N. 137 SENTENZA 9 - 17 maggio 2001

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Conflitto  tra  poteri  dello Stato, proposto con ordinanza (anziche'
  con  ricorso)  dalla  Corte d'appello di Milano nei confronti della
  Camera dei deputati - Eccezione di irricevibilita' - Reiezione.
Conflitto  tra  poteri dello Stato, proposto dalla Corte d'appello di
  Milano  nei confronti della Camera dei deputati - Atto introduttivo
  -  Eccezione di irricevibilita' per carente indicazione delle norme
  costituzionali che regolano la materia - Reiezione.
Conflitto  tra  poteri dello Stato, proposto dalla Corte d'appello di
  Milano  nei confronti della Camera dei deputati - Atto introduttivo
  -   Eccezione   di   irricevibilita'  per  carente  richiesta,  nel
  dispositivo   del   ricorso,  della  pronuncia  sulla  spettanza  e
  dell'annullamento dell'atto invasivo - Reiezione.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale a carico di
  parlamentari  per  i  reati di resistenza e di oltraggio a pubblico
  ufficiale  -  Deliberazioni  di  insindacabilita'  della  Camera di
  appartenenza   -  Ricorso  della  Corte  d'appello  di  Milano  per
  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato - Illegittima
  interferenza   della   Camera   dei   deputati  nelle  attribuzioni
  dell'autorita'    giudiziaria   -   Non   spettanza   alla   stessa
  Assembleaparlamentare  del  potere  di adottare le deliberazioni di
  insindacabilita' contestate - Conseguente annullamento delle stesse
  deliberazioni.
- Deliberazioni della Camera dei deputati 16 marzo 1999.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.20 del 23-5-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo   ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda
CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito delle delibere della Camera dei deputati del 16 marzo
1999 relative alla insindacabilita' dei fatti per i quali e' in corso
procedimento  penale  n. 4771/1998 nei confronti dei deputati Roberto
Maroni  ed  altri, promosso dalla Corte di appello di Milano con atto
notificato  il  21 febbraio  2000,  depositato in cancelleria in data
8 marzo 2000 ed iscritto al n. 13 del registro conflitti 2000.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  6 febbraio  2001  il  giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con ordinanza in data 8 giugno 1999, emessa nell'ambito di
un  procedimento penale a carico dei deputati Roberto Maroni, Umberto
Bossi, Mario Borghezio, Davide Carlo Caparini, Piergiorgio Martinelli
e  Roberto  Calderoli,  la  Corte  di  appello di Milano ha sollevato
conflitto  di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in
relazione  alla delibera di insindacabilita', adottata dall'Assemblea
il 16 marzo 1999, secondo la quale i fatti per i quali e' in corso il
procedimento  penale,  con eccezione, per il solo deputato Borghezio,
del  reato  di resistenza, concernono opinioni espresse da membri del
Parlamento   nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  con  conseguente
insindacabilita',   a   norma   dell'art. 68,   primo   comma,  della
Costituzione.
    I  predetti  deputati  erano stati rinviati a giudizio davanti al
pretore  di Milano, che li aveva condannati per i reati di resistenza
e   di   oltraggio  a  pubblico  ufficiale,  commessi  in  Milano  il
18 settembre  1996,  in  occasione  di una perquisizione disposta dal
Procuratore della Repubblica di Verona nei confronti di certo M.C., e
poi  estesa  ad  un locale ritenuto nella disponibilita' del predetto
presso  la  sede  di  Milano  del  Partito Lega Nord. In pendenza del
giudizio  di  secondo  grado,  era  pervenuta alla Corte d'appello la
delibera  con  la quale la Camera dei deputati si era espressa per la
insindacabilita'  dei  fatti  oggetto di entrambe le imputazioni, con
eccezione, per il solo deputato Borghezio, del reato di resistenza.
