N. 494 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 marzo 2001
Ordinanza emessa il 28 marzo 2001 dal tribunale di Velletri nel procedimento civile vertente tra Palitti Massimo e Istituto Italiano Credito Fondiario ed altri Consulente tecnico - Autorizzazione da parte del giudice ad avvalersi dell'ausilio di altri prestatori d'opera per attivita' strumentali rispetto ai quesiti posti per l'incarico - Previsione della determinazione della relativa spesa "gradatamente, secondo i criteri stabiliti nella presente legge alla stregua delle tariffe vigenti o degli usi locali" - Irragionevolezza e contraddittorieta' della formula usata dal legislatore - Inadeguatezza delle tariffe giudiziarie rispetto a quelle di mercato - Iniquita' dell'imposizione a carico del consulente tecnico dell'obbligo di corrispondere al proprio ausiliario la relativa differenza. - Legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 7, terzo comma. - Costituzione, art. 3.(GU n.26 del 4-7-2001 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile iscritto al n. 185 del R.V.G. dell'anno 1999, vertente tra: Palitti Massimo (avv. C. De Marco) opponente; Istituto Italiano Credito Fondiario; Mati S.r.l.; Banca Popolare di Aprilia, opposti, contumaci. Il tribunale, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 13 dicembre 2000; letti gli atti; Ritenuto in fatto Che nel corso della procedura esecutiva immobiliare n. 94/1992 introdotta dinanzi a questo tribunale dall'Istituto Fondiario Credito Italiano nei confronti di MA.TI. S.r.l. il giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 15 maggio 1998, conferiva al geom. Massimo Palitti un complesso incarico, inteso, tra l'altro, alla descrizione degli immobili pignorati, al relativo estimo, alla presentazione della denuncia di accatastamento e/o alla variazione catastale, ed altro funzionale all'emissione dell'ordinanza di vendita; che eseguito l'incarico, con istanza presentata il 24 aprile 1999 il Palitti presentava al G.E. istanza di liquidazione del compenso, comprensiva, tra l'altro, tra le spese (chieste in complessive L. 6.784.000), di quelle per i rilievi topografici, per i quali egli aveva chiesto ed ottenuto il 22 dicembre 1998 l'autorizzazione ad avvalersi di un topografo quale suo ausiliario, e per le quali il topografo aveva emesso a suo carico fattura per L. 6.120.000; che con decreto del 17-18 maggio 1999 il G.E. liquidava il compenso, riconoscendo per spese la sola somma di L. 2.500.000, senza motivazione specifica sul punto; che con ricorso ex art. 11 legge n. 319/1980 presentato il 2 luglio 1999 il Palitti impugnava qui detto provvedimento, dolendosi, tra l'altro, del mancato riconoscimento delle spese per prestazione topografica, che assumeva effettivamente affrontate; Ritenuto in diritto Che a mente dell'art. 7, terzo comma della legge n. 319/1980 ove, come nel caso di specie, il consulente tecnico sia stato autorizzato dal giudice ad avvalersi dell'ausilio di altri prestatori d'opera per attivita' strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, "la relativa spesa e' determinata gradatamente, secondo i criteri stabiliti nella presente legge alla stregua delle tariffe vigenti o degli usi locali"; che tale disposizione, cosi' come scritta, appare manifestamente affetta da contraddittorieta' intrinseca; che invero l'espressione "gradatamente" evoca univocamente l'idea di un ordine subordinato (gradato) tra i criteri di cui alla legge 319/1980 (ed ai decreti che la integrano tra cui, vigente, il d.P.R. n. 352/1988) ed i criteri tariffari professionali vigenti e gli usi; e cioe' che tali ultimi criteri si applichino se non sono applicabili quelli previsti dalla legge che regola i compensi degli ausiliari di giustizia; mentre l'espressione "alla stregua" lega i criteri legali in tema di compensi agli ausiliari di giustizia agli altri criteri richiamati secondo un criterio (peraltro non specificato) di comparazione e confronto, e quindi di considerazione simultanea, che