N. 145 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 2000
Ordinanza emessa il 16 novembre 2000 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Tosirom S.a.s, di Giuseppe Callara' & C. e comune di Roma Giustizia amministrativa - Devoluzione al giudice amministrativo delle controversie in materia di edilizia e urbanistica e riserva al giudice ordinario delle sole controversie relative ad indennita' in conseguenza di atti espropriativi o ablativi - Conseguente sottrazione al giudice ordinario delle cause sui diritti soggettivi connessi ad atti, provvedimenti e comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia di edilizia - Irragionevolezza Disparita' di trattamento di situazioni identiche - Incidenza sul diritto di difesa, nonche' sui principi del giudice naturale e di tutela giurisdizionale, di autonomia ed indipendenza della magistratura, di giusto processo, di nomofilachia attribuito alla Corte di cassazione. - D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113.(GU n.10 del 7-3-2001 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1085 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2000, promossa da Tosirom S.a.s. di Giuseppe Callara' & C., con sede in Roma, v. della Camilluccia n. 589/c, in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro-tempore, Giuseppe Callara', rappresentato e difeso dall'avv. Sandro Picciolini, presso il cui studio in Roma, viale Parioli n. 72/F3, e' elettivamente domiciliato. Contro il comune di Roma in persona del sindaco pro-tempore, Francesco Rutelli, rappresentato e difeso dall'avv. Rodolfo Murra ed elettivamente domiciliato presso la sede dell'Avvocatura comunale, in Roma, v. del Tempio di Giove n. 21, Ogg.: responsabilita' extracontrattuale della p.a. Rilevato che 1. - Con atto di citazione notificato il 23 dicembre 1999 la Tosirom S.a.s. ha convenuto in giudizio il comune di Roma e ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in cinque miliardi, esponendo che: in data 27 aprile 1992 aveva presentato al sindaco del comune di Roma domanda di rilascio del certificato di abitabilita' ed agibilita' del complesso immobiliare sito in Roma, v. Mastrigli n. 15/c, di cui era proprietaria (e per il quale aveva gia' ottenuto la concessione in sanatoria per abusi edilizi, in virtu' del silenzio assenso dell'amministrazione); non avendo ottenuto risposta e avendo inutilmente diffidato il sindaco, aveva comunicato al comune di Roma di ritenere verificate le condizioni prescritte dall'art. 4, comma 3, d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, per la formazione del silenzio-assenso (anche perche' il legale rappresentante della Tosirom era stato dal pretore di Roma assolto "per non aver commesso il fatto" dall'imputazione prevista dagli artt. 81 c.p. e 221 t.u.l.s. di aver occupato e dato in locazione a terzi un immobile privo della licenza di abitabilita'); con scrittura privata in data 10 ottobre 1998 aveva stipulato un contratto preliminare nel quale aveva promesso di vendere il complesso immobiliare in questione alla costituenda Cooperativa Residence Mastrigli, la quale aveva accettato al prezzo di cinque miliardi ma successivamente, con lettera del 19 maggio 2000, le aveva comunicato che considerava risolto il preliminare perche' il comune di Roma le aveva rappresentato che non corrispondeva al vero quanto dichiarato dalla Tosirom nell'art. 17 del preliminare circa il possesso da parte della societa' venditrice dell'attestato di abitabilita' "per silenzio accoglimento"; la societa' attrice ha chiesto il risarcimento del danno causato dal comune per aver illegittimamente rifiutato di rilasciare la licenza di abitabilita' e consistito nella perdita del prezzo di acquisto. 2. - Il comune di Roma si e' costituito in giudizio eccependo la carenza di giurisdizione del g.o., essendo la controversia in esame attribuita, a suo avviso, alla giurisdizione esclusiva del g.a. in quanto concernente la materia edilizia, nel cui esteso ambito rientrano le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 31 marzo 1998; nel merito, ha dedotto l'infondatezza della domanda, non potendo la Tosirom vantare un diritto al rilascio della licenza di abitabilita' in quanto l'area del complesso immobiliare in questione era sottoposta ad un vincolo di protezione delle bellezze naturali e paesistiche (imposto dalla legge n. 1497/1939, dal d.m. 24 febbraio 1986 e dalla delibera della giunta regionale n. 10018 del 22 novembre 1988) ed era richiesto un parere dell'Autorita' preposta alla tutela dei vincoli, la mancanza del quale, inoltre, costituiva circostanza incompatibile con la concessione in sanatoria che l'attrice affermava di aver acquisito in virtu' del silenzio-assenso dell'amministrazione. 3. - Alla prima udienza di comparizione del 5 ottobre 2000 il g.i. ha assegnato alle parti un termine per memorie e riservato la decisione sul prosieguo della causa in considerazione della rilevanza e apparente fondatezza dell'eccezione sollevata dal convenuto. Osserva in diritto 4. - Come fondatamente eccepito dal comune di Roma la controversia in esame rientra tra quelle - "aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia" - devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a., ai sensi del citato art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, norma questa non toccata dalla sentenza n. 292/2000 della Corte costituzionale (che ha dichiarato, nella materia di servizi pubblici, la parziale incostituzionalita' dell'art. 33 del d.lgs. cit. in relazione all'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega con riferimento all'art. 11, comma 4, lettera g, legge 15 marzo 1997, n. 59) e, del resto, estranea alla questione di costituzionalita' sollevata dalle sezioni unite della Corte di cassazione (ord. n. 43/2000) con esclusivo e specifico riferimento alla parte dell'art. 34 che sottrarrebbe al g.o. e devolverebbe al g.a. in esclusiva le controversie sui "diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali della pubblica amministrazione in procedure espropriative finalizzate alla gestione del territorio". Il predetto articolo 34 costituisce la fonte normativa diretta dell'attribuzione al g.a. della controversia in esame in cui la societa' attrice ha proposto un azione di risarcimento del danno contro il comune di Roma a causa dell'illegittimo esercizio della funzione pubblica concernente il mancato rilascio della licenza di abitabilita'. In mancanza di questa disposizione, infatti, non potrebbe dubitarsi della giurisdizione del g.o., in considerazione del principio secondo cui "l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 del codice civile nei confronti della p.a. