N. 299 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 settembre 2000
Ordinanza emessa il 21 settembre 2000 (pervenuta alla Corte costituzionale il 5 aprile 2001) dalla Commissione tributaria provinciale di Terni sul ricorso propostoda Galassi Vittorio contro D.R.E. dell'Umbria, sez. di Terni Tributi in genere - Imposte dirette - Indennita' di esproprio o somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonche' somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva,conseguente ad occupazioni d'urgenza divenute illegittime, relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica - Tassabilita' con effetto retroattivo, rispetto alla data di entrata in vigore della norma impugnata - Asserita lesione dei principî di eguaglianza e di capacita' contributiva - Irrazionalita' - Riproposizione di questione oggetto della ordinanza della Corte costituzionale n. 171/2000 di manifesta inammissibilita'. - D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b), come modificato dall'art. 11, comma 1, lett. f), commi da 5 a 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 413. - Costituzione, artt. 3 e 53.(GU n.17 del 2-5-2001 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 763/1997 depositato il 7 luglio 1997, avverso diniego rimborso - IRPEF contro D.R.E. Umbria (Sez. Terni) proposto da: Galassi Vittorio, residente a Terni in via Monticano n. 2, difeso da: dott. De Santis Enrico e dott. Pezzella Francesco, residente a Roma in via Aterno n. 15. F a t t o A seguito di decreto del P.G.R.U. n. 548 del 26 agosto 1981 il comune di Terni procedeva ad espropriare in danno di Galassi Vittorio alcuni suoi terreni, da destinarsi alla realizzazione del P.A.I.P. Il Galassi proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro tale decreto di esproprio e contro la determinazione della relativa indennita' e quindi, non essendo stata totalmente utilizzata (l'area espropriata) per finalita' pubbliche, conveniva in giudizio il comune per sentirlo condannare alla retrocessione di quella (appunto) non utilizzata. In conseguenza della occupazione ad opera del comune, sempre per la realizzazione del P.A.I.P., di altri terreni del Galassi si addiveniva tra le parti ad un accordo per effetto del quale il comune da un lato restituiva parte dell'area oggetto al primo esproprio, e dall'altro acquisiva definitvamente altre rate di terreno corrispondendo al Galassi la somma di L. 224.474.600 quale corrispettivo (al lordo degli interessi) dell'acquisizione definitiva di aree. Tale accordo, ed i relativi trasferimenti di beni contro denaro, si perfezionavano con atto rogato del segretario comunale il 26 novembre 1991. Al momento del materiale pagamento il comune, essendo entrata in vigore la legge 30 dicembre 1991, n. 413, assoggettava alla ritenuta del 20% i corrispettivi pagati al Galassi. Tale legge (in particolare, l'art. 11) introduceva una aggiunta alla lettera f) del comma 1 dell'art. 81 TUIR approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per effetto della quale venivano qualificate come plusvalenze imponibili oltre quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non piu' di cinque anni, anche e comunque le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili. Lo stesso art. 11 prevedeva anche che gli, enti eroganti le somme costituenti il corrispettivo delle cessioni volontarie di terreni nel corso di procedimenti espropriativi (quale quello avviato dal comune di Terni nei confronti del Galassi) avrebbero dovuto assoggettare tali somme a ritenuta di acconto (sul maggior reddito) in misura pari al 20%. Il comma 9 del menzionato art. 11 disponeva, da ultimo, che le disposizioni teste' citate (e cioe' quella che introduceva una presunzione legale di plusvalenza speculativa in relazione al corrispettivo della cessione volontaria di aree edificabili nell'ambito di un procedimento espropriativo e quella che assoggettava tali somme alla ritenuta del 20%) si applicassero retroattivamente, e cioe' anche agli atti traslativi venuti ad esistenza dopo il 31 dicembre 1988 (e cio' ancorche' la legge n. 413/1991, che conteneva tali previsioni, fosse entrata in vigore dal 1o gennaio 1992). In formale attuazione di tali disposizioni il comune di Terni, come detto, assoggettava a ritenuta le somme