    Con riferimento al reato di resistenza la Corte ricorrente rileva
che  la  delibera  della Camera si e' discostata dalla proposta della
Giunta per le autorizzazioni a procedere, che si era pronunciata, per
tutti  i  parlamentari, nel senso che gli atti integranti tale reato,
per  la  loro natura violenta, erano estranei al concetto di opinioni
espresse   nell'esercizio   delle  funzioni  parlamentari,  ed  aveva
limitato  la proposta di insindacabilita' ai soli fatti di oltraggio,
ritenendo   che   le  espressioni  usate  dai  deputati  ("fascisti",
"mafiosi",  "Pinochet"),  "benche'  in astratto di natura ingiuriosa"
potevano  essere  considerate "manifestazione di critica politica nel
contesto di una protesta di valore anche simbolico svolta da deputati
esponenti di un partito politico di opposizione".
    In particolare, la Corte ricorrente ricorda che il relatore della
Giunta  on. Borrometi aveva ravvisato il nesso funzionale tra i fatti
contestati  a  titolo  di  oltraggio e l'attivita' parlamentare nella
"decisa  battaglia [...] condotta (dagli esponenti della Lega nord) a
favore  della  loro tesi politica tanto da ottenere la legittimazione
della  denominazione  del loro gruppo parlamentare, il cui fine [...]
e'  individuato  nell'indipendenza  della Padania. In questo senso la
viva  protesta,  anche  attraverso  epiteti  ingiuriosi,  a fronte di
un'attivita'   della   polizia   che,  sia  pur  legittima,  appariva
simbolicamente  come  una  minaccia  nei confronti di tali fini, puo'
essere   qualificata   come   manifestazione   di  opinioni  espresse
nell'esercizio  di  funzioni  parlamentari".  La  Corte di appello di
Milano   ritiene   pero'  che  nell'azione  di  difesa  di  una  tesi
strettamente  programmatica e politica non si possa configurare, "sol
perche'  non  estranea  a  rivendicazioni  avanzate anche nell'ambito
parlamentare,  quel  nesso  con  le  funzioni  proprie dei deputati -
quand'anche   da   intendersi  estese  all'espletamento  del  mandato
ricevuto  dagli  elettori  e  non  circoscritte intra moenia - che e'
presupposto essenziale del potere valutativo attribuito alle Camere".
    Ad  avviso  della  Corte ricorrente, il nesso funzionale e' ancor
meno  ravvisabile  con  riferimento ai fatti contestati come reato di
resistenza,  "la  cui  rilevanza  penale  sta  nella contrapposizione
violenta   a  quello  stesso  potere  statuale  di  cui  la  funzione
parlamentare  e'  espressione  di  rango  elevato";  in  tale senso -
prosegue  la  Corte  -  si  era  espressa  la  stessa  Giunta  per le
autorizzazioni   a   procedere,  che  aveva  escluso  ogni  possibile
collegamento  tra  le  condotte  contestate  a  titolo di resistenza,
"ancorche'  lette nel contesto di protesta ideologica da cui si muove
l'azione  politica  della  Lega  nord"  e  le  funzioni  parlamentari
esercitate dagli imputati.
    La  Corte  conclude che le delibere di insindacabilita' avrebbero
compresso  la  sfera  di attribuzione propria del potere giudiziario,
precludendo  a  quest'ultimo  la  cognizione in ordine alla rilevanza
penale dei fatti contestati ed alla loro riferibilita' agli imputati,
e  pertanto  solleva "conflitto di attribuzione in ordine al corretto
uso  del  potere  di  decidere  con  riferimento  alla ricorrenza dei
presupposti   di  applicabilita'  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  come esercitato dalla Camera dei deputati con delibere
del 16 marzo 1999".
    L'atto introduttivo, unitamente all'ordinanza n. 16 del 2000, con
cui  questa  Corte  ha  dichiarato ammissibile il conflitto, e' stato
notificato alla Camera dei deputati il 21 febbraio 2000 e depositato,
con la prova dell'avvenuta notifica, l'8 marzo 2000.
    2.  -  La Camera dei deputati si e' costituita il 6 marzo 2000 in
persona  del Presidente, on. Luciano Violante, rappresentato e difeso
dall'avv.  Massimo Luciani, chiedendo in via preliminare che la Corte
costituzionale  dichiari  irricevibile  o inammissibile il conflitto,
perche'  promosso  con  ordinanza, e non con ricorso, e in subordine,
nel  merito, che la Corte dichiari che spettava alla Camera affermare
l'insindacabilita',   ai   sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione delle opinioni espresse dai deputati sopra menzionati.
