N. 273 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 2001

Ordinanza  emessa  il  7  febbraio  2001  dal g.u.p. del tribunale di
Trapani nel procedimento penale a carico di Bianco Francesco

Mafia  -  Misure  di  prevenzione  -  Persone condannate con sentenza
  definitiva  per  il  reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. o gia'
  sottoposte,   con   provvedimento  definitivo,  ad  una  misura  di
  prevenzione  ai  sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 - Obbligo
  di  comunicazione per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto,
  al  nucleo  di  polizia tributaria del luogo di dimora abituale, di
  tutte  le  variazioni  nella  entita'  e  nella  corresponsione del
  patrimonio  concernenti  elementi  di valore non inferiore ai venti
  milioni  di  lire  -  Incertezza  della  decorrenza  dell'obbligo -
  Disparita'  di  trattamento tra i soggetti destinatari della misura
  di prevenzione.
- Legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 30.
- Costituzione, art. 3.
Mafia  -  Misure  di  prevenzione  -  Persone condannate con sentenza
  definitiva  per  il  reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. o gia'
  sottoposte,   con   provvedimento  definitivo,  ad  una  misura  di
  prevenzione  ai  sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 - Obbligo
  di  comunicazione per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto,
  al  nucleo  di  polizia tributaria del luogo di dimora abituale, di
  tutte  le  variazioni  nella  entita'  e  nella  corresponsione del
  patrimonio  concernenti  elementi  di valore non inferiore ai venti
  milioni   di   lire   -   Trattamento   sanzionatorio  in  caso  di
  inadempimento  -  Eccessiva  afflittivita'  del  minimo  edittale -
  Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena.
- Legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 31.
- Costituzione, art. 27.
(GU n.16 del 18-4-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Esaminati  gli atti relativi al procedimento sopra emarginato nei
confronti  di:  Bianco Francesco, nato a Marsala il 6 marzo 1944, ivi
residente   in   contrada   Berbarello   n. 591,   ivi  elettivamente
domiciliato, difeso di fiducia dall'avv. Paolo Paladino, imputato del
reato   p.   e   p.  dall'art. 31  in  relazione  all'art. 30,  legge
n. 646/1982,  perche'  essendo  stato  sottoposto  con  provvedimento
definitivo  emesso  dal  tribunale  di  Trapani  -  sezione misure di
prevenzione  -  del  19  dicembre  1995, nell'ambito del procedimento
n. 18/1985,   a   misura   di  prevenzione  in  quanto  indiziato  di
appartenere  ad associazione mafiosa, ed essendo pertanto obbligato e
comunicare  al  nucleo  di  Polizia tributaria di Trapani per i dieci
anni  successivi  alla  applicazione  della predetta misura, tutte le
variazioni  patrimoniali di valori non inferiore a 20 milioni di lire
entro trenta giorni dalla avvenuta variazione, non ottemperava a tale
obbligo, avendo effettuato operazioni di alienazioni di beni immobili
in  data  30  gennaio  1997,  28 febbraio 1997, 9 luglio 1998, per un
ammontare complessivo pari a L. 101.600.000.
    Accertato  in  Trapani  il  21  ottobre  1999.  Con  la  recidiva
reiterata infraquinquennale;
    Deduce  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 30 legge 13
settembre  1982,  n. 646,  per  violazione dell'art. 3 Cost., poiche'
prevede:
        al  primo  comma  che  "Le  persone  condannate  con sentenza
definitiva  per  il reato di cui all'art. 416-bis del codice penale o
gia'  sottoposte,  con  provvedimento  definitivo,  ad  una misura di
prevenzione  ai  sensi  della legge 31 maggio 1965, n. 575, in quanto
indiziate  di  appartenere  alle associazioni previste dell'art. 1 di
tale  legge, sono tenute e comunicare per dieci anni, ed entro trenta
giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora
abituale,  tutte le variazioni nella entita' e nella composizione del
patrimonio  concernenti  elementi  di  valore  non inferiore ai venti
milioni  di  lire.  Entro  il 31 gennaio di ciascun anno sono altresi
tenuti  a  comunicare le variazioni intervenute nell'anno precedente,
quando concernono elementi di valore non inferiore ai venti milionidi
lire";
        al  secondo comma che "Il termine di dieci anni decorre dalla
data  del  decreto  ovvero  dalla  data  della sentenza definitiva di
condanna";
        al  terzo  comma  che  "Gli obblighi previsti nel primo comma
cessano  quando  la  misura  di prevenzione e' revocata a seguito del
ricorso in appello o in cassazione."