corrisposte al Galassi il quale, ritenendo illegittima tale trattenuta, con istanza pervenuta alla direzione regionale per le entrate dell'Umbria il 7 novembre 1996 chiedeva il rimborso di quanto trattenuto dal comune e versato all'erario. Con provvedimento dell'8 maggio 1997 la D.R.E. per l'Umbria respingeva la domanda di rimborso sostenendo la decadenza del contribuente da ogni diritto (ex art. 38 d.P.R. n. 602/1973) e comunque la infondatezza della pretesa ai sensi dei commi 5, 6, 7, 9 dell'art. 11 della legge n. 413/1991. Con tale provvedimento negativo insorgeva il Galassi con ricorso a questa commissione, ricorso cui resisteva l'ufficio reiterando le considerazioni gia' espresse dalla D.R.E. alle quali premetteva la eccezione di incompetenza per territorio della commissione adita, essendo competente - a suo giudizio - la commissione tributaria provinciale di Perugia (essendo in quella citta' la sede della menzionata D.R.E.). Il contrasto tra le posizioni delle parti, illustrate anche oralmente, si incentrava su questi tre punti: a) competenza o meno della commissione tributaria provinciale di Terni; b) tempestivita' o meno della azione del contribuente; c) fondatezza o meno di essa (tale questione "passava", in effetti, attraverso la verifica della costituzionalita' o meno della normativa invocata dall'ufficio, posto che il momento del trasferimento della proprieta' dal Galassi al comune, individuato dal ricorrente della delibera della giunta camerale del 26 giugno 1991 "ma piu' correttamente nella data dell'atto pubblico amministrativo, e cioe' nel 26 novembre 1991" si collocava all'interno del periodo di operativita' e di applicazione dell'art. 81 T.U.I.R. e dell'art. 11 della legge n. 413/1991, "assorbente" tutti i trasferimenti onerosi avveratisi a fini espropriativi successivamente al 31 dicembre 1988). La commissione con ordinanza del 5 febbraio 1988 sollevava un dubbio di costituzionalita' delle menzionate norme e disponeva quindi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale la quale pero', con ordinanza n. 171 del 25 maggio/1o giugno 2000, dichiarava la manifestata inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 81, comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall'art. 11 della legge n. 413/1991, nonche' dell'art. 11, comma 9, della stessa legge. All'esito di cio' veniva rifissata la discussione del ricorso che faceva registrare il deposito di una articolata memoria difensiva (con allegati documenti) da parte del ricorrente e faceva registrare una ampia trattazione orale delle rispettive tesi. D i r i t t o Esplicitando le argomentazioni che, gia' in pectore, avevano indotto la commissione a rimettere senz'altro gli atti alla Corte costituzionale, si deve rigettare, innanzi tutto, la eccezione di incompetenza per territorio sollevata dall'Ufficio. Questa muove dal tenore dell'art. 4 del decreto legislativo n. 546/1992 e dalla considerazione, come detto, che la direzione delle entrate e' un ufficio regionale con sede nel capoluogo di regione, cosicche' sarebbe priva di rilievo la circostanza che l'atto di diniego impugnato sia stato emesso dalla sezione di Terni di tale direzione (in quanto questa sarebbe priva di qualsiasi autonomia funzionale). Come gia' pero' illustrato nella propria decisione n. 42/01/1998 (dalla quale questa commissione non ha motivo di discostarsi) la tesi dell'ufficio appare improntata ad un formalismo eccessivo che contrasta con le linee lungo le quali si muove da tempo il legislatore nel consentire impugnazioni (e relative modalita') nei confronti di atti della pubblica amministrazione (in generale, e di quella finanziaria in particolare), cosi' da non poter essere condivisa da questa commissione. I principî generali teste' accennati sono ravvisabili nella volonta' di rendere piu' agevole, certa ed immediata la tutela giudiziaria del cittadino e, dunque, nell'accertare la facilita' per questo di ricorrere alla magistratura (nelle sue varie articolazioni). Appare allora contrastante con tali linee normative la introduzione di artificiose articolazioni degli uffici finanziari ed i "distinguo" che a cio' si collegano. In altri termini pare francamente non comprensibile, e non accettabile, che la direzione regionale delle entrate preveda