N. 493 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 2001

Ordinanza   emessa  il  5  marzo  2001  dal  tribunale  di  Roma  nel
procedimento civile vertente tra Di Clemente Giuseppe e I.N.P.S.

Previdenza   e   assistenza   sociale   -  Disciplina  relativa  alla
  ripetizione    d'indebito   pensionistico   -   Non   ripetibilita'
  dell'indebito,  assoluta  o  nei  limiti  del  quarto  dell'importo
  riscosso,  per  periodi  anteriori  al  1o gennaio 1996, in caso di
  soggetti  percettori  di  reddito  personale  imponibile IRPEF, per
  l'anno  1995,  di  importo  rispettivamente  pari  o inferiore a 16
  milioni  di  lire  ovvero  superiore  - Violazione del principio di
  uguaglianza per la efficacia retroattiva della censurata disciplina
  -   Incidenza  sulla  garanzia  previdenziale  -  Riferimento  alla
  sentenza della Corte costituzionale n. 166/1996.
- Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 260 e 261.
- Costituzione, artt. 3 e 38.
(GU n.26 del 4-7-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  n. 86579/1999,  in relazione alle questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate da parte ricorrente in ordine
all'art. 1, commi 260 e 261, legge 23 dicembre 1996, n. 662,
                            O s s e rv a
    Il  ricorrente Giuseppe Di Clemente, in data 30 novembre 1995, ha
ricevuto dall'I.N.P.S. la richiesta di restituzione della somma di L.
9.203.670,  motivata  dalla  avvenuta corresponsione - per il periodo
dal  1o  ottobre 1983 al 30 aprile 1995 - di quote di integrazione al
trattamento  minimo  in  misura superiore a quella spettante, tenendo
conto   dell'importo   dei   redditi   personali,   ed   ha   chiesto
l'accertamento  dell'illegittimita'  di tale provvedimento, eccependo
la  illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 260 e 261, legge
n. 662/1996  per violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione,
sostenendo    la    riconducibilita'   dell'indebito   a   negligenza
dell'I.N.P.S.,  che,  pur essendo venuto a conoscenza sin dal gennaio
1986 degli ulteriori redditi dallo stesso percepiti, aveva continuato
a corrispondergli quote di integrazione al minimo non spettanti;
    L'I.N.P.S.  si  e'  costituito,  chiedendo  in  via principale di
rigettare   il   ricorso   e,   in   subordine,   di   dichiarare  la
irripetibilita'   dell'indebito  nei  limiti  di  cui  al  comma  261
dell'art. 1,   legge  23  dicembre  1996  n. 662,  detratti  i  ratei
prescritti, relativi al periodo l/1983-3/1985;
    Considerato  che  la  Corte  costituzionale,  in tema di indebiti
pensionisici  relativi  alla  integrazione  al  minimo,  con sentenza
n. 166/1996,  si e' pronunciata nel senso che "la ripetibilita' cessa
la'  dove  l'ente  previdenziale  abbia continuato il pagamento della
integrazione   al   minimo,   pur   avendo  la  disponibilita'  delle
informazioni   necessarie   per   l'accertamento   del   reddito  del
pensionato,   o   in  seguito  alla  tempestiva  presentazione  della
dichiarazione  sostitutiva  del  certificato  fiscale,  alla quale e'
tenuto  ai  sensi  dell'art. 6 comma 4 d.l. n. 463/1983 o altrimenti,
per  esempio,  attraverso una comunicazione del datore di lavoro alle
cui  dipendenze  il  pensionato ha trovato occupazione oppure perche'