    In  tal  modo  rendendo  dovute,  in  relazione  al  primo comma,
l'interpretazione   secondo   la  quale  l'obbligo  di  comunicazione
riguarda  i  soggetti condannati con sentenza definitiva per il reato
di  cui  all'art. 416-bis  c.p.  e  quelli,  gia'  sottoposti, ma con
provvedimento  definitivo ad una misura di prevenzione ai sensi della
legge  31 maggio 1965, n. 575 e in relazione ai commi secondo e terzo
l'interpretazione secondo la quale l'obbligo di comunicazione incombe
sui  soggetti sottoposti alla misura della sorveglianza speciale gia'
dalla  data del decreto o nel momento immediatamente successivo della
sua  esecuzione, senza necessita' quindi di attendere che il medesimo
diventi definitivo.
    Cosi'  infatti  si legge nel secondo comma, mentre la previsione,
al terzo comma, della cessazione degli obblighi di comunicazione "...
quando  la misura di prevenzione e' revocata a seguito del ricorso in
appello  o  in cassazione ..." fa logicamente desumere che i predetti
obblighi   vanno   osservati  sin  dal  momento  in  cui  il  decreto
applicativo  della  misura  di prevenzione e' messo in esecuzione nei
confronti del sottoposto.
    Nel  caso  di specie, Bianco Francesco ha omesso di comunicare le
operazioni  di  alienazione  dei  beni  immobili al nucleo di Polizia
tributaria  di Trapani effettuate in data 30 gennaio 1997, in data 28
febbraio  1997  e  in data 9 luglio 1998, prima ancora che il decreto
fosse  definitivo,  almeno  in  relazione alle prime due alienazioni,
risultando intervenuta la pronuncia della Corte di Appello di Palermo
- Sezione misure di prevenzione, in data 28 aprile 1998.
    Cio'   premesso,   va   innanzi   tutto   rilevata   l'intrinseca
contraddittorieta' della norma unitariamente considerata.
    Entrambe  le  due interpretazioni offerte derivano da una lettura
piana  e  coerente,  per  cui  non puo' ragionevolmente dubitarsi ne'
dell'una,   ne'   dell'altra,   e  pero',  nel  contempo,  esse  sono
inconciliabili  quando  l'una e' confrontata con l'altra, sancendo il
primo  comma  dell'art. 30  legge citata la nascita degli obblighi di
comunicazione  solo  allorquando  il decreto applicativo e' diventato
definitivo,  mentre  il  secondo  e il terzo comma dell'art. 30 legge
n. 646/1982,  al  contrario,  fissano la decorrenza degli obblighi di
comunicazione,  gia'  dalla  data  in  cui al soggetto interessato e'
notificata  la misura di prevenzione per la immediata esecuzione alle
prescrizioni ad essa derivanti, volendo escludere una interpretazione
estremamente  rigorosa  del  secondo  comma,  che fissa la decorrenza
degli obblighi, addirittura gia' dalla data del decreto.
    Questa egualmente possibile duplicita' di interpretazioni, tra di
esse   contrastanti,   nell'ambito   della   stessa  norma  determina
l'incertezza del diritto con conseguente impossibilita' di assicurare
ai soggetti destinatari parita' di trattamento dinanzi alla legge.
    Tuttavia  l'art. 30,  primo  comma, legge citata, nella sua prima
stesura  non  prevedeva  per  i  soggetti  sottoposti  alla misura di
prevenzione  della  sorveglianza speciale l'inciso "con provvedimento
definitivo".
