N. 31 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 maggio 2001
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 maggio 2001 (della Regione Veneto) Turismo e industria alberghiera - Riforma della legislazione nazionale del turismo - Prevista definizione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di principi e obiettivi per lo sviluppo del sistema turistico - Devoluzione al medesimo decreto di contenuti normativi di dettaglio (in particolare, relativi alla fissazione di criteri, requisiti, standards e modalita' per l'esercizio di imprese e professioni turistiche) - Prevalenza della disciplina posta dall'atto governativo sulla legislazione regionale esistente ed abrogazione della legge n. 217/1983 a decorrere dall'entrata in vigore dell'atto stesso - Denunciato capovolgimento degli obiettivi precedentemente perseguiti dalla legislazione statale - Lamentata delegificazione della materia - Invasione della sfera di attribuzioni garantita alle Regioni - Violazione dei principi di leale cooperazione tra Stato e Regioni, nonche' di coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative in relazione alle competenze regionali - Stravolgimento dei rapporti tra fonti statali e fonti regionali. - Legge 29 marzo 2001, n. 135, intero testo e segnatamente art. 2 (nonche' art. 11). - Costituzione, artt. 3, 5, 87, 97, 117, 118 e 119; legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 1, lett. b);d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 44. Turismo e industria alberghiera - Riforma della legislazione nazionale del turismo - Prevista partecipazione alla Conferenza nazionale del turismo dei rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome (anziche' dei rappresentanti delle singole Regioni) - Estromissione delle Regioni dalle consultazioni finalizzate alla redazione della Carta dei diritti del turista (affidata al Ministero dell'industria), nonche' dalla gestione del fondo di cofinanziamento dell'offerta turistica - Compressione delle funzioni normative regionali relative ai sistemi turistici locali (mediante assimilazione di questi ultimi agli insediamenti produttivi tipici) - Denunciata violazione dell'autonomia regionale e del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni. - Legge 29 marzo 2001, n. 135, intero testo e segnatamente artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 9. - Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, 118 e 119.(GU n.28 del 18-7-2001 )
Ricorso delle Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, on. Giancarlo Galan, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 1121 del 2 maggio 2001, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. Romano Morra della direzione regionale affari legali e dall'avv. Fabio Lorenzoni del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio legale di quest'ultimo in Roma, via del Viminale, n. 43; Contro il Presidente pro tempore del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la dichiarazione di illeggittimita' costituzionale della legge 29 marzo 2001, n. 135, recante la "Riforma della legislazione nazionale del turismo" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 92 del 20 aprile 2001) - e segnatamente degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9 della stessa - per violazione degli artt. 3, 5, 87, 97, 117, 118, e 119 Cost., e del principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regione. P r e m e s s e Come e' noto la materia del "turismo e industria alberghiera" essendo compreso nell'elenco delle materie di competenza regionale di cui all'art. 117 Cost., e' stata oggetto di una evoluzione normativa volta a realizzare le istanze di decentramento previste dalla Costituzione. Il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni ordinarie e' stato regolato dapprima dal d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6, in seguito dagli artt. 56 - 60 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ed e' culminato nel referendum che ha interessato la legge istitutiva del Ministero del turismo e dello spettacolo svoltosi il 18 aprile 1993, promosso da numerose Regioni (Trentino-Alto Adige, Umbria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto) per realizzare un concreto decentramento nella materia e contrastare le resistenze centralistiche. In conseguenza all'esito positivo del referendum, il decreto-legge 28 marzo 1995, n. 97, convertito in legge 30 maggio 1995, n. 203, ha operato il trasferimento alle regioni ordinarie tutte le competenze e le funzioni amministrative del soppresso Ministero, salvo le funzioni di indirizzo e coordinamento che corrispondevano ad esigenze di carattere unitario espressamente attribuite dall'art. 2 dello stesso decreto-legge all'amministrazione centrale. In senso parimenti conforme all'attuazione di un effettivo decentramento, recentemente e' intervenuto anche il d.lgs. n. 112 del 1998 che, agli artt. 43-46, ha disciplinato il riparto