N. 492 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 febbraio 2001

Ordinanza  emessa  il  19  febbraio 2001 dal tribunale di Firenze nel
procedimento  civile  vertente  tra  Sgobbi  Simone  e  A.I.F. Gruppo
Securitas S.r.l. ed altri

Lavoro  (Rapporto  di)  - Divieto di interposizione e intermediazione
  nelle  prestazioni  di lavoro - Costituzione ex lege di rapporti di
  lavoro  diretti  con  l'interponente  -  Operativita' nei confronti
  dell'amministrazione  statale  -  Esclusione  -  Irragionevolezza e
  disparita'  di  trattamento  in  considerazione  della  intervenuta
  privatizzazione  del  rapporto  di impiego pubblico - Incidenza sul
  principio di imparzialita' e buon andamento della P.A.
- Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, primo e quarto comma.
- Costituzione, artt. 3 e 97.
(GU n.26 del 4-7-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Nella  causa  iscritta  al n. 3384/1999 r.gen. promossa da Sgobbi
Simone contro S.r.l. A.I.F. Gruppo Securitas ed altri, il giudice del
lavoro,  all'udienza  del  19 febbraio 2001, ha dato pubblica lettura
della seguente ordinanza.
    Con  ricorso depositato l'8 giugno 1999, e poi notificato insieme
con  il  decreto  ex  art.  415  cod.  proc.  civ.,  Simone Sgobbi ha
convenuto  in  giudizio  la  S.r.l.  A.I.F. Gruppo Securitas, Claudia
Masi,  Alberto  Bittini,  la  S.r.l. Seido  Service,  Franco  Coveri,
Giovanni  Bittini,  Marco  Cerchiarini  e ha chiesto di accertarsi in
questa  sede  il  rapporto  di lavoro subordinato intercorso tra esso
ricorrente e i convenuti dal gennaio 1996 al 5 ottobre 1998.
    Cio' premesso, ha concluso affinche' gli stessi convenuti fossero
condannati  al  pagamento di complessive L. 10.569.809 in suo favore,
per  differenze  retributive  maturate  nel  periodo e dettagliate in
apposito  conteggio  (mensilita'  aggiuntive,  ferie,  indennita'  di
preavviso,  t.f.r.  etc.).  Inoltre,  il  ricorrente ha chiesto fosse
dichiarata  la nullita' o l'inefficacia del licenziamento orale a lui
intimato  in  data  5  ottobre  1998,  con  conseguente  condanna dei
convenuti  al  pagamento  in  suo  favore  di  tutte  le retribuzioni
maturate  in  epoca successiva alla sua illegittima estromissione dal
lavoro.
    Si  sono  costituiti i convenuti ed hanno concluso per il rigetto
del ricorso rilevandone la infondatezza in fatto e in diritto.
    Fallito  il  tentativo  di conciliazione, si e' assunta prova per
testi e si e' dato termine per il deposito di memorie.
    In  fatto,  talune  circostanze  risultano sicuramente provate in
base  alle  prove  testimoniali  assunte e ai documenti prodotti: nel
periodo  considerato (1996 - 1998), Simone Sgobbi (con altri cinque o
sei   giovani)  ha  prestato  opera  continuativa  all'interno  della
Conservatoria  dei  registri  immobiliari  di Firenze con l'esclusivo
compito  di  movimentare i volumi ivi custoditi in modo da consentire
al pubblico di procedere alle visure.
    L'orario  di lavoro coincideva con quello di apertura al pubblico
e  richiedeva  poi  il  tempo  per  riordinare i libri negli appositi
scaffali  e  nella giusta collocazione (cinque ore quotidiane per sei
giorni a settimana).
    Sgobbi - e i suoi compagni di lavoro - prelevavano le filze delle
note  e  dei  titoli  a richiesta dell'impiegato dell'amministrazione
che, al bancone, riceveva gli utenti del servizio.
