N. 480 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 gennaio 2001
Ordinanza emessa il 16 gennaio 2001 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Sano' Tito contro Ministero dell'ambiente ed altri Giustizia amministrativa - Controversie relative all'assunzione di dirigenti di amministrazioni pubbliche - Attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario - Mancata previsione della riserva al giudice amministrativo come stabilito per le controversie relative ai pubblici concorsi per esami - Irragionevolezza, trattandosi di procedure selettive su base comparativa comportanti scelte discrezionali della pubblica amministrazione afferenti ai poteri di autoorganizzazione - Incidenza sui principî di imparzialita' e buon andamento della P.A., della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di interessi legittimi, di tutela giurisdizionale - Eccesso di delega. - D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, comma 1, modificato dall'art. 18 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387. - Costituzione, artt. 76, 77, 97, 103 e 113.(GU n.25 del 27-6-2001 )
II TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3898/1999 proposto dall'ing. Tito Sano' rappresentato e difeso dall'avv. P.M. Montaldo ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via degli Scipioni, 232; Contro, Ministero dell'ambiente e Associazione nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; il consiglio di amministrazione ed il direttore generale dell'ANPA; il servizio di collaborazione al funzionamento degli organi di alta consulenza del Ministero dell'ambiente non autonomamente costituiti e nei confronti del dott. Urbani Maurizio, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. A. Ferraldeschi ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via Baiamonti, 10; della Soc. D. & G. a r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento: della deliberazione del consiglio di amministrazione dell'ANPA n. 430 C.A. del 18 dicembre 1998, con cui e' stato conferito all'ing. M. Urbani l'incarico di dirigente responsabile del Dipartimento rischio tecnologico e naturale: nonche' di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ivi compresi il bando di concorso e il relativo avviso pubblico, le operazioni di scrutinio, i criteri adottati, le proposte di terne di candidati per la selezione finale, nonche' l'atto di conferimento alla D. & G. S.r.l. dell'incarico di predisporre la selezione e la nota del Ministero dell'ambiente n. 18707 SCOC/1998 in data 11 dicembre 1998; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Avv.ra gen.le dello Stato e del controinteressato ing. M. Urbani; Viste le ordinanze presidenziali nn. 28 del 22 aprile 1999, 119 del 28 dicembre 1999 e 81 del 20 aprile 2000; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 13 luglio 2000, il Consigliere G. De Michele e uditi, altresi', gli avv. P.M. Montaldo per il ricorrente, Palmieri dell'Avvocatura dello Stato per l'Amministrazione resistente e Ferraldeschi per il controinteressato; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Attraverso il ricorso in esame, notificato in data 11 marzo 1999, si impugnano gli atti relativi alla selezione, indetta dall'ANPA (Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente) ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 - con bando pubblicato su alcuni quotidiani il 22, 23 e 24 luglio - per il conferimento di incarichi dirigenziali. La scelta dei vincitori - operata dal consiglio di amministrazione il 30 settembre 1998 - veniva successivamente annullata a seguito di osservazioni formulate dal Ministero dell'ambiente, quale organo di vigilanza, con nota in data 11 dicembre 1998; le medesime nomine originariamente stabilite, tuttavia, erano reiterate il 18 dicembre 1998, attraverso l'atto che in questa sede si impugna, unitamente agli atti presupposti, fra cui il ricordato bando di concorso. Nell'impugnativa vengono prospettati i seguenti motivi di gravame: 1) violazione, dell'accordo quadro per la definizione delle autonome aree di contrattazione della dirigenza, ai sensi dell'art. 3, comma 2 del CCNL dei dipendenti degli enti di ricerca e dell'art. 97 della Costituzione, nonche' eccesso di potere, in quanto il consiglio di amministrazione non sarebbe competente per le nomine di cui trattasi; non dovrebbe essere applicato, inoltre, il CCNL del personale ENEA, ma quello degli enti di ricerca o "altro