N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 2000
Ordinanza emessa il 28 giugno 2000 dal tribunale amministrativo regionale della Puglia sez. staccata di Lecce sul ricorso proposto da Verbena Giovanni contro comune di Galatina Impiego pubblico - Diritto degli impiegati civili dello Stato al trattamento economico nella misura stabilita dalla legge - Retribuibilita' delle mansioni superiori esercitate - Esclusione, secondo l'indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato, non condiviso dal rimettente, ma costituente "diritto vivente" - Violazione del principio dell'equa retribuzione considerato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale di immediata efficacia precettiva - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 57/1989, 296/1990, 236/1992 e 101/1995. - D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 33. - Costituzione, art. 36.(GU n.9 del 28-2-2001 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso R.G. n. 3320/1994 proposto da Giovanni Verbena, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Galluccio Mezio, come da mandato a margine del ricorso, presso lo studio dello stesso in Lecce, piazza Mazzini n. 72 elettivamente domiciliato. Contro il comune di Galatina, in persona del Sindaco in carica pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtu' di mandato a margine dell'atto di costituzione in giudizio e presupposta delibera di G.M., dall'avv. A. Lino Spedicato, presso lo studio dello stesso in Lecce, via Calabria n. 1 elettivamente domiciliato, per l'annullamento della deliberazione della Giunta comunale di Galatina n. 811 del 5 agosto 1994 e di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e conseguenziale per la declaratoria del diritto del ricorrente alla percezione delle differenze retributive tra la IV qualifica funzionale, qualifica di inquadramento formale e quella corrispondente alle mansioni svolte, riconducibili alla VI qualifica funzionale, a far tempo dal 15 febbraio 1982, oltre rivalutazione monetaria e interessi fino alla data di effettivo soddisfo nonche' per la declaratoria perdurando lo svolgimento dei compiti superiori, del diritto del ricorrente alla percezione del trattamento economico corrispondente alla VI qualifica funzionale. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione resistente; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Udito all'udienza del 28 giugno 2000, il relatore dott. Luigi Viola; uditi altresi', l'avv. Persico in sostituzione di Galluccio Mezio per il ricorrente e l'avv. Aprile in sostituzione di Spedicato per l'amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il ricorrente, dipendente di ruolo del comune di Galatina con la qualifica di collaboratore amministrativo, inquadrato nella IV qualifica funzionale e addetto dal 1982 all'ufficio tecnico comunale ha impugnato, sul presupposto di aver svolto mansioni superiori (riconducibili alla VI qualifica funzionale) dal 15 febbraio 1982 in seguito a formale incarico, la deliberazione di G.M. n. 811/1994 (emessa a seguito dell'attivazione della procedura di constatazione dell'illegittimo silenzio della p.a. su precedente istanza e reiettiva delle sue richieste) ed ha chiesto l'accertamento dell'espletamento, da parte sua, delle suddette mansioni superiori con riconoscimento dei conseguenti benefici economici. In particolare, la difesa del Verbena ha sostenuto che l'atto della Giunta municipale del comune di Galatina sarebbe affetto da illegittimita' per: 1) violazione dell'art. 72 del d.P.R. 268/1987, eccesso di potere per erronea interpretazione dei principi giuridici e delle norme operanti, nel comparto degli enti pubblici, in tema di esercizio di mansioni superiori rispetto a quelle di formale inquadramento: dalla disposizione richiamata, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale ed infine, dall'art. 2103 del codice civile (come modificato dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970 n. 300) emergerebbe infatti un generale principio di retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico; 2) eccesso di potere per travisamento dei fatti: la delibera avrebbe infatti errato nell'assumere, a base delle determinazioni, il presupposto della richiesta di un formale inquadramento nella qualifica formale superiore e non invece la reali richiesta della corresponsione del solo trattamento economico corrispondente a quest'ultima; 3) violazione di legge ed eccesso di potere per erronea interpretazione dei principi applicabili, nel settore del pubblico impiego, in tema di prescrizione: l'intervenuta prescrizione rilevata dalla delibera impugnata con riferimento al periodo anteriore al 15 aprile 