N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 2000

Ordinanza  emessa  il 20 dicembre 2000 dalla Corte di appello sezione
per i minorenni di Genova sul reclamo proposto da G. C.

Famiglia  -  Procedimenti  in  materia  di  famiglia e di stato delle
  persone - Applicabilita' del rito camerale in caso di conflitto tra
  genitori  non  uniti in matrimonio circa l'affidamento dei figli, e
  piu'  in  generale  nei  procedimenti  limitativi  o ablativi della
  potesta'    genitoriale    -    Denunciata   mancanza   di   regole
  legislativamente    predeterminate,    atte    a    garantire    il
  contraddittorio fra le parti in condizioni di parita' davanti ad un
  giudice  terzo  e  imparziale  - Sussistenza, nella fattispecie, di
  discrezionalita'  del  giudice  anche  in ordine ai contenuti della
  decisione   -  Contrasto  con  il  principio  del  giusto  processo
  "regolato dalla legge".
- Cod. proc. civ., artt. 737, 738 e 739; cod. civ., art. 336.
- Costituzione,  art. 111  (come  modificato  dall'art. 1 della legge
  costituzionale 23 novembre 1999, n. 2).
(GU n.14 del 4-4-2001 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Sul reclamo di G. C. per il minore C. A. avverso il provvedimento
emesso  dal  tribunale  per i minorenni Genova del 17 aprile 2000, ha
pronunciato la seguente ordinanza.
    Con  reclamo depositato in data 5 maggio 2000, G. C. impugnava il
provvedimento  del tribunale per i minorenni di Genova 20 - 21 aprile
2000,  che  respingeva  la  richiesta  di  affidamento del figlio A.,
confermandolo  al padre, con facolta' della madre di incontrarlo ogni
quindici  giorni, eventualmente anche con il fratello a lei affidato.
Il  primo  giudice  fondava  la  sua  decisione  sulla  relazione del
servizio  sociale, ove si precisava, a differenza di quanto affermato
dalla  madre,  che  il  minore  si trovava bene con il padre, era ben
inserito a scuola, si presentava curato e pulito, veniva accompagnato
regolarmente  agli  incontri con lo psicologo. Eccepiva la reclamante
la  incostituzionalita'  degli  artt. 333  -  336  c.c., in relazione
all'art. 111   della   Costituzione   novellato,  osservando  che  il
tribunale  minorile aveva fondato il suo provvedimento esclusivamente
sulla  relazione  presentata  dal  servizio, non portata a conoscenza
delle  parti,  nell'ambito di una procedura che "tollera" la presenza
del difensore, ma non la ritiene necessaria; nel merito affermava che
comunque  il  provvedimento  appariva  infondato,  non  essendosi tra
l'altro tenuto in alcun conto le preoccupazioni della madre, circa lo
stato  psico-fisico  del  figlio  e  ne  chiedeva  la totale riforma.
Nonostante  regolare  notifica, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., non si
costituiva C.F., padre del minore.
    All'odierna  udienza  sulle conclusioni della G. che si riportava
al reclamo e del P.G. che chiedeva svolgersi attivita' istruttoria, e
in particolare disporsi una consulenza tecnica, la Corte riservava la
decisione.