analogo"; 2) violazione del d.lgs. n. 29/1993, del d.lgs. n. 80/1998, art. 40, del d.l. n. 344/1988, dell'art. 97 della Costituzione, nonche' eccesso di potere, essendo stato applicato l'art. 19, comma 6, d.lgs. n. 29/1993, che consente di conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni all'Amministrazione, in possesso di comprovata qualificazione professionale e di specifica esperienza; la predetta norma, tuttavia, risulta entrata in vigore ex art. 45 d.lgs. n. 80/1998 solo dal 30 settembre 1998 (con successiva proroga al 31 dicembre 1998 ex d.l. n. 344/1998) e quindi non avrebbe potuto essere applicata nel caso di specie; 3) ancora violazione delle norme sopra citate, nonche' della legge n. 241/1990 ed eccesso di potere, risultando effettuata la selezione di cui trattasi con modi e procedure estranee a qualsiasi previsione legislativa o contrattuale, in particolare per l'avvenuto affidamento della scelta dei dirigenti in questione ad un soggetto privato (D. & G. S.r.l.), non in grado di offrire le garanzie di imparzialita' e finalizzazione al pubblico interesse, che sono istituzionalmente proprie della pubblica amministrazione; nel caso di specie, in effetti, sarebbero del tutto carenti - o comunque non evidenziate con la necessaria trasparenza - la predeterminazione dei criteri di selezione e le relative modalita' applicative; 4) ulteriore violazione delle predette norme ed eccesso di potere, con specifico riferimento alla valutazione dei titoli del ricorrente. Le Amministrazioni intimate ed il controinteressato ing. Urbani, costituitisi in giudizio, eccepiscono in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione di questo tribunale e nel merito l'infondatezzadell' impugnativa. D i r i t t o La questione sottoposta all'esame del collegio concerne una procedura di selezione per incarichi dirigenziali, svoltasi a norma dell'art. 19 d.lgs. n. 29/1993, come successivamente integrato e modificato, e conclusasi in data successiva al 30 giugno 1998 (termine fissato in via generale dall'art. 45, comma 17 del d.lgs. n. 80/1998 per il passaggio al giudice ordinario delle controversie, di cui all'art. 68 del d.lgs. n. 29/1993, con esclusione delle questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro anteriore); l'atto di nomina contestato (delibera del C.d.A. n. 430 del 18 dicembre 1998), inoltre, risulta successivo alla data di entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, integrativo della predetta norma per gli incarichi dirigenziali (la cui disciplina operativa, ex art. 45 cit., comma 8, diviene pero' efficace con decorrenza 31 dicembre 1998 o - se anteriore - dalla data di entrata in vigore dei contratti collettivi, di cui all'art. 24 del d.lgs. n. 29/1993). Nella situazione appena descritta, il momento che rileva, ai fini della concreta determinazione della giurisdizione, sussistente nel caso di specie, deve essere ricercato in base all'art. 5 c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 2 legge 26 novembre 1990, n. 353, che fa al riguardo rinvio "alla legge vigente e allo stato di fatto esistente" all'atto della proposizione della domanda giudiziale (e nella fattispecie il ricorso risulta notificato in data 11 marzo 1999, nella piena vigenza del nuovo riparto di giurisdizione; cfr. anche, per il principio, Cass. SS.UU. n. 5792/1992). Nella vicenda in esame, tuttavia, occorre operare un'ulteriore distinzione. Il primo comma del citato art. 68, modificato dall'art. 18 d.lgs. n. 387/1998, attribuisce infatti al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le questioni attinenti al "conferimento ed alla revoca degli incarichi dirigenziali", mentre lascia al giudice amministrativo la giurisdizione, per le "controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni". L'intenzione del legislatore appare quella di rimettere ad un unico giudice tutte le questioni attinenti al rapporto di lavoro - tendenzialmente disciplinato in modo unitario nel settore sia pubblico che privato - con esclusione delle procedure che, di norma, debbono essere esperite per selezionare il personale cui vengano affidate funzioni pubbliche, in conformita' al dettato dell'art. 97, comma 3, della Costituzione (in base al quale "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge"). La ratio legislativa riconduce dunque la selezione concorsuale a modalita' organizzatorie, direttamente connesse al buon andamento della gestione dei pubblici