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene e' proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice cui spetta, in linea di principio, la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo..."; infatti "stabilire se la fattispecie di responsabilita' per atti o provvedimenti illegittimi dedotta in giudizio sia riconducibile al paradigma dell'art. 2043 del codice civile costituisce questione di merito, atteso che l'eventuale incidenza della lesione su una posizione di interesse legittimo non deve essere valutata ai fini della giurisdizione, bensi' ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, in quanto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante" (in tal senso v. Cass. S.U. n. 500/1999). Il nuovo criterio di ripartizione delle competenze dei due organi giurisdizionali, fondato sulla delimitazione legislativa delle "materie" attribuite al g.a. in via esclusiva, cioe' con cognizione piena (di annullamento e di risarcimento) estesa ai diritti soggettivi, rende irrilevante l'obiezione che nel tentativo di dimostrare l'infondatezza dell'eccezione sulla giurisdizione (e, quindi, l'inapplicabilita' dell'art. 34 d.lgs. cit.) e' stata sollevata dalla societa' attrice, secondo cui la proposta domanda risarcitoria troverebbe radice non nell'illegittimo mancato rilascio della licenza di abitabilita' (che invece la Tosirom afferma di aver ottenuto per effetto del silenzio-assenso sulla sua istanza) ma nel comportamento dei funzionari del comune di Roma che, avendo riferito al promissario acquirente il fatto (asseritamente) non corrispondente al vero del mancato rilascio della licenza, avrebbe provocato la risoluzione del contratto e alla Tosirom i danni conseguenti. Questa alternativa prospettazione, che mira a valorizzare l'illiceita' della condotta del comune sotto il profilo della violazione del principio del neminem laedere (per informazioni inesatte rese al promissario acquirente), non e' utile a far venir meno l'inerenza della controversia alla materia "edilizia", dovendo infatti il giudice - al quale spetta il compito di stabilire l'imputabilita' dell'evento dannoso alla (responsabilita' della) p.a. "come apparato" (costituendo la colpa e il dolo requisiti essenziali della responsabilita' aquilina ex art. 2043 del codice civile: v. Cass. S.U. n. 500/1999 cit.) - valutare se la Tosirom abbia effettivamente ottenuto o meno la licenza di abitabilita', da cio' dipendendo la decisione sul merito della domanda risarcitoria. La qualificazione dell'oggetto della controversia come inerente alla materia "edilizia" si deduce, del resto, dalla configurazione normativa del certificato di abitabilita' come attestante "sia l'inesistenza di cause di insalubrita' sia la conformita' urbanistico-edilizia del manufatto" (in tal senso, Cass., III sez. pen., 5 marzo 1997, in Cons. St., 1998, II, 406; l'art. 220 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, infatti, prevedeva che i progetti di costruzione "che comunque possono influire sulle condizioni di salubrita' delle case esistenti, debbono essere sottoposti al visto del podesta', che provvede previo parere dell'ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia"; l'art. 4 del d.P.R. n. 425/1994 cit. ribadisce nella sostanza le condizioni gia' richieste dall'abrogato art. 221 r.d. cit.: dimostrazione della salubrita' degli ambienti e della conformita' della costruzione al progetto); e' confermata dall'ampiezza della formulazione legislativa contenuta nell'art. 34 del d.lgs. n. 80/1998 che fa generico riferimento agli atti, ai provvedimenti e ai comportamenti delle amministrazioni pubbliche "in materia urbanistica ed edilizia" nonche' dalla estensiva interpretazione che significativamente la giurisprudenza ha dato della materia urbanistica (v. Cass. S.U. nn. 43/2000 cit.; 493/2000). 5. - Il difetto di giurisdizione del giudice adito nella presente controversia rende rilevante la questione, non manifestamente infondata e che si solleva d'ufficio, della legittimita' costituzionale del citato art. 34, con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione (l'art. 34 e' stato riprodotto dall'art. 7 della legge n. 205/2000 che e' entrato in vigore successivamente all'introduzione del presente giudizio). Il dubbio di costituzionalita' della suddetta previsione normativa concernente l'attribuzione al g.a. dell'intera materia (per quanto qui rileva) dell'urbanistica ed edilizia sara' argomentato secondo un ordine logico che, partendo da una necessaria e sintetica premessa di carattere generale, prendera' in considerazione ciascuno dei parametri costituzionali richiamati. 6. - Premessa. Come e' stato unanimemente osservato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (v. Cons. Stato, ad. pl., n. 1/2000, punto 4.1), il d.lgs. n. 80/1998 e la legge n. 205/2000 (v., ad es., il nuovo comma 4 dell'art. 35 del d.lgs. n. 80/1998, introdotto dall'art. 7 legge n. 205/2000, nella parte in cui ha conferito al g.a. il potere risarcitorio pieno anche al di fuori della sua giurisdizione esclusiva) hanno realizzato "un cambiamento di rilievo storico nell'ordinamento" che "incide in via immediata sul riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario" (sono parole del Cons. St., ad. gen., parere 12 marzo 1998, n. 30): il criterio tradizionale, ritenuto superato e di difficile applicazione, fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, e' stato sostituito da quello caratterizzato dalla individuazione legislativa delle materie attribuite al g.a., presso il quale, in considerazione dell'estrema vastita' e rilevanza delle stesse, si e' inteso concentrare quasi l'intera gamma delle piu' rilevanti controversie nei confronti della pubblica amministrazione, lasciando al g.o. la