col primo e' incompatibile sul mero piano della logica formale; che negli scarsi contributi dottrinali e giurisprudenziali in materia si e' proposto di "salvare" la disposizione mediante una lettura abrogativa dell'espressione "alla stregua" ed ermeneuticamente additiva, in sua sostituzione, dell'"o" disgiuntivo; operazione alla stregua della quale la disposizione andrebbe interpretata nel senso che troverebbero applicazione le disposizioni di cui alla legge n. 319/1980 (ed oggi, di cui al d.P.R. n. 352/1988); mentre le "tariffe vigenti" (che si intendono quelle professionali) e, in subordine, gli usi, troverebbero applicazione solo in via residuale (unico precedente edito trib. Catania 4 febbraio 1989, in Foro Italiano 90, I, 2752); che la legittimita' ermeneutica di tale lettura appare avvalorata dai lavori preparatori della legge, ed in particolare dalla relazione del Ministro proponente, che affermo' che il compenso si voleva determinato sulla base delle tabelle previste dalla legge e "solo in difetto di tale possibilita'" si ammetteva il ricorso alle tariffe vigenti ed agli usi locali (Atti parlamentari, verb. n. 665, p.4); che peraltro, l'eventualita' che le tariffe giudiziarie possano non trovare applicazione in materia non appare sussistere, considerato che l'art. 4 della legge n. 319/1980 gia' prevede che per le prestazioni non previste nelle tabelle (e neppure analoghe a quelle previste nelle tabelle: art. 3) il compenso e' determinato secondo il criterio delle vacazioni, e cioe' a seconda del tempo impiegato. E poiche' non si vede come possa darsi prestazione d'opera che non possa essere valutata, data la misura della vacazione, in ragione del tempo impiegato per il suo espletamento, non si vede come e quando le tariffe non giudiziarie e gli usi, pur previsti, seppure in ipotesi in subordine, quale criteri di determinazione del compenso, possano mai trovare applicazione; Ritenuto che l'elemento di contraddittorieta' rilevato non sarebbe sanato neppure se si ritenesse che con l'espressione "tariffe vigenti" il legislatore abbia inteso, invece, aver riguardo, proprio, alla tariffe giudiziarie (tesi da respingere perche' tali tariffe sono previste, seppure in astratto, dalla stessa legge n. 319/1980; nonche' alla luce col raffronto col previgente art. 6 della legge n. 1456/1956) giacche', anche in tal caso, non sarebbe dato comprendere quando potrebbero trovare applicazione gli usi locali; Ritenuto, pertanto, che tali opzioni ermeneutiche non valgano ad attribuire alla disposizione un senso compiuto e razionale; e che cio' debba indurre a far ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 319/1980, per contrasto col principio di intrinseca ragionevolezza come riconosciuto dalla Corte costituzionale come avulso da Cost. 3 e non richiedente "tertium comparationis", specie in caso di irrazionalita' (o iniquita) manifesta e irrefutabile; Ritenuto, in subordine, che anche a ritenere che l'intrinseca razionalita' della disposizione possa (e quindi debba) essere salvaguardata mediante la faticosa opzione ermeneutica sopra richiamata, ed (in aggiunta) il riconoscimento fattuale dell'impossibilita' giuridica del criterio subordinato di commisurazione del compenso pur formulato dal legislatore, la disposizione in esame presenti dubbi di legittimita' costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza e del principio costituzionale di uguaglianza (Cost. 3); Rilevato, invero, cio' che e' pacifico in dottrina ed in giurisprudenza, e condiviso dal collegio e cioe' che, nell'ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 7 cit., a differenza di quella di cui al relativo quarto comma, l'ausiliario del consulente non e' ausiliario del giudice, che non gli conferisce alcun incarico, ma mezzo utilizzato dal consulente incaricato per lo svolgimento dell'incarico, tanto che, proprio per questo, nessun compenso e' direttamente liquidato all'ausiliario del consulente, ma e' il consulente che, autorizzato dal