopo   l'esecuzione,   da   parte   dell'amministrazione,   degli
incombenti  istruttori  disposti  dalla  sezione  con  la sentenza 1o
luglio  1999  n. 1038, il ricorso e' passato in decisione all'udienza
del 28 giugno 2000.
                            D i r i t t o
    1.   -  La  decisione  del  ricorso  dipende  strettamente  dalla
risoluzione  della  problematica della retribuibilita' delle mansioni
superiori  svolte  dal  dipendente  pubblico,  in  ottemperanza  alle
prescrizioni   (soprattutto   ordini   di  servizio)  in  materia  di
organizzazione del servizio emanati dal datore di lavoro pubblico.
    In punto di fatto, la documentazione depositata in giudizio dalle
parti  e  l'istruttoria disposta dalla sezione hanno infatti chiarito
come il Verbena abbia svolto, a decorrere dal 15 febbraio 1982 e fino
al  30 giugno 1998 (termine ultimo del rapporto conoscibile da questo
tribunale  in adempimento della previsione dell'art. 45, comma 17 del
d.lgs.  31  marzo  1998  n. 80),  mansioni superiori a quelle proprie
della qualifica di inquadramento (IV q.f.); mansioni superiori svolte
sulla  base  di  precise  disposizioni  del responsabile del servizio
(come  da  numerose certificazioni in atti) e per coprire una carenza
di posti previsti in pianta organica.
    La fattispecie in decisione si riduce pertanto alla problematica,
piu'  generale, della retribuibilita' delle mansioni superiori svolte
nel pubblico impiego.
    2. - Di  recente,  la  problematica  ha costituito oggetto di una
serie di interventi del Consiglio di Stato, in sostanza orientati per
la non retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente
pubblico.
    (In   particolare,  la  decisione  n. 22  del  18  novembre  1999
dell'Adunanza  plenaria  del Consiglio di Stato ha operato una decisa
rimeditazione  dell'indirizzo  giurisprudenziale  (negli ultimi tempi
fortemente   contestato)  piu'  favorevole  al  dipendente  pubblico,
optando  per  la  tesi  che esclude la retribuibilita' delle mansioni
superiori svolte dal dipendente pubblico.
    Per    l'Adunanza   plenaria   del   Consiglio   di   Stato,   la
retribuibilita'   delle  mansioni  superiori  svolte  dal  dipendente
pubblico non troverebbe infatti una base normativa in alcuna "norma o
principio  generale  desumibile dall'ordinamento"; in particolare, la
retribuibilita'   non   potrebbe   trovare  una  base  normativa  ne'
nell'art. 2126  c.c.  (la  disposizione  riguarderebbe  infatti  solo
l'ipotesi  della  "retribuibilita'  del lavoro prestato sulla base di
atto  nullo o annullato"), ne' nell'applicazione diretta dell'art. 36
della Cost. (la cui "incondizionata" applicazione al pubblico impiego
sarebbe  impedita  dalle  contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98
Cost.).
    L'esame  della  normativa  evidenzierebbe  poi  una  disposizione
(l'art. 33  del  d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3: "l'impiegato ha diritto
allo  stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia, nella misura
stabilita  dalla  legge, in relazione alla quantita' e qualita' delle
prestazioni  rese") che, nella prospettazione dell'adunanza plenaria,
avrebbe   espressamente   normativizzato   il   principio  della  non
retribuibilita'   delle   mansioni   superiori   alla   qualifica  di
inquadramento svolte dal dipendente pubblico.
    In  definitiva,  sarebbe quindi proprio questa norma, quanto meno
per  il  periodo  anteriore  all'entrata  in  vigore  del nuovo testo
dell'art. 56  d.lgs.  (3  febbraio  1993  n. 29 (nel testo modificato
dall'art. 25  del  d.lgs.  31 marzo 1998 n. 80), ad integrare la base
normativa   del  principio  di  non  retribuibilita'  delle  mansioni
superiori,  per l'Adunanza plenaria, vigente nel rapporto di pubblico
impiego.
    2.1.  -  La soluzione e' stata poi ribadita dalle decisioni n. 10
del  28  gennaio  2000  e  n. 11  del  23 febbraio 2000 dell'Adunanza
plenaria  che  hanno  escluso  qualsiasi possibilita' di individuare,
nella  previsione  dell'art. 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, "un
principio  generale  di  piu'  ampia  portata"  avente  ad oggetto la
retribuibilita'   delle   mansioni   superiori  svolte  dal  pubblico
dipendente.