giurisdizione per ipotesi sostanzialmente residuali. Questo disegno di politica legislativa, che e' giunto a compimento con le innovazione legislative di cui si parla, e' invero il risultato di una tendenza espansiva della giurisdizione esclusiva realizzatasi nell'ultimo decennio mediante l'attribuzione al g.a. di specifiche materie a prescindere dalla qualificazione paritetica ovvero autoritativa dell'azione amministrativa e, quindi, dalla sussistenza di diritti soggettivi o di interessi legittimi vantati nei confronti della p.a. (si possono citare ad esempi: l'art. 1, comma 26 e 27, legge n. 249/1997 in materia di comunicazioni e telecomunicazioni; l'art. 2, comma 25, legge n. 481/1995 in materia di servizi di pubblica utilita'; l'art. 6, comma 19, legge n. 537/1993, mod. dall'art. 441 legge n. 724/1994 in materia di contratti per la fornitura di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche; l'art. 7 legge n. 287/1990 in materia di tutela della concorrenza e del mercato; l'art. 11, legge n. 241/1990 in materia di accordi sostitutivi con la p.a.). La rilevanza del fenomeno, che segna una vera e propria trasfigurazione del g.a. in giudice (quasi naturale) delle controversie in cui sia parte una p.a. e che ha consentito ad alcuni autori di affermare che ormai il criterio di attribuzione della giurisdizione riposa (neanche sulla qualita' pubblica di una parte del rapporto ma) sull'oggettiva rilevanza pubblica di questo e cioe' degli interessi controversi (secondo l'assunto che la forma giuridica del soggetto non incide sulla natura della funzione esercitata), trova sostegno anche nell'utilizzazione che la giurisprudenza ha fatto della nozione di "organismo di diritto pubblico" per fini (che invece erano irrilevanti per il diritto comunitario cui quella nozione apparteneva) di criterio di riparto interno della giurisdizione (non e' questa la sede per affrontare questa complessa tematica: e' sufficiente richiamare: Cons. St., VI sez., n. 498/1995; V sez., n. 1577/1996; VI sez., n. 1478/1998; Cass. S.U. n. 12200/1998). Indubbiamente, com'e' stato da altri osservato, l'evoluzione del modello organizzativo dello stato e il suo aprirsi alle istanze democratiche introdotte dalla Costituzione (si pensi allo sviluppo delle autonomie e all'ordinamento pluralista, al riconoscimento e al sorgere di nuovi diritti, all'intervento dello stato nell'economia e, nel contempo, alla sottoposizione della stessa p.a. alle leggi del mercato e al diritto comune, anche a causa dell'influenza del diritto comunitario) ha messo in crisi il momento autoritativo che tradizionalmente caratterizzava il rapporto tra l'apparato statale (titolare dell'interesse pubblico) e la societa' civile e i cittadini (momento della liberta') e la stessa nozione di pubblica amministrazione, come considerata dall'art. 26 r.d. n. 1054/1924 (che attribuisce al Consiglio di Stato di decidere "contro atti e provvedimenti di un'autorita' amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante"; v. artt. 2 e 3 legge n. 1034/1971 che fanno riferimento agli "organi" dello Stato e degli altri enti pubblici), ha perduto i suoi tradizionali tratti identificativi (si pensi soltanto all'ampliamento del fenomeno delle concessioni con delega di potesta' pubbliche ai concessionari ed agli enti aventi struttura e forma giuridica civilistica chiamati a svolgere attivita' di interesse pubblico: v. art. 22 legge n. 142/1990). Il profilarsi del cosiddetto modello "negoziale" di azione amministrativa, spesso caratterizzato dallo schema dell'accordo tra p.a. e destinatari di quell'azione (v. ad es. l'art. 11, legge n. 241/1990), ha fatto entrare in crisi la figura dell'atto amministrativo quale espressione del momento autoritativo e la stessa configurazione della giustizia amministrativa (tradizionalmente costruita in termini di giurisdizione di legittimita' di carattere impugnatorio degli atti amministrativi cui corrispondevano posizioni di interessi legittimo) come momento di controllo giurisdizionale della dialettica autorita' - liberta'; al contempo, e' emersa la figura della "funzione amministrativa" quale esercizio di attivita' e prestazioni rese dalla p.a. (che vi era obbligata da ragioni di solidarieta' sociale) nell'interesse pubblico (nelle piu' disparate materie: sanitaria, previdenziale, assistenziale, della istruzione e sicurezza pubblica ecc.) e hanno avuto riconoscimento le posizioni soggettive pretensive del privato nei confronti della p.a. (v. Cass. S.U. n. 500/1999). E' venuto cosi' in luce il problema del controllo giurisdizionale dell'attivita' amministrativa (sotto il profilo, per usare una felice formula, del "vizio della funzione") nel cui ambito e' sempre piu' rilevante (a scapito di quello decisorio che si realizza come espressione di volonta' del potere pubblico) il momento conoscitivo e di valutazione di parametri normativi precostituiti (in norme sovralegislative costituzionali e comunitarie, legislative o di rilevanza normativa secondaria), nell'ambito del nuovo procedimento amministrativo disciplinato dalla fondamentale legge n. 241/1990. Il giudizio amministrativo classico rivelava la sua intrinseca inidoneita' a dare piena tutela a situazioni soggettive che richiedevano una valutazione piena del fatto (secondo lo schema di giudizio sul rapporto) e pieni poteri decisori non limitati all'annullamento dell'atto; ma, soprattutto, qui interessa sottolineare che l'espansione dell'area dei diritti soggettivi (si pensi solo all'art. 32 Cost.) come effetto del carattere (come si e' detto) sempre piu' vincolato o paritetico dell'azione amministrativa, alla luce del principio di uguaglianza sul quale si tornera' piu' avanti, non derogato dalla (peraltro solo eventuale) qualita' istituzionalmente pubblica di una parte, avrebbe dovuto condurre, secondo una linea di prevedibile evoluzione storica valutata alla luce dei parametri costituzionali, all'ampliamento della giurisdizione del g.o. (al quale, del resto, sono state attribuite gran parte delle controversie in materia di pubblico impiego in conseguenza della, peraltro solo parziale, privatizzazione sostanziale del rapporto) e alla corrispondente limitazione di quella del g.a. Questa