    Infatti  il  primo  comma - e soltanto questo, gli altri due sono
rimasti immutati - e' stato cosi' sostituito dall'art. 11 della legge
19 marzo 1990 n. 55, contenente disposizioni per la prevenzione della
delinquenza di tipo mafioso.
    Questa  modifica  puo' essere spiegata attribuendo al legislatore
la  volonta' di fissare la nascita degli obblighi di comunicazione al
momento  della  definitivita'  del  provvedimento,  sia che si tratti
della sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 416-bis c.p.,
sia  che  si  tratti  del  decreto  di  applicazione  della misura di
prevenzione   per  assicurare  parita'  di  trattamento  tra  le  due
categorie di soggetti.
    A  ben  vedere  l'originaria  previsione dell'irrevocabilita' del
provvedimento  per  la vigenza dell'obbligo di comunicazione soltanto
per   coloro   che  erano  stati  condannati  per  il  reato  di  cui
all'art. 416-bis  c.p.  appare  ingiustamente scriminante per l'altra
categoria  di  soggetti,  ove  si  consideri  che  per  questi ultimi
l'obbligo   e'   immediatamente   operativa  fin  dal  momento  della
sottoposizione  alle prescrizioni statuite con il decreto applicativo
della  misura  di  prevenzione,  sebbene i loro rapporti con contesti
criminosi organizzati di tipo mafioso, talvolta, possono essere stati
accertati  soltanto  a  livello  indiziario, senza che dunque abbiano
assunto  lo  spessore che invece assume una pronuncia di condanna per
il reato di cui all'art. 416-bis c.p.
    Sicche'   ai   soggetti   condannati   per   il   reato   di  cui
all'art. 416-bis  c.p.  e  peraltro  con pronuncia definitiva sarebbe
riservato  in  conclusione un trattamento meno gravoso, nonostante la
loro   responsabilita'  abbia  connotati  di  maggiore  offensivita',
secondo  il comune sentire della collettivita', con sicuri effetti di
sperequazione  a  tutto  svantaggio dei soggetti sottoposti alla sola
misura di prevenzione della sorveglianza speciale siccome trattati in
peius,  nonostante  la  loro posizione assuma minor disvalore sociale
rispetto a quella dei soggetti condannati con sentenza definitiva per
il reato di cui all'art. 416-bis c.p.
    Puo'  capitare,  al  fine  di  far  risaltare i possibili effetti
abnormi  derivanti  dall'applicazione  del  terzo  comma  della legge
n. 682/46,  che  il  sottoposto  a  misura di prevenzione, ma non con
provvedimento  definitivo,  violi gli obblighi di comunicazione e che
successivamente il decreto che applica la misura di prevenzione venga
revocato a seguito del ricorso in appello o in cassazione.
    In  tal  caso  si  verificherebbe  supponendo l'immediata vigenza
degli oneri di informazione, la consumazione del reato con le gravose
sanzioni  penali  che  ne  derivano,  sebbene a seguito di revoca del
decreto che applica la misura di prevenzione, verrebbe meno lo stesso
presupposto   in  forza  del  quale  sono  imposti  gli  obblighi  di
comunicazione  e quindi uno degli elementi costitutivi da cui dipende
l'esistenza del reato.
    Dovrebbe  dunque  darsi  luogo  all'applicazione a sanzioni assai
pesanti per un reato che successivamente avrebbe perduto uno dei suoi
elementi costitutivi.
    E'  indubbio,  quindi,  che  l'attuale  formulazione dell'art. 30
legge  n. 646/1982  genera  incertezza  del  diritto  e disparita' di
trattamento, qualora si ritenga che vi sia immediata decorrenza degli
obblighi  di  comunicazione  per  i  soggetti  sottoposti a misura di
prevenzione.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla
difesa di Bianco Francesco, appare pertanto preclusiva del giudizio e
non  manifestamente  infondata, poiche' l'inosservanza degli obblighi
di  comunicazione contestati al Bianco sarebbe avvenuta almeno in due
casi  quando  ancora  il  decreto  di  applicazione  della  misura di
prevenzione non era ancora diventato definitivo.