uffici, a norma dell'art. 97 della Costituzione, con conseguente opportunita' - recepita e codificata dal legislatore - che delle procedure concorsuali, caratterizzate da imparzialita' e parita' di trattamento, abbia cognizione il giudice specializzato per gli atti, che siano espressione di potesta' amministrativa. Quanto sopra impone una lettura estensiva del quarto comma del citato art. 68 d.lgs. n. 29/1993, dovendo considerarsi rimessa al giudice amministrativo ogni controversia, che attenga all'assunzione di funzioni pubbliche per cui siano prescritte modalita' concorsuali di accesso, nonche' le questioni riconducibili a violazione della corretta procedura anzidetta. Per quanto riguarda la dirigenza, ovvero il settore dell'impiego presso pubbliche amministrazioni, cui e' affidata la materiale gestione dell'attivita' amministrativa - non escluse scelte discrezionali, da effettuare nel rispetto dei criteri stabiliti a livello di indirizzo politico - l'art. 28, comma 1 del d.lgs. n. 29/1993 cosi' si esprime: "l'accesso alla qualifica di dirigente di ruolo nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo e negli enti pubblici non economici avviene esclusivamente a seguito di concorso per esami". L'obbligo di espletamento di tale procedura appare riconducibile alla peculiarita' del rapporto di impiego di cui si discute, in strutture per le quali e' assente il rischio di impresa, (di per se' stimolo all'effettuazione di controlli di efficienza e di efficacia, tali da non consentire la permanenza in posizioni di responsabilita' di addetti, non in grado di assicurare un ottimale espletamento del servizio loro affidato): sull'osservanza di tale obbligo, nonche' sulle condizioni di legittimita' della procedura svolta sussiste, come gia' ricordato, la giurisdizione del giudice amministrativo. La carriera dirigenziale pubblica e', tuttavia, disciplinata anche nello spirito di un crescente allineamento a criteri manageriali di stampo privatistico, possibili nel contemporaneo espletamento di un nuovo sistema di controlli (gia' legislativamente previsto: cfr. in particolare, legge 14 gennaio 1994, n. 20 e legge 15 maggio 1997, n. 127). A tale secondo piano di riferimento corrisponde la disciplina degli incarichi dirigenziali a tempo determinato, che interessano - a norma dell'art. 19 d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come successivamente modificato ed integrato - i dirigenti della prima e della seconda fascia del ruolo unico (evidentemente selezionati nei modi ordinari), nonche' una percentuale del 5% del personale, appartenente a ciascuna delle predette fasce, in corrispondenza di particolari requisiti professionali specificati nel sesto comma del medesimo art. 19: la previsione di tale ristretta percentuale, e dei requisiti personali che debbono caratterizzarla, non puo' avere altro significato che quello di consentire una forma di reclutamento straordinario, legato al cosiddetto intuitus personae e non ad una selezione concorsuale per esami, fatta salva la possibilita' - ed in qualche caso l'obbligo - dell'Amministrazione di autolimitarsi, fissando criteri di comparazione imparziali e trasparenti (cfr. in tal senso, in presenza di "pluralita' di candidature o di dichiarazioni di gradimento per la stessa posizione funzionale", Cons. St., sez. IV, 18 dicembre 1998, n. 1688). Per detto tipo di scelta (che non presuppone concorso, ne' necessariamente valutazione comparativa) cosi' come per gli incarichi a tempo, conferiti ai dirigenti di ruolo, il gia' ricordato art. 68 d.lgs. n. 29/1993, come modificato dall'art. 18 d.lgs. n. 387/1998, prevede la giurisdizione del giudice ordinario "ancorche' vengano in questione atti amministrativi presupposti". Ad avviso del Collegio, nell'ambito di tali atti presupposti residua una sola questione, rimessa alla cognizione del giudice amministrativo: l'eventuale violazione dell'art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 29/1993, circa l'obbligatoria selezione concorsuale per esami dei dirigenti, al di fuori della ridotta percentuale di cui al sesto comma dell'art. 19 del medesimo d.lgs., gia' in precedenza commentato. In rapporto al ricorso in esame, tuttavia, il profilo anzidetto non appare valutabile, pur non mancando nel ricorso stesso argomentazioni difensive, riferite a radicale non esperibilita' della procedura seguita (con particolare riferimento ai termini di efficacia dell'art. 19 d.lgs. n. 