    L'art.    111    Cost.,   come   novellato   dall'art. 1,   legge
costituzionale    23 novembre   1999,   n. 2,   stabilisce   che   la
giurisdizione  si  attua  mediante  il giusto processo regolato dalla
legge e che ogni processo si svolge sul contraddittorio tra le parti,
in  condizioni  di parita' davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
Nella  specie,  due  genitori  non  uniti  in  matrimonio  contendono
sull'affidamento  di  un  figlio. La procedura e' quella disciplinata
dall'art. 336  c.c.  che  prevede il ricorso di uno dei genitori, dei
parenti, o del pubblico ministero, il provvedimento del tribunale "in
camera di consiglio" sentito il pubblico ministero, e l'audizione del
genitore,  se  il  provvedimento  e'  richiesto  contro  di  lui.  Il
riferimento  alla "camera di consiglio" richiama necessariamente tale
tipo   di  procedura  disciplinata  dagli  artt. 737  ss.  c.p.c.:  i
provvedimenti  prendono  forma  di  decreto  motivato;  il presidente
nomina  tra  i  componenti  del collegio un relatore che riferisce in
camera  di  consiglio;  il  giudice  puo'  assumere  informazioni; e'
ammesso  reclamo  alla Corte di appello, che pure pronuncia in camera
di   consiglio.   Va   ancora   considerato,   anche   se  di  natura
prevalentemente  sostanziale,  l'art. 317-bis  c.c.  per  cui,  se  i
genitori  non  uniti  in matrimonio, non convivono, l'esercizio della
potesta' spetta al genitore con cui il figlio convive o, in mancanza,
al  primo  che  ha  effettuato  il  riconoscimento;  ma  il  giudice,
nell'esclusivo  interesse del figlio, a mezzo del procedimento di cui
agli  artt. 336  c.c.  e  737  ss.  c.p.c., che si e' indicato, "puo'
disporre   diversamente"   e   puo'  escludere  entrambi  i  genitori
dall'esercizio della potesta', nominando un tutore.
    L'obiezione  che  si  potrebbe  sollevare  rispetto alla proposta
questione  di  legittimita' costituzionale e' la seguente: il "giusto
processo"  di cui all'art. 111 novellato, dovrebbe, in ambito civile,
operare soltanto per la giurisdizione contenziosa, di conflitto e non
per  i  provvedimenti  di volontaria giurisdizione, regolati appunto,
dagli   artt. 737   ss.   c.c.,   ma   l'obiezione   non  ha  pregio.
L'art. 742-bis   c.p.c.   precisa   che  le  disposizioni  comuni  ai
procedimenti in camera di consiglio, contenute nel titolo relativo ai
procedimenti  in  materia  di  famiglia  e  stato  delle  persone, si
applicano  appunto  "a  tutti  i procedimenti in camera di consiglio"
ancorche'  non  riguardanti  tali  materie,  ma la norma non fa alcun
riferimento  alla  volontaria  giurisdizione  cui  invece si riferiva
esplicitamente  il codice di rito previgente regolando i procedimenti
camerali.  Cio'  evidentemente dovrebbe significare che gli artt. 737
ss.  c.p.c.  disciplinano  (o possono disciplinare) pure procedimenti
estranei alla volontaria giurisdizione.
    Non   e'   questa   certo   la   sede   per  affrontare,  seppure
sommariamente,  le problematiche relative a natura, caratteri, limiti
della volontaria giurisdizione (che taluno, com'e' noto, considera al
di  fuori  della giurisdizione contenziosa). Basti osservare che, nel
suo  ambito,  non sussiste conflitto, perche' vi e' una sola parte, o
magari  piu'  parti  che  perseguono  il medesimo scopo: funzione del
giudice e' allora quella di un controllo, stante l'interesse generale
in  materia  (ad  es.  in  presenza di soggetti incapaci), volta alla
rimozione  di un ostacolo, al soddisfacimento di uno scopo perseguito
da  una  o  piu'  parti. Tipiche, in tal senso, le autorizzazioni del
giudice  tutelare  ex art. 320 c.c. Certo la previsione dell'art. 111
della Costituzione e' estranea a tali procedure.