entrambe  le pensioni sono pagate dall'ente stesso, che percio' e' in
condizione di conoscere da se', se e quando l'importo della prima sia
aumentato  oltre  il  limite di reddito ostativo dell'integrazione al
minimo  della  seconda",  affermando che "il limite cosi' individuato
della  ripetibilita'  sancita  dalla disposizione denunziata non puo'
trovare  applicazione immediata dal momento in cui si determinano per
l'I.N.P.S.    le    condizioni   di   verificabilita'   del   reddito
dell'assicurato.  Perche'  i  dati  disponibili  siano effettivamente
acquisiti  dall'istituto  ed  immessi  nei  circuiti  delle verifiche
contabili  sono  necessari  tempi  tecnici,  che il giudice valutera'
avuto  riguardo eventualmente ai termini indicati dall'art. 13, comma
2, della legge n. 412/1991, non applicabile ratione temporis nei casi
di specie, ma utilizzabile quale criterio di orientamento";
    Rilevato  che  la  Corte di cassazione, in varie decisioni, dando
applicazione  alla  citata  pronuncia,  ha  ritenuto di assumere come
termine   finale  per  la  ripetizione  delle  somme  proprio  quello
contenuto  nella  norma  individuata dalla Corte costituzionale, "sul
rilievo  che questa norma, nel porre il termine di un anno successivo
alle verifiche, cui pure annualmente l'I.N.P.S. deve procedere, entro
il  quale  e'  possibile  ripetere le somme indebitamente erogate, ha
recepito  un  termine presente nell'ordinamento previdenziale fin dal
1924  (art. 80  r.d.  n. 1422)  e  da  considerare  ormai  insito nel
sistema,  traendone la conseguenza che l'I.N.P.S. ove lasci decorrere
piu'   di  un  anno  dalla  effettiva  conoscenza  o  dalla  concreta
possibilita'  di  conoscenza degli elementi necessari alle operazioni
di  recupero,  non  potra' ripetere piu' alcuna somma dall'assicurato
(pur  potendo  ovviamente  sempre  per il futuro rettificare i propri
provvedimenti  errati e comumque procedere alla corretta applicazione
delle leggi), cui non sia addebitabile l'erogazione non dovuta" (cfr.
Cass. n. 9489/1997);
    Ritenuto  che  nel  caso  in esame, emergendo dagli atti la prova
dell'indebito,    qualora    venisse    applicato   l'art. 6,   comma
11-quinquies,  legge n. 638/1983, cosi' come interpretato dalla Corte
costituzionale,  l'I.N.P.S.  non  avrebbe diritto a ripetere le somme
corrisposte  in  eccedenza,  poiche'  sin  dal  gennaio  1986  era al
corrente  degli  altri  redditi  del  Di  Clemente,  come risulta dal
documento allegato al n. 5 del fascicolo di parte ricorrente (modello
Red 1 del 23 gennaio 1986); al contrario, ai sensi dell'art. 1, comma
261,  legge  n. 662/1996,  il ricorrente deve restituire i tre quarti
delle somme indebitamente erogategli, avendo percepito nell'anno 1995
un  reddito  superiore  a  L.  16.000.000,  come  risulta dal modello
740/1996 allegato al n. 4 del fascicolo di parte ricorrente;
    Rilevato  che  la  normativa  di cui all'art. 1, commi 260 e 261,
legge  n. 662/1996  e'  stata  interpretata dalle sezioni unite della
Corte  di  cassazione  nella  sentenza  n. 2333/1997,  sulla base del
"significato  delle  parole  secondo  la  loro  connessione  e  della
intenzione  del  legislatore  quale risulta dal contesto e dagli atti
parlamentari",  quale  disciplina avente efficacia retroattiva ed, in
via   transitoria,   globalmente  sostitutiva  di  quella  anteriore,