evoluzione, infatti, e' stata vista come rappresentativa della regressione dell'interesse legittimo in favore della categoria relazionale diritto-obbligo, a nulla rilevando che l'amministrazione conservi in tale rapporto posizioni di supremazia, sostenendosi che quale che sia la situazione soggiacente al provvedimento o all'omissione della p.a., quale che sia la condotta richiesta alla p.a., e' il dovere di comportarsi secondo buona fede che grava su di essa e di tutelare l'affidamento degli amministrati che, ove violato, ne genera la responsabilita'. Queste osservazioni, pur fatte a scopo solo introduttivo dell'esposizione dei dubbi di legittimita' costituzionale che seguira', non sono superflue ai fini del giudizio di intrinseca razionalita' dell'art. 34 d.lgs. n. 80/1998, sotto il profilo del coerente esercizio della discrezionalita' legislativa con riguardo all'evoluzione storica del sistema e ai presupposti del nuovo riparto delle competenze giurisdizionali (l'intrinseca irragionevolezza sara' argomentata anche nel paragrafo 7 a), parte finale, e 9 a). L'ampliamento delle attribuzioni del g.a. e' stato realizzato facendo ricorso a quella giurisdizione esclusiva, residualmente disciplinata nel r.d. n. 1054/1924 e nella legge n. 1034/1971, che consentiva il superamento del vincolo costituito dall'impugnazione dell'atto e, soprattutto, l'estensione della giurisdizione amministrativa ai diritti soggettivi. E' della costituzionalita' di questo ampliamento (riguardo alla specifica materia edilizia di cui tratta l'art. 34 d.lgs. n. 80/1998) che si dubita. 7. - Con riferimento agli art. 100, primo comma , 102, primo comma, 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost. La conformita' della nuova giurisdizione esclusiva per materia ai suddetti parametri costituzionali e' stata dal Consiglio di Stato e da una parte della dottrina affermata come conseguenza del superamento storico e dell'erosione (dimostrata anche dalla legislazione degli anni '90) del tradizionale criterio di riparto, ritenuto inattendibile, fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi; l'attribuzione al g.a. della cognizione dei diritti soggettivi - si sostiene - sarebbe consentita dall'art. 103, primo comma, Cost.; questa evoluzione del sistema, inoltre, sarebbe coerente con il principio delle pluralita' delle giurisdizioni presente nella nostra carta fondamentale nonche' con la specializzazione del g.a. a decidere nelle controversie "speciali" in cui sia parte una p.a. 7. a) - E' in sostanza contestato che il g.o. sia nel nostro ordinamento costituzionale il giudice naturale (su questo aspetto si tornera' al successivo p. 8) dei diritti soggettivi tra privati nonche' tra privati e p.a., salvo le eccezioni specificamente previste dalla legge (che tali devono rimanere e che devono sempre avere adeguata e coerente giustificazione). Cio', invece, risulta dall'evoluzione storica del nostro ordinamento che fonda le proprie radici nella legge n. 2248, allegato E, del 1865: "Sono devolute alla giurisdizione ordinaria (...) tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorche' siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorita' amministrativa" (art. 2) e nel r.d. n. 1054 del 1924 che attribuisce "al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi (...) contro atti e provvedimenti di una autorita' amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici" (art. 26). Secondo autorevoli e condivisibili opinioni, la Costituzione, confermando il sistema in precedenza vigente, ha elevato i suddetti principi contenuti nella legge del 1865 a norme di ordine costituzionale, non modificabili, quindi, se non con il procedimento di revisione costituzionale; la carta costituzionale, inoltre, pur non innovando rispetto al criterio di riparto fondato sulle posizioni soggettive fatte valere (cioe', in sostanza, sulla causa petendi), ha segnato un deciso passo avanti verso le istanze di tutela dei privati nei confronti della p.a. (come e' dimostrato dall'art. 113, secondo e terzo comma, Cost.). Infatti, nel nostro ordinamento costituzionale il g.o. e', salvo eccezione, il giudice dei diritti con tendenziale generalita' ed illimitatezza delle sue attribuzioni (in tal senso, v. Corte della Costituzione n. 641/1987). Cio' risulta chiaramente ed e' dimostrato dall'art. 102, primo comma, della Costituzione ("La funzione giurisdizionale e' esercitatada magistrati ordinari"); dall'art. 113, primo comma ("Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione [rispettivamente] ordinaria o amministrativa"); dalla residualita' dell'attribuzione al g.a. della cognizione dei diritti soggettivi (art. 103, primo comma: "Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi") e, per converso, dalla possibilita' riconosciuta al legislatore ordinario (v., in tal senso, Corte Costituzionale n. 32/1970), di cui il legislatore si e' spesso avvalso, di attribuire al g.o. i poteri di annullamento dell'atto amministrativo (art. 113, secondo e terzo comma: "Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione..."); dalla completezza della tutela offerta dal g.o. rispetto agli atti e ai comportamenti illeciti ovvero nell'ambito dell'attivita' di diritto privato della p.a. (com'e' dimostrato dalla tendenziale pianificazione sostanziale di quest'ultima ai privati rivelata anche dalla sua progressiva sottoposizione al diritto comune) e dalla pienezza di cui e' dotato il g.o. nella conoscenza dei vizi di legittimita' dell'atto (compresi, almeno in parte, quelli derivanti dalla violazione della legge n. 241/1990), seppur ai soli fini della disapplicazione (v., tra le altre, Cass. S.U. n. 4670/1997); poi, soprattutto, dal diritto vivente (v. Cass. S.U. n. 500/1999) che, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno (la cui prospettazione in giudizio e' idonea da sola a radicare la giurisdizione ordinaria) nei casi di lesione di posizioni soggettive qualificabili non solo come interessi oppositivi (i c.d. diritti affievoliti) ma anche come interessi pretensivi ad opera dell'attivita' illegittima della p.a., ha contribuito a rafforzare l'equazione costituzionale "g.o. = giudice dei diritti", come effetto anche del superamento della tradizionale