    In una prospettiva che valorizza la gradualita' dell'applicazione
alla  pubblica amministrazione della normativa civilistica in materia
di rapporto di lavoro ("una modifica ab imis di un istituto complesso
postula  quasi  sempre un'attuazione graduale, con la conseguenza che
alcuni  tratti  della  riforma  (come  la  disciplina  delle mansioni
superiori),  elaborati  sul fondamento di una pronta effettivita' del
rinnovato  assetto,  mancando  questa,  debbano poi essere differiti,
potendo  altrimenti  innescare  risultati  non  voluti"),  l'Adunanza
plenaria  del  Consiglio  di  Stato  ha  infatti  individuato,  nella
normativa  che  ha  prima  sospeso  l'entrata  in vigore dell'art. 57
d.lgs.  29/1993  e  poi  definitivamente  abrogato (art. 43 d.lgs. 31
marzo  1998  n. 80)  la  disposizione,  un  chiaro  indice  normativo
dell'insussistenza  di un principio generale di retribuibilita' delle
mansioni  superiori  svolte  dal dipendente pubblico: "di fronte agli
espliciti interventi del Legislatore per differire l'attuazione della
puntuale  (e,  tutto  sommato,  limitativa) disciplina delle mansioni
superiori recata dall'art. 57, protrattasi fino alla sua caducazione,
e' arbitrario scorgere in esso l'espressione di un principio generale
di  piu'  ampia portata e ritenerlo applicabile - in aperto conflitto
con  la  contraria  volonta'  espressa dal Legislatore con i ripetuti
rinvii  -  a  far  tempo  dalla  sua  emanazione  o, perfino, da data
anteriore" (CdS ad. plen. 28 gennaio 2000 n. 10).
    Il  principio  della retribuibilita' delle mansioni superiori non
potrebbe poi trovare una base normativa nella previsione dell'art. 56
del  d.lgs.  3  febbraio 1993 n. 29, come modificato dall'art. 25 del
d.lgs.  31 marzo 1998 n. 80; la "significativa apertura nei confronti
del  mansionismo"  operata  dalla disposizione e' infatti destinata a
trovare   applicazione  solo  "in  sede  di  attuazione  della  nuova
disciplina  degli  ordinamenti  professionali  prevista dai contratti
collettivi  e  con la decorrenza da questi stabilita" e quindi non e'
immediatamente operativa.
    Il  quadro  normativo  tratteggiato  da  Ad.  plen. n. 10/2000  e
n. 11/2000,  ma  sulla  base  di una ricostruzione gia' integralmente
fornita  da  Ad.  plen. 22/1999, e' poi completato dal riconoscimento
delle   modificazioni   derivanti   dalla   soppressione,   ad  opera
dell'art. 15  del  d.lgs.  29  ottobre  1998  n. 387, delle parole "a
differenze retributive o" dell'ultimo comma dell'art. 56 del d.lgs. 3
febbraio 1993 n. 29 (come modificato dall'art. 25 del d.lgs. 31 marzo
1998  n. 80); "con tale ultimo intervento il Legislatore ha (infatti)
manifestato   la   volonta'  -  non  e'  possibile  attribuire  altro
significato  alla  modifica - di rendere anticipatamente operativa la
disciplina  dell'art. 56,  almeno  con  riferimento  al  diritto  del
dipendente  pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento
economico  relativo alla qualifica immediatamente superiore" (CdS ad.
plen. 28 gennaio 2000 n. 10).
    L'operativita'   delle  modificazioni  apportate  dal  d.lgs.  29
ottobre  1998  n. 387  (e  quindi  la  possibilita' di riconoscere le
differenze  retributive  a  chi  abbia  svolto mansioni superiori) e'
pero'  limitata  alle fattispecie o ai periodi del rapporto di lavoro
successivi  all'entrata  in vigore del cit. decreto legislativo e non
puo'   trovare   applicazione   nelle  ipotesi  (come  quelle  decise
dall'Adunanza  plenaria  o  quella  oggi  in  decisione)  antecedenti
all'entrata in vigore del d.lgs. 387/1998.