29/1993). Dette argomentazioni difensive, infatti, coinvolgerebbero necessariamente l'intera procedura espletata dall'ANPA, in rapporto a tutte le posizioni dirigenziali da ricoprire, con conseguente necessita' di integrazione del contraddittorio, originariamente instaurato nei confronti di un solo controinteressato (ing. Maurizio Urbani). La necessita' di integrare il contraddittorio, peraltro, risulta individuata dallo stesso ricorrente con istanza depositata in data 25 novembre 1999, in accoglimento della quale e' stata emessa l'ordinanza presidenziale n. 119 del 28 dicembre 1999, con cui si autorizzava la notificazione del ricorso "a tutti gli altri controinteressati", anche per pubblici proclami, entro novanta giorni dalla comunicazione o dalla notifica dell'ordinanza stessa. Il predetto adempimento non risulta effettuato, essendo agli atti solo un secondo originale del ricorso, notificato il 18 gennaio 2000 ai signori Serva Leonello e Bendotti Paolo, nonche' una memoria depositata in sede di udienza, con relata di notifica alle stesse parti gia' presenti in giudizio. In tale situazione, il Collegio non puo' che aderire al consolidato indirizzo della giurisprudenza, che sottolinea la perentorieta' del termine processuale, assegnato per l'integrazione del contraddittorio, e sancisce - in base al combinato disposto degli artt. 35 T.U. n. 1054/1924 e 19 legge n. 1034/1971 - l'inammissibilita' (o la decadenza) dell'impugnativa per l'inosservanza del termine stesso, indipendentemente dalla fissazione di tale adempimento in una ordinanza presidenziale o in una determinazione collegiale (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 7 luglio 1982, n. 330; sez. IV, 18 aprile 1995, n. 254; Tribunale amministrativo regionale Campania, Napoli, sez. I, 11 luglio 1984, n. 389; Tribunale amministrativo regionale Calabria, Reggio Calabria 18 novembre 1988, n. 270 e 17 aprile 1989, n. 58). Restano valutabili, pertanto, solo le censure riferite alla singola funzione dirigenziale, per la quale concorreva l'attuale ricorrente (responsabile del Dipartimento rischio tecnologico e naturale), tenuto conto della avvenuta instaurazione del contraddittorio nei confronti della terna di candidati, ammessi alla selezione finale. Come gia' ricordato, pero', la procedura al riguardo espletata, ex art. 19 d.lgs., n. 29/1993, risulta esplicitamente sottratta alla giurisdizione di questo tribunale, a meno di non sollevare questione di costituzionalita', con riferimento all'art. 68 d.lgs. n. 29/1993, come modificato dall'art. 18 d.lgs. n. 387/1998. Tale questione - di indubbia rilevanza per la conclusione del presente giudizio - appare ad avviso del collegio non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 76, 77, 97, 103 e 113 della Costituzione. Spetta in via generale al giudice amministrativo, infatti, la cognizione in materia di lesione degli interessi legittimi, ovvero di situazioni soggettive protette correlate ai parametri di "buon andamento dell'amministrazione", a loro volta connessi al principio di legalita' nonche' - in caso di atti non vincolati - all'adeguata ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti. In tale ottica sussisteva un tradizionale orientamento della Corte costituzionale, secondo cui il "buon andamento", di cui al citato art. 97 della Costituzione, non riguardava esclusivamente l'organizzazione interna dei pubblici uffici, ma si estendeva alla disciplina del pubblico impiego, essendo "innegabile che la disciplina del lavoro e' sempre strumentale, mediatamente o immediatamente, rispetto alle finalita' istituzionali assegnate agli uffici, in cui si articola la pubblica amministrazione" (Corte cost., sentenze nn. 124/1968 e 68/1980). E' anche stato sottolineato, tuttavia (Corte cost., n. 185/1981), come l'art. 113 della Costituzione non riconosca posizioni di preferenza del giudice ordinario rispetto al giudice amministrativo, senza pero' giungere alla tesi opposta - pure da alcuni sostenuta - secondo cui il passaggio al giudice ordinario delle controversie, implicanti valutazione di interessi legittimi, non potrebbe avvenire in condizioni di assoluta reciprocita', rispetto ad una cognizione piena per materia assegnata - come appunto in passato per il pubblico impiego - al giudice amministrativo (sussistendo per il giudice ordinario - in materia di interessi legittimi - solo la cognizione in via incidentale, di cui