giudice, ne affronta la spesa per proprio conto ed a proprio nome, obbligandosi personalmente nei confronti di quello, per poi chiedere di essere ristorato della relativa spesa in sede di liquidazione del suo proprio compenso; Ritenuto assumibile al notorio (e peraltro riconosciuto tipicamente dallo stesso art. 2 della legge n. 319/1980) che le tariffe giudiziarie sono volutamente meno remunerative di quelle professionali, a scopo di contenimento dei relativi oneri (tanto che, appunto, l'art. 2 della legge prevede che esse siano, bensi', redatte "con riferimento" alle tariffe professionali, ma "contemperate dalla natura pubblicistica dell'incarico"); Ritenuto per notano che la discrasia si e' accentuata e va accentuandosi, stante il mancato adeguamento ex art. 10 della legge n. 319/1980, per ormai quasi tredici anni, delle tariffe giudiziali da ultimo determinate nel luglio 1988 (solo le vacazioni sano state di recente aggiornate); Ritenuto che la differenza appare evidente nella fattispecie, se si considera che il topografo ha chiesto al Palitti oltre sei milioni di lire emettendo fattura; e che l'art. 12 del d.P.R. n. 352/1988 prevede per i rilievi topografici un compenso massimo di L. 1.190.000; che alla stregua della sopracitata opzione ermeneutica, al Palitti potrebbe riconoscersi al massimo, ex art. 5 della legge n. 319/1980 (i cui presupposti non emergono, peraltro, nella specie), per la collaborazione del topografo, un rimborso spese di L. 2.380.000, a nulla rilevando che egli, con l'autorizzazione del giudice (che ha dunque riconosciuto la necessarieta' della prestazione del terzo, per postulare, l'esecuzione dell'incarico, un'opera strumentale richiedente una professionalita' specifica, non rientrante in quella del consulente nominato), si sia personalmente obbligato nei confronti del proprio ausiliario per una somma piu' che doppia; senza peraltro potergli opporre l'art. 7 della legge n. 319/1980, che regola il suo diritto al rimborso di spese a carico della massa pignorata, nell'ambito di una prestazione ausiliaria pubblicistica, e non il diritto del suo ausiliario al compenso per l'opera prestata, che inerisce a rapporto di prestazione d'opera professionale tra privati, che e' regolato dai patti o, in difetto, dalla tariffa professionale dell'ausiliario (artt. 2225 e 2233 c.c.); ed a nulla rilevando anche il caso che la somma richiesta dal topografo sia del tutto congrua, alla stregua dei valori di mercato per essa conferenti, o comunque la somma congrua sia anche ampiamente superiore a quella rimborsabile, cio' che, per quanto premesso, deve ritenersi non solo possibile, ma anche del tutto normale e tutt'altro che accidentale nel contesto normativo; che sotto tale profilo, in via generale, la disposizione censurata, come interpretata, appare violare il canone generale di intrinseca ragionevolezza, in quanto, contraddittoriamente, da una parte, considera il compenso spettante all'ausiliario del consulente come una spesa del consulente, estraniandolo dall'ambito di rilevanza pubblicistica; e dall'altra ne consente il rimborso nei limiti delle tariffe giudiziarie, che con la spesa del consulente non hanno alcuna attinenza, perche' non s'applicano all'ausiliario nei suoi rapporti interni col consulente, che hanno natura privatistica, e non costituiscono neppure un parametro di conguita' della spesa affrontata, che dipende dai valori di mercato delle prestazioni (mentre le tariffe giudiziarie scontano, per legge, la natura pubblicistica dell'incarico); Ritenuto che l'intrinseca irragionevolezza della disposizione traspare dalla stessa lettura della medesima, giacche' una spesa, che e' un fatto, puo' essere accertata o valutata nella sua congruita', e non gia' "determinata" alla stregua di un parametro normativo ad essa estraneo, cio' che implica l'esercizio di un potere di liquidazione del compenso dell'ausiliario (che non esiste) piuttosto che di riconoscimento della spesa del consulente; che sotto tal profilo la