N. 301 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 dicembre 2000
Ordinanza emessa il 6 dicembre 2000 dal tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Di Palma Salvatore e Banca di Roma S.p.a. Obbligazioni pecuniarie - Interessi convenzionali nei contratti di mutuo - Pretesa di interessi corrispettivi legittimamente pattuiti, ma successivamente divenuti usurari (per sopravvenuto abbassamento del c.d. tasso soglia) - Applicabilita', secondo il diritto vivente, della sanzione della non debenza di alcun interesse - Violazione del diritto di agire in giudizio a tutela della posizione creditoria sostanziale - Irragionevole e ingiustificata disparita' di trattamento tra creditori, nonche' tra posizioni creditorie e debitorie - Contrasto con la tutela del risparmio. - Cod. civ., art. 1815, secondo comma. - Costituzione, artt. 3, 24 e 47. Invia subordinata: Obbligazioni pecuniarie - Interessi convenzionali nei contratti di mutuo - Pretesa di interessicorrispettivi originariamente legittimi, ma successivamente divenuti usurari (per sopravvenuto abbassamento del c.d. tasso soglia) - Inapplicabilita' (secondo l'interpretazione non condivisa dal giudice "quo") di alcunasanzione - Irragionevole differenziazione di situazioni analoghe, in base alla loro insorgenza temporale. - Cod. civ., art. 1815, secondo comma. - Costituzione, art. 3.(GU n.17 del 2-5-2001 )
IL TRIBUNALE Nella causa iscritta al n.r.o. 3699/98, letti gli atti, sciogliendo la riserva che precede, vista la sentenza non definitiva emessa in pari data, ha pronunziato la seguente ordinanza: F a t t o Con citazione regolarmente notificata Di Palma Salvatore conveniva in giudizio la Banca di Roma, S.p.a., Gruppo Bancaroma, in persona del legale rappresentante pro tempore, Gentile Salvatore e Cino Giovanni, per sentire accolta la propria opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso dall'allora pretore di Napoli in data 22 settembre 1998 con il quale gli era stato ingiunto, nella sua qualita' di fideiussore il pagamento della somma di L. 22.204.951, di cui 19.421.333 per esposizione su contratto di finanziamento n. 4701/96008814 e il residuo per saldo passivo del conto corrente n. 65042835, oltre interessi di mora al 12% annuo; L'opponente contestava oltre la regolarita' della costituzione dello stesso quale fideiussore, la limitazione della garanzia al solo contratto di finanziamento e l'usurarieta' dei tassi applicati invocando l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, c.c. Tanto premesso in fatto, preliminarmente osserva: 1. dalla documentazione in atti prodotta emerge che effettivamente il Di Palma potra' essere considerato costituito fideiussore unicamente in relazione al contratto di finanziamento e non con riguardo al contratto di conto corrente; 2. ad avviso del giudicante il tasso cui far riferimento per valutare la dedotta usurarieta' degli interressi applicati non e' quello indicato dall'opponente - che concerne si' i mutui, ma quelli assistiti da garanzia reale - bensi' il tasso concernente i crediti personali e altri finanziamenti, alle famiglie effettuati da banche - di cui ai vari d.m. che si sono susseguiti ai sensi della legge n. 108/1996, nel rilavare i tassi effettivi globali medi, sia perche' il mutuo non appare assistito da alcuna garanzia reale sia perche' esplicitamente e' fatto riferimento nel contratto ad esigenze familiari; 3. il tasso di interessi applicato nel contratto di mutuo - tale dovendosi qualificare il contratto nascente dalla richiesta di concessione di specialcredito del 26 ottobre 1996 a firma anche del Di Palma - e' del 18,75% annuo - e ha comportato la determinazione per la restituzione dell'importo di 25.000.000 di 60 rate mensili di L. 645.080, dal 30 novembre 1996 al 31 ottobre 2001 secondo lo schema depositato dalla Banca di Roma - mentre il tasso di mora pattuito e' del 21,75%; 4. i predetti tassi al momento della stipula del contratto non potevano ritenersi