pregiudizialita' del giudizio amministrativo di annullamento e dell'estensiva applicazione dell'istituto della "disapplicazione" dell'atto amministrativo. Significativa della forza espansiva della giurisdizione ordinaria, del resto, e' l'interpretazione estensiva data alla figura, che rileva ai fini del riparto delle giurisdizioni, della carenza di potere in concreto: "la giurisdizione e' riservata al g.o. se il privato contesta in radice l'esistenza del potere discrezionale ovvero sostiene che il potere e' esercitato al di fuori dei limiti posti dalle norme che lo regolano, con la riserva, comune ad entrambe le ipotesi, che il preteso diritto sia configurabile" (Cass. S.U. n. 776/1968). Si deduce da queste considerazioni che l'asserito superamento storico della distinzione delle posizioni soggettive dei privati nei confronti della p.a. in diritti soggettivi ed interessi legittimi non solo deve fare i conti con la nostra carta costituzionale che su di essa fonda il riparto delle giurisdizioni ma, se e' avvenuto, e' stato a tutto vantaggio dei diritti soggettivi (v. par. 6). 7. b) - Si sostiene, inoltre, che il nuovo criterio di riparto delle giurisdizioni "per blocchi di materie" sarebbe giustificato dall'art. 103, primo comma, della Costituzione che consente l'attribuzione al g.a. della cognizione dei diritti nell'ambito della c.d. giurisdizione esclusiva. La residualita' delle controversie appartenenti a questa giurisdizione (come da elenco contenuto negli artt. 29 r.d. n. 1054/1924 e 7 legge n. 1034/1971), caratterizzata tradizionalmente dalla sicura e necessaria compresenza o coabitazione nella stessa controversia dedotta in giudizio (e non gia' genericamente nella stessa materia) di posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo legate da un inestricabile noto gordiano, e' ben presente nella Carta costituzionale che, nell'art. 103, primo comma, consente al giudice degli interessi la cognizione "in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi"; e si deduce, inoltre, dal divieto (stabilito dagli artt. 30, secondo comma, r.d. n. 1054/1924 e 7, terzo comma, legge n. 1034/1971) per il g.a. di conoscere nelle stesse controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva dei diritti patrimoniali conseguenziali (significativa nel senso della rilevanza di questa limitazione, prima delle leggi nn. 59/1997 e 205/2000, e' la sent. n. 292/2000 della Corte cost.). Sostanzialmente coerente con l'attribuzione costituzionale della cognizione dei diritti al g.o., che si risolve anche in un vincolo per il legislatore ordinario (v. p. 8), e' l'evoluzione della giurisdizione esclusiva, caratterizzata dall'attribuzione al g.a. (non di blocchi di materie ma) di specifiche controversie caratterizzate dalla compresenza delle due posizioni soggettive tradizionali (si pensi al criterio di riparto in materia concessoria ai sensi dell'art. 5, primo e secondo comma, legge n. 1034/1971). Anche nella legislazione degli anni '90 (v. rif. al p. 6), che pure ha segnato l'inizio della metamorfosi della giurisdizione esclusiva, vi e' traccia della tendenza normativa a conservare al g.o. la cognizione dei diritti (si vedano gli artt. 33 legge n. 287/1990, che attribuisce al g.a. la giurisdizione sui ricorsi avverso i provvedimenti dell'autorita' garante della concorrenza e del mercato e al g.o. la giurisdizione sulle azioni di nullita' e di risarcimento del danno derivanti dalle violazioni delle norme di settore, e 7, commi 11 e 13, legge n. 74/1992, che attribuisce al g.a. in via esclusiva di decidere sui ricorsi avverso le decisioni adottate dall'autorita' garante ma fa salva la giurisdizione ordinaria in materia di concorrenza sleale). Non puo' negarsi, peraltro, che la struttura impugnatoria dei giudizi e la natura amministrativa delle c.d. autorita' indipendenti solo apparentemente costituiscono elementi idonei a giustificare la giurisdizione (esclusiva) del g.a. nell'accezione tradizionale di cui s'e' parlato (l'unica costituzionalmente accettabile), stante la potenziale consistenza (esclusiva) di diritto delle posizioni soggettive incise dalle decisioni delle stesse autorita'; del resto, in controtendenza, la legislazione recente offre spunti nel senso della riaffermazione della giurisdizione ordinaria in materia di diritti nonostante la natura amministrativa dell'autorita' e la struttura impugnatoria del giudizio (v. art. 29 legge n. 675/1996 in materia di protezione dei dati personali). Il legislatore del 1998 e del 2000 ha invece segnato in modo deciso l'abbandono della tradizionale concezione della giurisdizione esclusiva e l'approdo ad un nuovo tipo di giurisdizione nella quale la cognizione dei diritti da parte del g.a. prescinde del tutto dalla coesistenza (e, quindi, dalla cognizione da parte dello stesso giudice), nella specifica controversia, di posizioni di interesse legittimo. E' evidente che se e' assente un interesse legittimo (configurabile rispetto all'esercizio di un'attivita' amministrativa discrezionale della p.a. e cioe', in altri termini, nelle controversie in cui la p.a. agisca come pubblico potere) e se la posizione soggettiva del privato e' di esclusivo diritto soggettivo (perche' l'azione proposta in giudizio e' di risarcimento del danno, com'e' appunto avvenuto nella controversia in esame, ovvero perche' il privato si oppone all'attivita' illecita o materiale della p.a. ovvero perche' si tratta di diritti incomprimibili ovvero perche' la p.a. agisce iure privatorum), cioe' in altri termini se e' assente quell'inestricabile nodo gordiano delle posizioni soggettive azionate in giudizio che consente al giudice degli interessi di conoscere anche dei diritti (la cui cognizione e' riservata dalla Costituzione al g.o.), consistente e' il dubbio della legittimita' costituzionale (v., sul punto, le osservazioni di Cass. S.U. n. 5559/1981 in materia elettorale e di Cass. S.U. n. 2957/1984 in materia di concessioni edilizie nella legge n. 10/1977). Il medesimo dubbio non e' fugato accogliendo l'autorevole opinione secondo cui la giurisdizione esclusiva consiste in "qualcosa di diverso di un puro e semplice trasferimento di controversie su diritti soggettivi; e' stato il conferimento, a quel