all'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, che consente la disapplicazione, da parte di tale giudice, degli atti amministrativi e dei regolamenti non conformi alle leggi). In realta', la giurisdizione generale del giudice amministrativo sugli interessi legittimi non preclude, in linea di principio, che il legislatore possa operare un riparto della giurisdizione stessa ratione materiae stando al dettato dell'art. 113, ultimo comma, della Costituzione, pur imponendosi degli adeguamenti in via legislativa, circa le modalita' di attuazione della tutela. Nel descritto quadro costituzionale e normativo, i primi casi di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego hanno dato luogo ad un sistema di giurisdizione "mista", che rimetteva al giudice ordinario solo la tutela dei diritti, direttamente connessi al contatto di lavoro, restando affidati alla cognizione del giudice amministrativo i provvedimenti autoritativi e discrezionali del datore di lavoro, a fronte dei quali le posizioni del lavoratore avessero natura e consistenza di interessi legittimi (cfr., fra le tante, Cass. SS.UU. 10 maggio 1984, n. 2853 e 19 dicembre 1988, n. 6908; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 7 ottobre 1985, n. 120, nonche' - per il principio del carattere generale e non assimilabile dei due ambiti di giurisdizione - Corte cost., 18 maggio 1989, n. 251). Il piu' recente e ampio passaggio alla cognizione del giudice ordinario del rapporto di impiego presso pubbliche amministrazioni, integralmente privatizzato ex d.lgs. n. 29/1993 - con successiva definizione dei tempi e dei modi del passaggio stesso, con la scansione temporale di cui al decreto legislativo n. 80/1998 - e' stato ritenuto non contrastante con l'art. 97 della Costituzione, in base alle note sentenze della Corte costituzionale n. 313 del 25 luglio 1996 e n. 309 del 16 ottobre 1997. Dette sentenze si riferiscono sotto diversi profili alla legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e recepiscono il principio della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego come corretto esercizio della discrezionalita' del legislatore, a seguito di bilanciamento tra i valori di imparzialita' e di efficienza, entrambi riconducibili all'art. 97 della Costituzione; si sottolinea, inoltre, la migliore adattabilita' del regime privatistico alle finalita' di decentramento, snellimento e semplificazione di procedure ed apparati, espresse dalla piu' recente legislazione. Quanto sopra, con richiamo tuttavia sia alla riserva di legge, relativa a profili ordinamentali sottratti alla contrattazione, in quanto maggiormente inerenti al momento organizzativo, sia alla ragionevolezza della dicotomia, in origine prevista in rapporto alla sola dirigenza generale, cui "competono le funzioni di attribuzione, sostituzione, controllo ed impulso, maggiormente raccordabili con l'attivita' politica di definizione degli obiettivi". I principi sopra enunciati, dunque, non consentono di superare i dubbi di costituzionalita' in materia di incarichi dirigenziali, che - in quanto assegnati a termine a personale gia' iscritto nei ruoli dirigenziali, ovvero esterno all'Amministrazione ma in possesso di determinati requisiti, ai sensi e per gli effetti del ricordato art. 19 d.lgs. n. 29/1993 - non richiedono prove di selezione concorsuale propriamente dette, ne' escludono scelte ampiamente discrezionali purche' non arbitrarie. Detti incarichi implicano, senza dubbio, valutazioni di carattere autorganizzatorio, normalmente effettuate dagli organi di governo dell'ente, ed a fronte delle quali non possono porsi che situazioni soggettive di interesse legittimo, in ordine al corretto esercizio della potesta' amministrativa per finalita' di pubblico interesse. E' necessario dunque distinguere fra obblighi scaturenti dal contratto di lavoro dirigeniziale e procedimento pubblicistico di nomina (Cass. SS.UU. 10 marzo 1999, n. 114; Corte dei conti, sez. controllo, 20 maggio 1999, n. 39): il secondo conduce sicuramente ad un atto unilaterale, che precede la regolamentazione contrattuale del rapporto, e la cui disciplina puo' essere ricondotta ai criteri generali di organizzazione degli uffici, di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 29/1993, espressamente riferito a principia pubblicistici quali la garanzia di imparzialita' e trasparenza dell'azione amministrativa (principia, che come gia' ricordato restano - senza alcun conflitto - al di