delle funzioni tra Stato e regioni. Tale contesto normativo, entro il quale si era venuta realizzando, seppure in modo imperfetto e non scevro da contraddizioni, una forma di effettivo decentramento aderente alla volonta' popolare espressa nel referendum abrogativo svoltosi il 18 aprile 1993, viene oggi messo in discussione dalla legge 29 marzo 2001, n. 135, laddove prevede l'abrogazione della legge quadro sul turismo da attuarsi mediante un mero decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che reca addirittura norme suppletive transitorie (art. 2, comma 7, e art. 11, commi 6, 7 e 8) destinate ad entrare automaticamente in vigore ed a prevalere sulle leggi regionali. Peraltro e' anche da evidenziare che il contenuto di tale decreto, ben lungi dal prevedere mere disposizioni programmatiche di indirizzo come invece previsto dall'art. 44 d.lgs. n. 112 del 1998, viene a configurarsi come una vera e propria fonte normativa atipica neppure prevista dalla legge n. 400 del 1988, contenente disposizioni di dettaglio nella materia del turismo. Tali norme sono inoltre destinate a prevalere in modo manifestamente irragionevole e secondo un modello dirigistico, in contraddizione con il principio autonomistico sancito dall'art. 5 della Costituzione, sulla legislazione regionale vigente che, adeguandosi alle peculiari esigenze del territorio, disciplina il settore turistico-regionale. Ne deriva: a) il grave sconvolgimento dei rapporti di gerarchia tra le fonti e dei rapporti costituzionali tra leggi cornice, leggi regionali e atti di indirizzo e coordinamento adottati nella forma di meri decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; b) la tendenza a riportare a livello centrale funzioni e compiti gia' trasferiti alle regioni che vengono dalla legge impugnata demandati al Ministero dell'industria del commercio e dell'artigianato - a brevissimo "Ministero delle attivita' produttive" per effetto della riforma di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, - con il risultato pratico di contraddire l'esito del referendum abrogativo svoltosi il 18 aprile 1993. D i r i t t o 1. - Violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, 118, e 119 della Costituzione della legge n. 135/2001 in relazione alle competenze spettanti alle regioni nel settore del turismo. La legge impugnata rappresenta un capovolgimento degli obiettivi sinora perseguiti dalla legislazione nazionale in materia di turismo - come ripercorsa nella ricostruzione dell'evoluzione della normativa in subjecta materia - posto in essere in violazione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita. Il contenuto della nuova legge, benche' enunci all'art. 1, comma 1 "i principi fondamentali e gli strumenti della politica del turismo in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione ed ai sensi dell'art. 56 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112", comporta lo stravolgimento dei principi della norma da cui pretende trarre fondamento, risolvendosi, nella sostanza, in un incongruo esercizio - articolato e stringente - di una potesta' normativa di sicura competenza regionale. In tal senso, l'appello ai principi di cui si e' detto e' volto unicamente a giustificare una diretta riappropriazione di competenze a favore di organi dello Stato a detrimento della potesta' legislativa in materia espressamente devoluta alle regioni dall'art. 117 Cost. senza alcuna considerazione per il complesso quadro normativo - includente anche la legislazione regionale vigente - che attualmente disciplina il settore. A tal riguardo, giova rammentare che la Regione Veneto, in armonia con i principi dettati dalla legge 17 maggio 1983, n. 217, ha emanato la legge regionale 16 marzo 1994, n. 13 - successivamente modificata ed integrata dalle leggi regionali 7 settembre 1995, n. 41, 30 gennaio 1996, n. 6 e 5 agosto 1997, n. 30 - disciplinante l'organizzazione turistica della regione sotto i molteplici profili tanto sostanziali che procedurali. Inoltre, in attuazione degli artt. 6 e 7 della legge n. 217/1983 citata, la medesima ricorrente ha approvato la legge regionale 27 giugno 1997, n. 26 recante la "Disciplina e classificazione delle strutture ricettive alberghiere". Orbene, entrambe le leggi regionali citate verrebbero travolte dall'attuale riforma che abroga espressamente - all'art. 11, comma 6 - la legge n. 217/1993, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le cui disposizioni - ai sensi dell'art. 2, comma 7 - si applicano (prevalendo automaticamente sulle leggi regionali di settore) alle Regioni a statuto ordinario fino alla data di entrata in vigore di ciascuna disciplina regionale di attuazione delle linee guida. E con cio' si verifica una diretta imputazione allo Stato della disciplina anche di dettaglio nella materia del turismo che, essendo ricompresa tra le materie riservate alla potesta' legislativa concorrente, costituzionalmente rientra tra le materie riservate