articolata  nelle  varie  leggi  succedutesi  nel tempo in materia di
indebito  previdenziale aventi ciascuna natura speciale o subspeciale
rispetto all'art. 2033 cc;
    Rilevato  che  a  tale sentenza ne sono seguite delle altre della
sezione  lavoro,  che  affermano  principi  contrari  a  quelli  gia'
esposti,  avendo,  in  particolare  Cass.  n. 9489/1997  ritenuto che
"fermi  restando  le  norme  ed  i  principi  previgenti  -  i  quali
continuano   come   per   il   passato   a  disciplinare  la  materia
dell'indebito   previdenziale   -  la  legge  n. 662/1996  ha  inteso
aggiungere   a   quelle  norme  ed  a  quei  principi,  senza  alcuna
incompatibilita'   con  essi,  un  ulteriore  criterio,  fondato  sul
reddito,  e  cioe' una condizione reddituale per l'effettivo recupero
cosi'   da   escludere  del  tutto  per  i  meno  abbienti  l'obbligo
restitutorio  e  da  ridurre a tre quarti per gli altri percettori di
indebiti  il  loro  debito, sempre se sussistente in base ai principi
come  sopra  fissati  dalla  legge,  interpetrati  e  integrati dalla
elaborazione  della  giurisprudenza costituzionale e di legittimita',
salvo  l'esistenza  del  dolo,  che  rende  tutto  rimborsabile  o la
scomparsa dell'obbligato che rende tutto irripetibile ...";
    Rilevato  che tale ultima interpretazione, condivisa da una parte
della  giurisprudenza  di  merito  (anche  in  quanto  consentiva  di
superare  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  in  questa sede
sottoposti  al  vaglio  della  Corte)  e'  stata superata dalla nuova
pronuncia  delle  sezioni  unite  della  Corte di cassazione, che con
sentenza  n. 30/2000  ha  ribadito  i  principi  gia' affermati nella
sentenza  n. 2333/1997,  precisando  che le prestazioni previdenziali
indebitamente erogate dagli enti di previdenza obbligatoria prima del
1o gennaio  1996  sono ripetibili secondo i criteri posti dall'art 1,
commi  260,  261, 262, 263 e 265, legge 23 dicembre 1996, n. 662, che
al riguardo sostituiscono per intero la precedente disciplina, con la
conseguenza   che  la  ripetizione  non  e'  subordinata  anche  alla
sussistenza   dei   relativi   presupposti   secondo   la  disciplina
precedentemente  applicabile;  la citata sentenza delle sezioni unite
n. 30/2000  ha  precisato  che la legge n. 662 del 1996, come risulta
dai  commi  260  ss. "innova rispetto all'art. 6, comma 11-quinquies,
del d.l. n. 463/1983 convertito in legge n. 638 del 1983, giacche', a
parte  l'ipotesi  di dolo del percettore, che da' luogo all'integrale
restituzione,   non  attribuisce  alcun  rilievo  all'addebitabilita'
all'ente  dell'erroneo  pagamento"  sicche',  alla luce di tale nuova
pronuncia,  non  e'  dato  di  dubitare  che  le  disposizioni di cui
all'art. 1,  commi  260  e  261,  legge  n. 662/1996  abbiano  natura
retroattiva  -  sia  pur in via transitoria - e carattere globalmente
sostitutivo  della disciplina precedente e deve pertanto ritenersi la
rilevanza delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale;
    Rilevato  che le disposizioni di cui all'art. 1, commi 260 e 261,
legge   n. 662/1996   riconducono   la   ripetibilita'  dell'indebito
all'unico  requisito  del  reddito,  formulando  una  doppia ipotesi:
totale  irripetibilita'  in  caso  di reddito pari e/o inferiore a L.