usurari ai sensi dell'art. 3 della legge n. 108/1996 - che dettava i criteri da utilizzare temporaneamente, e in attesa della prima rilevazione trimestrale dei tassi globali medi, per individuare gli estremi dell'usurarieta' - in quanto non sproporzionati rispetto alla prestazione offerta; 5. a seguito del variare dei tassi globali medi e precisamente a seguito della rilevazione del trimestre 1o gennaio - 31 marzo 1999 il tasso relativo agli interessi corrispettivi di mutuo applicato dalla Banca di Roma (18,75%) e' divenuto usurario in quanto il tasso globale medio relativo alla categoria crediti personali e altri finanziamenti alle famiglie effettuati da banche e' stato rilavato come 11,68% e pertanto il tasso soglia calcolato aumentando della meta' il tasso medio e' divenuto del 17,52% e tale tasso e' tuttora da considerarsi usurario alla luce della rilevazione del d.m. 21 settembre 2000 (tasso globale medio 11,10 tasso soglia 16,85); 6. quanto alla pattuizione del tasso di mora - a prescindere dalla valutazione effettuata dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 236 del 22 giugno 2000 in ordine all'inesistenza di un diritto vivente conforme relativo all'applicabilita' dell'art. 1815, comma 2, anche agli interessi di mora, e a prescindere dalle considerazioni che invece hanno portato la Corte di cassazione a pronunziarsi per tale applicabilita' (cfr. Cass. 17 novembre 2000 n. 14899 e Cass. 22 aprile 2000 n. 5286) - nel presente giudizio va considerato che la banca ha pattuito tassi originariamente non usurari - poi divenuti tali - e ha richiesto l'applicazione di un tasso moratorio diverso (12%) e inferiore al tasso soglia di usura; Alla luce delle predette considerazioni in fatto e diritto reputa, questo giudicante di dover sollevare d'ufficio la questione di costituzionalita' dell'art. 1815, comma 2, c.c. come modificato dalla legge n. 108/1996, nei termini di cui in seguito. La predetta questione di costituzionalita' dell'art. 1815, comma 2, c.c., e' ad avviso di questo giudicante rilevante ai fini del presente giudizio in quanto dalla pronunzia della Corte costituzionale dipende, per le ragioni e nei limiti di cui in premessa, la possibilita' di riconoscere o meno alla parte che aveva ottenuto il decreto ingiuntivo gli interessi corrispettivi al tasso pattuito del 18,75% annuo, divenuto, obiettivamente nel corso del rapporto, superiore al tasso soglia. L'art. 1815, comma 2, prevede che se sono convenuti interessi usurari la clausola e' nulla e non sono dovuti interessi. Ai sensi dell'art. 644 c.p. l'interesse e' usurario quando supera il limite stabilito dalla legge ovvero quando, pur senza superare tale limite, e' sproporzionato rispetto alla controprestazione avuto riguardo alle condizioni indicate dallo stesso art. 644, comma 3, c.p. Il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e' stabilito ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108/1996 in base al tasso soglia, calcolato aumentando della meta' il tasso effettivo globale medio, su base annua, rilevato trimestralmente con d.m. per ciascuna categoria di operazioni finanziarie. La stessa norma sanziona penalmente non soltanto chi "si fa promettere" ma anche chi "si fa dare" interessi usurari, collegando sotto il profilo penalistico l'usurarieta' non soltanto al momento genetico, ma anche a quello attuativo della percezione, di guisa che colui il quale si faccia dare interessi, divenuti usurari per effetto del sopravvenuto superamento dei limiti stabiliti dalla legge, risponde ugualmente del reato di usura. Alla luce della lettura combinata con il disposto dell'art. 644 c.p., il secondo comma dell'art. 1815 c.c., puo' essere interpretato, ad avviso di questo giudice, unicamente nel senso che la sanzione civile della non debenza di alcun interesse opera non soltanto nelle ipotesi in cui al momento della pattuizione degli interessi questi siano convenuti ad un tasso usurario, ma anche in quelle