N. 299 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 settembre 2000

Ordinanza   emessa   il  21  settembre  2000  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale   il   5 aprile  2001)  dalla  Commissione  tributaria
provinciale  di  Terni sul ricorso propostoda Galassi Vittorio contro
D.R.E. dell'Umbria, sez. di Terni

Tributi in genere - Imposte dirette - Indennita' di esproprio o somme
  percepite   a   seguito   di   cessioni  volontarie  nel  corso  di
  procedimenti  espropriativi,  nonche'  somme  comunque  dovute  per
  effetto   di   acquisizione   coattiva,conseguente  ad  occupazioni
  d'urgenza  divenute  illegittime, relativamente a terreni destinati
  ad  opere  pubbliche  ovvero ad interventi di edilizia residenziale
  pubblica - Tassabilita' con effetto retroattivo, rispetto alla data
  di  entrata  in vigore della norma impugnata - Asserita lesione dei
  principî    di    eguaglianza   e   di   capacita'   contributiva -
  Irrazionalita'   -   Riproposizione   di  questione  oggetto  della
  ordinanza  della  Corte  costituzionale  n. 171/2000  di  manifesta
  inammissibilita'.
- D.P.R.  22  dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b), come
  modificato  dall'art.  11, comma 1, lett. f), commi da 5 a 9, della
  legge 30 dicembre 1991, n. 413.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.17 del 2-5-2001 )
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha   emesso   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 763/1997
depositato  il 7 luglio 1997, avverso diniego rimborso - IRPEF contro
D.R.E. Umbria (Sez. Terni) proposto da: Galassi Vittorio, residente a
Terni  in  via  Monticano  n. 2,  difeso da: dott. De Santis Enrico e
dott. Pezzella Francesco, residente a Roma in via Aterno n. 15.

                              F a t t o

    A  seguito  di  decreto del P.G.R.U. n. 548 del 26 agosto 1981 il
comune di Terni procedeva ad espropriare in danno di Galassi Vittorio
alcuni suoi terreni, da destinarsi alla realizzazione del P.A.I.P. Il
Galassi  proponeva  ricorso  al  Tribunale  amministrativo  regionale
contro  tale  decreto  di  esproprio e contro la determinazione della
relativa indennita' e quindi, non essendo stata totalmente utilizzata
(l'area  espropriata)  per finalita' pubbliche, conveniva in giudizio
il  comune  per  sentirlo  condannare  alla  retrocessione  di quella
(appunto) non utilizzata.
    In  conseguenza della occupazione ad opera del comune, sempre per
la  realizzazione  del  P.A.I.P.,  di  altri  terreni  del Galassi si
addiveniva tra le parti ad un accordo per effetto del quale il comune
da  un  lato restituiva parte dell'area oggetto al primo esproprio, e
dall'altro   acquisiva   definitvamente   altre   rate   di   terreno
corrispondendo   al   Galassi   la   somma  di  L. 224.474.600  quale
corrispettivo (al lordo degli interessi) dell'acquisizione definitiva
di  aree.  Tale  accordo,  ed i relativi trasferimenti di beni contro
denaro,  si perfezionavano con atto rogato del segretario comunale il
26 novembre 1991.

    Al  momento del materiale pagamento il comune, essendo entrata in
vigore  la legge 30 dicembre 1991, n. 413, assoggettava alla ritenuta
del   20%   i   corrispettivi  pagati  al  Galassi.  Tale  legge  (in
particolare,  l'art. 11) introduceva una aggiunta alla lettera f) del
comma  1 dell'art. 81 TUIR approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per effetto della quale venivano
qualificate  come  plusvalenze  imponibili  oltre  quelle  realizzate
mediante  cessione  a  titolo  oneroso  di beni immobili acquistati o
costruiti da non piu' di cinque anni, anche e comunque le plusvalenze
realizzate  a  seguito  di  cessione  a  titolo  oneroso  di  terreni
edificabili. Lo stesso art. 11 prevedeva anche che gli, enti eroganti
le  somme  costituenti  il corrispettivo delle cessioni volontarie di
terreni nel corso di procedimenti espropriativi (quale quello avviato
dal  comune  di  Terni  nei  confronti  del Galassi) avrebbero dovuto
assoggettare  tali  somme a ritenuta di acconto (sul maggior reddito)
in misura pari al 20%.