1988, contrasterebbe infatti con il pacifico insegnamento giurisprudenziale che attribuisce valore interruttivo della prescrizione al riconoscimento, da parte dell'Ente, della fondatezza della pretesa; 4) eccesso di potere per contraddittorieta' dell'azione amministrativa: il diniego del trattamento economico della qualifica funzionale superiore contrasterebbe infatti con precedenti manifestazioni dell'amministrazione (soprattutto ordini di servizio del Sindaco di Galatina) che avrebbero attribuito e riconosciuto l'esercizio di mansioni superiori rispetto a quella di inquadramento. Si e' costituita l'amministrazione comunale di Galatina, controdeducendo sul merito della pretesa di controparte e comunque eccependo, in via subordinata, la prescrizione delle pretese economiche anteriori al 15 aprile 1988. All'udienza del 16 novembre 1994 la sezione ha respinto, con l'ordinanza n. 1868/1994, la richiesta di tutela cautelare formulata dal ricorrente. Dopo l'esecuzione, da parte dell'amministrazione, degli incombenti istruttori disposti dalla sezione con la sentenza 1o luglio 1999 n. 1038, il ricorso e' passato in decisione all'udienza del 28 giugno 2000. D i r i t t o 1. - La decisione del ricorso dipende strettamente dalla risoluzione della problematica della retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico, in ottemperanza alle prescrizioni (soprattutto ordini di servizio) in materia di organizzazione del servizio emanati dal datore di lavoro pubblico. In punto di fatto, la documentazione depositata in giudizio dalle parti e l'istruttoria disposta dalla sezione hanno infatti chiarito come il Verbena abbia svolto, a decorrere dal 15 febbraio 1982 e fino al 30 giugno 1998 (termine ultimo del rapporto conoscibile da questo tribunale in adempimento della previsione dell'art. 45, comma 17 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), mansioni superiori a quelle proprie della qualifica di inquadramento (IV q.f.); mansioni superiori svolte sulla base di precise disposizioni del responsabile del servizio (come da numerose certificazioni in atti) e per coprire una carenza di posti previsti in pianta organica. La fattispecie in decisione si riduce pertanto alla problematica, piu' generale, della retribuibilita' delle mansioni superiori svolte nel pubblico impiego. 2. - Di recente, la problematica ha costituito oggetto di una serie di interventi del Consiglio di Stato, in sostanza orientati per la non retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico. (In particolare, la decisione n. 22 del 18 novembre 1999 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha operato una decisa rimeditazione dell'indirizzo giurisprudenziale (negli ultimi tempi fortemente contestato) piu' favorevole al dipendente pubblico, optando per la tesi che esclude la retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico. Per l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico non troverebbe infatti una base normativa in alcuna "norma o principio generale desumibile dall'ordinamento"; in particolare, la retribuibilita' non potrebbe trovare una base normativa ne' nell'art. 2126 c.c. (la disposizione riguarderebbe infatti solo l'ipotesi della "retribuibilita' del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato"), ne' nell'applicazione diretta dell'art. 36 della Cost. (la cui "incondizionata" applicazione al pubblico impiego sarebbe impedita dalle contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98 Cost.). L'esame della normativa evidenzierebbe poi una disposizione (l'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3: "l'impiegato ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia, nella misura stabilita dalla legge, in relazione alla quantita' e qualita' delle prestazioni rese") che, nella prospettazione dell'adunanza plenaria, avrebbe espressamente normativizzato il principio della non retribuibilita' delle mansioni superiori alla qualifica di inquadramento svolte dal dipendente pubblico. In definitiva, sarebbe quindi proprio questa norma, quanto meno per il periodo anteriore all'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 56 d.lgs. (3 febbraio 1993 n. 29 (nel testo modificato dall'art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), ad integrare la base normativa del principio di non retribuibilita' delle mansioni superiori, per l'Adunanza plenaria, vigente nel rapporto di pubblico impiego. 2.1. - La soluzione e' stata poi ribadita dalle decisioni n. 10 del 28 gennaio 2000 e n. 11 del 23 febbraio 2000 dell'Adunanza plenaria che hanno escluso qualsiasi possibilita' di individuare, nella previsione dell'art. 