N. 141 ORDINANZA 9 - 17 maggio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  militari  - Servizio di leva - Mancanza alla chiamata - Omessa
  previsione  della  punibilita'  soltanto  nell'ipotesi  in  cui  il
  soggetto chiamato mediante cartolina precetto non si presenti senza
  giusto  motivo (nei cinque giorni successivi a quello prefissato) -
  Prospettata  violazione  del principio di eguaglianza, a sfavore di
  militariarruolati  nell'esercito  e nell'aeronautica, del canone di
  ragionevolezza   e   del   principio   della   personalita'   della
  responsabilita' penale - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. pen. mil. pace, art. 151.
- Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.20 del 23-5-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo   ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda
CONTRI,  Guido NEPPI MODONA, Piero AlbertoCAPOTOSTI, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 151 del codice
penale  militare  di pace, promosso con ordinanza emessa il 6 ottobre
1999  dal  tribunale  militare  di  Torino  nel procedimento penale a
carico  di  L.  C.,  iscritta  al n. 42 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 7 febbraio 2001 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  del  6 ottobre 1999, il tribunale
militare  di  Torino  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 151  del  codice  penale  militare  di  pace (Mancanza alla
chiamata),  "nella  parte in cui non prevede che sia punibile solo il
militare  che,  chiamato alle armi per adempiere il servizio di leva,
mediante  cartolina precetto, non si presenta senza giusto motivo nei
cinque giorni successivi a quello prefissato";
        che,  in  fatto,  il rimettente riferisce che nel giudizio di
merito  si  procede  per  il  reato  di  cui  all'art. 151 citato nei
confronti  di  un  soggetto  che,  essendo  stato  chiamato alle armi
mediante  pubblici  manifesti,  non  si  e'  presentato, senza giusto
motivo,  all'autorita'  militare  entro  i cinque giorni successivi a
quello  prefissato;  si  precisa inoltre nell'ordinanza di rinvio che
l'interessato,   il   quale   non   e'   mai   stato   raggiunto   da
cartolina-precetto, una volta informato personalmente della chiamata,
pochi giorni dopo la scadenza del termine anzidetto, si e' presentato
ed e' stato incorporato;
        che  - osserva il tribunale - la fattispecie del reato per il
quale  e'  in corso il procedimento penale deve dunque, nella specie,
ritenersi perfezionata in base alla vigente disciplina: essa richiede
la chiamata, atto amministrativo ricettizio che deve essere portato a
conoscenza  dell'interessato,  attraverso uno dei due possibili mezzi
previsti dall'ordinamento, cioe' la precettazione mediante cartolina,
o  la  pubblicazione  attraverso  manifesto;  ma  la  funzione  della
cartolina,  anche secondo l'interpretazione della giurisprudenza, non
e'  quella  di  realizzare l'effetto giuridico della conoscenza della
chiamata,  bensi'  quella  piu'  limitata  di  agevolare  l'effettiva
conoscenza  della  chiamata medesima, che e' giuridicamente efficace,
nei   confronti   dei  destinatari,  in  conseguenza  della  semplice
pubblicazione   del   relativo   manifesto,  secondo  quanto  dispone
l'art. 543,  secondo  comma, del regio decreto 3 aprile 1942, n. 1133
(Parte  seconda  del  regolamento  per  la esecuzione del Testo Unico
delle  disposizioni  legislative sul reclutamento del regio esercito,
approvato con r.d. 24 febbraio 1938, n. 329);
        che  la  suddetta disciplina - prosegue il giudice a quo - si
riconnette  alla  previsione  contenuta  nell'art. 39  cod. pen. mil.