    Differente  natura  rivestono  i  procedimenti  ex art. 333 e 330
c.c.(  di  limitazione  e  decadenza  della  potesta').  Si e' talora
sostenuto  che  anch'essi,  non  comportando  la presenza di parti in
conflitto,  rientrerebbero nell'ambito della volontaria giurisdizione
e  l'intervento  del giudice costituirebbe una forma di controllo del
comportamento  del genitore, nell'interesse preminente del minore. In
realta'   cosi'   argomentando  si  confondono  piani  essenzialmente
diversi.  E' vero che l'interesse (anzi il diritto) del minore appare
preminente su ogni altra posizione. E' la stessa Costituzione, in tal
senso,  a  pronunciarsi:  da un lato vi e' il diritto del minore allo
sviluppo  compiuto ed armonico della personalita', ad essere educato,
mantenuto,  istruito, secondo il combinato disposto degli artt. 2, 3,
30 Cost., dall'altro il diritto (che e' anche dovere) del genitore ad
educare,  mantenere  ed  istruire  il  figlio.  E tuttavia in caso di
"incapacita'"  del genitore, tale diritto cede di fronte all'esigenza
che  siano  comunque assolti i suoi compiti nei confronti del figlio.
Le  conseguenze  potranno  essere,  tra  l'altro la limitazione della
potesta'  (art. 333  c.c.),  o,  nei  casi  piu'  gravi, la decadenza
(art. 330  c.c.).  Ma  si  dovrebbe  per  questo  argomentare  che il
conflitto  si  risolva  sempre e comunque a favore del figlio minore,
che  il  giudice non e' terzo ne' imparziale e che si e' quindi fuori
della previsione dell'art. 111 Cost.?
    Il  rapporto processuale e' ben differente, dovendosi guardare ai
soggetti  della  procedura:  un  genitore,  un  parente,  il pubblico
ministero  nell'interesse  del  minore (il quale, com'e' noto, non e'
parte  nel procedimento) chiedono la limitazione o la decadenza della
potesta'  dell'altro  genitore.  Quest'ultimo ha certamente diritto a
difendersi e a dimostrare che non c'e' comportamento pregiudizievole,
abuso  dei  poteri o violazione di obblighi, e, piu' in generale, che
egli e' pienamente capace di educare, mantenere, istruire il figlio.
    Di  fronte  a  queste diverse prospettazioni, il giudice, che pur
deve perseguire l'interesse del minore, ed e' investito in tal senso,
di   notevoli  poteri  anche  officiosi,  appare  necessariamente  (e
processualmente) terzo ed imparziale. Dunque dovrebbe estendersi alla
procedura  ex art. 336 c.c. (in relazione degli artt. 333 e 330 c.c.)
la previsione dell'art. 111 Cost.
    Ma,  nel caso in esame, il modello procedurale e' ancora diverso:
non si tratta di "incapacita'" di uno o di entrambi i genitori, ma di
soggetti   che  contendono  tra  loro  sull'affidamento  del  figlio,
vantando,  ciascuno  di  essi,  una  maggiore  idoneita',  non  molto
diversamente  da quanto accade per i genitori uniti in matrimonio, in
sede di separazione o divorzio, in caso di contrasto sull'affidamento
dei  figli.  Ancor  piu'  palese appare l'esigenza che il giudice sia
terzo  ed imparziale, rispetto alle prospettazioni offerte da ciascun
genitore.  E  invece  il giudice minorile, talora confondendo appunto
piano  sostanziale  e processuale, si e' trasformato in procuratore e
"difensore"  dei  diritti  del  minore,  riducendo  drasticamente  le
garanzie  difensive  delle  parti  in  conflitto.  In taluni casi, il
giudice  minorile  viene  spinto  a  piegare il modello processuale a
quella  tensione finalistica che lo fa non tanto arbitro di conflitto
tra  diritti  contrapposti,  ma  investito  di un ruolo di governo di
interessi  sostanziali comunque sottratti all'autonomia privata. E si
puo'  aggiungere  sul punto che a fronte della latitudine della norma
sostanziale  che  individua  come  regola di giudizio l'apprezzamento
dell'interesse  del  minore,  e  della  sua  lesione, il principio di
legalita'  deve  essere  reso  particolarmente  intenso,  se si vuole
mantenere  il  carattere giurisdizionale del procedimento, attraverso
la  garanzia  del  rito.  La recente sentenza della Corte europea dei
diritti  dell'uomo del 15 luglio 2000 (Scozzari e Giunta - Italia) ha
in sostanza affermato la natura del diritto dei genitori a mantenere,
istruire   ed  educare  i  figli,  come  diritto  fondamentale  (tale
riconosciuto  anche  dall'art. 30 della nostra Carta costituzionale);
ma trattandosi di diritto, destinato a cedere, sul piano sostanziale,
di  fronte  alla  "incapacita' dei genitori" (art. 30, secondo comma,
Cost.),  la sua natura di diritto fondamentale, e comunque di diritto
soggettivo   pieno,  deve  esprimersi  compiutamente  nell'essere  le
ragioni dell'affievolimento del diritto, accertate in un procedimento
giudiziale  che  abbia,  quanto meno, la prescrizione legislativa dei
poteri processuali delle parti e del giudice (e consenta un controllo
pieno delle parti sulla legalita' degli atti del procedimento).
