N. 88 ORDINANZA 21 - 30 marzo 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Infermita' psichica dell'imputato - Proscioglimento
  -  Misure  di  sicurezza  - Indefettibile adozione della misura del
  ricovero  in ospedale psichiatrico giudiziario - Mancata previsione
  della  facolta'  di  graduare  la  misura  da  applicare, di misure
  alternative   o   anche  dell'applicazione  limitata  della  misura
  prevista  -  Asserito  contrasto con il principio della funzione di
  emenda  della  pena,  con  i  principî  di tutela della salute e di
  eguaglianza  -  Interventi  additivi  eccedenti  la  competenza e i
  poteri  della  Corte  costituzionale  -  Manifesta inammissibilita'
  delle questioni.
- Cod. pen., art. 222.
- Costituzione, artt. 3, 27 e 32.
(GU n.14 del 4-4-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo   ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda
CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 222 del codice
penale,  promossi con ordinanze emesse il 7 luglio 1999 dal tribunale
di  Caltanissetta  nel procedimento penale a carico di L. G, iscritta
al  n. 625  del  registro  ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica n. 46, 1a serie speciale, dell'anno 1999
ed  il  27 gennaio  2000  dal  tribunale di Cagliari nel procedimento
penale  a  carico di A. F., iscritta al n. 108 del registro ordinanze
2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1a
serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 gennaio 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 7 luglio 1999, nel corso di
un procedimento penale nei confronti di persona imputata dei reati di
tentato   omicidio   e  tentato  furto  aggravato,  il  tribunale  di
Caltanissetta  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 27 e 32 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 222
del  codice  penale,  nella  parte  in cui non consente al giudice di
disporre,  nei  casi da esso considerati, misure di sicurezza diverse
dal  ricovero  in un ospedale psichiatrico giudiziario, che risultino
adeguate  alle condizioni cliniche del soggetto e maggiormente idonee
a  garantirne  il  recupero  psichico, nel rispetto delle esigenze di
tutela della collettivita';
        che  l'ordinanza  premette  che l'imputato nel procedimento a
quo  era  risultato  affetto  da  disturbi  mentali  tali da renderlo
incapace  di  intendere  e  di  volere al momento del fatto e tuttora
socialmente  pericoloso,  ove  non sottoposto a specifico trattamento
sanitario  (in  particolare,  ad "opportuni controlli del servizio di
salute   mentale,   supportati   dalla  somministrazione  di  farmaci
specifici   e  terapie  psicologiche"):  trattamento  "di  fatto" non
attuabile  in una struttura psichiatrica giudiziaria "per mancanza di
operatori";
        che,  tuttavia  -  prosegue  il  rimettente - l'art. 222 cod.
pen. non  accorda  al  giudice alcuna "facolta' di graduazione" della
misura  da  applicare  nel  caso di proscioglimento per infermita' di
mente,  in  correlazione  alle  particolari esigenze dell'infermo, ma
impone,  senza  alternative,  il ricovero del medesimo in un ospedale
psichiatrico  giudiziario  per  un  periodo non inferiore a due anni:
provvedimento,  questo,  che,  per  le ragioni indicate, risulterebbe
nella  specie  non  adeguato alle condizioni cliniche dell'imputato e
confliggente con l'obiettivo del suo recupero;
        che,  in tale prospettiva, la norma denunciata si porrebbe in
contrasto   tanto  con  il  principio  della  funzione  "di  emenda",
enunciato  dall'art. 27  della Costituzione in rapporto alla pena, ma
riferibile,  secondo il giudice a quo anche alle misure di sicurezza;
quanto  con  il  principio  di  tutela della salute come fondamentale
diritto  dell'individuo  ed  interesse  della  collettivita', sancito
dall'art. 32 della Costituzione;
        che  con ordinanza emessa il 27 gennaio 2000, nel corso di un
procedimento  penale nei confronti di persona imputata del delitto di
violenza  sessuale  aggravata (artt. 609-bis e 609-ter cod. pen.), il
tribunale  di Cagliari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32
Cost., questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 222
cod.  pen., nella parte in cui non prevede che la misura di sicurezza
custodiale  sia  rigorosamente  limitata  ai  casi  di  pericolosita'