    Il  comma  9  del menzionato art. 11 disponeva, da ultimo, che le
disposizioni  teste'  citate  (e  cioe'  quella  che  introduceva una
presunzione   legale  di  plusvalenza  speculativa  in  relazione  al
corrispettivo   della   cessione   volontaria   di  aree  edificabili
nell'ambito   di   un   procedimento   espropriativo   e  quella  che
assoggettava  tali  somme  alla  ritenuta  del  20%)  si applicassero
retroattivamente,  e  cioe'  anche  agli  atti  traslativi  venuti ad
esistenza  dopo  il  31 dicembre  1988  (e  cio'  ancorche'  la legge
n. 413/1991,  che  conteneva tali previsioni, fosse entrata in vigore
dal 1o gennaio 1992).

    In  formale  attuazione  di tali disposizioni il comune di Terni,
come  detto,  assoggettava a ritenuta le somme corrisposte al Galassi
il   quale,   ritenendo  illegittima  tale  trattenuta,  con  istanza
pervenuta  alla  direzione  regionale  per  le entrate dell'Umbria il
7 novembre  1996 chiedeva il rimborso di quanto trattenuto dal comune
e  versato all'erario. Con provvedimento dell'8 maggio 1997 la D.R.E.
per   l'Umbria  respingeva  la  domanda  di  rimborso  sostenendo  la
decadenza  del  contribuente  da  ogni  diritto  (ex  art. 38  d.P.R.
n. 602/1973)  e  comunque  la infondatezza della pretesa ai sensi dei
commi  5,  6,  7,  9  dell'art. 11  della legge n. 413/1991. Con tale
provvedimento  negativo  insorgeva  il  Galassi  con ricorso a questa
commissione,   ricorso   cui   resisteva   l'ufficio   reiterando  le
considerazioni  gia'  espresse  dalla D.R.E. alle quali premetteva la
eccezione  di  incompetenza  per  territorio della commissione adita,
essendo  competente  -  a  suo  giudizio  - la commissione tributaria
provinciale  di  Perugia  (essendo  in  quella  citta'  la sede della
menzionata D.R.E.).

    Il  contrasto  tra  le  posizioni  delle  parti, illustrate anche
oralmente, si incentrava su questi tre punti:
        a) competenza o meno della commissione tributaria provinciale
di Terni;
        b) tempestivita' o meno della azione del contribuente;
        c)  fondatezza  o  meno di essa (tale questione "passava", in
effetti,  attraverso la verifica della costituzionalita' o meno della
normativa   invocata   dall'ufficio,   posto   che   il  momento  del
trasferimento della proprieta' dal Galassi al comune, individuato dal
ricorrente  della  delibera  della giunta camerale del 26 giugno 1991
"ma  piu' correttamente nella data dell'atto pubblico amministrativo,
e cioe' nel 26 novembre 1991" si collocava all'interno del periodo di
operativita'  e  di applicazione dell'art. 81 T.U.I.R. e dell'art. 11
della  legge  n. 413/1991, "assorbente" tutti i trasferimenti onerosi
avveratisi a fini espropriativi successivamente al 31 dicembre 1988).

    La  commissione  con  ordinanza  del 5 febbraio 1988 sollevava un
dubbio di costituzionalita' delle menzionate norme e disponeva quindi
la  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale la quale pero',
con  ordinanza  n. 171  del  25 maggio/1o giugno  2000, dichiarava la
manifestata   inammissibilita'   delle   questioni   di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 81,   comma  1,  lettera  b),  del  d.P.R.
22 dicembre  1986,  n. 917,  come modificato dall'art. 11 della legge
n. 413/1991, nonche' dell'art. 11, comma 9, della stessa legge.

    All'esito di cio' veniva rifissata la discussione del ricorso che
faceva  registrare  il  deposito  di una articolata memoria difensiva
(con  allegati documenti) da parte del ricorrente e faceva registrare
una ampia trattazione orale delle rispettive tesi.