    Pur  prendendo atto della piu' recente giurisprudenza della Corte
(sentenze  nn. 10, 11, 56 e 58 del 2000), che ha ritenuto irrilevante
il  nomen  juris  dell'atto  introduttivo e ha affermato che la forma
dell'ordinanza   non   puo',   di   per   se'   sola,  comportare  la
irricevibilita'  del  conflitto,  la  Camera  resistente  ritiene che
l'ordinanza che ha promosso il conflitto sia comunque priva di almeno
due    dei    requisiti    specificamente    prescritti   e,   cioe',
dell'indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia e
della  richiesta  di  una  pronuncia della Corte che dichiari che non
spetta  alla  Camera  la  valutazione  contenuta  nella deliberazione
impugnata e la annulli.
    Circa  il primo requisito, la sola indicazione dell'art. 68 della
Costituzione  sarebbe  infatti  insufficiente  a individuare anche la
sfera  di attribuzioni riservata all'autorita' giudiziaria; in ordine
al secondo, ne' nel dispositivo, ne' nella motivazione dell'ordinanza
della Corte di appello comparirebbero le richieste di non spettanza e
di  annullamento della delibera, limitandosi la ricorrente a chiedere
alla Corte una pronuncia sul "corretto uso" del potere conferito alla
Camera dall'art. 68 Cost.
    In ogni caso il conflitto dovrebbe essere dichiarato irricevibile
anche  per  la  mancanza,  nel dispositivo dell'ordinanza della Corte
d'appello  di Milano, dell'ordine al cancelliere di notificare l'atto
alla  Camera,  in  quanto  l'intera  procedura seguita dal ricorrente
dovrebbe  corrispondere  a  quella stabilita per gli atti giudiziari,
sicche'  la  notifica dovrebbe trovare il suo fondamento in un ordine
del giudice.
    3.   -   Nel  merito,  la  Camera  dei  deputati  rileva  che  la
giurisprudenza costituzionale avrebbe "optato [...] per una posizione
intermedia  tra  quella  di  chi  ritiene  che  la  garanzia  di  cui
all'art. 68,  comma  primo,  della  Costituzione  copra solo gli atti
parlamentari  tipici  [...]  e  quella  di  chi  sostiene che da tale
garanzia  sia  coperta tutta l'attivita' politica comunque svolta dai
parlamentari [...]".
    A  conferma  di  tale  orientamento,  la Camera richiama numerose
sentenze,  emesse dal 1993 sino alla sentenza n. 417 del 1999, con la
quale  la  Corte,  nel  ribadire  il nesso funzionale tra le opinioni
espresse   e   l'esercizio  delle  funzioni  parlamentari,  ha  fatto
riferimento al "complessivo contesto parlamentare" in cui le opinioni
sono  state  manifestate.  La difesa della Camera prende poi atto del
recente  mutamento  di  indirizzo  della Corte (vengono richiamate le
sentenze  nn. 10,  11,  56 e 58 del 2000), che, peraltro, non sarebbe
ancora consolidato.
    In  relazione  ai  fatti  integranti  il  reato  di oltraggio, la
Camera,  richiamandosi  alla  sentenza  n. 417  del 1999, osserva che
l'intera  attivita'  politica  dei  parlamentari  della  Lega Nord e'
"improntata  all'affermazione  dell'autonomia  e dell'indipendenza di
una  parte  del Paese dal governo centrale" come dimostrato anche dai
numerosi   interventi   in   sede   parlamentare   a  sostegno  della
legittimita'  del  termine "Padania"; in tale situazione non dovrebbe
esservi  dubbio che i parlamentari inquisiti "abbiano interpretato la
perquisizione  nella sede del partito come un attentato all'autonomia
e   all'indipendenza   del  partito  stesso  e  del  connesso  gruppo
parlamentare"  e, di conseguenza, che le opinioni manifestate in quel
contesto  debbano  collegarsi "ai numerosi interventi, svolti in sede
parlamentare,     per     la    rivendicazione    dell'autonomia    e
dell'indipendenza dal potere centrale".