sociale   accompagnata   dal   rifiuto   di  ogni  terapia  da  parte
dell'infermo;
        che  il  giudice a quo premette, in punto di fatto, che, alla
stregua  delle  risultanze  processuali,  l'imputato doveva ritenersi
affetto  da  malattia  mentale  atta  a  renderlo tuttora socialmente
pericoloso;
        che  per  la cura di tale malattia sarebbe peraltro opportuno
che  egli  rimanesse  nella  comunita' terapeutica presso la quale e'
attualmente   ricoverato,   al   fine   di  proseguire  il  programma
terapeutico  e  di  recupero in corso, rivelatosi soddisfacente e nei
cui  confronti l'infermo "non ha mai mostrato segni di insofferenza":
laddove,  invece,  il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario -
prescritto    dalla    disposizione    impugnata    -    risulterebbe
pregiudizievole per la sua salute, provocando l'interruzione di detto
programma;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  rimettente  -  richiamando la sentenza di questa Corte n. 324 del
1998  -  rimarca  come  il  legislatore, con la legge 13 maggio 1978,
n. 180,  recependo le piu' recenti acquisizioni della scienza e della
coscienza  sociale,  abbia  riconosciuto  che  la cura della malattia
mentale  non  deve attuarsi, se non eccezionalmente, in condizioni di
degenza   ospedaliera,   bensi'   attraverso   presidi   psichiatrici
extraospedalieri,  e comunque non mediante la segregazione dei malati
in strutture chiuse quali le preesistenti istituzioni manicomiali;
        che  l'ordinamento  penale - soggiunge il giudice a quo - non
potrebbe "ovviamente" non prevedere forme piu' ampie di coercizione e
di  segregazione  nei  confronti  dell'infermo  di  mente che, avendo
commesso un certo tipo di reato, sia anche "socialmente pericoloso";
        che,  in  tale ottica, la misura di sicurezza del ricovero in
un  ospedale psichiatrico giudiziario sarebbe preposta, per un verso,
ad  attuare  coattivamente  un  trattamento  sanitario  nei confronti
dell'infermo  di  mente  pericoloso  e,  per l'altro, a scongiurare -
mediante  la  segregazione  -  il pericolo di ulteriori aggressioni a
beni penalmente tutelati;
        che  proprio tale funzione segnerebbe, tuttavia, il limite di
legittimita'     costituzionale     della    misura:    l'ordinamento
costituzionale non potrebbe infatti tollerare limitazioni alla tutela
della  salute ed alla uguaglianza dei cittadini davanti alla legge se
non  in  quanto esse siano indispensabili per la salvaguardia di beni
protetti  in  modo  paritario  o  poziore  dalla stessa Costituzione;
sicche',  quando tale salvaguardia possa essere attuata con strumenti
che  non  comprimano,  o  comprimano in modo meno energico, gli altri
diritti costituzionalmente garantiti, sarebbe compito del legislatore
di consentirne al giudice l'adozione;
        che  l'art. 222  cod.  pen. contrasterebbe,  quindi,  sia con
l'art. 32  della  Costituzione,  in  quanto  impedirebbe - in ipotesi
quale   quella  sottoposta  all'esame  del  rimettente  -  di  curare
l'infermo  di  mente  nel  modo  piu'  consono e nelle strutture piu'
adeguate  alle  sue  condizioni,  ancorche'  tali  modalita'  di cura
soddisfino  le  esigenze  di  tutela  della  collettivita';  sia  con
l'art. 3   della   Costituzione,  in  quanto  discriminerebbe,  senza
necessita',  il  malato di mente socialmente pericoloso da quello che
non lo e';
        che,   d'altro   canto,   questa  Corte  ha  gia'  dichiarato
costituzionalmente  illegittima,  con  la  citata sentenza n. 324 del
1998,  la  norma denunciata nella parte in cui prevede l'applicazione
della  misura  di  sicurezza  del  ricovero  in ospedale psichiatrico
giudiziario  nei  confronti  dei  minori:  ne'  sarebbe  concepibile,
nell'ambito  dei soggetti totalmente infermi di mente, una differenza
di  trattamento  basata  sull'eta', data la "dimensione totalizzante"
della loro malattia;
        che,  in  base a tali considerazioni - deduce conclusivamente
il  giudice a quo - l'art. 222 cod. pen. si sottrarrebbe a censure di
costituzionalita'  solo  qualora  la  misura  di  sicurezza  di  tipo
custodiale  fosse  "rigorosamente  limitata  ai casi di pericolosita'
sociale  accompagnata  da  accertato  atteggiamento  dell'infermo  di
rifiuto di ogni terapia";
        che in entrambi i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per la
dichiarazione di non fondatezza delle questioni.