sue articolazioni territoriali mediante sezioni che si pongono all'esterno come titolari di propri poteri discrezionali ed operativi pur rifuggendo poi, in sostanza, le relative responsabilita' e dal fungere rifuggendo punto di riferimento (attivo e passivo) della amministrazione finanziaria. Appare dunque - come detto - incomprensibile ed inaccettabile che sia la sezione di Terni della D.R.E. a ricevere la richiesta di rimborso e ad esprimere poi il relativo rifiuto volendo mantenere, nonostante cio', la veste di mandataria - implicita - della direzione regionale ("sezione centrale") e non anche la veste di parte e destinataria della controversia. Va ricordato, del resto, che da tempo la legge prevede che ogni provvedimento amministrativo impugnabile debba contenere in chiaro la indicazione della possibilita' e modalita' della sua impugnazione, con indicazione del giudice competente; ebbene la nota di diniego dell'8 maggio 1997 si limita a parlare di commissione tributaria provinciale, senza specificare trattarsi di quella di Perugia ma alludendo invece, tacitamente ma chiaramente (stante la tutela dell'affidamento del cittadino), a quella di Terni, territorialmente collegata alla sezione (di Terni, appunto) della D.R.E. Superata questa prima eccezione processuale occorre affrontare quella - sostanziale - attinente alla tempestivita' o meno della istanza di rimborso (e conseguente ricorso) in relazione alla quale costituisce oggetto di discussione la individuazione dell'ambito di operativita' degli artt. 37 e 38, d.P.R. n. 602/1973. L'assunto dell'ufficio e' che il discrimine tra il termine di prescrizione di dieci anni e quello di decadenza di diciotto mesi sia costituito dalle modalita' di effettuazione del pagamento della imposta contestata, applicandosi il primo al caso di "ritenuta diretta" da parte dello Stato (ove per Stato si intende la amministrazione finanziaria o altra amministrazione statale) ed il secondo al caso di "versamento diretto", e cioe' del pagamento effettuato dal contribuente in prima persona o da chi per lui (ravvisandosi quest'ultima ipotesi in ogni caso di sostituto d'imposta, ancorche' ente pubblico - diverso dallo Stato - ). A conforto della tesi interpretativa dell'ufficio milita indubbiamente una copiosa - e recente - giurisprudenza, anche della Corte di legittimita'. Senonche' pare alla commissione che il problema sia mal posto in questi termini, focalizzandosi in una dicotomia che nulla - o poco - ha a che valere con il tema in discussione. Il vero discrimine tra l'art. 37 e l'art. 38, d.P.R. n. 602/1973 va inviduato cioe' in un'altra contrapposizione concettuale, e cioe' nella contrapposizione tra debenza della imposta (ed esistenza del rapporto tributario) e debenza del pagamento. Solo quando si facciaquestione della erroneita', duplicazione e esistenza dell'obbligo del pagamento (all'interno della categoria concettuale di una imposta astrattamente applicabile alla fattispecie) puo' scendersi all'esame delle modalita' con cui quella imposta, contestata in concreto, sia stata pagata (per verificare quale sia il termine appropriato per la istanza di rimborso). Allorche' invece si discute di un versamento che non sia in nessun caso sussumibile nell'ambito di un possibile rapporto tributario ci si trova in presenza di un indebito oggettivo assoluto, cui non puo' che essere applicato il termine prescrizionale decennale, qualunque sia la modalita' di effettuazione del pagamento. In tale senso possono essere invocate sia la giurisprudenza della C.T.C. sia, soprattutto, le risoluzioni ministeriali richiamate dal ricorrente nella sua memoria del 12 luglio 2000, che indicano la possibilita' (e doverosita') per l'amministrazionefinanziaria di procedere al rimborso delle somme comunque introitate a titolo di imposte che siano invece assolutamente non applicabili ed esigibili dal contribuente. La vera "questione", allora, che questa commissione deve risolvere e' quella dell'accertamento della astratta assoggettabilita' ad imposizione delle somme riscosse a titolo di indennita' di occupazione o di esproprio o di indennita' (sostitutiva) conseguente a cessione bonaria di un immobile nell'ambito di una procedura espropriativa; ove infatti tale quesito postuli una risposta affermativa