    La  Camera  resistente  sostiene  infine  che  anche  il  recente
mutamento  di  indirizzo  della  Corte,  secondo cui non sarebbe piu'
sufficiente,  ai  fini della insindacabilita', la "corrispondenza tra
le  opinioni  espresse  e il contesto politico" ma sarebbe necessaria
"una  corrispondenza  sostanziale  tra  le opinioni manifestate extra
moenia  e il contenuto di atti funzionali compiuti in Parlamento" non
puo' certo riferirsi all'ipotesi di "opinioni manifestate in presenza
di  fatti  nuovi  e  imprevedibili"  quali  sono  appunto quelle rese
durante  una  perquisizione,  non  essendo  possibile  pretendere una
"formale "anticipazione" di tali opinioni in sede parlamentare".
    Per  quanto concerne, poi, i fatti per i quali e' stato ravvisato
il   reato  di  resistenza,  premesso  che  un'opinione  puo'  essere
manifestata  con  qualsiasi mezzo e non solo tramite forme verbali, e
che  quindi "la materialita' di un atto o comportamento non impedisce
la  sua qualificabilita' come opinione" la difesa della Camera rileva
che "la resistenza [...] e' un mezzo grazie al quale singoli o gruppi
intendono   proteggere   innanzitutto   beni  che  considerano  [...]
irrinunciabili".   La   resistenza   sarebbe,   in   altri   termini,
"strumentale"  alla  tutela  di  beni  "finali",  quali l'autonomia e
l'indipendenza  del  partito  della  Lega  Nord,  e pertanto non puo'
essere   valutata   in  modo  diverso  rispetto  alle  forme  verbali
impiegate,   nello   stesso   contesto,   per  protestare  contro  la
perquisizione,  ritenuta  illegittima  violazione  proprio  di quella
autonomia e di quella indipendenza.
    In  una  successiva  memoria depositata in vista dell'udienza, la
difesa   della  Camera  insiste  nelle  conclusioni  gia'  rassegnate
nell'atto  di costituzione, rilevando altresi', quanto alla eccezione
di  irricevibilita',  che  l'utilizzazione della forma dell'ordinanza
determinerebbe  la  violazione del principio di parita' tra le parti:
l'autorita'  giudiziaria  diverrebbe,  infatti,  il  solo soggetto "a
poter  aggirare"  il disposto dell'art. 6 delle norme integrative del
16 marzo  1956,  in  base al quale "la parte deve depositare i propri
documenti  "in  tante  copie in carta libera quanti sono i componenti
della Corte e le parti".
    Nel  merito  la difesa della Camera, richiamando ancora una volta
la  sentenza  n. 417  del  1999,  ribadisce  che  cio'  che  non puo'
ritenersi coperto dalla garanzia costituzionale e' la mera "attivita'
politica"  del  deputato,  estranea  alla "politica parlamentare"; le
opinioni connesse alla politica parlamentare dovrebbero invece godere
della garanzia ex art. 68 Cost., a nulla rilevando la circostanza che
vengano manifestate extra anziche' infra moenia.
    Nel  menzionare  le  successive  sentenze che hanno richiesto una
"corrispondenza  sostanziale tra l'opinione manifestata all'esterno e
quella  manifestata  in  singoli  atti tipici" la difesa della Camera
richiama,  a  conferma  della  propria  tesi  interpretativa, le piu'
recenti  sentenze  nn. 320 e 321 del 2000, dalle quali si ricaverebbe
che la corrispondenza sostanziale tra l'atto parlamentare tipico e la
dichiarazione   extra   moenia   e'   solo   una   delle  ipotesi  di
riconducibilita'  della  dichiarazione  alla  funzione  parlamentare,
ancorche' sia quella che si verifica "normalmente": tanto e' vero che
nel  caso  di  specie  non  sarebbe  neppure possibile richiedere una
formale  "anticipazione" in sede parlamentare delle opinioni espresse
in occasione della perquisizione, attesa l'imprevedibilita' dell'atto
compiuto dalla polizia giudiziaria.