    Dunque,  per  quanto  si  e' detto, a maggior ragione anche nella
specie,  e'  pienamente operante la previsione del "giusto processo".
E'  consapevole  questo giudice che talora la Corte costituzionale ha
ritenuto  che  la  procedura camerale ex art. 737 c.p.c. non violi il
diritto   alla  difesa,  che  comunque  potrebbe  essere  assicurato,
nonostante  la  sua  lacunosa  disciplina  (ad  es.  con  riferimento
all'art. 10,  legge  n. 184  del  1983  e  alla  fase  anteriore alla
dichiarazione di adottabilita', Corte costituzionale n. 351 del 1989;
con  riferimento  all'art. 9,  legge  divorzio,  Corte costituzionale
n. 202 del 1975).
    Ma qui non tanto al diritto alla difesa si fa riferimento quanto,
come  si  diceva  all'esigenza  del  giusto  processo "regolato dalla
legge",  nel  contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita',
davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
    E'  indubbio  che  la  procedura in esame sia assai lontana dalla
previsione  costituzionale:  laddove,  ai  sensi  dell'art. 111 della
Costituzione  le parti dovrebbero essere titolari di precise facolta'
e  poteri processuali e lo svolgimento del processo medesimo dovrebbe
essere   sempre  controllabile  sulla  base  di  precise  indicazioni
normative  e  non  rimesso  alla discrezionalita' del giudice, cui le
parti  non  debbono soggiacere, la procedura in esame(ex art. 737 ss.
c.p.c.  e  336  c.c.)  e' sommaria e semplificata, non regolata dalla
legge   nelle   forme,  nei  tempi  cosi'  come  nelle  modalita'  di
svolgimento, ma al contrario dalla pura discrezionalita' del giudice;
nella fase istruttoria e decisoria, gli unici tratti regolati essendo
la  proposizione della domanda con ricorso, la nomina di un relatore,
l'assunzione di informazioni (non necessariamente nel contraddittorio
delle  parti),  la decisione con decreto motivato reclamabile davanti
alla Corte d'appello, ma sempre modificabile e revocabile.
    Nella    specie,    poi,   dovendo   il   giudice,   pronunciarsi
sull'affidamento  dei  figli,  ai  sensi  dell'art. 317-bis  c.c.  la
discrezionalita'  si spinge fino ai contenuti stessi della decisione:
infatti  il  giudice  puo'  affidare  il minore ad uno dei genitori o
comunque,  valutato l'interesse del minore stesso, escludere entrambi
dall'esercizio  della  potesta'  e  nominare un tutore ( al contrario
nell'ipotesi  di  genitori  uniti  in  matrimonio,  l'affidamento del
figlio  ad  un  terzo  sarebbe giustificato solo in presenza di gravi
motivi, ex art. 155 c.c.).