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, "un principio generale di piu' ampia portata" avente ad oggetto la retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal pubblico dipendente. In una prospettiva che valorizza la gradualita' dell'applicazione alla pubblica amministrazione della normativa civilistica in materia di rapporto di lavoro ("una modifica ab imis di un istituto complesso postula quasi sempre un'attuazione graduale, con la conseguenza che alcuni tratti della riforma (come la disciplina delle mansioni superiori), elaborati sul fondamento di una pronta effettivita' del rinnovato assetto, mancando questa, debbano poi essere differiti, potendo altrimenti innescare risultati non voluti"), l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha infatti individuato, nella normativa che ha prima sospeso l'entrata in vigore dell'art. 57 d.lgs. 29/1993 e poi definitivamente abrogato (art. 43 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80) la disposizione, un chiaro indice normativo dell'insussistenza di un principio generale di retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico: "di fronte agli espliciti interventi del Legislatore per differire l'attuazione della puntuale (e, tutto sommato, limitativa) disciplina delle mansioni superiori recata dall'art. 57, protrattasi fino alla sua caducazione, e' arbitrario scorgere in esso l'espressione di un principio generale di piu' ampia portata e ritenerlo applicabile - in aperto conflitto con la contraria volonta' espressa dal Legislatore con i ripetuti rinvii - a far tempo dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore" (CdS ad. plen. 28 gennaio 2000 n. 10). Il principio della retribuibilita' delle mansioni superiori non potrebbe poi trovare una base normativa nella previsione dell'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, come modificato dall'art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80; la "significativa apertura nei confronti del mansionismo" operata dalla disposizione e' infatti destinata a trovare applicazione solo "in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita" e quindi non e' immediatamente operativa. Il quadro normativo tratteggiato da Ad. plen. n. 10/2000 e n. 11/2000, ma sulla base di una ricostruzione gia' integralmente fornita da Ad. plen. 22/1999, e' poi completato dal riconoscimento delle modificazioni derivanti dalla soppressione, ad opera dell'art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, delle parole "a differenze retributive o" dell'ultimo comma dell'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (come modificato dall'art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80); "con tale ultimo intervento il Legislatore ha (infatti) manifestato la volonta' - non e' possibile attribuire altro significato alla modifica - di rendere anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56, almeno con riferimento al diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore" (CdS ad. plen. 28 gennaio 2000 n. 10). L'operativita' delle modificazioni apportate dal d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 (e quindi la possibilita' di riconoscere le differenze retributive a chi abbia svolto mansioni superiori) e' pero' limitata alle fattispecie o ai periodi del rapporto di lavoro successivi all'entrata in vigore del cit. decreto legislativo e non puo' trovare applicazione nelle ipotesi (come quelle decise dall'Adunanza plenaria o quella oggi in decisione) antecedenti all'entrata in vigore del d.lgs. 387/1998. 3. - L'applicazione alla fattispecie oggi in decisione dei principi elaborati dall'Adunanza plenaria con le decisioni n. 22/1999, 10/2000 e 11/2000 dovrebbe portare al respingimento del ricorso. Il Regolamento organico del personale del comune di Galatina depositato dalla difesa del ricorrente all'udienza del 28 giugno 2000 evidenzia infatti una previsione (l'art. 2, nel testo modificato dalle delibere C.C. n. 21 dell'8 marzo 1985 e 489 del 5 novembre 1985) che rinvia, per tutto quanto non regolamentato dal citato regolamento, alle leggi "che regolano i rapporti di impiego del personale dello Stato, nonche' alle norme contenute nel T.U. della legge comunale e provinciale - in quanto applicabili"; in virtu' del rinvio previsto dall'art. 2 del Regolamento organico del Personale, nella fattispecie dovrebbe pertanto trovare applicazione la previsione dell'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e quindi dovrebbe acquistare piena operativita' la non retribuibilita' delle mansioni superiori prospettata dalla giurisprudenza piu' recente dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. La sezione e' pero' dell'avviso che sussistano fortissimi dubbi in ordine alla compatibilita' della disposizione con la previsione dell'art. 36 della Costituzione. 