N. 108 ORDINANZA 22 marzo - 10 aprile 2001
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che negIi atti preliminari al dibattimento abbia respinto la richiesta di applicazione della pena concordata (ex art. 444 cod. proc. pen.) - Asserita, irragionevole, disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe, ovvero irragionevole parificazione nella disciplina di situazioni diverse, con violazione dei principî di buona amministrazione e del giudice naturale e del diritto di difesa - Questione diretta non a sottoporre un quesito di costituzionalita', ma a censurare una precedente decisione di accoglimento - Manifesta inammissibilita'. - Cod. proc. pen, art. 34, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 24, 25 e 97; 136, primo comma e 137, terzo comma; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, terzo comma.(GU n.16 del 18-4-2001 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con ordinanze emesse il 21 e il 14 gennaio, il 18 febbraio, il 24 e il 3 marzo e il 16 giugno 2000, iscritte rispettivamente ai nn. 186, 187, 188, 376, 377 e 565 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 18, 27 e 42, 1a serie speciale, dell'anno 2000. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2001 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che con sei ordinanze (r.o. nn. 186, 187, 188, 376, 377 e 565 del 2000) di contenuto analogo il tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 (parametro evocato nelle sole ordinanze iscritte ai numeri 376 e 377 del r.o. del 2000), 25 e 97 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, come integrato dalla sentenza n. 186 del 1992, nella parte in cui prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia respinto la richiesta di applicazione della pena concordata ex art. 444 cod. proc. pen; che in tutti i procedimenti a quibus il rimettente ha rigettato per diversi motivi la richiesta di applicazione della pena formulata dall'imputato, con il consenso del pubblico ministero, prima del compimento delle formalita' di apertura del dibattimento, e ritiene quindi di trovarsi, per effetto della sentenza n. 186 del 1992, in una situazione di incompatibilita' a giudicare gli imputati nel merito dell'imputazione loro contestata, con conseguente obbligo di astensione ai sensi dell'art. 36, comma 1, lettera g) cod. proc. pen; che ad avviso del giudice a quo la previsione di tale ipotesi di incompatibilita' si pone in contrasto con la piu' recente giurisprudenza costituzionale e, in particolare, con l'ordinanza n. 232 del 1999, che - nel dichiarare manifestamente infondata una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' ad emettere sentenza del giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di oblazione - ha ribadito il principio generale secondo cui "l'imparzialita' del giudice non puo' ritenersi intaccata da una valutazione anche di merito compiuta all'interno della medesima fase del procedimento"; che, a giudizio del rimettente, tali affermazioni sono state ribadite dalla successiva ordinanza n. 443 del 1999, avente ad oggetto una questione di legittimita' costituzionale concernente la mancata previsione dell'incompatibilita' del giudice che si sia pronunciato, negli atti preliminari al dibattimento, su misure cautelari personali nei confronti dell'imputato; che in tale occasione la Corte ebbe a riaffermare che la incompatibilita' conseguente al compimento di atti tipici della fase unitaria di cui il giudice e' investito "finirebbe con l'attribuire alle parti la potesta' di determinare l'incompatibilita' nel corso di un giudizio nel quale il giudice e' investito, sicche' lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui e' tenuto a seguito dell'istanza di una parte; esito, questo, non solo irragionevole, ma in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto"; che, sulla base delle medesime argomentazioni, e ritenendo che le modifiche recate dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), non abbiano apportato elementi di novita' rispetto alle valutazioni gia' espresse da questa Corte, il giudice a quo solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., come integrato dalla sentenza n. 186 del 1992, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost; che, ad avviso del rimettente, la previsione della incompatibilita' al giudizio del giudice che abbia rigettato negli atti preliminari al dibattimento la richiesta di pena patteggiata determina una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe in cui la causa di incompatibilita' non opera (come quella - oggetto dell'ordinanza n. 232 del 1999 - del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia rigettato istanza di oblazione), e nello stesso tempo irragionevolmente assoggetta alla medesima disciplina situazioni processuali non comparabili processualmente, "prevedendo l'incompatibilita' al giudizio sia del giudice che abbia legittimamente espresso valutazioni di merito nell'ambito della medesima fase processuale, sia del giudice che le abbia espresse nell'ambito di fase processuale diversa"; che la disciplina censurata violerebbe inoltre i principi di buona amministrazione (art. 97 Cost.) e del giudice naturale precostituito per legge, realizzando per un verso "un'assurda frammentazione del procedimento" e per l'altro consentendo "alle parti, mediante studiata proposizione di istanze ex art. 444 c.p.p. inaccoglibili, di "sbarazzarsi" del loro giudice naturale, costringendolo all'astensione"; che l'art. 24 della Costituzione sarebbe violato in quanto il diritto di difesa della parte civile viene leso dall'allungamento dei tempi necessari alla definizione del procedimento, "su cui vanno ad incidere quelli della procedura di astensione ed individuazione del nuovo giudice"; che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 376, 377 e 565 del r.o. del 2000 e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata; che, a giudizio dell'Avvocatura, con l'ordinanza n. 232 del 1999 la Corte si sarebbe limitata "a dare atto della "maturazione" e del consolidamento di un indirizzo che vuole "sterilizzato" l'istituto delle incompatibilita' all'interno della stessa fase del giudizio, salva, eventualmente, l'applicabilita' dei meccanismi dell'astensione e della ricusazione"; che il criterio affermato consente di valutare le questioni di legittimita' costituzionale che venissero sollevate nei confronti dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., ma non potrebbe "consentire di revocare in dubbio la permanente validita' degli effetti prodotti da altre e precedenti pronunce della Corte" che debbono rimanere ferme a prescindere dai "mutati itinerari argomentativi [...], in certa misura "fisiologici nel cammino di consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale". Considerato che, stante la sostanziale identita' delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalle sei ordinanze di rimessione emesse in distinti procedimenti dal tribunale di Verona, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che il giudice rimettente, pur sollevando formalmente la questione nei confronti dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui, a seguito dell'integrazione disposta dalla sentenza n. 186 del 1992, prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia respinto la richiesta di applicazione della pena concordata a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., in realta' censura una precedente decisione di accoglimento della Corte; che tale sindacato non e' ammissibile ai sensi degli artt. 136, primo comma, e 137, terzo comma, Cost., nonche' dell'art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, i quali, nello stabilire che contro le decisioni della Corte costituzionale non e' consentita alcuna impugnazione, precludono in modo assoluto qualsiasi tipo di domanda diretta a contrastare, annullare o riformare tali decisioni (v. ordinanze n. 461 del 1999, n. 7 del 1991, nn. 203, 93 e 27 del 1990, nonche' sentenza n. 29 del 1998 e ordinanza n. 220 del 1998); che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi; Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, dal tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con le ordinanze in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2001. Il Presidente: Ruperto Il redattore: Neppi Modona Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 10 aprile 2001. Il direttore della cancelleria: Di Paola 01C0399