alla sfera normativa (art. 117 Cost.) e amministrativa (art. 118 Cost.) della regione. Per di piu', la Regione Veneto ha approvato la legge regionale 13 aprile 2001, n. 11, recante il "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112" che al Capo V deI Titolo II disciplina proprio la materia del turismo e si articola sulla specificazione delle funzioni direttamente esercitate dalla Regione o trasferite agli enti locali o alle altre autonomie funzionali. Ebbene, a dimostrazione della immediata lesivita' delle previsioni delle norme della legge n. 135 del 2001 impugnate, vi e' da rilevare che il commissario del Governo - con nota del 6 aprile 2001 - ha partecipato la deliberazione del Governo - assunta nella seduta del 4 aprile 2001 - di "non opporsi all'ulteriore corso della legge regionale" medesima, corredando, peraltro, la comunicazione di inequivocabili prescrizioni in ordine alla necessita' di "uniformare" le disposizioni riguardanti il settore turistico alla legge de qua "in corso di pubblicazione", poi effettivamente pubblicata solo il 20 aprile 2001. Identica lesione delle competenze legislative e amministrative regionali si riscontra anche per quanto concerne le concessioni del demanio marittimo. Va rammentato che l'art. 10 della legge 16 marzo 2001, n. 88, ha sostituito il comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 - convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494 - innovando in materia di gestione di beni demaniali. La regione Veneto peraltro, ha approvato la legge regionale 6 aprile 2001, n. 9, recante "Norme per l'attuazione delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo", che delega alle amministrazioni comunali le funzioni amministrative relative al rilascio, rinnovo e modificazione delle concessioni demaniali marittime. Orbene, tutte le norme citate, compresa la recentissima legge regionale, sono destinate a venir meno per l'adozione di una nuova normativa di dettaglio, adottata peraltro con mero decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Cio' e' quanto prevedono espressamente l'art. 2, comma 4, lett. l), e l'art. 11, comma 8, della legge 29 marzo 2001, n. 135, con norme che hanno addirittura l'effetto di delegificare la materia nonostante sia riservata all'autonomia costituzionale delle Regioni, quando invece per Costituzione le regioni possono subire vincoli alla loro potesta' legislativa solo da norme di rango primario, e che solo norme legislative possono abrogare o sostituirsi alla legge regionale (sul punto si vedano le sentenze nn. 507 del 2000; 352 del 1998; 250 del 1996; 420 del 1999; 482 e 333 del 1995; 461 e 97 del 1992 e la recentissima 84 del 2001). Infatti, la disciplina di dettaglio che sara' necessariamente contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per le previsioni di cui all'art. 2, comma 4, della legge 29 marzo 2001, n. 135 - ricondotta in tal modo esclusivamente all'ambito statale - e' gia' oggetto di specifiche leggi regionali che disciplinano anche l'esercizio delle relative funzioni. Lo stesso d.lgs. n. 112/1998, nel Capo IX, ha riservato allo Stato (art. 44) - oltre alle funzioni di monitoraggio delle fasi attuative, di coordinamento intersettoriale e di cofinanziamento di programmi regionali ed interregionali, nell'interesse nazionale - solamente la "definizione, in accordo con le Regioni, dei principi e degli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico", rinviando ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da approvarsi d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, la formalizzazione delle "connesse linee guida". In realta' la legge di cui si tratta non ricalca il legittimo modello di articolazione delle fonti che - in materia oggetto di potesta' legislativa concorrente - impone allo Stato solamente l'adozione di norme di principio tali da garantire al tempo stesso sia l'autonomia regionale, sia gli interessi unitari non frazionabili dell'ordinamento. Al contrario, in violazione dell'art. 117 della Costituzione e dei principi sanciti dagli articoli 2 e 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, attuati dal decreto legislativo n. 112/1998 e dalla Regione Veneto con la ricordata legge regionale n. 11/2001, propone uno schema dirigista che contraddice i principi di "differenziazione nell'allocazione delle funzioni" (art. 4 della legge n. 59/1997) e di adeguatezza in relazione all'idoneita' organizzativa dell'amministrazione ricevente, e del principio enunciato dall'art. 27, comma 3, del decreto legislativo n. 300/1999 che - nel trasferire al neo istituito Ministero delle attivita' produttive funzioni e risorse dei dicasteri in esso accorpati ha esplicitamente "fatte in ogni caso salve, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1, comma 2, e 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 15 marzo 1997, n. 59, le funzioni conferite dalla vigente legislazione alle regioni ed agli enti locali