fiori della ratio della privatizzazione del rapporto di lavoro). Ad un diverso "piano organizzativo", infatti, vanno ascritti gli atti di gestione del rapporto di lavoro, questi si' privatizzati in nome dei principia di economicita' ed efficienza che si sono voluti introdurre nel settore, e che l'art. 4 del medesimo d.lgs. n. 29/1993 chiaramente distingue dagli atti organizzativi pubblicistici di cui all'art. 2: fra gli atti di gestione in senso stretto rientrano i contenuti del contratto stipulato con il dirigente, ovvero le prestazioni pattuite, gli obiettivi da conseguire, la durata dell'incarico ed il corrispondente trattamento economico. L'assegnazione dell'incarico dirigenziale, invece, non puo' essere oggetto di cognizione diretta, se non configurando in capo al giudice ordinario una giurisdizione esclusiva piena, che investa gli atti di auto-organizzazione della pubblica amministrazione, con ampia possibilita' di cognizione degli eventuali vizi di legittimita', immediatamente produttivi di lesione degli interessi legittimi correlati (interessi che possono ravvisarsi in capo ad aspiranti all'incarico, che si considerino illegittimamente esclusi, ma anche ad altri soggetti, cui si riconosca una posizione giuridica differenziata in ordine al buon funzionamento dell'ente). Ove pero' - come la Costituzione in astratto non inibisce, e come la lettera del dettato legislativo in esame sembra suggerire - debba ritenersi che l'art. 68 del d.lgs. n. 29/1993, come successivamente integrato, operi nel senso sopra descritto, assegnando al g.o. cognizione esclusiva sul provvedimento di nomina e sui correlativi criteri discrezionali di scelta (anziche' solo sulla successiva, autonoma fase di disciplina negoziale del rapporto) la medesima norma non puo' non suscitare dubbi di costituzionalita' per eccesso di delega, in quanto la legge 15 marzo 1997, n. 59 (art. 11, comma 4, lett. g) affida al Governo la devoluzione al predetto giudice delle "controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorche' concernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione": l'ottica del legislatore, dunque, si muove nel solco della tradizionale ripartizione di competenze fra, giudice ordinario e giudice amministrativo, ed inibisce l'annullamento ad opera del primo di atti che non solo costuiscano esercizio della potesta' autorganizzatoria dell'ente pubblico, ma che in alcuni casi appaiano espressione dei poteri di alta amministrazione degli Organi di Governo dell'ente stesso. Sembra appena il caso di sottolineare, d'altra parte, come non sia concepibile - in rapporto ai delicati interessi pubblici di cui trattasi - una tutela solo indiretta, ovvero da effettuarsi in via incidentale (non e' dato comprendere in occasione di quale tipo di impugnativa). Piu' ragionevole appare la tesi, che restringe la delega ai profili organizzatori, conseguenti allo specifico rapporto di lavoro in atto del dirigente: esattamente di rapporto di lavoro parla infatti la legge, senza riferimento alla scelta discrezionale, prodromica all'assegnazione dell'incarico. Ulteriori profili di incostituzionalita' possono configurarsi, per la disciplina in esame, in rapporto agli articoli 97, 103 e 113 della Costituzione, in quanto dal contesto di dette norme debbono evincersi i parametri di ragionevolezza, preposti al riparto di giurisdizione fra quelli che sono - in via generale e salvo deroghe legislative - "Giudici dei diritti" e "Giudici degli interessi legittimi", questi ultimi identificabili nel plesso giurisdizionale Tribunale amministrativo regionale - Consiglio di Stato. In linea di principio, puo' certamente assumersi come punto di partenza la storica specializzazione del plesso da ultimo indicato in ordine agli atti amministrativi e - tenuto conto della nuova dimensione dei pubblici poteri - in ordine al "buon andamento" dell'apparato, cui e' affidata la cura degli interessi pubblici e la potesta' di azione autoritativa. Quanto sopra, con particolare riguardo alla cognizione dei vizi funzionali dell'atto, oggetto di approfondito riscontro solo attraverso la ricca elaborazione della giurisdizione amministrativa in materia di eccesso di potere (sui limiti della valutazione del giudice ordinario, ritenuta piena in materia di violazione di legge, ma limitata sul piano finalistico al controllo sull'esistenza del potere, escluso qualsiasi sindacato sulle scelte discrezionali dell'Amministrazione anche