    La  gerente  della  Conservatoria,  sentita  come  teste,  ha fra
l'altro dichiarato:
        1)  che  l'amministrazione aveva consentito all'utilizzazione
di  Sgobbi, e degli altri cinque o sei giovani, a causa della cronica
carenza di personale da destinare alla movimentazione delle filze;
        2)  che  Sgobbi e i suoi colleghi operavano sotto la costante
sorveglianza  di  funzionari  dell'amministrazione  data  la evidente
delicatezza  connessa  alla conservazione degli atti ("di regola, noi
non   facciamo   entrare   all'interno  personale  estraneo,  nemmeno
carabinieri o guardia di finanza");
        3) che la soluzione adottata si fondava su un "accordo tra il
conservatore  e le agenzie che fanno le visure" e, in particolare, il
patto  prevedeva  che  gli  addetti  alla movimentazione risultassero
incaricati e compensati dai visuristi.
    La  esperita  istruttoria  ha  peraltro  accertato  che  i  sette
convenuti  provvedano  a  compensare  -  con  i  criteri  per lo piu'
informali - un gruppo di addetti alla movimentazione, mentre un altro
gruppo riceveva il compenso da altri visuristi.
    Risulta  certo, inoltre, che i giovani addetti al trasporto delle
filze, anche per l'obiettiva circostanza di operare dietro il bancone
di   un   ufficio   pubblico,   presero   ben   presto   ad   evadere
indifferentemente tutte le richieste (senza cioe' privilegiare i soli
utenti che si facevano carico del loro compenso).
    Fatte  queste  premesse,  non sembra dubbio che Simone Sgobbi sia
stato  inserito  in  modo  permanente e continutativo nella struttura
organizzativa della Conservatoria mettendo a disposizione le sue mere
energie  lavorative,  con  semplici mansioni di fatica, allo scopo di
rendere possibile l'espletamento di un servizio istituzionale.
    La   soluzione  della  controversia  conduce  necessariamente  ad
osservare che la fattispecie si inquadra nella figura di cui all'art.
1,  della  legge  23  ottobre 1960, n. 1369, la quale dispone che, in
caso di intermediazione vietata, il prestatore d'opera e' considerato
a  tutti  gli effetti alle dipendenze del soggetto che effettivamente
abbia utilizzato le sue prestazioni.
    Nel  caso  in  esame,  il  reale  fruitore  della prestazione del
ricorrente  e'  appunto  l'Amministrazione  finanziaria:  e cio'  non
soltanto  perche'  Sgobbi e i suoi colleghi servivano indistintamente
tutto    il   pubblico   degli   utenti;   ma   soprattutto   perche'
l'amministrazione che e' tenuta per legge ad erogare il servizio.
    Ritiene  pertanto il giudicante di sollevare di ufficio questione
di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi primo e quarto,
legge  23  ottobre  1960, n. 1369, per contrasto con gli artt. 3 e 97
della  Costituzione, nella parte in cui la legge stessa e la relativa
presunzione  circa  la  reale  titolarita' del rapporto di lavoro non
sono applicabili all'Amministrazione statale.
    L'art.  97  della  Costituzione, e il relativo principio di buona
amministrazione,   risulta   violato  dal  permanere  dell'immotivato
esonero  dello  Stato  dall'osservanza  della  legge 23 ottobre 1960,
n. 1369.
    Del  resto,  non  sembra  conforme  al  citato  art. 97 l'attuale
assetto  normativo  che,  come  nella  specie,  consenta la possibile
condanna  di  privati al pagamento di importi retributivi a fronte di
prestazioni subordinate rese da un dipendente inserito stabilmente in
un pubblico ufficio.
    La  presente  vicenda  dimostra  che  - in assenza del divieto di
intermediazione - si puo' pervenire alla inammissibile situazione per
cui  un  gruppo di utenti, al precipuo fine di ottenere la erogazione
di  un pubblico servizio essenziale, si rendano disponibili a fungere
da  schermo  o  da prestanome per la fornitura di mere prestazioni di
manodopera alla pubblica amministrazione.