e alle autonomie funzionali". Pertanto appare evidente la violazione dell'assunto gia' espresso da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 408/1998 laddove - in relazione ai limiti costituzionali vigenti in tema di decentramento della potesta' normativa come delineato dalla legge n. 59/1997 - ribadisce la spettanza alle regioni della potesta' legislativa propria quando si tratti di disciplina riconducibile alle materie di cui all'art. 117 della Costituzione ed afferma che "attribuzioni che dipendano da scelte del legislatore ordinario restano per loro natura retrattabili, nei limiti in cui cio' non comporti, anche indirettamente, una lesione dello status garantito alle regioni dalle norme costituzionali". Invece, la legge in esame - che dovrebbe individuare i principi di indirizzo tipizzanti la normativa "cornice" della politica del turismo - si sostanzia nell'apodittica ed illegittima avocazione all'ambito statale di una serie di disposizioni - elencate all'art. 2 - rappresentanti uno stringente decalogo di funzioni in ordine alle quali le regioni conservano mera potesta' attuativa, in violazione degli articoli 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, che sanciscono l'intangibitita' delle sfere di attribuzioni garantite alle regioni, nonche' del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni, ripetutamente affermato da codesta ecc.ma Corte in molteplici decisioni (si vedano le sentenze numeri 49, 482 e 483 del 1991; numeri 19 e 242 del 1997 e la recentissima 110 del 2001), nelle quali si ribadisce come detto principio postuli la ricerca di forme di collaborazione la' dove si intersechino competenze ed interessi afferenti a diversi livelli di governo, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi (sentenza n. 341 del 1996). Ne', al riguardo, puo' ragionevolmente ritenersi che la mancata attuazione - da parte di alcune Regioni - della legge quadro n. 217/1983, modificata nel 1995 a seguito del referendum soppressivo del Ministero del turismo abbia determinato la sopravvenienza di un interesse nazionale in materia, fondante la riformulazione dei cardini della legislazione, a discapito delle Regioni che hanno esercitato le potesta' normative di propria competenza. Parimenti illegittima appare quindi anche la riconduzione all'apparato amministrativo statale della materia del turismo all'interno del Ministero dell'industria del commercio e dell'artigianato (a brevissimo "Ministero delle attivita' produttive" per effetto della riforma di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300). 2. - Violazione degli articoli 3, 5, 97, 117 118 e 119 della Costituzione della legge n. 135/2000 per 1a previsione che la materia del turismo sia disciplinata, con disposizioni anche di dettaglio, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. L'art. 2 della legge in esame costituisce il fulcro dell'intero provvedimento. La formulazione della disposizione, peraltro, concentra una serie di disposizioni incompatibili con l'assetto costituzionale e non raccordate con altre norme dell'ordinamento. Innanzitutto - come gia' osservato - il comma 4 dell'articolo rinvia ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri - da adattarsi d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, sentite le associazioni di categoria degli operatori del settore e dei consumatori - la definizione dei principi e degli obiettivi "per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico". Tale comma, tuttavia, nella sostanza detta una serie di disposizioni specifiche destinate a prefigurare in modo vincolante il contenuto del decreto emanando, che il comma 6 colloca addirittura in una posizione sovraordinata alla legislazione regionale, e si pone come strumento di normazione e regolamentazione puntuale della materia, senza alcun margine per la necessaria concertazione nella cui sede istituzionale - per espresso disposto normativo - si sarebbero dovute stabilire le linee guida della riforma. Ad avviso della ricorrente, l'elencazione - riportata nel comma de quo - dei punti qualificanti il futuro decreto, per la minuziosa previsione e la rigidita' delle prescrizioni imposte, rappresenta un atto normativo compiuto e di dettaglio che soggiace ad autonome valutazioni in ordine alla compatibilita' del testo con i parametri costituzionali vigenti. Di particolare rilevanza appaiono, al riguardo, tutti i numerosi riferimenti alla determinazione cogente ed uniforme di una serie di criteri, requisiti, standards e modalita' che rimodellano tutti gli ambiti nei quali si articola il complesso settore del turismo, sottraendoli alla potesta' regionale in violazione degli articoli 5, 97, 117 e 118 della Costituzione. Imporre unicita' di criteri e modalita' di esercizio delle imprese turistiche "su tutto il territorio nazionale" qualora si ravvisi "la necessita' di standard(s) omogenei ed uniformi" (art. 2, comma 4, lettera c), della legge) non e' affatto