in cui gli stessi superino il tasso soglia per effetto di una variazione in diminuzione del predetto tasso, sopravvenuta ad una pattuizione originariamente legittima - e quindi tanto ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge n. 108/1996 per i quali non esisteva alcun tasso soglia quanto a quelli stipulati, come nel caso di specie, successivamente con tasso d'interesse divenuto usurario soltanto a seguito della diminuzione del tasso soglia. Sul punto va anzi precisato che recentemente proprio la Corte di cassazione (cfr. Cass. 17 novembre 2000 n. 14899 e Cass. 22 aprile 2000 n. 5286) ha fatto perno principalmente sulla dazione per individuare il momento determinante ai fini della configurabiita' dell'usura, svalutando il momento della stipulazione. Questo giudicante non condivide quello che sembrerebbe essere l'avviso della Corte di cassazione, ovverosia che anche se pattuito ab origine un interesse usurario l'unico momento rilevante ai fini della qualificazione come usurario dell'interesse sarebbe la datio. Ad avviso dello scrivente, piuttosto, il momento della datio dovrebbe rilevare per il caso di pattuizione originariamente lecita o di assenza di pattuizione, non potendo invece incidere, nel senso di escluderla, sull'illiceita' di una pattuizione di un tasso ab origine superiore al tasso soglia. La convinzione di questo giudice sul punto si fonda sul dato letterale dell'art. 1815, comma 2, c.c. che si riferisce unicamente alla convenzione di tassi usurari, e che alla luce dei profili penalistici sopra evidenziati puo' e deve essere interpretato in maniera da ricomprendere anche l'ipotesi di datio illecita che faccia seguito ad una convenzione lecita, ma non puo' essere travolto fino ad escludere ogni rilevanza all'illiceita' originaria della pattuizione seppur non seguita da una effettiva datio. Pur con la predetta precisazione non puo' pero' non riconoscersi che la Corte di cassazione con il proprio autorevole avallo, guardando alla datio quale momento qualificante per la determinazione dell'usurarieta' ha confermato quale diritto vivente l'interpretazione dell'art. 1815, comma 2, c.c., nella lettura prospettata da questo giudicante, ovvero come applicabile non solo per l'ipotesi di stipulazione di un tasso originariamente usurario ma anche all'ipotesi di sopravvenienza dell'usurarieta' (sul punto esplicitamente Cass. n. 5286/2000 seppure in un obiter dictum fa riferimento all'applicabilita' dell'art. 1815, comma 2, all'ipotesi di contratto di mutuo stipulato anteriormente alla legge n. 108/1996). La norma, pero', nell'unica interpretazione che ad avviso del giudicante appare giuridicamente possibile, sembra porsi in contrasto con gli articoli 24, 3 e 47 della Costituzione. Il principio del "dovuto processo legale", di cui l'art. 24 della Costituzione e' una delle espressioni normative, infatti, impone al legislatore, libero nella scelta di riconoscere e modellare sul piano sostanziale una posizione di vantaggio (nel rispetto, ovviamente, delle altre norme costituzionali), il dovere di riconoscere, alla posizione creata, un procedimento che sia adeguato alle caratteristiche concrete della stessa e che le permetta di esplicarsi sul piano processuale entro gli stessi limiti in cui le e' consentito svilupparsi su quello sostanziale. In questa prospettiva il legislatore dopo aver scelto di riconoscere al creditore il diritto di richiedere interessi ad un tasso convenzionale, legittimo al momento della pattuizione, e' tenuto, ai sensi dell'art. 24 Cost., ad assicurare sul piano processuale la adeguata realizzazione di quel diritto. Appare, pertanto, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione l'art. 1815, comma 2, c.c. nella parte in cui, sanzionando con la non debenza degli interessi 1'usurarieta' sopravvenuta degli stessi, per effetto di un decreto ministeriale, limita la facolta' di esplicare, sul piano processuale, la posizione attribuita al creditore sul