    3. - L'applicazione   alla  fattispecie  oggi  in  decisione  dei
principi   elaborati   dall'Adunanza   plenaria   con   le  decisioni
n. 22/1999,  10/2000  e 11/2000 dovrebbe portare al respingimento del
ricorso.
    Il  Regolamento  organico  del  personale  del comune di Galatina
depositato dalla difesa del ricorrente all'udienza del 28 giugno 2000
evidenzia  infatti  una  previsione  (l'art. 2,  nel testo modificato
dalle  delibere  C.C.  n. 21  dell'8  marzo 1985 e 489 del 5 novembre
1985)  che  rinvia,  per  tutto  quanto  non regolamentato dal citato
regolamento,  alle  leggi  "che  regolano  i  rapporti di impiego del
personale  dello  Stato,  nonche' alle norme contenute nel T.U. della
legge  comunale e provinciale - in quanto applicabili"; in virtu' del
rinvio  previsto  dall'art. 2 del Regolamento organico del Personale,
nella   fattispecie   dovrebbe   pertanto   trovare  applicazione  la
previsione  dell'art. 33  del  d.P.R.  10  gennaio 1957 n. 3 e quindi
dovrebbe  acquistare  piena operativita' la non retribuibilita' delle
mansioni  superiori  prospettata  dalla  giurisprudenza  piu' recente
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
    La  sezione  e' pero' dell'avviso che sussistano fortissimi dubbi
in  ordine  alla  compatibilita' della disposizione con la previsione
dell'art. 36 della Costituzione.
    3.1.  -  La  problematica  della  retribuibilita'  delle mansioni
superiori svolte dal dipendente pubblico e' stata affrontata numerose
volte dalla Corte costituzionale (Corte cost. 23 febbraio 1989 n. 57;
19  giugno  1990  n. 296;  31  marzo  1995 n. 101; ord. nn. 908/1988,
408/1990  e  337/1993,  tutte  relative alla previsione dell'art. 29,
secondo  comma  d.P.R.  20 dicembre 1979 n. 761; con riferimento alla
problematica  degli  inquadramenti  in qualifiche superiori si vedano
anche  Corte  cost.  25 luglio 1990 n. 396 e 27 maggio 1992 n. 236) e
risolta, con assoluta prevalenza, nel senso opposto rispetto a quanto
recentemente  prospettato  dall'Adunanza  plenaria  del  Consiglio di
Stato.
    In  particolare, con la sentenza 23 febbraio 1989 n. 57, la Corte
costituzionale   ha   prospettato   l'unica   interpretazione   della
previsione dell'art. 29, secondo comma d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761
compatibile con il dettato costituzionale; interpretazione costituita
da   una   lettura   che   attribuisce  alla  deroga  prevista  dalla
disposizione  citata l'ambito piu' limitato possibile (trattandosi di
disposizione  a  carattere  chiaramente  eccezionale  e  derogatorio)
dovendo,  per  il  resto,  trovare  applicazione  il  principio della
retribuibilita'    piena    delle   mansioni   superiori   desumibile
dall'applicazione diretta dell'art. 36 della della Cost.: "il secondo
comma   dell'art. 29,   essendo   norma   eccezionale   deve   essere
interpretato  rigorosamente nel senso che l'abilitazione temporanea a
mansioni  superiori  per  esigenze  di  servizio  non  da'  diritto a
variazioni  del  trattamento  economico  (cioe'  rientra  nei  doveri
d'ufficio  del  sanitario) solo entro il limite temporale massimo ivi
indicato  (...),  onde il suo prolungamento oltre tale limite produce
al datore di lavoro un arricchimento ingiustificato, che alla stregua
dell'art. 36  della Costituzione, direttamente applicabile, determina
l'obbligo  di integrare il trattamento economico del dipendente nella
misura   corrispondente   alla  qualita'  del  lavoro  effettivamente
prestato"  (Corte  cost. 23 febbraio 1989 n. 57; per l'applicabilita'
diretta  dell'art. 36  Cost,  al pubblico impiego si veda anche Corte
cost. 27 maggio 1992 n. 236).
    La  soluzione, ribadita da Corte cost. 19 giugno 1990 n. 296 e da
una  serie di ordinanze dichiarative della infondatezza, e' poi stata
confermata  anche  con riferimento alle previsioni dell'art. 97 cost.