pace,  secondo  cui  "il  militare  non puo' invocare a propria scusa
l'ignoranza  dei  doveri  inerenti  al  suo stato militare": norma di
sfavore  per  il  militare, rispetto a quanto stabilito in genere dal
codice  penale  in tema di errore su legge diversa dalla legge penale
(art. 47    cod.    pen.),    finalizzata    a   evitare   incertezze
nell'applicazione  delle norme incriminatrici proprio in ipotesi come
quella  in  esame, in modo da rendere irrilevante ai fini penali ogni
accertamento sulla concreta conoscibilita' del manifesto;
        che,  ad  avviso del rimettente, l'eccessivo rigore derivante
dall'applicazione  congiunta degli artt. 151 e 39 cod. pen. mil. pace
ha determinato un duplice intervento della Corte costituzionale:
          a)  una  prima  volta,  con la sentenza - interpretativa di
rigetto  -  n. 325 del 1989, l'ignoranza del soggetto circa il dovere
di presentarsi in forza del solo manifesto di chiamata, alla luce del
principio costituzionale della natura personale della responsabilita'
penale, e' stata ricondotta all'area dell'errore di fatto, ex art. 47
cod. pen., errore che ha efficacia scusante;
          b)   una   seconda   volta,   stanti  le  resistenze  della
giurisprudenza   a   recepire   e   svolgere  l'indirizzodella  prima
decisione,  con la sentenza n. 61 del 1995 - originata da una vicenda
del tutto analoga allapresente - l'art. 39 citato e' stato dichiarato
incostituzionale "nella parte in cui non esclude dall'inescusabilita'
dell'ignoranza  dei  doveri  inerenti allo stato militare l'ignoranza
inevitabile"  e,  in  tal  modo,  con  una  prescrizione di carattere
generale,  e'  stato  posto un criterio che consente, se del caso, di
rendere    scusabile   l'ignoranza   dei   doveri   derivanti   dalla
pubblicazione del manifesto di chiamata alla leva;
        che  pero'  -  osserva il tribunale militare - neppure questa
seconda  pronuncia ha portato a un mutamento negli orientamenti della
giurisprudenza  comune,  che ha continuato a pronunciare condanne nei
riguardi  chi non si fosse presentato alla chiamata avvenuta mediante
pubblici  manifesti,  e  cio' in conseguenza di una lettura riduttiva
del  principio  enunciato  dalla Corte, relegato nell'area delle piu'
variegate   e   meno   conoscibili   disposizioni  regolamentari  che
variamente  fondano i doveri propri dello status militare; si sarebbe
dunque  perpetuata,  nella  applicazione corrente, un'interpretazione
della disciplina vigente secondo la quale il dolo sarebbe in generale
presunto  e  ogni  contrario  accertamento  sarebbe  reso  pressoche'
impossibile;
        che,  in  tale  contesto,  il  tribunale  militare  di Torino
ritiene  che  sia  necessario  un  ulteriore  intervento  della Corte
costituzionale, ma non piu' sull'art. 39 cod. pen. mil. pace, ne' sul
citato  art. 543  del  r.d.  n. 1133  del 1942 che ha natura di norma
regolamentare,  bensi' direttamente sulla disposizione incriminatrice
dell'art. 151  cod. pen. mil. pace, attraverso un intervento additivo
che  includa,  nella  struttura  oggettiva  del  fatto  di  reato, la
necessita'  della  chiamata  alla leva "mediante cartolina precetto":
solo attraverso una pronuncia in tal senso, ad avviso del rimettente,
sarebbe  possibile  pervenire all'eliminazione dei plurimi profili di
incostituzionalita'   che   la   disciplina   in   argomento  tuttora
presenterebbe, consistenti:
          a) nella violazione del principio di uguaglianza, a sfavore
di  talune  categorie  di  militari  (gli  arruolati  nell'esercito o
nell'aeronautica) nel raffronto con quanto previsto per gli arruolati