    Deduce  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 31 legge 13
settembre  1982,  n. 646,  per  violazione  dell'art. 27 Cost., nella
parte  in  cui  prevede  per  colui  che  essendovi tenuto, omette di
comunicare  entro  i  termini  stabiliti  dalla  legge  le variazioni
patrimoniali  indicate  nell'art. 30 legge citata, "... la reclusione
da  due  a sei anni ..." e "... la multa da lire 20 milioni a lire 40
milioni  ...",  e "la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati
nonche' del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati".
    Va  premesso che la previsione degli obblighi di comunicazione di
cui  all'art. 30  legge citata mira in astratto ad attuare una difesa
avanzata  contro  la  criminalita'  mafiosa,  poiche'  tali  oneri di
informazione  dovrebbero  garantire  il  controllo costante e attuale
sulla  consistenza  e  sulla  variazione  dei  patrimoni dei soggetti
mafiosi per almeno dieci anni.
    Tuttavia  tali  obblighi  sono  meramente formali dal momento che
dalla  loro inosservanza non derivano nella sostanza effetti dannosi,
potendo  risultare  compromesso  soltanto  lo stato di conoscenza dei
patrimoni dei mafiosi.
    In  realta'  non  e' cosi' poiche' i dati su cui grava l'onere di
informazione  sono  comunque  conoscibili  aliunde,  atteso  che  gli
acquisti  e  le  alienazioni  di  beni  immobili  avvengono  con atto
notarile e sono soggetti a forme di pubblicita' legale.
    Inoltre  si  e' verificato nel caso di specie, come in altri casi
in trattazione, che il sottoposto ha eccepito la non conoscenza della
norma.
    Appare vero, anzi non puo' dubitarsi del contrario, che il Bianco
non  ha avuto conoscenza del precetto, trattandosi di un soggetto che
non  svolge  professionalmente una attivita' legale, ed egli comunque
non  avrebbe  avuto  motivo  di non osservarla qualora ne fosse stato
realmente  a  conoscenza,  dal  momento che dall'applicazione di tale
norma   al   Bianco   non   sarebbe   derivata   alcuna   conseguenza
pregiudizievole per il suo patrimonio.
    Anzi  il  Bianco  avrebbe avuto interesse ad ottemperare solo per
sottrarsi  alle  gravi  sanzioni  comminate  per  la  violazione  del
precetto penale.
    Inoltre  questo  giudice  remittente  e'  portato a fare un'altra
riflessione.
    L'adempimento   degli   oneri   di  formazione  in  qualche  modo
contribuisce  a  dare  un  certo  effetto  di apparente liceita' alle
operazioni  che  determinano  una variazione dei patrimoni, nel senso
che  il  soggetto  obbligato,  se effettivamente portato a conoscenza
dell'esistenza di tali oneri di informazione, ha tutto l'interesse ad
eseguirli,  primariamente perche' non gli comporta alcun costo, e poi
per   far  credere  di  non  avere  nulla  da  nascondere,  tanto  da
comunicarlo.
    Muovendo  da  tale considerazione puo' realmente dubitarsi che la
norma  assicuri i risultati di conoscenza voluti con riferimento alle
variazioni  che  comportano  aumenti nella consistenza dei patrimoni,
essendo  scontato  che in concreto i soggetti condannati per il reato
di  cui  all'art. 416-bis  c.p.,  e i soggetti sottoposti a misura di
prevenzione    qualificata   procedano   a   tali   operazioni,   mai
direttamente,  ma  avvalendosi  di  terze  persone,  quando  mirano a
nascondere l'espansione del proprio patrimonio grazie all'utilizzo di
risorse di provenienza illecita.