                       Considerato in diritto

    1. - Il conflitto di attribuzione promosso dalla Corte di appello
di  Milano  nei  confronti  della  Camera  dei  deputati  investe  le
deliberazioni   con  cui  l'Assemblea,  in  data  16 marzo  1999,  ha
affermato  l'insindacabilita'  -  alla  stregua  dell'art. 68,  primo
comma,  della  Costituzione  -  dei  fatti  qualificati come reati di
resistenza  e  di  oltraggio  a  pubblico  ufficiale,  per  i quali i
deputati  Roberto  Maroni,  Umberto  Bossi,  Davide  Carlo  Caparini,
Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli erano stati condannati dal
pretore di Milano, mentre nei confronti del deputato Mario Borghezio,
anch'egli  condannato  per  entrambi  i  reati,  la  deliberazione di
insindacabilita'   ha   avuto  per  oggetto  solo  i  fatti  relativi
all'imputazione di oltraggio.
    Con   riferimento   alle   condotte  qualificate  come  reato  di
oltraggio,  la Corte di appello ricorrente contesta le argomentazioni
del  relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere, secondo
cui  il  nesso  funzionale  tra  le  opinioni  espresse e l'attivita'
parlamentare   andrebbe   riferito   alla   battaglia   politica  dei
parlamentari  del  Partito  "Lega  Nord"  in favore dell'indipendenza
della  "Padania";  e  osserva  che  tale  nesso  sarebbe  ancora meno
ravvisabile,  come  aveva  ritenuto la stessa Giunta, in relazione ai
fatti   contestati   come   resistenza   a  pubblico  ufficiale,  che
costituiscono  espressione  di  una  contrapposizione  violenta ad un
potere statuale.
    2.  -  Le eccezioni di irricevibilita' dell'atto introduttivo del
giudizio  e di inammissibilita' del conflitto, sollevate dalla difesa
della  Camera, non sono fondate, come questa Corte ha gia' deciso con
le  sentenze  nn. 420,  321,  320,  58, 56, 11 e 10 del 2000; ne', al
riguardo, sono state prospettate nuove argomentazioni che inducano ad
un loro riesame.
    Quanto  alla  doglianza  relativa  alla  omessa esposizione delle
ragioni   costituzionali  del  conflitto  -  desumibile,  secondo  la
resistente,  dalla mancata indicazione delle norme costituzionali che
regolano la materia -, tali ragioni sono sintetizzate nel riferimento
ai  presupposti  di  applicabilita' dell'art. 68, primo comma, Cost.,
contenuto  nel  dispositivo  dell'ordinanza  della  Corte ricorrente.
L'art. 68 della Costituzione e' infatti norma deputata a definire e a
limitare  le  rispettive sfere della prerogativa parlamentare e della
giurisdizione,  per  cui  ogni  illegittima  estensione  dell'una  si
risolve  automaticamente  in  una  lesione dell'ambito dell'altra; il
richiamo   alla  citata  disposizione  consente  quindi  di  ritenere
adempiuto  l'onere di indicare i principi costituzionali che regolano
la materia (v. sentenza n. 320 del 2000).
    Infine,   circa   l'eccezione   relativa   alla   mancanza,   nel
dispositivo,  della  richiesta  di una pronuncia che dichiari che non
spetta  alla Camera la valutazione contenuta nella delibera impugnata
e  che  annulli  l'atto  invasivo, tali requisiti sono implicitamente
desumibili  sia  dal  contesto  complessivo dell'ordinanza, sia dallo
stesso  dispositivo,  nel  quale  la  Corte  ricorrente  dichiara  di
sollevare  "conflitto  di  attribuzione in ordine al corretto uso del
potere di decidere con riferimento alla ricorrenza dei presupposti di
applicabilita'  dell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, come
esercitato dalla Camera dei deputati con delibere del 16 marzo 1999".