    Del  resto,  occorre  aggiungere che il procedimento si esaurisca
nella  descrizione  contenuta  all'art. 738. Anche l'attuazione di un
embrionale  contraddittorio,  le  cui  forme,  modi,  tempi  non sono
disciplinati   dalla   legge,   avviene   con  la  mera  convocazione
dell'interessato,  non  essendo comunque prevista la necessita' di un
difensore   tecnico;   e  non  essendo  frequentemente  avvertita  la
rilevanza  stessa  dell'atto processuale, e dei possibili effetti del
procedimento stesso.
    Ne' varrebbe obiettare che il rito camerale, contrassegnato dalla
estrema  semplificazione  della forma (art. 738), e da una disciplina
che  prescinde  dalla  previa  determinazione  dei poteri processuali
spettanti  alle  parti interessate e' diventata tuttavia nel "diritto
vivente" ( v. Cass. SS.UU. 21/1/1988 n. 424) un "contenitore neutro",
che, adattandosi alla peculiarita' delle varie situazioni (e, dunque,
nel   processo   minorile,   alla   preminente  finalita'  di  tutela
dell'interesse  meta-individuale del minore) vede il giudice adottare
le  misure  nel rispetto delle garanzie delle parti, del diritto alla
difesa  ed  alla prova, alla natura non autoritaria del procedimento.
Senonche',  da  un  lato  il  deficit di garanzie legali del processo
camerale  si e', in concreto, tradotto nella adozione di prassi assai
diversificate,  talora  distorte  (come  nel  caso della segregazione
delle  relazioni  dei  servizi  sociali, anche quando sono utilizzate
come  fonte  di  convincimento, o con la predeterminazione, di fatto,
della  soluzione  definitiva,  attuata  con  l'ampia  e incontrollata
estensione  dell'area dei provvedimenti urgenti, emessi ex officio ed
inaudita altera parte, e con la dilatazione discrezionale, nel tempo,
di  provvedimenti  confermativi); e dall'altro, l'indeterminazione di
regole  non  poste  dalla legge, ma dedotte in via di interpretazione
adeguatrice   all'art. 24  Cost.,  lascia  aperta  la  via  a  prassi
applicative  difformi  per  ogni giudice (o ufficio giudiziario), non
consente  di  sanzionare  con  la  rimessione  al  primo  giudice  la
violazione,  in primo grado, di regole di garanzia per la difesa, ne'
di stabilire con certezza gli effetti della nullita' di singoli atti.
Nel  novellato  quadro  costituzionale,  "giusto  processo"  non puo'
essere  che  quello  "regolato dalla legge": e quindi non si puo' non
dubitare  della legittimita' costituzionale processuale di una scelta
normativa   che   affida   la  tutela  dei  diritti,  in  un  settore
fondamentale dell'ordinamento, ad un modello processuale nel quale la
decisione  sui  diritti  e'  emessa  a  seguito di un processo le cui
cadenze  sono  affidate  esclusivamente ai poteri del giudice, tenuto
bensi' a garantire i fondamentali diritti processuali delle parti, ma
secondo modalita' non predeterminate, e rimesse al suo apprezzamento.
La  previsione costituzionale di una riserva di legge, in un contesto
tanto  delicato  e  rilevante,  implica  la  necessita'  che  sia  il
legislatore a disciplinare le regole del procedimento.
    Appare   dunque   ammissibile   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  degli  artt. 336 c.c., 737, 738 e 739 c.p.c. (in caso
di conflitto tra genitori non uniti in matrimonio sull'affidamento di
figli  o  piu'  in generale, in ipotesi di limitazione della potesta'
dei genitori) in relazione all'art. 111 della Costituzione novellato.
    Quanto   alla   rilevanza  della  questione,  la  Corte  potrebbe
limitarsi  a  precisare che, nella specie, va per l'appunto applicata
la  procedura di cui agli artt. 336 c.c. e 737 c.p.c. caratterizzata,
come  si  e'  sopra  precisato, della piu' ampia discrezionalita' del
giudice in ordine alle forme, termini, modalita'. Certo egli potrebbe
fare  buono  o  cattivo  uso  di tale discrezionalita' (ma qual e' il
"buon uso" in mancanza di regole predeterminate?).