    La   norma  di  cui  all'art. 30  legge  n. 646/1982  dunque  non
garantisce  affatto la conoscenza di quel che il legislatore mirava a
far  conoscere  e  fa  conoscere  in  definitiva quel che il soggetto
obbligato vuol rendere noto sulle variazioni del proprio patrimonio.
    La  norma  di  conseguenza  non  consente affatto di acquisire le
informazioni sulle variazioni dei patrimoni che derivano dall'impiego
di  risorse  illecite  o  comunque  occulte, ma anzi puo' prestarsi a
essere  abilmente  impiegata  da  parte  dei soggetti destinatari del
precetto  per  far  conoscere soltanto quelle variazioni patrimoniali
prive di interesse.
    Trattandosi  dunque  di  una  norma che sanzione la violazione di
obblighi  meramente  formali,  che  non  assicura la conoscenza delle
variazioni  patrimoniali che possono essere oggetto di attenzione per
contrastare  la  criminalita'  mafiosa  e che di fatto si applica, in
caso di violazione, nei confronti di soggetti che in tutta buona fede
ne  ignoravano  l'esistenza,  la  pena  minima edittale e la confisca
appaiono assolutamente sproporzionate per eccesso.
    L'elevato  livello del minimo edittale, comportando l'irrogazione
di pene sproporzionale al grado di disvalore sociale dei fatti, nella
realta'  privi  di  offensivita', contrasta con l'art. 27 comma terzo
della Costituzione essendo compromessa la finalita' rieducativa della
pena.
    L'intervento  della  Corte  costituzionale  di  eliminazione  del
minimo   edittale   non   avrebbe   interferenza   con  la  sfera  di
discrezionalita'  legislativa,  rinvenendosi nello stesso sistema, in
virtu'  della  generale  previsione  dell'art. 23  comma  primo  c.p.
(limite  generale di quindici giorni di reclusione), l'individuazione
del  trattamento  sanzionatorio minimo. Inoltre la Corte, se non puo'
esprimere  il  giudizio  sulla  congruenza  della  pena  rispetto  al
fatto-reato, essendo tale giudizio di spettanza dei legislatore, puo'
verificare  che  l'uso  della discrezionalita' legislativa in materia
rispetti  il  limite  della  ragionevolezza  (cfr. in tal senso Corte
costituzionale sentenza n. 409 del 1989).
    Infatti,  piu' in generale, "il principio di proporzionalita' ...
nel  campo  del  diritto  penale  equivale a negare legittimita' alle
incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente idonee a raggiungere
finalita'  statuali  di  prevenzione,  producono, attraverso la pena,
danni  all'individuo  (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa'
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da
quest'ultima  con  la  tutela dei beni e valori offesi dalle predette
incriminazioni" (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 409 del 1989).
    Osserva  inoltre  che  la Corte ha maturato la convinzione che la
finalita'  rieducativa  della  pena  non  sia limitata alla sola fase
dell'esecuzione,  ma  costituisca  "una  delle  qualita' essenziali e
generali  che  caratterizzano  la pena nel suo contenuto ontologico e
l'accompagnano  da  quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
fino a quando in concreto si estingue ...".
    Tale   finalita'   rieducativa   implica   pertanto  un  costante
"principio  di  proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione,
da  una  parte,  e  offesa,  dall'altra  (sentenza  n. 313  del 1990;
sentenza  n. 343  del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993
).
    La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio
appare pertanto preclusiva del giudizio in corso e non manifestamente
infondata.
    Ravvisasi, quindi, due questioni di illegittimita' costituzionale
che   e'   necessario   risolvere   con   l'intervento   della  Corte
costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e seguenti legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale  e segnatamente di tutti gli atti formanti il presente
fasciolo nonche' la presente ordinanza;
    Sospende il giudizio in corso;
    Manda  alla  cancelleria  affinche'  la  presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  in causa e al pubblico ministero, nonche' al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.
        Trapani, addi' 7 febbraio 2001
            Il giudice dell'udienza preliminare: Ingoglia
01C0372