    3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    La  Corte e' chiamata ad accertare se le manifestazioni verbali e
i  comportamenti  materiali  tenuti in occasione di una perquisizione
nella  sede  di  un  partito  politico,  e qualificati dall'Autorita'
giudiziaria come oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oggetto
delle  deliberazioni  d'insindacabilita' cui si riferisce il presente
conflitto,   siano  "identificabili  come  espressione  di  attivita'
parlamentari"  (sentenze  nn. 321, 320, 58, 11 e 10 del 2000) e siano
quindi  assistiti  dalla prerogativa di cui all'art. 68, primo comma,
Cost.
    Presupposto    delle    attivita'   coperte   dalla   prerogativa
parlamentare   e'   la   riconducibilita'   delle  opinioni  espresse
all'esercizio  delle  attribuzioni proprie del parlamentare (sentenze
n. 329 del 1999, 289 del 1998, 375 del 1997); riconducibilita' che va
intesa non come "semplice collegamento di argomento o di contesto fra
attivita'  parlamentare  e  dichiarazione,  ma come identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare"  (v. sentenze n. 58, 11 e 10 del 2000, nonche' sentenze
nn. 320  e  321  del 2000), cioe' quale sostanziale corrispondenza di
contenuti tra le dichiarazioni e l'atto parlamentare tipico.
    Ebbene,  nelle  espressioni  ("fascisti",  "mafiosi", "Pinochet")
indirizzate   dai  deputati  agli  ufficiali  e  agenti  di  pubblica
sicurezza   che  stavano  eseguendo  la  perquisizione  non  e'  dato
riscontrare alcun collegamento con l'esercizio delle funzioni proprie
del  parlamentare  ne',  tantomeno, alcuna corrispondenza sostanziale
con atti parlamentari tipici svolti nell'esercizio di tali funzioni.
    La prerogativa parlamentare non puo' infatti essere estesa sino a
comprendere   gli  insulti  -  di  cui  e'  comunque  discutibile  la
qualificazione   come  opinioni  -  solo  perche'  collegati  con  le
"battaglie"  condotte  da esponenti parlamentari in favore delle loro
tesi  politiche;  cosi'  argomentando, il nesso funzionale, lungi dal
tradursi  in  una  corrispondenza  tra  espressioni  verbali  e  atti
parlamentari  tipici, si risolverebbe in un generico collegamento con
un contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio
di   funzioni   parlamentari  suscettibili  di  essere  concretamente
individuate.
    A maggior  ragione  la prerogativa parlamentare di cui all'art.68
della   Costituzione   non  puo'  essere  riferita  ai  comportamenti
materiali  che  sono  stati  qualificati  come  resistenza a pubblico
ufficiale.
    L'art. 68,   primo   comma,   della   Costituzione  si  riferisce
unicamente  alle  "opinioni espresse" e ai "voti dati" dai membri del
Parlamento  nell'esercizio  delle  loro  funzioni, mentre gli atti di
resistenza e di violenza descritti nel capo di imputazione riprodotto
nell'ordinanza  della  Corte  di appello ricorrente non sono in alcun
modo qualificabili come tali.
    Adottando  le  deliberazioni  di  insindacabilita' in oggetto, la
Camera  dei  deputati  ha percio' interferito illegittimamente con le
attribuzioni  dell'Autorita'  giudiziaria; di conseguenza deve essere
disposto l'annullamento delle deliberazioni oggetto di impugnativa.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i
fatti  per i quali e' in corso avanti alla Corte di appello di Milano
procedimento  penale  nei  confronti  dei  deputati  Roberto  Maroni,
Umberto  Bossi,  Davide  Carlo  Caparini,  Piergiorgio  Martinelli  e
Roberto Calderoli per i reati di oltraggio e di resistenza a pubblico
ufficiale,  e del deputato Mario Borghezio per il reato di oltraggio,
concernono  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle loro funzioni a
norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
    Annulla,  per  l'effetto,  le  deliberazioni  di insindacabilita'
adottate dalla Camera dei deputati nella seduta del 16 marzo 1999.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                     Il redattore: Neppi modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 17 maggio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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