sotto il profilo del travisamento dei fatti cfr., viceversa, Cass. SS.UU. 3 novembre 1982, n. 5751 e Cass. Civ. sez. lavoro 17 marzo 1982, n. 1740). La citata nozione di "buon andamento", d'altra pane, trova oggi precisi parametri legislativi di riscontro, parametri che delimitano il "giusto procedimento amministrativo" ex legge n. 241/1990, di modo che i criteri riferiti ad una nuova managerialita' di stampo privatistico possono venire in evidenza, ma solo dopo la corretta assegnazione - secondo criteri pubblicistici di autorganizzazione - dell'incarico dirigenziale. Come sottolineato dalla Suprema Corte, infatti, per la regolamentazione del rapporto di impiego presso pubbliche amministrazioni si considerano ormai prevalenti i criteri privatistici, dedotti dalla contrattualizzazione del rapporto e piu' idonei ad unificare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, per la cui definizione i criteri di efficienza possono considerarsi prevalenti rispetto a quelli di imparzialita'. A conclusioni opposte si giunge, invece, per l'instaurazione del rapporto stesso, a seguito di procedimento concorsuale, la cui cognizione e' rimessa al giudice amministrativo, evidentemente perche' ritenuta inerente ancora al momento organizzatorio, nell'ambito del quale imparzialita' e trasparenza dell'azione amministrativa - prodromica ai successivi parametri di efficienza privatistica - appaiono le migliori garanzie per il soddisfacimento dell'interesse pubblico sotteso. Tali garanzie, d'altra parte, dovrebbero attenere all'assegnazione degli incarichi dirigenziali piu' ancora che all'espletamento dei pubblici concorsi, tenuto conto della delicatezza delle scelte discrezionali "di fondo" e della selezione comparativa da effettuare, per l'individuazione del dirigente piu' capace e non semplicemente piu' gradito all'organo di governo dell'ente. Senza applicazione dei piu' raffinati strumenti interpretativi in ordine all'eccesso di potere, d'altra parte, ben difficilmente potra' essere espletato il necessario controllo giurisdizionale, affinche' gli incarichi dirigenziali concorrano a costruire - nello spirito della riforma della pubblica amministrazione, di cui al citato d.lgs. n. 29/1993 - un sistema in cui spetti agli organi di governo dell'Ente la definizione degli obiettivi e dei programmi ed ai dirigenti - individuati secondo regole di buona amministrazione, e non su base meramente fiduciaria - l'adozione degli atti di concreta gestione della cosa pubblica, secondo gli auspicati criteri di pura efficienza di stampo manageriale (con esiti che - al di la' del controllo di legittimita' su singoli atti - possono rientrare nella disciplina del rapporto contrattualizzato, rimesso al giudice ordinario; cfr. in tal senso Tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma, sez. 1, ord.za n. 6060 del 19 luglio 2000). Il collegio ritiene, in conclusione, che non sia conforme a principia di ragionevolezza e coerenza legislativa la dicotomia tra pubblico concorso per esami, rimesso per qualsiasi qualifica al giudice amministrativo, e incarico dirigenziale, assegnabile su base comparativa in base a regole di selezione non legislativamente formalizzate, ma proprio per tale ragione da definire in base ai corretti parametri di esercizio della discrezionalita', da tempo codificati dalla giurisprudenza amministrativa: quanto sopra, nell'ambito di quel momento autorganizzatorio dell'ente pubblico, che resta come procedimento selettivo al di fuori del rapporto contrattualizzato e delle ragioni, implicanti la devoluzione del medesimo al giudice ordinario. Sotto i profili indicati il Collegio stesso ritiene di dover attendere - per la soluzione della controversia in esame - il giudizio della Suprema Corte, cui vengono rimesse le descritte questioni di costituzionalita', in ordine all'art. 68, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo modificato dall'art. 18 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, con riferimento agli articoli 76, 77, 97, 103 e 113 della Costituzione.
P. Q. M. Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale sopra illustrate; Sospende il giudizio sul ricorso n. 3898/1999 e - riservata al definitivo ogni ulteriore pronuncia in rito, nel merito e sulle spese; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nelle camere di consiglio in data 13 luglio 2000 e 16 gennaio 2001. Il Presidente: Bianchi Il consigliere estensore: De Michele 01C0574