                            D i r i t t o

    Esplicitando  le  argomentazioni  che,  gia'  in pectore, avevano
indotto  la  commissione  a  rimettere senz'altro gli atti alla Corte
costituzionale,  si  deve  rigettare,  innanzi tutto, la eccezione di
incompetenza  per territorio sollevata dall'Ufficio. Questa muove dal
tenore  dell'art. 4  del  decreto  legislativo  n. 546/1992  e  dalla
considerazione,  come  detto,  che  la  direzione delle entrate e' un
ufficio  regionale  con  sede  nel  capoluogo  di  regione, cosicche'
sarebbe  priva  di  rilievo  la  circostanza  che  l'atto  di diniego
impugnato  sia  stato emesso dalla sezione di Terni di tale direzione
(in quanto questa sarebbe priva di qualsiasi autonomia funzionale).
    Come  gia' pero' illustrato nella propria decisione n. 42/01/1998
(dalla quale questa commissione non ha motivo di discostarsi) la tesi
dell'ufficio   appare  improntata  ad  un  formalismo  eccessivo  che
contrasta  con  le  linee  lungo  le  quali  si  muove  da  tempo  il
legislatore  nel  consentire  impugnazioni (e relative modalita') nei
confronti  di  atti della pubblica amministrazione (in generale, e di
quella  finanziaria  in  particolare),  cosi'  da  non  poter  essere
condivisa da questa commissione.
    I  principî  generali  teste'  accennati  sono  ravvisabili nella
volonta'  di  rendere  piu'  agevole,  certa  ed  immediata la tutela
giudiziaria  del cittadino e, dunque, nell'accertare la facilita' per
questo    di   ricorrere   alla   magistratura   (nelle   sue   varie
articolazioni).
    Appare   allora   contrastante   con   tali  linee  normative  la
introduzione  di artificiose articolazioni degli uffici finanziari ed
i  "distinguo"  che  a  cio'  si  collegano.  In  altri  termini pare
francamente  non  comprensibile,  e non accettabile, che la direzione
regionale   delle  entrate  preveda  sue  articolazioni  territoriali
mediante  sezioni  che si pongono all'esterno come titolari di propri
poteri discrezionali ed operativi pur rifuggendo poi, in sostanza, le
relative   responsabilita'   e   dal   fungere  rifuggendo  punto  di
riferimento (attivo e passivo) della amministrazione finanziaria.
    Appare dunque - come detto - incomprensibile ed inaccettabile che
sia  la  sezione  di  Terni  della  D.R.E. a ricevere la richiesta di
rimborso  e  ad  esprimere poi il relativo rifiuto volendo mantenere,
nonostante cio', la veste di mandataria - implicita - della direzione
regionale  ("sezione  centrale")  e  non  anche  la  veste di parte e
destinataria  della  controversia.  Va  ricordato,  del resto, che da
tempo   la   legge  prevede  che  ogni  provvedimento  amministrativo
impugnabile   debba   contenere   in   chiaro  la  indicazione  della
possibilita'  e modalita' della sua impugnazione, con indicazione del
giudice  competente;  ebbene la nota di diniego dell'8 maggio 1997 si
limita   a  parlare  di  commissione  tributaria  provinciale,  senza
specificare  trattarsi  di  quella  di  Perugia  ma alludendo invece,
tacitamente  ma  chiaramente  (stante  la tutela dell'affidamento del
cittadino),  a  quella  di  Terni,  territorialmente  collegata  alla
sezione (di Terni, appunto) della D.R.E.
    Superata  questa  prima  eccezione processuale occorre affrontare
quella  -  sostanziale  -  attinente  alla tempestivita' o meno della
istanza  di  rimborso (e conseguente ricorso) in relazione alla quale
costituisce  oggetto  di discussione la individuazione dell'ambito di
operativita' degli artt. 37 e 38, d.P.R. n. 602/1973.
    L'assunto  dell'ufficio  e'  che  il discrimine tra il termine di
prescrizione di dieci anni e quello di decadenza di diciotto mesi sia
costituito  dalle  modalita'  di  effettuazione  del  pagamento della
imposta  contestata,  applicandosi  il  primo  al  caso  di "ritenuta
diretta"   da  parte  dello  Stato  (ove  per  Stato  si  intende  la