nella  marina,  per  i  quali  l'art. 63 del d.P.R. 14 febbraio 1964,
n. 237  [recte:  l'art. 15 della legge 31 maggio 1975, n. 191, che lo
ha   sostituito],  prevede  l'obbligo  di  presentazione  secondo  le
indicazioni contenute nel precetto personale di chiamata alla leva;
          b) nella violazione del canone di ragionevolezza, giacche',
a  fronte  della  pretesa statuale di una prestazione cosi' gravosa e
"totalizzante" come il servizio militare, tale da sospendere rapporti
lavorativi  e legami personali, non solo l'amministrazione non assume
l'onere  di  informare  personalmente  l'interessato,  ma addirittura
l'ordinamento   prevede  una  sanzione  penale,  giustificabile  solo
qualora  il  soggetto  venisse concretamente ed effettivamente edotto
dell'obbligo;
          c)   nella  violazione  dell'art. 27,  primo  comma,  della
Costituzione,  che delinea, anche alla luce della sentenza n. 364 del
1988  della  Corte costituzionale, il principio della responsabilita'
"personale" e "colpevole";
        che  per  tale  ultimo profilo, in particolare, il rimettente
sottolinea  in  punto  di  fatto  la  prassi  costante  di consegnare
all'arruolato  inviato  in  congedo  illimitato provvisorio un foglio
recante una serie di avvertenze, tra le quali una recita: "i militari
in  congedo  illimitato  provvisorio  quando riceveranno la cartolina
precetto  di  chiamata  alle  armi  dovranno  presentarsi  muniti del
presente  foglio  di  congedo  illimitato  provvisorio  ...  all'ente
indicato  nell'ordine  stesso"; una simile avvertenza sarebbe tale da
ingenerare  nel  destinatario  la  ragionevole convinzione di doversi
presentare  solo a seguito della consegna della cartolina precetto, e
non  a  seguito  della  pubblicazione  del manifesto di chiamata alle
armi,  e  cio' potrebbe condurre a ritenere "inevitabile" l'ignoranza
del  disposto  dell'art. 543  del citato r.d. n. 1133 del 1942, posto
che e' la stessa amministrazione militare, con simile "avvertenza", a
determinare   negli  interessati  l'erronea  convinzione  di  doversi
presentare  solo  a seguito della ricezione della cartolina precetto,
cio'  che  potrebbe  condurre  nei  casi  concreti a una pronuncia di
assoluzione per difetto dell'elemento psicologico del reato;
        che pero' - conclude il rimettente - e' pur sempre necessario
chiedere, per via di una sentenza additiva di incostituzionalita', la
delimitazione  obiettiva  della  punibilita' per il reato di mancanza
alla  chiamata,  da  ravvisare  nelle sole ipotesi in cui il militare
abbia  avuto  effettiva conoscenza della cartolina precetto, ed e' in
tale  richiesta  che  il  rimettente  individua altresi' la rilevanza
della questione sollevata: dall'accoglimento di essa, infatti:
          a)   si   perverrebbe,  nella  specie,  a  una  assoluzione
dell'imputato  per  insussistenza  del  fatto  (per  mancanza  di  un
elemento   del   reato)  anziche'  a  una  assoluzione  per  mancanza
dell'elemento psicologico;
          b)  "in  astratto"  si  ricondurrebbe  l'interpretazione  e
l'applicazione  dell'art. 151  impugnato  ai  principî  fondativi del
sistema  penale, contro le persistenti resistenze giurisprudenziali a
svolgere le indicazioni della giurisprudenza costituzionale;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  tramite  l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
una pronuncia di inammissibilita' o di infondatezza della questione.
    Considerato  che  il tribunale militare di Torino chiede a questa
Corte   un   intervento  di  carattere  additivo  sull'art. 151  cod.