giudice [il g.a.], di un intero territorio popolato sia da diritti soggettivi che da interessi legittimi, ma soprattutto da figure in cui le dette situazioni si presentavano e si presentano cosi' connesse e di tanto incerta qualificazione da suggerire la soluzione dell'attribuzione in blocco ad un giudice unico delle controversie che le riguardano". Il legislatore del 1998 e del 2000, infatti, ha attribuito la cognizione di intere materie al g.a. a prescindere da ed in mancanza di qualsiasi incertezza nella qualificazione delle posizioni soggettive fatte valere in termini di diritto soggettivo (si pensi alla domanda di risarcimento del danno nella controversia in esame nell'ambito della materia edilizia ove la situazione giuridica sostanziale dedotta e' indiscutibilmente di diritto all'integrita' patrimoniale). Dei seri dubbi di costituzionalita' di questa scelta legislativa e' consapevole anche la Corte di Cassazione "atteso che detta norma [l'art. 103 Cost.] nel costituzionalizzare la giurisdizione speciale del giudice amministrativo, ne ha contestualmente anche circoscritto l'ambito a controversie comunque correlate all'interesse generale, in quanto volte alla tutela di (collegate) posizioni di interesse legittimo o "in casi particolari" "anche" di diritti soggettivi, senza possibilita' di indiscriminata estensione a tipologie di liti, come quella in esame, coinvolgenti unicamente diritti patrimoniali" (sent. n. 72/2000). Del resto, pur accedendo alla tesi secondo cui il costituente (all'art. 103, primo comma ) avrebbe dato facolta' al legislatore di attribuire al g.a. la cognizione di posizioni qualificabili immediatamente come diritti soggettivi, a prescindere cioe' dalla coesistenza con interessi legittimi ovvero dall'incertezza nella qualificazione della situazione sostanziale, il dubbio di legittimita' costituzionale persiste: questa facolta', infatti, com'e' dimostrato dalla storia della giustizia amministrativa e dall'assetto costituzionale delle giurisdizioni, non puo' che essere un'eccezione ("in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi") e sempre giustificata da un significativo grado (sul quale si tornera' piu' avanti) di peculiarita' della controversia in cui sia parte una p.a. (alla "peculiarita'" della controversia hanno fatto riferimento, ad es., le sentt. della Corte della Costituzione n. 185/1981 e 100/1984 per giustificare la costituzionalita' dell'attribuzione al g.a. delle controversie sull'indennita' di buonuscita dei dipendenti dello Stato e delle aziende autonome). E' evidente che la recente attribuzione al g.a. di intere rilevantissime materie (edilizia, urbanistica, servizi pubblici, gare e procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture in qualsiasi materia, oltre a quelle, considerevoli, gia' attribuite negli anni '90), per giunta spesso di generica e incerta identificazione (cosa che contribuisce ad interpretazioni ancor piu' estensive), ha oggettivamente determinato un'inversione nel rapporto tra la regola (che ha nel g.o. il giudice dei diritti nei confronti anche della p.a.: "la funzione giurisdizionale dev'essere esercitata, salve le eccezioni introdotte nella stessa Costituzione, dai magistrati ordinari": in tal senso, v. Corte della Costituzione n. 41/1957) e l'eccezione, facendo cosi' di quest'ultima la regola e configurando il g.a. come nuovo giudice ordinario nelle controversie in cui sia parte una p.a., in violazione anche dell'art. 100, primo comma, della Costituzione che significativamente lo considera come giudice "nell'amministrazione" e non "dell'amministrazione". 7. c) - La legittimita' della scelta operata dal legislatore e' sostenuta da alcuni autori che hanno invocato l'inesistenza nel nostro ordinamento di un principio di unita' della giurisdizione, avendo la Costituzione optato per il diverso principio della pluralita' delle giurisdizioni, cosa che giustificherebbe l'esistenza di giudici diversi specializzati in settori diversi dell'ordinamento. Pur ammettendo questa premessa (ma la Corte costituzionale ha piu' di una volta affermato esistente nel nostro ordinamento il principio generale, pur tendenziale, di unita' della giurisdizione: v. sentt. n. 41/1957 cit.; 48/1959), questi autori pero' non arrivano al punto di intendere la pluralita' delle giurisdizioni nel senso di ammettere l'esistenza di piu' giudici che decidano controversie identiche ovvero non caratterizzate da una sostanziale ed intrinseca reciproca diversita' con riguardo all'oggetto e alle posizioni soggettive delle parti. Infatti, essi leggono il principio di pluralita' delle giurisdizione in funzione di una assenta specificita' delle materie devolute al g.a., in considerazione della peculiarita' della p.a. come parte pubblica ovvero della rilevanza pubblica dell'oggetto della controversia. Tuttavia, le circostanze che nella controversia sia parte una p.a. ovvero, ancor meno, che il suo oggetto presenti un interesse pubblico ovvero che le leggi applicabili al rapporto siano (secondo un evanescente concetto) di natura "amministrativa", sono del tutto irrilevanti perche' e' alla consistenza delle posizioni soggettive fatta valere, in connessione al bene della vita chiesto in giudizio (petitum), che occorre aver riguardo ai fini del riparto delle giurisdizioni. Come un autorevole studioso scrisse nel 1964: "e' importante affermare la vigenza del principio della giurisdizione unica poiche' esso presuppone che i diritti soggettivi del privato siano tali non solo nei confronti degli altri privati, ma anche nei confronti dell'autorita' amministrativa; da questo presupposto consegue che giudice delle controversie con la pubblica amministrazione in ordine ai diritti soggettivi deve essere lo stesso giudice delle analoghe controversie tra privati". Se la situazione soggettiva vantata e' di diritto soggettivo, e' perche' la p.a. si e' posta sullo stesso piano del privato compiendo un'attivita' (in senso lato) illecita o agendo iure privatorum, sicche' ogni assenta specificita' viene meno e non puo' rilevare nella sede giurisdizionale, cosi' come non sembra che possa giustificare il nuovo criterio del riparto un'asserita specializzazione del g.a. a decidere nelle cause con la