    Considerato  che  i  due  giudizi,  avendo ad oggetto la medesima
norma, vanno riuniti per essere decisi unitariamente;
        che,  tramite  i  quesiti  di  costituzionalita' sollevati, i
giudici   rimettenti  chiedono  in  sostanza  alla  Corte  interventi
additivi  di  revisione  della  disciplina  delle misure di sicurezza
applicabili  nel caso di proscioglimento dell'imputato per infermita'
psichica:  interventi  che - senza espungere in toto dall'ordinamento
la  misura  del  ricovero  in  ospedale  psichiatrico giudiziario (la
legittimita' costituzionale della cui previsione non viene contestata
in  termini  assoluti)  -  dovrebbero  tuttavia  comprimerne la sfera
operativa,  permettendo  l'adozione di misure alternative di cura del
malato  di  mente  socialmente pericoloso, diverse dall'affidamento a
strutture chiuse e consone alle peculiarita' del caso concreto;
        che, al riguardo, deve peraltro ribadirsi quanto gia' in piu'
occasioni  affermato da questa Corte: e, cioe', che simili interventi
di innovazione normativa esorbitano dai poteri della Corte stessa, in
quanto  comportano  scelte  discrezionali  rientranti  nell'esclusiva
competenza  del legislatore (v. sentenze n. 228 del 1999 e n. 111 del
1996; ordinanze nn. 333 e 396 del 1994; n. 24 del 1985);
        che  la  varieta'  delle  possibili soluzioni ed il carattere
discrezionale della relativa scelta sono confermati, del resto, dalla
circostanza  che  i  giudici a quibus muovendo da premesse fattuali e
normative  in  larga  parte  sovrapponibili,  formulano  richieste di
contenuto sensibilmente differenziato: attribuzione al giudice di una
facolta'  di  "graduazione"  delle misure, nell'un caso; introduzione
della  condizione  negativa  della  mancata  adesione dell'infermo al
trattamento  terapeutico,  quale limite all'applicazione di misure di
tipo custodiale, nell'altro caso;
        che,  per  quanto  attiene alla prima ordinanza, il tribunale
rimettente  sembra  far  derivare,  nel  caso concreto, l'inidoneita'
dell'ospedale  psichiatrico  giudiziario ad assicurare il trattamento
terapeutico   ottimale   da  una  carenza  di  natura  essenzialmente
organizzativa  (la  "mancanza  di  operatori"):  carenza dalla quale,
peraltro,   non   potrebbe  dedursi  l'illegittimita'  costituzionale
dell'istituto  in  se',  ma  -  eventualmente  ed  al  piu'  -  delle
disposizioni  che  ne regolano il concreto funzionamento (v. sentenza
n. 139 del 1982);
        che,  riguardo  alla  seconda ordinanza di rimessione - fermo
quanto  osservato  dianzi  - puo' registrarsi anche l'esistenza di un
salto   logico   tra   premesse   e  conclusione  del  relativo  iter
argomentativo;  resta,  infatti,  del  tutto  indimostrato, al di la'
dell'ipotesi di specie, che le esigenze di tutela della collettivita'
(esigenze  che  lo  stesso  giudice  a  quo  apprezza  come  idonee a
giustificare il ricorso a misure di tipo segregante) vengano meno per
il  solo fatto che l'infermo di mente socialmente pericoloso "accetti
la terapia";
        che, infine non e' pertinente neppure il richiamo del giudice
a  quo  alla  sentenza  di questa Corte n. 324 del 1998, la quale non
legittima affatto l'illazione, che egli ne trae, dell'esigenza di una
generale  parificazione del trattamento degli infermi di mente autori
di  reato, indipendentemente dalla loro eta': giacche', al contrario,
la  citata  sentenza ebbe a dichiarare costituzionalmente illegittimo
l'art. 222  cod.  pen. -  nella parte in cui prevedeva l'applicazione
anche ai minori della misura di sicurezza del ricovero in un ospedale
psichiatrico  giudiziario - proprio a fronte della mancata previsione
di  modalita'  di esecuzione differenziate della misura di sicurezza,
che  tenessero  conto  delle  specifiche  esigenze  di  tutela  della
personalita'  del  minore,  affetto  da  infermita'  psichica, che vi
e'sottoposto;
        che  le  questioni  vanno  pertanto dichiarate manifestamente
inammissibili.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Cote costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 222   del   codice  penale,
sollevate,  in riferimento agli artt. 27 e 32 della Costituzione, dal
tribunale  di Caltanissetta e, in riferimento agli artt. 3 e 32 della
Costituzione,   dal  tribunale  di  Cagliari,  con  le  ordinanze  in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 30 marzo 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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