piano sostanziale, dal momento che quest'ultimo azionando in giudizio il proprio diritto, legittimamente sorto, si vede sanzionato con la negazione della possibilita' di pretendere qualsiasi interesse. Tale situazione crea, inoltre, un'irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento tra operatori che pur legittimamente hanno concesso finanziamenti a tassi di interesse non geneticamente usurari, soltanto in funzione del dato accidentale della variazione in diminuzione del tasso soglia, non prevedibile sia nel quantum che nell'an, posto che il predetto tasso puo' anche variare in aumento, circostanza che nel corso del susseguirsi di d.m. di rilevazione si e' concretamente verificata. Sotto tale profilo, inoltre, si crea una ingiustificata disparita' anche tra posizioni creditorie e debitorie - tanto piu' se si considera che non sempre e non necessariamente nei rapporti economici il debitore e' il soggetto economicamente piu' debole - nel momento in cui a seguito di una variazione in diminuzione del tasso soglia al di sotto degli interessi convenzionali il creditore si trova esposto alla sanzione della non debenza di alcun interesse, senza che un successivo aumento della soglia di usurarieta' al di sopra del tasso pattuito convenzionalmente possa incidere nuovamente sul rapporto. La norma, inoltre, si pone in contrasto con l'art. 47 della Costituzione, non incoraggiando il risparmio in tutte le sue forme, in quanto rischia di spingere gli operatori da un lato a concedere crediti con maggiore ritrosia, alla luce del rischio di vedersi sanzionati indipendentemente da un loro colpevole comportamento, dall'altro - dal momento che gli stessi operatori finanziari in virtu' del meccanismo previsto dalla legge n. 108/1996 possono di fatto incidere sulla determinazione del tasso soglia - a mantenere tale tasso costantemente piu' alto di quanto imporrebbe la realta' dei mercati. Ne', del resto, per ovviare a tali profili di incostituzionalita', potrebbe interpretarsi l'art. 1815 c.c. nel senso di un'automatica riconduzione dei tassi divenuti usurari al tasso massimo consentito, ovvero al tasso legale, come pure parte della giurisprudenza di merito ha proposto. L'eterointegrazione imperativa della volonta' contrattualmente espressa dalle parti ai sensi dell'art. 1339 c.c. e', invero, impedita dal collegamento che lo stesso art. 1815 c.c. pone tra nullita' della clausola con la quale sono pattuiti interessi usurari e la sanzione di non debenza di alcun interesse. Per effetto della variazione del tasso soglia, invero, l'originaria pattuizione diviene - prospettandosi nel nostro ordinamento la figura della nullita' sopravvenuta - nulla. In tal caso intervenendo l'art. 1815 c.c. ad imporre la sostituzione della clausola nulla con la sanzione che esclude l'applicabilita' di qualsivoglia interesse, non viene lasciato alcuno spazio al giudice di merito per sostituire al tasso divenuto usurario il tasso massimo consentito, ovvero il tasso legale. Se poi si volesse sostenere che la clausola originariamente valida non diviene nulla - escludendosi l'istituto della nullita' sopravvenuta - in quanto si sarebbe soltanto in presenza di un comportamento illecito della parte la quale pretende interessi divenuti usurari, non troverebbe ugualmente spazio l'integrazione della volonta' delle parti ai sensi dell'art. 1339 c.c., in quanto tale norma presuppone, necessariamente, una nullita' parziale delcontratto. L'eterointegrazione imperativa della volonta' contrattualmente espressa dalle parti in una clausola originariamente valida - che pure ricondunebbe l'art. 1815, comma 2, nell'alveo di costituzionalita', in quanto determinerebbe il riallineamento progressivo di tutti i tassi creditori al di sotto dei limiti massimi consentiti, senza creare disparita' di trattamento - non appare, dunque, a questo giudicante sorretta da alcun dato testuale e potrebbe legittimamente operare nell'ordinamento giuridico soltanto