riconducibile all'esercizio di quella funzione di "indirizzo e coordinamento" delle attivita' delle regioni ammissibile soltanto per "esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi del programma economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali". Ne' l'indubitabile ruolo di settore strategico attualmente assunto dal turismo, puo' legittimare la negazione dei precetti fondamentali che assegnano alle regioni il compito di disciplinare la materia. In tal senso, la norma de qua nel circoscrivere direttamente e dirigisticamente i contenuti normativi che sono propri della legislazione regionale, sottrae a quest'ultima, ed attrae nell'alveo della legislazione statale, tutte le determinazioni connotanti l'esercizio della relativa funzione e cioe' la valutazione dei criteri e delle modalita' attuative oggetto di normazione, in relazione a tutte le circostanze che differenziano, qualificandolo, l'ambito territoriale regionale e che non possono snaturarsi in un'incongrua omogeneizzazione. Anche nei lavori parlamentari si trova conferma che la riforma si fondi su prescrizioni incompatibili con l'assetto costituzionale vigente. In particolare lo confermano il parere negativo espresso dal comitato per la legislazione ed i pareri negativi formulati dalla commissione parlamentare per le questioni regionali (nella seduta del 17 gennaio 2001) e dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome (nella riunione del 1o febbraio 2001). Analoghe considerazioni valgono anche relativamente ad altre disposizioni dell'elenco riportato al comma 4 dell'art. 2, e cioe' alla definizione di standards minimi delle strutture ricettive (lettera d); di standards minimi di qualita' dei servizi offerti delle imprese turistiche (lettera e)); dei livelli minimi e massimi di eventuali depositi cauzionali a carico delle agenzie di viaggio, delle "organizzazioni" e delle "associazioni" che "svolgono attivita' similare" (lettera f)). Particolare attenzione, invece, meritano le residue determinazioni del comma in esame, che incidono in ambiti ancor piu' specifici, tra i quali spicca per l'evidente lesivita' dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita la prefigurazione di "requisiti e modalita' di esercizio su tutto il territorio nazionale delle professioni turistiche" - come definite all'art. 7, comma 5, della legge - giustificata in base a generiche esigenze di stabilire "profili omogenei ed uniformi" (lettera g). Tale formulazione, infatti, come la precedente di cui alla lettera c), non individua il soggetto istituzionale al quale sarebbe rimessa la valutazione circa la necessita' di uniformare detti canoni e, tuttavia, simili scelte - secondo lo schema normativo adottato - sarebbero sottratte al legislatore regionale, relegato al ruolo di mero esecutore della normativa di dettaglio detta dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Inoltre, proprio in relazione al complesso delle attivita' ricomprese nella nozione di "professione turistica" fornita dall'art. 7, comma 5, della legge si rileva una irragionevole contraddittorieta' determinata dall'incoerenza del testo. Infatti mentre il comma 6 dello stesso articolo prevede che siano le regioni a rilasciare l'autorizzazione all'esercizio di dette attivita', con validita' "su tutto il territorio nazionale", viene invece "fatta eccezione per le le guide". Conseguentemente si giunge al risultato che i requisiti e le modalita' stabiliti secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 4, lettera g), dovrebbero trovare applicazione anche con riferimento all'esercizio di professioni (le guide) per le quali e' espressamente prevista un'autorizzazione di validita' esclusivamente regionale, secondo uno schema normativo manifestamente irragionevole ed in violazione dei principi costituzionali sanciti dagli articoli 3, 97 e 117 Cost. Correlativamente, giusta quanto stabilito dall'art. 9, comma 6, della legge in esame, anche tutte le determinazioni concernenti i procedimenti amministrativi per il rilascio di "licenze, autorizzazioni e nulla osta riguardanti le attivita' e le professioni turistiche" (...) "si uniformano alle procedure previste in materia di autorizzazione per le altre attivita' produttive, se piu' favorevoli". E la disposizione comporta l'estensione indifferenziata alle imprese turistiche della disciplina "recata dagli articoli 23, 24 e 25 del decreto legislativo n. 112/1998, relativa agli insediamenti produttivi. L'obbligo, fatto alle regioni di dare attuazione al comma de quo, conferma la natura immediatamente cogente e di dettaglio del contenuto normativo della riforma, implica oltre alla compressione della potesta' normativa regionale in materia turistica, anche l'effetto sostanziale della generalizzata ed indiscriminata assimilazione della species turismo al genus delle attivita' produttive. Ma, in realta', la legge in esame non presenta alcun raccordo neppure con le disposizioni relative