pen. mil.   pace,  consistente  nell'inserimento,  nella  descrizione
tipica del fatto di reato, dell'elemento secondo cui la chiamata alle
armi  per  adempiere  il  servizio  di  leva  deve avvenire "mediante
cartolina precetto"; un intervento, quello richiesto, per effetto del
quale  la  mancanza  di  tale  specifica forma di comunicazione degli
obblighi di leva ai destinatari renderebbe obiettivamente irrilevanti
sul  piano  penale casi - come quello che nella specie e' devoluto al
giudizio  dello  stesso rimettente - in cui la chiamata per adempiere
l'obbligo  della  prestazione  militare  e'  effettuata  solo tramite
manifesto,  a  norma  del  tuttora vigente art. 543 del regio decreto
3 aprile  1942, n. 1133, che - dopo la regola di genere contenuta nel
suo primo comma, secondo cui "a ciascuna recluta che deve presentarsi
alle  armi  i  comandi trasmettono per posta, qualche giorno prima di
quello stabilito per la presentazione, apposita cartolina precetto" -
dispone,  nel  secondo  comma, che gli arruolati "che non ricevessero
tale  cartolina  precetto  o  che  la  ricevessero in ritardo, devono
ugualmente  presentarsi  nei  giorni  stabiliti dal manifesto, la cui
pubblicazione vale per essi come precetto personale";
        che   la   necessita'   di   un   siffatto  intervento  sulla
disposizione  incriminatrice  e'  sostenuta  dal  giudice  rimettente
essenzialmente in base al rilievo della posizione assunta dai giudici
militari di merito i quali, dopo la prima pronuncia interpretativa in
materia della Corte costituzionale (sentenza n. 325 del 1989) e anche
dopo  la  dichiarazione  di parziale incostituzionalita' dell'art. 39
cod.  pen. mil.  pace  in  quanto  non  esclude  dall'inescusabilita'
dell'ignoranza  dei doveri militari l'ignoranza inevitabile (sentenza
n. 61   del   1995),  avrebbero  assegnato  alle  suddette  decisioni
costituzionali  una  portata  riduttiva,  riferita  all'ignoranza dei
doveri  derivanti  dalle  piu' svariate disposizioni regolamentari ma
non  a  quella  del  dovere di prestazione derivante dal manifesto di
chiamata  alla  leva, perpetuandosi cosi' la condanna di soggetti non
presentatisi alla chiamata avvenuta solo per pubblici manifesti;
        che,   secondo   questa   impostazione,  la  rilevanza  della
questione sollevata e' argomentata dal tribunale militare:
          a)  sia  facendo  valere  l'esigenza  di una causa idonea a
escludere  la  punibilita'  sul  piano oggettivo, per non dovere piu'
svolgere   un   accertamento   circa   le  conseguenze  sull'elemento
soggettivo dell'ignoranza della chiamata tramite manifesto;
          b)    sia    per    ricondurre    l'interpretazione   della
giurisprudenza  nel  suo complesso a coerenza con gli enunciati della
giurisprudenza costituzionale;
        che  con  la sentenza n. 61 del 1995 questa Corte ha statuito
riguardo  all'allora  perdurante  (nonostante la precedente pronuncia
interpretativa  di  rigetto  n. 325 del 1989) problema del rilievo da
darsi all'errore dell'agente circa la prescrizione (art. 543 del r.d.
n. 1133 del 1942) relativa al dovere di presentazione alle armi sulla
base del manifesto di leva, dunque riguardo all'ignoranza della norma
da cui deriva nei singoli casi l'obbligo di prestazione del servizio;
        che   nella   citata   decisione   si   e'   affermato   che,
indipendentemente  dalla  disamina sul "tipo" di errore in questione,
una  volta  venuto  meno  il  dogma  della  presunzione  assoluta  di
conoscenza  della  legge penale in senso stretto (sentenza n. 364 del
1988, relativa all'art. 5 cod. pen.), a maggior ragione l'ignoranza o
l'errore  sul  presupposto normativo delle fattispecie incriminatrici
non  possono  non  assumere  efficacia  scusante ogni volta che siano
dipesi  da cause che li hanno resi inevitabili e, su questa premessa,
e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 39 cod. pen. mil.