disposizione censurata appare, altresi', violare il principio generale di uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, assumendo a tertium comparationis le fattispecie disciplinate dai primi due commi dell'art. 7 legge cit., non ravvedendosi alcun ragionevole motivo per il quale potrebbe giustificarsi la regola per cui chi, per l'espletamento di un incarico giudiziario, affronti delle spese non consistenti nell'opera personale di terzi, ha diritto a vedersele interamente rifondere, purche' sostenute e necessarie (nell'an e nel quantum, e cioe' congrue); mentre chi, invece, affronti spese identicamente necessarie (nell'an e nel quantum determinabile alla stregua dei compensi richiesti nel libero mercato e previsti dalle tariffe professionali vigenti) dovrebbe in parte accollarsele, sol perche' il compenso supera la tariffa giudiziaria non opponibile al terzo prestatore, e chiaramente e dichiaratamente fiori mercato; Ritenuto, in altri e sintetici termini, che, se non puo' che apparire incensurabile sul piano costituzionale che il consulente chiamato a svolgere un incarico pubblicistico sia remunerato in maniera deteriore, non puo' non sollevare dubbi di ragionevolezza e di ingiustificata disparita' di trattamento all'interno stesso dei rapporti d'opera professionale pubblicistici, la pretesa normativa che il consulente che, a cio' obbligato (art. 63 c.p.c.) sia investito di un incarico che richieda la collaborazione specialistica strumentale di un terzo, debba anche subire un danno patrimoniale pari alla differenza, legislativamente riconosciuta dall'art. 2 della legge n. 319, tra il costo effettivo e, comunque, obiettivamente necessario per acquisire la collaborazione in un contesto di libero mercato (che grava direttamente sul suo patrimonio), ed il corrispettivo della collaborazione quale determinato dalle tariffe giudiziali (che segna il limite del rimborso); cio' che implica che il consulente ci deve rimettere di tasca propria; opzione che appare affetta da iniquita' manifesta ed irrefutabile (Cort. cost. 46/1993) e determinare una condizione di diseguaglianza rispetto alla quale pare potersi annoverare la condizione dell'intero mondo del lavoro in senso ampio; Ritenuto che la razionalita' e l'equita' di una siffatta disciplina non possano essere difese sulla base di ragioni di equo contenimento delle spese giudiziali (peraltro destinate, nella materia civile, a gravare esclusivamente su privati, che finiscono col lucrare ingiustificatamente, ai danni del consulente, il maggior valore dell'opera del terzo senza benefici per il bilancio dello Stato), non potendosi ritenere ragionevole ne' non iniquo che il legislatore, che ben avrebbe potuto, come ha fatto per l'ipotesi di cui al quarto comma, prevedere che il giudice debba nominare anche l'ausiliario del consulente, e liquidarne il compenso (come da tariffa giudiziale) possa pretendere, da un lato, di imporre una prestazione obiettivamente richiedente la prestazione ausiliaria di un terzo, e dall'altro gravare personalmente il consulente dei maggiori costi conseguenti; Ritenuto, per quanto precede, che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 319/1980 e' non manifestamente infondata; Ritenuto che essa e' altresi rilevante nel procedimento, giacche' il tribunale e' chiamato a dare applicazione alla disposizione censurata, dovendo determinare la spesa rimborsabile al Palitti per l'opera prestata dal suo ausiliario;
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione ed al principio generale di ragionevolezza, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, terzo comma della legge 8 luglio 1980 n. 319; Dispone la sospensione del giudizio in corso e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, costituite e contumaci, ed al Presidente del Consiglio dei ministri; e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, il tutto in copia integrale. Velletri, addi' 28 marzo 2001 Il Presidente: Di Lallo Il giudice estensore: Conte 01C0598