3.1. - La problematica della retribuibilita' delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico e' stata affrontata numerose volte dalla Corte costituzionale (Corte cost. 23 febbraio 1989 n. 57; 19 giugno 1990 n. 296; 31 marzo 1995 n. 101; ord. nn. 908/1988, 408/1990 e 337/1993, tutte relative alla previsione dell'art. 29, secondo comma d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761; con riferimento alla problematica degli inquadramenti in qualifiche superiori si vedano anche Corte cost. 25 luglio 1990 n. 396 e 27 maggio 1992 n. 236) e risolta, con assoluta prevalenza, nel senso opposto rispetto a quanto recentemente prospettato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. In particolare, con la sentenza 23 febbraio 1989 n. 57, la Corte costituzionale ha prospettato l'unica interpretazione della previsione dell'art. 29, secondo comma d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 compatibile con il dettato costituzionale; interpretazione costituita da una lettura che attribuisce alla deroga prevista dalla disposizione citata l'ambito piu' limitato possibile (trattandosi di disposizione a carattere chiaramente eccezionale e derogatorio) dovendo, per il resto, trovare applicazione il principio della retribuibilita' piena delle mansioni superiori desumibile dall'applicazione diretta dell'art. 36 della della Cost.: "il secondo comma dell'art. 29, essendo norma eccezionale deve essere interpretato rigorosamente nel senso che l'abilitazione temporanea a mansioni superiori per esigenze di servizio non da' diritto a variazioni del trattamento economico (cioe' rientra nei doveri d'ufficio del sanitario) solo entro il limite temporale massimo ivi indicato (...), onde il suo prolungamento oltre tale limite produce al datore di lavoro un arricchimento ingiustificato, che alla stregua dell'art. 36 della Costituzione, direttamente applicabile, determina l'obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura corrispondente alla qualita' del lavoro effettivamente prestato" (Corte cost. 23 febbraio 1989 n. 57; per l'applicabilita' diretta dell'art. 36 Cost, al pubblico impiego si veda anche Corte cost. 27 maggio 1992 n. 236). La soluzione, ribadita da Corte cost. 19 giugno 1990 n. 296 e da una serie di ordinanze dichiarative della infondatezza, e' poi stata confermata anche con riferimento alle previsioni dell'art. 97 cost. (che, per CdS Ad. plen. 18 novembre 1999 n. 22 verrebbero ad integrare un limite implicito all'applicabilita' diretta dell'art n. 36 Cost. alla fattispecie). Posta di fronte alle stesse argomentazioni prospettate da CdS Ad. plen. 18 novembre 1999 n. 22 (possibilita' che le assegnazioni di mansioni superiori avvengano "con criteri che non garantiscono l'imparzialita' dell'amministrazione"), Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101 - oltre a confermare l'applicabilita' alla p.a. dell'art. 2126 c.c. con il duplice limite, desumibile dall'art. 97 Cost., della previsione del posto in organico e dell'impossibilita' di attribuire carattere definitivo al mutamento di mansioni sul modello dell'art. 2103 c.c. (inapplicabile al pubblico impiego) - escludeva che la possibilita' di "abusi e favoritismi" costituisse una ragione per escludere l'applicabilita' al pubblico impiego del principio della retribuibilita' delle mansioni superiori previsto dall'art. 36 Cost. e dall'art. 2126 c.c.: "il potere attribuito al dirigente preposto all'organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio e' un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell'amministrazione; la spettanza al lavoratore del trattamento retributivo corrispondente alle funzioni di fatto espletate e' un precetto dell'art. 36 Cost., la cui applicabilita' al pubblico impiego non puo' essere messa in discussione (cfr. sentenza n. 236 del 1992). L'astratta possibilita' di abuso di tale potere e delle sue conseguenze economiche, nella forma di protrazioni illegittime dell'assegnazione a funzioni superiori, non e' evidentemente un argomento che possa giustificare una restrizione dell'applicabilita' del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato" (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101). Peraltro la possibilita' di abusi e' un carattere disfunzionale del sistema che la stessa previsione dell'art. 2126 c.c. permette di correggere efficacemente: "se fosse dimostrato che nel caso concreto l'assegnazione del dipendente a mansioni superiori e' avvenuta con abuso d'ufficio e con la "connivenza" del dipendente, lo stesso art. 2126 Cod. civ. imporrebbe al giudice di respingere la pretesa di quest'ultimo" (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101). 