amministrazione  finanziaria  o  altra amministrazione statale) ed il
secondo  al  caso  di  "versamento  diretto",  e  cioe' del pagamento
effettuato  dal  contribuente  in  prima  persona  o  da  chi per lui
(ravvisandosi   quest'ultima   ipotesi  in  ogni  caso  di  sostituto
d'imposta, ancorche' ente pubblico - diverso dallo Stato - ).
    A   conforto   della   tesi  interpretativa  dell'ufficio  milita
indubbiamente  una  copiosa - e recente - giurisprudenza, anche della
Corte di legittimita'.
    Senonche'  pare alla commissione che il problema sia mal posto in
questi  termini, focalizzandosi in una dicotomia che nulla - o poco -
ha  a  che  valere con il tema in discussione. Il vero discrimine tra
l'art. 37  e  l'art. 38,  d.P.R.  n. 602/1973  va  inviduato cioe' in
un'altra contrapposizione concettuale, e cioe' nella contrapposizione
tra  debenza  della  imposta (ed esistenza del rapporto tributario) e
debenza   del   pagamento.   Solo  quando  si  facciaquestione  della
erroneita',  duplicazione  e  esistenza  dell'obbligo  del  pagamento
(all'interno della categoria concettuale di una imposta astrattamente
applicabile   alla   fattispecie)   puo'  scendersi  all'esame  delle
modalita'  con  cui quella imposta, contestata in concreto, sia stata
pagata  (per  verificare  quale  sia  il  termine  appropriato per la
istanza di rimborso).
    Allorche'  invece  si  discute  di  un  versamento che non sia in
nessun   caso   sussumibile  nell'ambito  di  un  possibile  rapporto
tributario ci si trova in presenza di un indebito oggettivo assoluto,
cui   non   puo'  che  essere  applicato  il  termine  prescrizionale
decennale, qualunque sia la modalita' di effettuazione del pagamento.
In  tale  senso  possono  essere invocate sia la giurisprudenza della
C.T.C.  sia,  soprattutto, le risoluzioni ministeriali richiamate dal
ricorrente  nella  sua  memoria  del  12 luglio 2000, che indicano la
possibilita'  (e  doverosita')  per  l'amministrazionefinanziaria  di
procedere  al  rimborso  delle  somme comunque introitate a titolo di
imposte  che  siano invece assolutamente non applicabili ed esigibili
dal contribuente.
    La   vera   "questione",  allora,  che  questa  commissione  deve
risolvere     e'     quella    dell'accertamento    della    astratta
assoggettabilita'  ad  imposizione  delle  somme riscosse a titolo di
indennita'   di   occupazione   o   di   esproprio  o  di  indennita'
(sostitutiva)   conseguente   a   cessione  bonaria  di  un  immobile
nell'ambito  di una procedura espropriativa; ove infatti tale quesito
postuli  una risposta affermativa dovra' dirsi applicabile il termine
decadenziale  di  18  mesi, ma in caso contrario dovra' applicarsi il
piu' lungo termine prescrizionale ancorche' la "ritenuta" del 20% sia
stata operata dal comune di Terni.
    Tutto  cio'  riporta,  pero',  alla valutazione della conformita'
alle  regole-guida  del  nostro  sistema  positivo delle disposizioni
applicate  dal  comune  di  Terni  (e  dall'ufficio) per sostenere la
astratta  (e, poi, concreta) imponibilita' delle somme corrisposte al
Galassi.   Tali   disposizioni   si  sostanziano,  come  gia'  detto,
all'art. 81,  comma 1, lettera b), (nel testo novellato dall'art. 11,
comma  1, lett. f), legge n. 413/1991) e nell'art. 11, commi 5, 6, 7,
8 e 9, della stessa legge.
    Si  tratta  di  quelle stesse disposizioni della cui legittimita'
costituzionale  questa  commissione aveva gia' dubitato e sulle quali
aveva  provocato  un  intervento  chiarificatore da parte della Corte
costituzionale,  peraltro  mancato.  La Corte, infatti, si e' fermata
(per  cosi' dire) sulla soglia della questione avendo ravvisato delle
carenze  della ordinanza di rimessione che avrebbe omesso di indicare
i  concreti  elementi  delle fattispecie da esaminare e di esporre le
argomentazioni  fondanti  il  giudizio  di  rilevanza,  di tal che le
questioni   di   legittimita'   costituzionali   propostele  venivano