dovra' dirsi applicabile il termine decadenziale di 18 mesi, ma in caso contrario dovra' applicarsi il piu' lungo termine prescrizionale ancorche' la "ritenuta" del 20% sia stata operata dal comune di Terni. Tutto cio' riporta, pero', alla valutazione della conformita' alle regole-guida del nostro sistema positivo delle disposizioni applicate dal comune di Terni (e dall'ufficio) per sostenere la astratta (e, poi, concreta) imponibilita' delle somme corrisposte al Galassi. Tali disposizioni si sostanziano, come gia' detto, all'art. 81, comma 1, lettera b), (nel testo novellato dall'art. 11, comma 1, lett. f), legge n. 413/1991) e nell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8 e 9, della stessa legge. Si tratta di quelle stesse disposizioni della cui legittimita' costituzionale questa commissione aveva gia' dubitato e sulle quali aveva provocato un intervento chiarificatore da parte della Corte costituzionale, peraltro mancato. La Corte, infatti, si e' fermata (per cosi' dire) sulla soglia della questione avendo ravvisato delle carenze della ordinanza di rimessione che avrebbe omesso di indicare i concreti elementi delle fattispecie da esaminare e di esporre le argomentazioni fondanti il giudizio di rilevanza, di tal che le questioni di legittimita' costituzionali propostele venivano giudicate non gia' infondate ma piuttosto inammissibili. Una siffatta presa di posizione del giudice delle leggi induce questa commissione (i cui dubbi non sono stati affatto affrontati e placati) a riproporre la questione di costituzionalita' delle norme applicate ed invocate dalla amministrazione delle finanze, naturalmente cercando di ovviare alle carenze della precedente ordinanza di rimessione. Si esplicita allora che la assoggettabilita' ad imposizione diretta (ed a ritenuta fiscale da parte dell'ente erogatore delle somme) della indennita' di esproprio (o ad essa assimilabile) presuppone la vigenza e legittimita' costituzionale dell'art. 81, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 917/1986, come modificato dall'art. 11, legge n. 413/1991, nonche' dei commi 5, 6, 7, 8, 9 dello stesso art. 11, legge n. 413/1991, in quanto fondanti la presunzione legale di plusvalenza "speculativa" per le cessioni a titolo oneroso di terreni edificabili e, piu' ancora, in quanto fondanti la tassabilita' delle "somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi"; in quanto fondanti l'obbligo degli enti eroganti di effettuare la ritenuta del 20% e, soprattutto, in quanto fondanti la antedatazione degli effetti di tali disposizioni agli atti di cessione volontaria all'esito di procedimenti espropriativi avveratisi nei tre anni antecedenti (1o gennaio 1989/1o gennaio 1992) l'entrata in vigore della legge n. 413/1991. E' di tutta evidenza che solo la vigenza di tale complesso normativo giustifica la imposizione (e la ritenuta alla fonte) delle somme corrisposte al Galassi ed oggetto di causa, posto che esse provengono dalla procedura di esproprio di terreni agricoli (con potenzialita' edificatorie nell'ambito di zone P.A.I.P.) esitata in cessione volontaria e conclusasi in data 26 novembre 1991 (data del contratto in forma pubblico-amministrativa, o comunque in data 26 giugno 1991, giorno della delibera comunale) e cioe' in un momento antecedente alla entrata in vigore della legge n. 413/1991 ma successivo a quello di sua applicazione. Cosi' chiariti i profili concreti della fattispecie all'esame della commissione e le ragioni di rilevanza (su di essa) della valutazione della compatibilita' costituzionale delle disposizioni applicate si reiterano le ragioni di fondato dubbio della loro costituzionalita' (sulle quali, come detto, la Corte non si e' espressa) alla stregua del paradigma normativo individuabile nell'art. 3 e nell'art. 53 della Costituzione, articolo (questo) che costituisce una specifica applicazione del piu' generale principio di eguaglianza in quanto finalizzato al rispetto di un "allineamento" sostanziale di tutti i soggetti di diritto di fronte allo Stato. Ebbene l'art. 81 T.U.I.R. assoggetta ad imposizione quali "redditi diversi" le "plusvalenze" considerate speculative, e cioe' l'arricchimento conseguente ad alienazione di immobili divenuti edificabili all'esito di lottizzazione o alienati