alle semplificazioni delle procedure introdotte dall'art. 20, della legge 15 marzo 1997, n. 59 - come successivamente modificato prima dall'art. 2 della legge 8 marzo 1999, n. 50, e poi dalla legge 24 novembre 2000, n. 340 - che ha previsto l'adozione di appositi regolamenti delegificati anche relativamente al rilascio di autorizzazioni per lo svolgimento - tra l'altro - di esercizi ed attivita' imprenditoriali includenti procedimenti inerenti il settore turistico. Ancor piu' problematica appare, poi, la questione sollevata dalla definizione "dei criteri direttivi di gestione dei beni demaniali e delle loro pertinenze concessi per attivita' turistico-ricreative", con tutte le implicazioni, connesse alla "determinazione, riscossione e ripartizione dei relativi canoni, nonche' di durata delle relative concessioni", con lo scopo dichiarato di "garantire termini e condizioni idonei per l'esercizio e lo sviluppo delle attivita' imprenditoriali", a gettito erariale invariato. Anche in tal caso avuta considerazione del complesso quadro normativo specifico di riferimento menzionato, l'effetto della disposizione si risolve in un'esplicita quanto ingiustificata retrazione di competenze ed attribuzioni di spettanza regionale gia' esercitate dalla ricorrente, in ordine alle quali l'emanazione del successivo decreto riconduce in un alveo statale realta' sinora disciplinate dalla regione Veneto in ragione delle innegabili peculiarita' connotanti ciascun ambito territoriale proprio. In tale senso, l'opzione normativa espressa dalla legge impugnata, in assenza di qualsiasi riferimento specifico e puntuale alla effettiva necessita' di provvedere nei termini indicati, viola il principio costituzionale di coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative sancito dall' art. 3 della Costituzione in relazione alle competenze regionali garantite dagli artt. 5, 117 e 118 della medesima Carta fondamentale. Parimenti immediatamente lesiva si configura la volizione di stabilire "criteri unjformi per l'espletamento degli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni turistiche", prevista alla lettera n) del comma in esame, nella parte in cui pretende di disciplinare con modalita' indifferenziate i meccanismi abilitanti all'esercizio delle professioni de quibus, quando la definizione dei moduli selettivi di cui si tratta non puo' essere avulsa dalla restante normativa concernente tale settore, di cui costituisce un presupposto essenziale e condizionante. In linea di fatto e di diritto, peraltro, tutte le disposizioni di qui al comma 4 dell'art. 2, come evidenziato dall'analisi che precede, hanno il risultato di modificare le previsioni relative alla definizione delle linee guida per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico gia' stabilite dall'art. 44 del decreto legislativo n. 112/1998 in violazione dell'art. 117 della Costituzione poiche' non esprimono - per il loro contenuto e la loro formulazione - principi fondamentali, bensi' prefigurano l'emanazione di norme di dettaglio che non possono sovrapporsi, prevalendo sulle leggi regionali. Sul punto, si richiamano gli assunti ripetutamente affermati da codesta ecc.ma Corte in ordine ai connotati tipizzanti la normazione di principio in rapporto alla successiva legislazione regionale, soprattutto per quanto attiene al rigoroso rispetto dei reciproci ambiti di competenza in relazione al parametro costituzionale invocato (v. le sentenze nn. 219 del 1984; 192 del 1987; 85 del 1990; 349 del 1991). Ma il dato piu' difficilmente collocabile nel quadro dei rapporti tra fonti normative statali e regionali delineato dalla Costituzione e' rappresentato proprio dal rinvio ad un decreto del Presidente del Consiglio deiministri per la formalizzazione di tutti i contenuti della riforma secondo le disposizioni di dettaglio indicate. Tale previsione si traduce nell'utilizzo di atti amministrativi con funzione regolamentare sostitutiva e abrogatrice di disposizioni legislative regionali. Nella sostanza, si assegna ad un atto provvedimentale che dovrebbe fondarsi sui presupposti e sulle circostanze tassativamente previste dall'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, la valenza di uno strumento normativo compiuto di rango sovraordinato alla legislazione regionale. E' del tutto evidente, sulla scorta di quanto sin qui sostenuto, come la regolamentazione introdotta dalla legge impugnata secondo la scansione normativa rilevata - gia' di per se' lesiva delle prerogative costituzionalmente garantite nella materia de quasubisca un ulteriore e decisivo vulnus. Infatti, il decreto di cui si tratta non pare potersi ricondurre alla tipologia espressa dall'art. 5, comma 2, della legge da ultimo citata, ne' - pur presentandone i contenuti tipici - e' annoverabile tra i regolamenti, come individuati dall'art. 17 della medesima legge, che per tali fonti normative prescrive l'adozione di un decreto del Presidente della Repubblica. La