giudicate non gia' infondate ma piuttosto inammissibili.
    Una  siffatta  presa  di posizione del giudice delle leggi induce
questa  commissione  (i cui dubbi non sono stati affatto affrontati e
placati)  a  riproporre la questione di costituzionalita' delle norme
applicate   ed   invocate   dalla   amministrazione   delle  finanze,
naturalmente  cercando  di  ovviare  alle  carenze  della  precedente
ordinanza di rimessione.
    Si  esplicita  allora  che  la  assoggettabilita'  ad imposizione
diretta  (ed  a  ritenuta  fiscale da parte dell'ente erogatore delle
somme)  della  indennita'  di  esproprio  (o  ad  essa  assimilabile)
presuppone  la  vigenza  e  legittimita' costituzionale dell'art. 81,
comma  1, lett. b), d.P.R. n. 917/1986, come modificato dall'art. 11,
legge  n. 413/1991,  nonche'  dei  commi  5,  6, 7, 8, 9 dello stesso
art. 11,  legge n. 413/1991, in quanto fondanti la presunzione legale
di  plusvalenza  "speculativa"  per  le  cessioni a titolo oneroso di
terreni   edificabili   e,   piu'   ancora,  in  quanto  fondanti  la
tassabilita'  delle "somme percepite a seguito di cessioni volontarie
nel   corso   di  procedimenti  espropriativi";  in  quanto  fondanti
l'obbligo  degli  enti  eroganti di effettuare la ritenuta del 20% e,
soprattutto,  in  quanto  fondanti  la antedatazione degli effetti di
tali  disposizioni  agli  atti  di  cessione  volontaria all'esito di
procedimenti  espropriativi  avveratisi  nei tre anni antecedenti (1o
gennaio  1989/1o  gennaio  1992)  l'entrata  in  vigore  della  legge
n. 413/1991.
    E'  di  tutta  evidenza  che  solo  la  vigenza di tale complesso
normativo  giustifica la imposizione (e la ritenuta alla fonte) delle
somme  corrisposte  al  Galassi  ed  oggetto di causa, posto che esse
provengono  dalla  procedura  di  esproprio  di terreni agricoli (con
potenzialita'  edificatorie  nell'ambito di zone P.A.I.P.) esitata in
cessione  volontaria  e conclusasi in data 26 novembre 1991 (data del
contratto  in  forma  pubblico-amministrativa,  o comunque in data 26
giugno  1991,  giorno  della delibera comunale) e cioe' in un momento
antecedente  alla  entrata  in  vigore  della  legge  n. 413/1991  ma
successivo a quello di sua applicazione.
      Cosi'  chiariti  i profili concreti della fattispecie all'esame
della  commissione  e  le  ragioni  di  rilevanza  (su di essa) della
valutazione  della  compatibilita'  costituzionale delle disposizioni
applicate  si  reiterano  le  ragioni  di  fondato  dubbio della loro
costituzionalita'  (sulle  quali,  come  detto,  la  Corte  non si e'
espressa)   alla   stregua   del  paradigma  normativo  individuabile
nell'art. 3  e nell'art. 53 della Costituzione, articolo (questo) che
costituisce una specifica applicazione del piu' generale principio di
eguaglianza  in  quanto  finalizzato al rispetto di un "allineamento"
sostanziale di tutti i soggetti di diritto di fronte allo Stato.
    Ebbene   l'art. 81   T.U.I.R.  assoggetta  ad  imposizione  quali
"redditi  diversi"  le "plusvalenze" considerate speculative, e cioe'
l'arricchimento  conseguente  ad  alienazione  di  immobili  divenuti
edificabili  all'esito  di  lottizzazione  o alienati nel quinquennio
dall'acquisto   a   titolo   oneroso.   Tutte   tali   ipotesi   sono
caratterizzate   dal   denominatore   comune   di   un  arricchimento
"parassitario", connesso con rendite di posizione o con lo scambio di
immobili  individuabili  come  bene-merce,  che determina un prelievo
fiscale su tale "ricchezza gratuita";
    La   ipotesi   introdotta  dall'art.  11,  legge  n. 413/1991  e'
chiaramente  spuria  poiche'  assimila  ai  due  gruppi di "casi" ora
descritti  quelli  della alienazione (qualunque ne sia la provenienza
causale  -  anche  successione  o  donazione  -  o  temporale - anche
ultraquinquennale   -)   di  terreni  suscettibili  di  utilizzazione