a seguito di intervento adeguatore del giudicedelle leggi. Questione di costituzionalita' proposta in via meramente subordinata. Non ritiene questo giudice che ad impedire la declaratoria di incostituzionalita' possa richiamarsi una diversa lettura, che si pretenderebbe costituzionalmente corretta, dell'art. 1815 c.c., interpretato nel senso che lo stesso sanzionerebbe la sola pattuizione con la quale sono convenuti interessi usurari, con conseguente applicabilita' alle sole ipotesi in cui, al momento della pattuizione degli interessi, questi siano convenuti ad un tasso usurario e non anche a quelle in cui gli stessi superino il tasso soglia per effetto di una variazione in diminuzione del predetto tasso, sopravvenuta ad una pattuizione originariamente legittima. Premesso che per le ragioni in precedenza esposte, per il necessario collegamento con l'art. 644 c.p., e per i citati interventi sul punto della Corte di cassazione, una tale interpretazione dell'art. 1815 c.c. non e', ad avviso di questo giudicante, praticabile, anche tale interpretazione non sarebbe, comunque, scevra da dubbi di costituzionalita', in relazione all'art. 3 della Costituzione. Ove si volesse tentare una siffatta lettura della norma, infatti, la stessa finirebbe col sottoporre irragionevolmente analoghe situazioni ad una disciplina civilistica differenziata, giacche' da un lato non considererebbe come usurari interessi che per effetto dell'abbassamento del tasso soglia vengono a superare, in un determinato momento storico, i limiti di usurarieta', dall'altro considererebbe usurari interessi che superano, nello stesso momento storico e nell'identica misura, il tasso soglia, e cio' soltanto in considerazione del diverso dato temporale della loro insorgenza. Del resto, poiche' come si e' gia' visto, l'art. 644 c.p. sanziona penalmente non soltanto chi "si fa promettere" ma anche chi "si fa dare" interessi usurari, collegando sotto il profilo penalistico l'usurarieta' non soltanto al momento genetico ma anche a quello attuativo della percezione, colui il quale si facesse dare interessi divenuti usurari, per effetto del sopravvenuto superamento dei limiti stabiliti dalla legge, risponderebbe del reato di usura, ma potrebbe, secondo tale prospettiva, legittimamente pretendere sul piano civilistico gli interessi come originariamente pattuiti. Neanche in quest'ottica interpretativa, poi, potrebbe sostenersi che nel caso di sopravvenuta usurarieta' degli interessi, pur non applicandosi la sanzione della non debenza di alcun interesse, gli stessi andrebbero autoritativamente ricondotti al tasso legale ovvero a quello massimo consentito (c.d. tasso soglia). La premessa da cui muove l'interpretazione, che non si condivide, dell'art. 1815 c.c., infatti sarebbe che la clausola con la quale sono stati convenuti interessi, divenuti soltanto successivamente usurari, non sia nulla; ma se la clausola contrattuale e' valida, gia' si e' detto come non potrebbe essere la stessa sostituita ai sensi dell'art. 1339 c.c., che presuppone l'invalidita' parziale del contratto. Tanto premesso, va disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisone sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 24 e 47 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1815 c.c., comma 2, nella parte in cui sanziona con la non debenza di alcun interesse la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari; In via meramente subordinata dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1815 c.c., comma 2, nella parte in cui non sanziona in alcun modo la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari; Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati; Ordina alla cancelleria di comunicare altresi' a tutte le parti anche contumaci il testo completo della presente ordinanza; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Si comunica a cura della cancelleria. Napoli, addi' 6 dicembre 2000 Il giudice: Villani 01C0418