disposizione di cui si tratta, infatti, lungi dal porre indirizzi ed obiettivi alle potesta' regionali, come sarebbe proprio degli atti di indirizzo e coordinamento, istituirebbe un'anomala competenza dell'Esecutivo ad adottare norme regolamentari per l'attuazione dell'intera legge, e, come tale, contrasta appunto con l'art. 17, primo comma, lettera b), della legge n. 400/1988, laddove preclude regolamenti d'attuazione delle leggi nelle materie spettanti alle potesta' regionali e vincola i regolamenti alle regole formali e procedurali per essi previsti, in ossequio al disposto dell'art. 87 Cost. Al riguardo, codesta ecc.ma Corte ha gia' affermato che "la funzione governativa di indirizzo e coordinamento costituisce l'esercizio di una competenza particolare che si distingue da altri poteri governativi di direzione o di direttiva - e a maggior ragione di normazione - per avere contenuto e caratteri formali del tutto peculiari" (v. le sentenze nn. 389 del 1989, 345 del 1990 e 49 del 1991). I contenuti del futuro decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prefigurati dalle norme impugnate si traducono in norme di dettaglio come si ricava dall'efficacia sostitutiva che il comma 7 dell'art. 2 della legge impugnata attribuisce alle disposizioni del decreto emanando a decorrere dall'inutile scadenza del termine indicato dal comma 6 dello stesso articolo (nove mesi dalla data di emanazione), assegnato a ciascuna regione per dare "attuazione ai principi ed agli obiettivi statibiliti dalla presente legge e contenuti nel decreto di cui al medesimo comma 4". Tale formulazione evidenzia inequivocabilmente l'incostituzionalita' della previsione che assegna carattere cedevole alle leggi regionali e la natura immediatamente cogente delle norme contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nonche' la collocazione del provvedimento attuativo (rectius esecutivo) di cui al successivo decreto in una posizione assolutamente antinomica e confliggente tanto con i precetti sanciti dagli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, quanto con il principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni e con la ratio dell'art. 44 del decreto legislativo n. 112/1998, nonche' con tutte le disposizioni supra richiamate che disciplinano presupposti, ambiti e procedure di delegificazione. 4. - Violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. L'art. 3 della legge istituisce la "Conferenza nazionale del turismo", indetta con cadenza biennale dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ed organizzata dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, con il compito di "esprimere orientamenti per la definizione e gli aggiornamenti del documento contenente le linee guida". L'inclusione, nel novero dei numerosi soggetti istituzionali chiamati a far parte del nuovo organismo, dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome ribadisce ed accentua il ruolo assolutamente e dichiaratamente marginale assegnato alle regioni, alle quali, oltre ad essere definitivamente sottratta ogni potesta' legislativa in materia come sopra evidenziato, viene anche formalmente riconosciuta una funzione meramente esecutiva in una materia che invece e' di sicura competenza regionale. Si ripropongono, pertanto, in relazione alla disposizione in esame, le censure di legittimita' gia' prospettate a margine e dell'art. 2 della legge impugnata, e, in particolare, il contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. In relazione all'art. 4 della legge, va doverosamente premesso come la ricorrente non possa che essere favorevole all'approntamento di una "Carta dei diritti del turista", quale strumento di tutela del fruitore dei servizi turistico-ricettivi. Tuttavia, la definizione degli elementi fondamentali connotanti tale documento essenziale viene assegnata al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato ed esclude dal concerto delle consultazioni proprio le regioni, benche' tra le informazioni destinate a implementare tale Carta rientrino anche quelle concernenti "gli usi e le consuetudini praticati a livello locale e ogni altra informazione che abbia attinenza con la valorizzazione, la qualificazione e la riconoscibilita' del sistema turistico". Viene, dunque, radicalmente negato anche il ruolo attivamente propositivo delle regioni che invece sono i soggetti istituzionali piu' idonei per contribuire ad una effettiva individuazione delle molteplici realta' territoriali esistenti, funzionale a quello sviluppo del settore, di cui la redazione della Carta dovrebbe rappresentare un momento qualificante. In realta' la disposizione sembra ignorare la complessita' del sistema sul quale incide, ledendo la funzione conoscitiva e propulsiva delle regioni, in cio' reiterando quella violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e regioni piu' volte invocato. L'art. 5 della legge nel definire i sistemi turistici locali assegna la