p.a., aventi natura civilistica, tradizionalmente riservate al g.o. 8. - Con riferimento agli art. 25, primo comma, e 102, secondo comma, Cost. La scelta del legislatore di attribuire al g.a. gran parte delle controversie in cui sia parte una p.a. dev'essere esaminata anche sotto il profilo della sua conformita' al principio costituzionale del giudice naturale. La diffusa tendenza a identificare il principio espresso dall'art. 25, primo comma, della Costituzione ("Nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge") in quello di giudice precostituito per legge, cosi' risolvendolo nel divieto di costituzione del giudice post factum, farebbe ritenere questo principio non utilizzabile al fine di sindacare la costituzionalita' delle leggi che incidono sulla materia giurisdizionale, come se la costituzione avesse riconosciuto al legislatore una discrezionalita' piena ed insindacabile in fatto di organizzazione delle giurisdizioni. Questa affermazione, anche alla luce di influssi provenienti da ordinamenti stranieri vicini alla nostra esperienza, merita forse di essere rivista almeno con riguardo a leggi (come il d.lgs. v. 80/1998 e la legge n. 205/2000) che incidono su profili non secondari o semplicemente procedimentali della giurisdizione (ad esempio in materia di regolamentazione del processo o della competenza del singolo giudice) ma, in maniera rilevantissima, sull'ordine costituzionale delle giurisdizioni. Questa espressione - che ha radice nella costituzione rivoluzionaria francese del 16-24 agosto 1790 (il cui art. 17 disponeva: "l'ordine costituzionale delle giurisdizioni non potra' essere alterato, ne' le parti sottratte ai loro giudici naturali") ed alla quale molti paesi hanno fatto riferimento come modello per l'edificazione dei moderni Stati di diritto - e' significativa nel senso che nel concetto di giudice naturale (e di giudice in senso lato in uno Stato democratico) confluiscono tutti i valori e i caratteri fissati nella costituzione. In questo senso il principio del giudice naturale si puo' interpretare (e lo e' stato in altri paesi; ad esempio in Germania ove lo stesso principio e' affermato nell'art. 101 della legge fondamentale) come vincolante per lo stesso legislatore ordinario che non potrebbe alterare l'ordine costituzionale, cioe' quel nucleo di principi che giustificano l'"essere giudice" in uno Stato di diritto. E' significativa, ad es., una decisione del Consiglio della Costituzione francese che dichiaro' incostituzionale una legge che attribuiva al g.o. il potere esclusivo di decidere sulla legittimita' di determinati atti amministrativi, affermando che "va inserito tra i "principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica" quello secondo cui, ad eccezione delle materie riservate per natura all'autorita' giudiziaria, appartiene in ultima istanza alla competenza della giurisdizione amministrativa il contenzioso relativo all'annullamento e alla riforma degli atti amministrativi che costituiscono l'espressione dei pubblici poteri" (CC. n. 86-224, 23 gennaio 1987). In Italia l'"essere giudice" riceve sostanza dai caratteri e dalle attribuzioni stabilite dalla Costituzione che riservano al g.o. la cognizione dei diritti e, nelle controversie aventi ad oggetto principale (e forse esclusivo) la valutazione di legittimita' dell'azione della p.a. come potere pubblico, al g.a. la cognizione degli interessi legittimi: questa regola puo' subire eccezioni ma non stravolgimenti. Anche la Corte costituzionale, del resto, affermando, ad esempio, "la maggiore idoneita' del giudice ordinario alla cura di interessi concernenti rapporti di natura paritaria" (v. sent. n. 641/1987) ovvero che "la Corte dei conti e' il giudice naturale in materia di pensioni a totale carico dello Stato" (v. ord. n. 388/1990), ha accolto del principio del giudice naturale un'interpretazione non tradizionale ma attenta ai valori su cui si fonda l'ordine costituzionale delle giurisdizioni, la cui violazione da parte del legislatore diviene suscettibile di controllo dal giudice delle leggi sotto il profilo della violazione anche dell'art. 102, secondo comma, della Costituzione ("Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali"): la sottrazione al g.o. della controversie sui diritti nell'intera materia urbanistica ed edilizia (per quanto qui interessa), infatti, finisce per connotare il g.a. come giudice speciale o straordinario vietato dalla Costituzione. 9. - Con riferimento agli artt. 3, primo comma, 24 e 111, settimo e ottavo comma (nella nuova numerazione ex legge Costituzionale n. 2/1999), Cost. 9. a) - Ancor piu' grave e' il dubbio di costituzionalita' con riguardo al principio di uguaglianza ("Tutti i cittadini [...] sono eguali davanti alla legge": art. 3), di cui costituisce aspetto fondamentale l'uguaglianza davanti alla giustizia e alla giurisdizione (art. 24): da qui la regola che le controversie aventi una natura giuridica uguale o affine siano giudicate dalla medesima giurisdizione o da giurisdizioni strettamente identiche anche nelle regole di composizione (cfr., ad es., Consiglio Costituzionale francese, n. 86-213, 3 ottobre 1986). Il disegno legislativo di unificare dinanzi al g.a. - che e' giudice diverso nella composizione rispetto al g.o. e privo di adeguata copertura costituzionale a garanzia della sua indipendenza e autonomia (v. l'art. 104, primo comma: "La magistratura [ordinaria] costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere", in confronto agli artt. 100, terzo comma e 108, secondo comma, Cost.: "La legge assicura l'indipendenza [del g.a.]"; v. anche gli articoli sul C.S.M.: 104, secondo comma e ss., e 105) - tutte le controversie (e, anzi, il che fa dubitare anche dell'intrinseca logicita' della legge, solo quelle ritenute di maggiore rilevanza) in cui sia parte una p.a. alimenta, come si e' gia' detto, il dubbio di costituzionalita' per la disparita' di trattamento tra i cittadini dinanzi alla giurisdizione, essendo l'individuazione del giudice fatta dipendere dalla qualita' soggettiva di una parte (la p.a.), alla quale la Costituzione, specie quando essa non esercita un "potere" riconosciutole dalla legge o si rapporta ai privati su un piano di parita', non