    Ma  ritiene questa Corte di fornire indicazioni piu' specifiche e
precise con riferimento al caso concreto. Il primo giudice ha fondato
il provvedimento esclusivamente sulla relazione del servizio sociale:
le  parti non erano state informate della richiesta al servizio, e la
relazione  non  e'  stata  portata  a  loro  conoscenza com'e' prassi
consolidata  presso  alcuni tribunali minorili, e sottratta quindi ad
ogni  rilievo  e  contestazione.  Non  si puo' certo sostenere che la
"segretazione"  dei  documenti  e  delle relazioni sia "giustificata"
dalla  procedura  ex art. 737 ss. c.p.c. Erra sicuramente il giudice,
al riguardo, poiche' viola l'art. 76 disp. att. c.c., che consente il
rilascio   di  copie  di  tutti  gli  atti  contenuti  nel  fascicolo
d'ufficio,  senza  esclusioni (Cass. n. 4643 del 1994). E tuttavia in
un procedimento, regolato nei tempi e modalita' dalla legge, potrebbe
essere  ad  esempio  previsto  uno  scambio  di  memorie  prima della
decisione,  che  avrebbe  potuto  indirizzare  il primo giudice ad un
ripensamento   e  magari  allo  svolgimento  di  ulteriore  attivita'
istruttoria.
    Certo  in  questo grado, le parti, e in particolare la reclamante
hanno  potuto  esaminare  ogni documento in atti, ma in tutta la fase
precedente  non hanno potuto adeguatamente svolgere la loro difesa. E
tuttavia  non  si potrebbe superare il vizio di una prima fase in cui
non  si  e' compiutamente realizzato il principio del contraddittorio
(anche  perche'  questa  Corte  non  potrebbe per questo annullare la
decisione  e  rimettere  le parti stesse davanti al primo giudice), e
comunque  l'ampia  discrezionalita'  e  l'assenza di regolamentazione
caratterizza pure questo grado.
    Certo  questa  Corte  e'  ben  consapevole  che  il  procedimento
ordinario  contenzioso,  con  i  suoi  formalismi e le sue lungaggini
(anche  dopo  la  riforma  del  1990)  non  sarebbe adatto a regolare
controversie  come  la  presente  (ma a ben vedere, neppure quelle di
separazione e divorzio, almeno per la parte relativa ai minori) e che
de  jure  condendo  il  legislatore potrebbe opportunamente coniugare
l'esigenza  di  regole precise e determinate con quella di agilita' e
snellezza,  assolutamente  funzionale  ad  una efficace tutela, anche
processuale,  del  minore.  E'  pure  consapevole  che  una eventuale
dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma  da parte della Corte
costituzionale   produrrebbe   un  sicuro  vuoto  normativo:  ritiene
peraltro  che  non  possa  non  essere  rimessa all'apprezzamento del
giudice  della  legge la permanenza nell'ordinamento di una procedura
che  si  pone in contrasto con i novellati principi costituzionali, e
segnatamente con l'art. 111 Cost.
    Va  pertanto  sospeso  il presente procedimento, con trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva la questione
di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 737, 738, 739, c.p.c. e
336  c.c.  nella  parte in cui rende applicabile il rito camerale (in
caso   di   conflitto   tra   genitori   non   uniti   in  matrimonio
sull'affidamento  di  figli  o  piu'  in generale nei procedimenti di
limitazione  o  ablazione  della  potesta' dei genitori) in relazione
all'art. 111  della  Costituzione,  in quanto i relativi procedimenti
non  sono  ispirati  al  principio del giusto processo regolato dalla
legge;
    Ordina  sospendersi  il  presente procedimento e trasmettersi gli
atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  notificarsi la presente ordinanza alle parti in causa, al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicarsi ai Presidenti del
Senato e della camera dei deputati.
    Genova, addi' 20 dicembre 2000
                       Il Presidente: Rovelli
01C0315