funzione di riconoscimento formale degli stessi ad un provvedimento regionale nel contesto delle funzioni di programmazione proprie dell'ente. Tuttavia, per un verso, dette funzioni risultano patentemente affievolite per effetto della normazione di dettaglio espressa dall'intero testo della legge impugnata; per altro verso, il riferimento - contenuto al comma 3 dell'articolode quo - al "titolo II, capo III, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112", riguardante il settore industria, appare paradigmatico della tendenza a ricondurre la materia in ambito statale, secondo uno schema normativo che consente al Ministero dell'industria, commercio ed artigianato - a brevissimo "Ministero delle attivita' produttive" per effetto della riforma di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 - di appropriarsi di competenze e funzioni sinora esercitate dalle regioni. In altri termini, la ricorrente reputa che l'assimilazione dei sistemi turistici locali agli insediamenti produttivi tipici, implichi necessariamente l'assorbimento della materia "turismo" nell'alveo del settore "industria" e fondi normativamente la compressione delle potesta' legislative regionali, non trattandosi piu' - ne' formalmente, ne' contenutisticamente - di materia di sicura attribuzione regionale, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. La legge impugnata, quindi, attraverso tale meccanismo, pur appartenendo al novero delle fonti di rango ordinario, surrettiziamente determina la modifica delle norme costituzionali invocate, ridisegnando - nel contempo - l'organizzazione amministrativa statale in modo da assegnare al Ministero dell'industria, commercio ed artigianato - a brevissimo "Ministero delle attivita' produttive" per effetto della riforma di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 - le funzioni gia' esercitate dal soppresso Ministero del turismo. Inoltre il comma 5 dell'articolo in esame prevede che gli interventi di cofinanziamento a favore dei sistemi turistici locali - di spettanza del Ministero dell'industria, commercio ed artigianato - rientrino nelle disponibilita' assegnate al Fondo unico per gli incentivi alle imprese. L'art. 6 della legge istituisce inoltre un apposito fondo di cofinanziamento dell'offerta turistica e stabilisce i criteri e le modalita' di ripartizione delle risorse ed il comma 2 dell'articolo prevede che la determinazione di tali parametri sia preceduta dall'intesa in sede di Conferenza unificata. Tuttavia, l'assegnazione dei fondi di cui si tratta accede necessariamente al progetto di riforma della materia disegnato dalla legge impugnata, di tal che il riferimento alla concertazione normativamente imposta appare piu' formale che sostanziale, essendo gia' stato ampiamente predefinito ed uniformato l'ambito degli interventi concretamente esercitabili. Infatti, l'attivita' di programmazione della regione, quale espressione della propria autonomia in materia, risulta confinata alla facolta' di predisporre piani di intervento - che dovranno essere coperti con fondi propri in percentuale non inferiore al 50 per cento della spesa prevista - "finalizzati al miglioramento della qualita' dell'offerta turistica, ivi compresa la promozione e lo sviluppo dei sistemi turistici locali di cui all'art. 5", quale atto prodromico all'emanazione di bandi annuali di concorso predisposti dal Ministero di riferimento per accedere all'assegnazione del restante 30 percento delle risorse. In sostanza, se ne deduce che il margine concretamente lasciato alle regioni concerne l'esercizio di funzioni assolutamente residuali, sia in relazione all'ambito dell'intervento - circoscritto ai sistemi turistici locali e conforme ai canoni dettati dall'art. 5 -, sia con riferimento alle risorse economiche effettivamente disponibili. La disposizione in esame conferma il ruolo secondario residuato alle regioni, quale effetto dell'imposizione di una normativa di dettaglio uniforme emanata a livello centrale che ignora le peculiarita' territoriali, in contrasto anche con il principio espresso dall'art. 119 Cost.. Infine, l'art. 11 della legge impugnata, con il menzionato intervento abrogativo posto in essere, puntualizza la prevalenza sulle leggi regionali della legge impugnata che demanda la disciplina della materia a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri rendendo immediatamente applicabili e cogenti le disposizioni normative previste, in radicale contrasto con le prerogative garantite alle regioni dalla Costituzione.
P. Q. M. Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'intera legge 29 marzo 2001, n. 135, e segnatamente degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9, per violazione degli artt. 3, 5, 87, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, e del principio di leale cooperazione tra Stato e regioni, nei termini sopra illustrati. Venezia-Roma, addi' 16 maggio 2001 Avv. Romano Morra - Avv. Fabio Lorenzoni 01c0561