3.2. - L'elaborazione della materia compiuta dalla Corte costituzionale puo' essere sintetizzata in alcuni punti essenziali. Il primo e' che la previsione dell'art. 36 Cost. e' sicuramente una norma, di applicazione diretta, che impone di retribuire le mansioni superiori svolte dal lavoratore ed il tutto per assicurare una garanzia effettiva di quel rapporto di proporzionalita' tra retribuzione e lavoro prestato che costituisce la ratio della disposizione. Il secondo e' che la forza cogente della previsione dell'art. 36 Cost. e' assicurata soprattutto dalla previsione dell'art. 2126 c.c., applicabile, contrariamente a quanto affermato da CdS ad. plen. 18 novembre 1999 n. 22, anche all'esercizio di mansioni superiori: "l'impugnato art. 2126 Cod. civ. (..) e' un'applicazione ante litteram del principio, sancito dall'art. 36 Cost., che attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, indipendentemente dalla validita' del contratto di assunzione o, rispettivamente, del provvedimento di assegnazione a mansioni superiori a quelle di assunzione, esclusi i casi di nullita' per illiceita' dell'oggetto o della causa" (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101). Forza cogente assicurata anche dal fatto che la previsione in discorso e' destinata ad operare, per espresso dettato codicistico (art. 2129 c.c.) ed in difetto di espressa deroga legislativa ("salvo che il rapporto sia diversamente regolato dalla legge", art. 2129 c.c.), anche nel pubblico impiego (Corte cost. 31 marzo 1995 n. 101). Il terzo e' che la natura pubblica del datore di lavoro puo' giustificare una disciplina derogatoria, in sostanza giustificata dalle previsioni degli artt. 97 e 98 Cost.. Disciplina derogatoria sicuramente costituita dalle due regole della necessita' della previsione del posto in pianta organica e dell'impossibilita' di mutamenti definitivi del rapporto di lavoro e da una possibile disciplina di settore (ad es., per il settore sanita', l'art. 29, secondo comma del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761); disciplina di settore che, proprio per il carattere di deroga eccezionale alla previsione dell'art. 36 Cost. deve essere contenuta nel termine piu' ristretto possibile e non puo' costituire una deroga tendenzialmente indeterminata nel tempo (Corte cost. 23 febbraio 1989 n. 57; 19 giugno 1990 n. 296; ord. n. 908/1988, 408/1990 e 337/1993). 3.3. - Quanto sopra rilevato in ordine all'elaborazione della previsione dell'art. 36 Cost, operata dalla Corte costituzionale in questi anni permette di concludere per la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (che, come gia' rilevato, costituisce, per C.dS. Ad. plen. 18 novembre 1999 n. 22, la norma che impedisce il riconoscimento economico della svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente pubblico). Il divieto di retribuire le mansioni superiori desumibile dalla disposizione citata appare infatti in contrasto con l'esigenza, desumibile dall'art. 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. Contrasto che appare poi piu' evidente ove si rifletta sul fatto che la disposizione in discorso, a differenza di altre previsioni normative (ad es. l'art. 29, secondo comma del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761), viene ad integrare una deroga assoluta e temporalmente indeterminata al principio costituzionale della retribuzione proporzionata al lavoro prestato; la deroga e' quindi espressione, non di un ragionevole bilanciamento di interessi, quanto della volonta' assoluta (come gia' detto, contraria alla previsione dell'art. 36 Cost.) di escludere la retribuibilita' delle mansioni superiori. In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 per violazione della previsione dell'art. 36 Cost. Va pertanto disposta - ai sensi degli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 1 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale di cui alla deliberazione della stessa Corte costituzionale in data 16 marzo 1956: Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - per violazione della previsione dell'art. 36 Cost. - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; Sospende il presente giudizio; Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con la prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni di cui al punto che segue; Dispone che, a cura della Segreteria del tribunale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Lecce, presso la sede del tribunale amministrativo regionale nella Camera di consiglio del 28 giugno 2000. II Presidente: Cavallari Il magistrato relatore: Viola 01c0208