edificatoria.  Trattasi,  a  parere  di  questa  Commissione,  di una
ipotesi non caratterizzata da sintomi di arricchimento "parassitario"
e  non  "fisiologico" (come le altre gia' considerate dall'art. 81) e
non  significativi  quindi  di  rendite  speculative  e  di capacita'
contributiva ex se.
    Ancora  piu' dissonante con il sistema e' la previsione di cui al
comma 5 dell'art. 11, legge n. 413/1991 introduttivo dell'assioma che
tutte  le  somme  percepite  a  seguito  di  esproprio  o di cessioni
volontarie    nell'ambito   di   procedimenti   espropriativi   siano
plusvalenze,  e  cioe'  "reddito  diverso"  autonomamente  tassabile.
Ancora  una  volta  tale  disposizione  si  pone  in  contrasto - non
giustificato  razionalmente  e  non  giustificabile  - con le ipotesi
previste  dall'art. 81  T.U.I.R. assoggettando ad un pari trattamento
fiscale situazioni ontologicamente diverse e discriminando tra quanti
alienano  i  loro  immobili volontariamente e liberamente e quanti li
alienano   coattivamente;  tale  disposizione  si  pone  altresi'  in
contrasto  con il gia' menzionato principio di capacita' contributiva
che  vuole  che siano assoggettati a pari prelievo fiscale soggetti e
situazioni caratterizzati da pari "ricchezza".
    L'indennita'  di  esproprio  costituisce  infatti ordinariamente,
anche in considerazione della normativa applicata, non gia' una forma
di  arricchimento  ma piuttosto il mero controvalore della proprieta'
sottratta,  e  non  pare  dunque  assimilabile,  razionalmente,  alle
plusvalenze "speculative" di cui all'art. 81 T.U.I.R.
    Da   ultimo   pare   contrastare   con  il  principio  consacrato
dall'art. 53  della  Costituzione  (nella  sua lettura coordinata con
l'art. 3)   il  disposto  dell'art. 11,  comma  9,  legge n. 419/1991
allorche'   assume   quale   indice   di  ricchezza  e  di  capacita'
contributiva  situazioni  gia'  avveratesi  e definitesi nel tempo, a
prescindere  da  ogni  indagine  circa  la attualita' della capacita'
contributiva  del soggetto e circa il "prolungamento" nel tempo della
idoneita'  a  produrre  ricchezza, ovvero a verificare se l'efficacia
retroattiva della norma sia sorretta da una razionale presunzione che
gli effetti economici della situazione passata permangano attualmente
nella sfera dell'obbligato.
    Ne'  puo'  omettersi  di valutare, sempre ai fini della capacita'
contributiva e dell'uguaglianza, la arbitrarieta' della fissazione di
un termine (31 dicmebre 1988, anziche' uno diverso) alla applicazione
retroattiva  della  nuova disposizione, termine del quale non e' dato
di apprezzare la razionalita'.
    In   definitiva   il  comma  9  dell'art. 11,  legge  n. 413/1991
individua   capacita'   contributive   in  circostanze  e  situazioni
avveratesi  antecedentemente  alla sua promulgazione introducendo per
di piu', ancora una volta, un discrimine temporale (31 dicembre 1988)
del  quale  non e' data di comprendere la ragione. Conclusivamente le
disposizioni  esaminate  (art. 81,  comma  1,  lett.  f),  d.P.R.  22
dicembre  1986,  n. 917,  come  modificato dalla legge n. 413/1991, e
art. 11,  commi  5  e  9,  legge  30  dicembre  1991  n. 413)  paiono
contrastare  con  il  disposto degli artt. 53 e 3 della Costituzione,
nel  loro  combinato disposto (oltre che nelle singole statuizioni di
tali  articoli) e la commissione ritiene di fare proprio il dubbio di
costituzionalita'   delle   menzionate  norme  gia'  evidenziato  dal
ricorrente;  in  conseguenza  di  cio'  dispone  la  sospensione  del
giudizio  sino  alla  pronuncia della Corte costituzionale, che viene
investita della risoluzione della questione.
                              P. Q. M.
    Dispone  trasmettersi  gli  atti,  a  cura della segreteria, alla
Corte   costituzionale   e   la   sospensione,   medio  termine,  del
procedimento.
        Terni, addi' 21 settembre 2000
               Il vice presidente relatore: Zingarelli
01C0416