(che,  per  CdS  Ad.  plen. 18  novembre  1999  n. 22  verrebbero  ad
integrare  un  limite  implicito  all'applicabilita' diretta dell'art
n. 36 Cost. alla fattispecie).
    Posta di fronte alle stesse argomentazioni prospettate da CdS Ad.
plen. 18  novembre  1999  n. 22  (possibilita' che le assegnazioni di
mansioni  superiori  avvengano  "con  criteri  che  non  garantiscono
l'imparzialita'  dell'amministrazione"),  Corte  cost.  31 marzo 1995
n. 101 - oltre a confermare l'applicabilita' alla p.a. dell'art. 2126
c.c.  con  il  duplice  limite,  desumibile dall'art. 97 Cost., della
previsione  del posto in organico e dell'impossibilita' di attribuire
carattere   definitivo   al   mutamento   di   mansioni  sul  modello
dell'art. 2103  c.c.  (inapplicabile al pubblico impiego) - escludeva
che  la possibilita' di "abusi e favoritismi" costituisse una ragione
per  escludere  l'applicabilita'  al  pubblico  impiego del principio
della  retribuibilita' delle mansioni superiori previsto dall'art. 36
Cost.  e  dall'art. 2126  c.c.:  "il  potere  attribuito al dirigente
preposto  all'organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente
un  dipendente  a  mansioni  superiori  per esigenze straordinarie di
servizio  e' un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento
dell'amministrazione;  la  spettanza  al  lavoratore  del trattamento
retributivo  corrispondente  alle  funzioni  di fatto espletate e' un
precetto  dell'art. 36  Cost.,  la  cui  applicabilita'  al  pubblico
impiego  non  puo'  essere messa in discussione (cfr. sentenza n. 236
del  1992).  L'astratta  possibilita' di abuso di tale potere e delle
sue  conseguenze  economiche,  nella forma di protrazioni illegittime
dell'assegnazione  a  funzioni  superiori,  non  e'  evidentemente un
argomento  che possa giustificare una restrizione dell'applicabilita'
del  principio  costituzionale  di  equivalenza della retribuzione al
lavoro effettivamente prestato" (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101).
    Peraltro  la  possibilita' di abusi e' un carattere disfunzionale
del  sistema che la stessa previsione dell'art. 2126 c.c. permette di
correggere  efficacemente: "se fosse dimostrato che nel caso concreto
l'assegnazione  del  dipendente  a mansioni superiori e' avvenuta con
abuso  d'ufficio  e  con  la  "connivenza"  del dipendente, lo stesso
art. 2126 Cod. civ. imporrebbe al giudice di respingere la pretesa di
quest'ultimo" (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101).
    3.2.   -   L'elaborazione  della  materia  compiuta  dalla  Corte
costituzionale puo' essere sintetizzata in alcuni punti essenziali.
    Il  primo  e' che la previsione dell'art. 36 Cost. e' sicuramente
una  norma,  di  applicazione  diretta,  che  impone di retribuire le
mansioni  superiori  svolte dal lavoratore ed il tutto per assicurare
una  garanzia  effettiva  di  quel  rapporto  di proporzionalita' tra
retribuzione  e  lavoro  prestato  che  costituisce  la  ratio  della
disposizione.
    Il  secondo e' che la forza cogente della previsione dell'art. 36
Cost. e' assicurata soprattutto dalla previsione dell'art. 2126 c.c.,
applicabile,  contrariamente  a  quanto affermato da CdS ad. plen. 18
novembre  1999  n. 22,  anche  all'esercizio  di  mansioni superiori:
"l'impugnato   art. 2126  Cod.  civ.  (..)  e'  un'applicazione  ante
litteram  del  principio, sancito dall'art. 36 Cost., che attribuisce
al  lavoratore  il  diritto  a  una  retribuzione  proporzionale alla
quantita'  e  qualita'  del  lavoro prestato, indipendentemente dalla
validita'   del  contratto  di  assunzione  o,  rispettivamente,  del
provvedimento  di  assegnazione  a  mansioni  superiori  a  quelle di
assunzione,  esclusi i casi di nullita' per illiceita' dell'oggetto o
della causa" (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101).