riconosce alcun privilegio o statuto particolare (si pensi all'ingiustificata disparita' di trattamento che, nella stessa materia edilizia, si avrebbe se la controversia coinvolga solo privati, che rimarrebbe al g.o. pur se, ad es., il fatto illecito dedotto abbia causa in una condotta o in un comportamento dell'amministrazione, ovvero sia proposta direttamente nei confronti di una p.a.). Il dubbio di costituzionalita' e' aggravato dalla mancanza di elementi normativi sicuri per identificare nell'attuale momento storico il soggetto "p.a.", stante la tendenza (di cui s'e' fatto cenno al paragrafo 6) a valorizzare a questo fine parametri incerti ed evanescenti come quelli dell'interesse pubblico dell'attivita' svolta e a svalutare altri piu' sicuri quali la forma e la struttura giuridica del soggetto, con il conseguente rischio di ampliare a dismisura la giurisdizione amministrativa attribuendole ogni controversia avente una generica rilevanza pubblica (come se questa fosse incompatibile con la cognizione da parte del g.o.). La concretezza di questo rischio, del resto, e' corroborato dal nuovo testo dell'art. 34 sostituito dalla legge n. 205/2000 che, nel devolvere al g.a. le controversie in materia edilizia, fa riferimento agli atti, ai provvedimenti e ai comportamenti non solo delle amministrazioni pubbliche ma anche "dei soggetti alle stesse equiparati". 9. b) - Un ulteriore e ancor piu' grave dubbio di costituzionalita' e' stato prospettato con riguardo all'art. 111, ora settimo e ottavo comma, della Costituzione ("Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liberta' personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge... Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione"). Come rilevato dalla Corte di cassazione (v. sent. S.U. n. 72/2000 cit.): "Anche l'art. 3 della Costituzione potrebbe risultare vulnerato, sia sotto il profilo della (dubbia) ragionevolezza di una scelta distributiva tra due diversi plessi giurisdizionali di controversie identicamente attinenti a vicende di inadempimento di obbligazioni di diritto comune; sia sotto il profilo dell'eguaglianza, cui si riconduce l'esigenza della uniforme interpretazione della legge che (stante la non ricorribilita' delle sentenze dei giudici amministrativi per violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c.) non avrebbe, viceversa, strumento alcuno per attuarsi a fronte di differenti orientamenti (e di un diverso "diritto vivente", quindi) che dovesse (e lo potrebbe) formarsi in ordine a medesime disposizioni codicistiche nelle non comunicanti giurisprudenze dei giudici ordinari e amministrativi". La previsione costituzionale dell'impugnabilita' delle sentenze del g.a. per i soli motivi inerenti alla giurisdizione alle sezioni unite della Cassazione aveva nel sistema la razionale giustificazione nella sufficiente eterogeneita' ed incomparabilita' dei territori occupati dai diversi plessi giurisdizionali, sicche' ridotto era il pericolo di orientamenti giurisprudenziali contrastanti e l'uniforme interpretazione della legge era assicurata dalla Corte di cassazione nell'ambito della giurisdizione ordinaria e dal Consiglio di Stato (e dalla Corte dei conti) nell'ambito della giurisdizione amministrativa. La situazione oggi e' del tutto mutata: l'attribuzione al g.a. della giurisdizione esclusiva su interi settori dell'ordinamento e la pienezza dei poteri decisori riconosciutigli (si veda il gia' citato comma 4 dell'art. 35 d.lgs. n. 80/1998, mod. dalla legge n. 205/2000, che ha conferito al g.a. il potere risarcitorio anche al di fuori della giurisdizione esclusiva e nell'ambito della sua giurisdizione generale di legittimita') rendono concreto e forte il rischio di contrasti giurisprudenziali tra le decisioni dei due giudici, essendo il g.a. ormai proiettato in una dimensione civilistica che fino a ieri era territorio esclusivo del g.o. (si pensi alle categorie, che dovranno d'ora in poi essere applicate da Tribunale amministrativo regionale e Consiglio di Stato, del danno ingiusto, dell'imputabilita' del danno, del rapporto di causalita', del danno emergente e del lucro cessante, del diritto all'integrita' patrimoniale, della perdita di chance, della libera determinazione negoziale ecc.). La non impugnabilita' in Cassazione delle sentenze del g.a. per violazione di legge confligge con il principio di uguaglianza non solo per la disparita' dei gradi di giudizio cui sono soggette le decisioni dei due plessi giurisdizionali (la Corte costituzionale, peraltro, non ha mancato di sottolineare la garanzia insita nella "sussistenza di tre gradi di giurisdizione": v. sent. n. 641/1987 cit.) ma, soprattutto, per la grave ed ingiustificata deroga al principio di nomofilachia esercitato dalla Cassazione (cui spetta di assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unita' del diritto oggettivo nazionale"), ai sensi dell'art. 65 dell'ordinamento giudiziario. Questo principio, avente copertura costituzionale nell'art. 111 della Costituzione (e in relazione al quale vanno letti anche gli artt. 363, 374, comma 2, 376, comma 3, 384, comma 2, c.p.c.), svolge la funzione (assicurata anche dalla prevedibilita' delle decisioni giurisdizionali) di realizzare l'unita' e la certezza del diritto e, soprattutto, l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e cioe' alla sua interpretazione, la quale postula la necessita' di sottoporre fattispecie identiche o simili (profilo questo sul quale non puo' incidere la qualita' soggettiva delle parti) a identica disciplina. Si tratta di un dubbio di costituzionalita' reso ancor piu' grave dall'essere il principio di uguaglianza annoverato tra i principi supremi dell'ordinamento costituzionale, non derogabile nemmeno dal legislatore costituente in sede di revisione costituzionale (v. Corte Costituzionale n. 1146/1988).
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione, che solleva d'ufficio, di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia edilizia, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 Cost.; Dispone la sospensione del presente giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e alle parti. Roma, addi' 16 novembre 2000. Il giudice: Lamorgese 01C0220