nel quinquennio dall'acquisto a titolo oneroso. Tutte tali ipotesi sono caratterizzate dal denominatore comune di un arricchimento "parassitario", connesso con rendite di posizione o con lo scambio di immobili individuabili come bene-merce, che determina un prelievo fiscale su tale "ricchezza gratuita"; La ipotesi introdotta dall'art. 11, legge n. 413/1991 e' chiaramente spuria poiche' assimila ai due gruppi di "casi" ora descritti quelli della alienazione (qualunque ne sia la provenienza causale - anche successione o donazione - o temporale - anche ultraquinquennale -) di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria. Trattasi, a parere di questa Commissione, di una ipotesi non caratterizzata da sintomi di arricchimento "parassitario" e non "fisiologico" (come le altre gia' considerate dall'art. 81) e non significativi quindi di rendite speculative e di capacita' contributiva ex se. Ancora piu' dissonante con il sistema e' la previsione di cui al comma 5 dell'art. 11, legge n. 413/1991 introduttivo dell'assioma che tutte le somme percepite a seguito di esproprio o di cessioni volontarie nell'ambito di procedimenti espropriativi siano plusvalenze, e cioe' "reddito diverso" autonomamente tassabile. Ancora una volta tale disposizione si pone in contrasto - non giustificato razionalmente e non giustificabile - con le ipotesi previste dall'art. 81 T.U.I.R. assoggettando ad un pari trattamento fiscale situazioni ontologicamente diverse e discriminando tra quanti alienano i loro immobili volontariamente e liberamente e quanti li alienano coattivamente; tale disposizione si pone altresi' in contrasto con il gia' menzionato principio di capacita' contributiva che vuole che siano assoggettati a pari prelievo fiscale soggetti e situazioni caratterizzati da pari "ricchezza". L'indennita' di esproprio costituisce infatti ordinariamente, anche in considerazione della normativa applicata, non gia' una forma di arricchimento ma piuttosto il mero controvalore della proprieta' sottratta, e non pare dunque assimilabile, razionalmente, alle plusvalenze "speculative" di cui all'art. 81 T.U.I.R. Da ultimo pare contrastare con il principio consacrato dall'art. 53 della Costituzione (nella sua lettura coordinata con l'art. 3) il disposto dell'art. 11, comma 9, legge n. 419/1991 allorche' assume quale indice di ricchezza e di capacita' contributiva situazioni gia' avveratesi e definitesi nel tempo, a prescindere da ogni indagine circa la attualita' della capacita' contributiva del soggetto e circa il "prolungamento" nel tempo della idoneita' a produrre ricchezza, ovvero a verificare se l'efficacia retroattiva della norma sia sorretta da una razionale presunzione che gli effetti economici della situazione passata permangano attualmente nella sfera dell'obbligato. Ne' puo' omettersi di valutare, sempre ai fini della capacita' contributiva e dell'uguaglianza, la arbitrarieta' della fissazione di un termine (31 dicmebre 1988, anziche' uno diverso) alla applicazione retroattiva della nuova disposizione, termine del quale non e' dato di apprezzare la razionalita'. In definitiva il comma 9 dell'art. 11, legge n. 413/1991 individua capacita' contributive in circostanze e situazioni avveratesi antecedentemente alla sua promulgazione introducendo per di piu', ancora una volta, un discrimine temporale (31 dicembre 1988) del quale non e' data di comprendere la ragione. Conclusivamente le disposizioni esaminate (art. 81, comma 1, lett. f), d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dalla legge n. 413/1991, e art. 11, commi 5 e 9, legge 30 dicembre 1991 n. 413) paiono contrastare con il disposto degli artt. 53 e 3 della Costituzione, nel loro combinato disposto (oltre che nelle singole statuizioni di tali articoli) e la commissione ritiene di fare proprio il dubbio di costituzionalita' delle menzionate norme gia' evidenziato dal ricorrente; in conseguenza di cio' dispone la sospensione del giudizio sino alla pronuncia della Corte costituzionale, che viene investita della risoluzione della questione.
P. Q. M. Dispone trasmettersi gli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale e la sospensione, medio termine, del procedimento. Terni, addi' 21 settembre 2000 Il vice presidente relatore: Zingarelli 01C0416