pace  in quanto tramite esso veniva posta una preclusione assoluta al
rilievo   dell'ignoranza  o  dell'errore  circa  la  fonte  normativa
secondaria  che  fonda  il  dovere  di  presentazione,  cioe' proprio
l'art. 543 piu' volte richiamato;
        che  con la suddetta decisione costituzionale questa Corte ha
esplicitamente inteso risolvere definitivamente "un problema di fondo
cui  la  giurisprudenza  di  questa  Corte non [aveva sino ad allora]
offerto  adeguata  soluzione",  il  problema  del  "rilievo  che puo'
assumere  l'ignoranza  della  norma  da  cui  promana  il  "dovere in
astratto"",  e  cio' in risposta a una questione di costituzionalita'
sostanzialmente coincidente con quella ora all'esame di questa Corte,
perche' sollevata in riferimento ai medesimi parametri costituzionali
in  sede  di  applicazione  della  norma  incriminatrice del fatto di
mancanza  alla  chiamata  di  cui all'art. 151 cod. pen. mil. pace e,
appunto,  originata  da  un  caso  nel quale l'errore (o l'ignoranza)
circa   la  norma  regolamentare  concernente  la  "sufficienza"  del
manifesto  ai  fini  del  dovere  di presentazione (art. 543 del r.d.
n. 1133  del  1942)  era  reso  incondizionatamente irrilevante dalla
disposizione dell'art. 39 citato;
        che la dichiarazione di incostituzionalita' sopra indicata e'
dunque  idonea  a  dare  soluzione  al  problema  - che il rimettente
ripropone  -  dell'incidenza  dell'errore  o  dell'ignoranza circa la
chiamata  tramite  manifesto  rispetto  all'elemento  psicologico del
reato,  come  del  resto  lo  stesso  giudice a quo afferma allorche'
argomenta  la rilevanza del dubbio di costituzionalita' sull'esigenza
di  passare da una pronuncia di assoluzione per difetto dell'elemento
soggettivo  (che  potrebbe  adottare)  a una pronuncia omologa ma per
difetto  di  un  elemento  oggettivo  (che vorrebbe adottare); e cio'
tanto  piu'  ove  si  ricolleghi il disposto della sentenza n. 61 del
1995  agli  enunciati  contenuti  nella  pronuncia  n. 364  del  1988
relativamente   ai   criteri  di  giudizio  circa  l'"inevitabilita'"
dell'ignoranza o dell'errore sulla norma (qui, la norma presupposta),
criteri   certamente   idonei   a  ricomprendere  lo  specifico  caso
dell'induzione in errore determinato da informazioni fuorvianti della
stessa   amministrazione   militare,  secondo  un  profilo  in  fatto
valorizzato  del  resto  anche dall'ordinanza di rimessione da cui ha
tratto origine la sentenza n. 61 del 1995;
        che, una volta data la possibilita' di soluzione del problema
sul  piano  suo  proprio dell'elemento soggettivo del reato, non v'e'
motivo  per  seguire  il  ragionamento  del  giudice rimettente circa
l'esigenza  di  un  intervento  additivo sulla specifica disposizione
incriminatrice,  intervento in se' non necessario e semmai rientrante
in ambiti di discrezionalita' delle scelte legislative;
        che, in particolare, non puo' valere a sostenere la richiesta
pronuncia   di   incostituzionalita'  l'argomento  della  persistente
riluttanza  dei  giudici  militari  a dare compiuta applicazione alla
statuizione  del 1995 di questa Corte, da un lato perche' non possono
avere  ingresso  questioni  costituzionali  che  siano  basate su una
impropria  o  errata  applicazione  delle norme (per tutte, ordinanza
n. 439   del   1998),   dall'altro  perche'  l'asserita  esigenza  di
uniformare  l'interpretazione  di  giudici  diversi dal rimettente e'
palesemente  estranea  alla logica del controllo di costituzionalita'
assegnato  a  questa  Corte, risolvendosi nel difetto dell'essenziale
requisito  della  rilevanza del dubbio sollevato rispetto al giudizio
dal  quale  ha  origine e dunque in un connotato di astrattezza della
questione (per tutte, sentenza n. 286 del 1999);
        che,  per questo, la sollevata questione di costituzionalita'
deve essere dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 151 del codice penale militare
di   pace,   sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  27  della
Costituzione,  dal  tribunale  militare  di Torino con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 17 maggio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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