Forza  cogente  assicurata  anche  dal  fatto  che  la  previsione in
discorso  e'  destinata  ad operare, per espresso dettato codicistico
(art. 2129 c.c.) ed in difetto di espressa deroga legislativa ("salvo
che  il  rapporto  sia  diversamente regolato dalla legge", art. 2129
c.c.), anche nel pubblico impiego (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101).
    Il  terzo  e'  che  la  natura pubblica del datore di lavoro puo'
giustificare  una  disciplina  derogatoria,  in sostanza giustificata
dalle  previsioni  degli  artt. 97 e 98 Cost.. Disciplina derogatoria
sicuramente  costituita  dalle  due  regole  della  necessita'  della
previsione  del  posto  in  pianta  organica e dell'impossibilita' di
mutamenti  definitivi  del  rapporto  di  lavoro  e  da una possibile
disciplina  di  settore  (ad  es., per il settore sanita', l'art. 29,
secondo  comma  del  d.P.R.  20  dicembre 1979 n. 761); disciplina di
settore  che,  proprio  per  il  carattere di deroga eccezionale alla
previsione  dell'art. 36 Cost. deve essere contenuta nel termine piu'
ristretto  possibile e non puo' costituire una deroga tendenzialmente
indeterminata  nel  tempo  (Corte  cost.  23  febbraio 1989 n. 57; 19
giugno 1990 n. 296; ord. n. 908/1988, 408/1990 e 337/1993).
    3.3.  -  Quanto  sopra  rilevato in ordine all'elaborazione della
previsione  dell'art.  36 Cost, operata dalla Corte costituzionale in
questi  anni permette di concludere per la non manifesta infondatezza
della  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 33  del  d.P.R. 10
gennaio  1957  n. 3  (che, come gia' rilevato, costituisce, per C.dS.
Ad.  plen.  18  novembre  1999  n. 22,  la  norma  che  impedisce  il
riconoscimento  economico  della svolgimento di mansioni superiori da
parte del dipendente pubblico).
    Il  divieto  di retribuire le mansioni superiori desumibile dalla
disposizione  citata  appare  infatti  in  contrasto  con l'esigenza,
desumibile dall'art. 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla
quantita' e qualita' del lavoro prestato.
    Contrasto  che appare poi piu' evidente ove si rifletta sul fatto
che  la  disposizione  in  discorso, a differenza di altre previsioni
normative  (ad  es.  l'art. 29,  secondo comma del d.P.R. 20 dicembre
1979  n. 761), viene ad integrare una deroga assoluta e temporalmente
indeterminata   al   principio   costituzionale   della  retribuzione
proporzionata  al  lavoro  prestato; la deroga e' quindi espressione,
non  di  un  ragionevole  bilanciamento  di  interessi,  quanto della
volonta'   assoluta  (come  gia'  detto,  contraria  alla  previsione
dell'art. 36  Cost.)  di  escludere la retribuibilita' delle mansioni
superiori.
    In  conclusione,  il  Collegio  ravvisa  la  rilevanza  e  la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  33  del  d.P.R.  10 gennaio 1957 n. 3 per violazione della
previsione dell'art. 36 Cost.
    Va   pertanto   disposta   -   ai  sensi  degli  artt. 134  della
Costituzione;  1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23
della  legge  11  marzo  1953,  n. 87  -  la sospensione del presente
giudizio  e  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale,
oltre   agli  ulteriori  adempimenti  di  legge  meglio  indicati  in
dispositivo.
                              P. Q. M.
    Visti   gli   artt. 134   della   Costituzione;   1  della  legge
costituzionale  9  febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87;  1  delle  norme  integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale   di   cui   alla  deliberazione  della  stessa  Corte
costituzionale in data 16 marzo 1956:
    Dichiara   rilevante   e   non  manifestamente  infondata  -  per
violazione  della  previsione  dell'art. 36  Cost.  - la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957
n. 3;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale   con   la   prova   delle  avvenute  notificazioni  e
comunicazioni di cui al punto che segue;
    Dispone  che,  a cura della Segreteria del tribunale, la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
Consiglio  dei  ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento.
    Cosi'   deciso   in   Lecce,   presso   la   sede  del  tribunale
amministrativo  regionale  nella  Camera  di  consiglio del 28 giugno
2000.
                      II Presidente: Cavallari
                                       Il magistrato relatore: Viola
01c0208