16.000.000,  parziale  irripetibilita'  con abbattimento di un quarto
del  debito  per  i percettori di redditi di importo superiore a tale
limite  con  riferimento del requisito reddituale al solo anno 1995 e
che  tale  disciplina e' applicabile ai soli indebiti anteriori al 1o
gennaio 1996;
    Rilevato  che  l'efficacia  retroattiva  (affermata  nelle citate
sentenze  delle  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione)  delle
suddette   disposizioni,   comporta  che  fattispecie  ricadenti  nel
medesimo arco temporale siano trattate diversamente solo in relazione
all'epoca  del  procedimento di recupero, atteso che un pensionato il
quale  in  base  al  regime  precedente non avrebbe dovuto restituire
alcunche'  per  essersi  l'ente  attivato oltre il termine di un anno
dalla   conoscenza   della  indebita  percezione,  sulla  base  della
normativa  in  esame e' tenuto a restituire, mancando un giudicato in
suo favore, i tre quarti di quelle somme, qualora abbia percepito nel
1995 un reddito superiore ai sedici milioni;
    Ritenuto pertanto che, in tali ipotesi, come gia' affermato dalla
Corte   di   cassazione   nella   citata  sentenza  n. 9489/1997,  la
applicazione  retroattiva  delle  disposizioni in esame determina una
"disparita'  di trattamento tra pensionati per i quali sia gia' stata
sancita   in  via  definitiva,  secondo  i  precedenti  principi,  la
irripetibilita'  di  un  indebito  e pensionati i quali, per indebiti
risalenti   alla   medesima  epoca,  debbono  soggiacere  alla  nuova
normativa  (cfr.  sent.  n. 39/1993  Corte  cost.)"  con  conseguente
violazione dell'art. 3 della Costituzione;
    Rilevato  che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 39/1993,
ha  evidenziato la necessita' di tutelare "l'affidamento di una vasta
categoria  di  cittadini  nella  sicurezza  giuridica che costituisce
elemento fondamentale dello Stato di diritto";
    Rilevato  che  l'articolata  disciplina  in  materia  di indebito
previdenziale  (integrata  dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 166/1996,  che  ha  dettato  il  "principio  direttivo del sistema
dell'indebito  previdenziale"  secondo  il  quale "deve escludersi la
ripetizione"  in  presenza di una situazione di fatto ... avente come
minimo comun denominatore la non addebitabilita' al percepiente della
erogazione   non  dovuta")  in  deroga  alla  generale  ripetibilita'
dell'indebito   prevista   dall'art. 2033   c.c.,   si   fonda  sulla
presumibile  immediata destinazione delle somme percepite a titolo di
trattamento  pensionistico  alla soddisfazione di bisogni primari del
pensionato  e della sua famiglia, pertanto, se la entita' del reddito
del  percettore  puo'  in  astratto  costituire un parametro idoneo a
verificare  la  possibilita'  concreta  di  restituzione  della somma
indebitamente  percepita, cio' puo' valere per il singolo anno in cui
a' avvenuto il pagamento indebito;
    Rilevato,  pertanto,  che  la riferibilita' al solo anno 1995 del
reddito  quale  parametro  per la ripetibilita' previsto dall'art. 1,
comma 260, legge n. 662/1996 e, al contempo, la mancanza di un limite
temporale  alla  retroattivita'  della  disciplina di cui all'art. 1,
commi  260  e  261,  legge  23  dicembre 1996, n. 662 - produttiva in
taluni  casi,  come  quello  di  specie,  di  effetti meno favorevoli
rispetto  a  quelli  derivanti  dalle  norme precedenti - comporta la
possibilita'  per  l'ente previdenziale di richiedere la restituzione
sulla base del reddito relativo ad un anno anche diverso da quello in
cui   si   e'   verificata  la  indebita  erogazione  di  prestazione
pensionistica,  in  quanto  tale  inidoneo  a costituire indice della
concreta  possibilita'  di  restituzione  delle  somme  indebitamente
percepite   da  parte  di  pensionati  a  reddito  non  elevato,  con
conseguente violazione dell'art. 38 Cost.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  commi 260 e 261, legge 23
dicembre  1996,  n. 662,  in  relazione  agli  articoli 3  e 38 della
Costituzione;
    Sospende  il  giudizio  e dispone la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale a cura della cancelleria;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti,  al  Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato.
        Roma, addi' 5 marzo 2001
                         Il giudice: Miglio
01C0597