    A   riprova   di  cio',  bastera'  considerare  l'anomalia  della
situazione  per  cui  Sgobbi  si  vede  oggi costretto a convenire in
giudizio  ben sette degli utenti del servizio, fra quelli che avevano
accettato di "autotassarsi".
    L'art. 3 della Costituzione viene in questione in quanto, in casi
siffatti,   il   ricorso  da  parte  della  p.a.  alla  figura  della
intermediazione   sorte  il  risultato  di  rendere  inapplicabili  i
principi  di  effettivita'  che  la  giurisprudenza  ha gia' da tempo
elaborato  con riferimento all'assunzione irregolare degli impiegati:
il  rapporto  di  impiego  pubblico  sussiste  in  base alla semplice
prestazione  subordinata  e  continuativa  di un soggetto stabilmente
inserito  nell'organizzazione  amministrativa,  a  nulla rilevando il
difetto  di un formale atto di nomina (vedi, fra le altre, Cass. s.u.
9 luglio 1997, n. 6228, la quale precisa che l'unica eccezione a tali
principi e' costituita dal caso di intermediazione).
    Ma  se  dunque non e' la mancanza di un formale atto di nomina (e
la  connessa  violazione  delle  norme  di  concorso) a costituire un
discrimine  per  accertare  la  realta' sostanziale di un rapporto di
impiego  pubblico,  non  si  vede alcun ragionevole motivo perche' la
legge  debba  premiare l'espediente posto in essere con il ricordo ad
un formale intermediario o prestanome.
    Bisogna  poi  aggiungere  che, nella specie, si e' al di fuori di
qualsiasi  ipotesi  di appalto di servizi, avendo i privati svolto un
ruolo  soltanto  formale  di  intermediari  (e  la legge n. 1369/1960
espressamente  contempla l'ipotesi che il mero intermediario provveda
alla retribuzione).
    Ne' puo' sostenersi che gli intermediari siano stati mossi da uno
scopo  di lucro, in quanto il loro intendimento era soltanto ottenere
il  funzionamento  del  servizio, e per questo hanno affrontato anche
degli esborsi.
    Giova  poi  sottolineare  che la previsione di favore a vantaggio
dello Stato si appalesa tantopiu' immotivata soprattutto dopo la c.d.
privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici impiegati portata
a  compimento  con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80: al riguardo, e' il
caso  di  segnalare che la vicenda di Sgobbi, e il suo licenziamento,
si estendono in un periodo successivo al 30 giugno 1998.
    A   questo  punto,  occorre  soffermarsi  sulla  rilevanza  della
questione sollevata.
    L'applicabilita'  dell'Amministrazione  finanziaria  dell'art. 1,
legge n. 1369/1960 nella sua integrita', e della relativa presunzione
circa  la  titolarita'  reale  del rapporto di lavoro, costituisce il
presupposto  indispensabile  per  assolvere i convenuti dalle pretese
retributive del ricorrente.
    Sul  piano  processuale,  e'  il caso di aggiungere che, soltanto
dopo   l'eventuale   accoglimento   della  prospettata  questione  di
legittimita'  costituzionale,  si rendera' attuale la opportunita' di
estendere  il contraddittorio all'Amministrazione finanziaria ex art.
107  cod.  proc.  civ.,  affinche'  la emananda sentenza faccia stato
altresi'  nei suoi confronti (quantomeno per il periodo successivo al
30 giugno 1998).
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Solleva  di  ufficio  questione  di illegittimita' costituzionale
dell'art.  1,  commi  primo e quarto, legge 23 ottobre 1960, n. 1369,
per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in
cui    escludono    l'Amministrazione    statale   dal   divieto   di
intermediazione   di   manodopera   e   dalla  presunzione  circa  la
titolarita'  del  rapporto  di  lavoro  in capo al soggetto che abbia
effettivamente utilizzato le prestazioni di lavoro;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale;
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata al Presidente
del Consiglio dei ministri;
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia comunicata ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Firenze il 19 febbraio 2001.
                        Il giudice: Bronzini
01C0596