N. 499 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 febbraio 2001
Ordinanza emessa il 23 febbraio 2001 dal tribunale di Verona sez. distaccata di Soave nel procedimento penale a carico di Dal Dosso Stefano Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di applicazione della pena - Prevista incompatibilita' a partecipare al giudizio - Irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni analoghe ed irragionevole identita' di disciplina di situazioni non comparabili processualmente - Lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge - Violazione del principio di buona amministrazione. - Cod. proc. pen., art. 34, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 25 e 97.(GU n.26 del 4-7-2001 )
IL TRIBUNALE All'udienza del 23 febbraio 2001, nel processo nei confronti di Dal Dosso Stefano ha emesso la seguente ordinanza. Prima del compimento delle formalita' di apertura del dibattimento, l'imputato ha formulato richiesta di applicazione della pena in relazione ai reati di cui agli artt. 186 codice della strada e 337 c.p., concordando colp.m. la pena complessiva di mesi cinque di reclusione e giorni 20 di arresto e lire 400.000 di ammenda, subordinata al beneficio della sospensione della pena. Nell'ambito di tale definizione concordata, la subordinazione al beneficio di cui all'art. 163 c.p. appare inaccoglibile, atteso che l'imputato ha ben tre precedenti specifici per reati della stessa specie (quanto alla guida in stato di ebbrezza), oltre che per ubriachezza ed armi, ne' sono state allegate circostanze atte a ritenere che simili condotte - la cui reiterazione induce a ritenerne l'appartenenza ad una specifica inclinazione dell'imputato - non verrano poste nuovamente in essere; ne consegue l'impossibilita' di formulare quella prognosi di non recidivita' che e' condizione necessaria per la sospensione condizionale della pena. Va quindi rilevato che al rigetto della presente istanza conseguirebbe, ai termini dell'art. 34, comma 2, cpv. c.p.p., come risultante in esito alle pronunzie della Corte costituzionale che hanno dichiarato la parziale illegittimita' di detta norma, l'incompatibilita' del giudice - che ha rigettato per motivi non formali l'istanza di applicazione di pena - a giudicare nel merito dell'imputazione contestata, con conseguente obbligo di astensione dalle funzioni di giudice del dibattimento in relazione al procedimento in oggetto, ai sensi dell'art. 36 lett. g) c.p.p. Va tuttavia rilevato come con la recente ordinanza n. 232 del 7-11 giugno 1999 la stessa Corte costituzionale, nel rigettare questione di incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' ad emettere sentenza del giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di oblazione, ha richiamato propria piu' recente giurisprudenza, secondo la quale "l'imparzialita'" del giudice non puo' ritenersi intaccata da una valutazione, anche di merito, compiuta all'interno della medesima fase del procedimento, "intesa quale ordinata sequenza di atti, ciascuno dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo"; al fine di evitare una "assurda frammentazione del procedimento mediante l'attribuzione di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso", come gia' osservato con la ordinanza n. 24 del 1996 e con la sentenza n. 448 del 1995; e va rilevato altresi' che con la predetta ordinanza n. 232 del 1999 la Corte costituzionale ha espressamente affermato, nella sua veste di giudice delle leggi, "che la giurisprudenza di questa Corte, nell'affermare il principio generale che l'imparzialita' del giudice non e' pregiudicata da una valutazione, anche di merito, compiuta nella medesima fase del procedimento, consente di ritenere superate le conclusioni cui e' pervenuta questa Corte nella sentenza n. 186 del 1992, che aveva ravvisato un'ipotesi di incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che, prima dell'apertura del dibattimento, avesse respinto la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti". Tali statuizioni sono state ulteriormente ribadite con la ordinanza n. 443/1999, con la quale la Corte ha espressamente affermato che la incompatibilita' conseguente al compimento di atti tipici della fase unitaria di cui il giudice e' investito "finirebbe con l'attribuire alle parti la potesta' di determinare l'incompatibilita', nel corso di un giudizio del quale il giudice e' gia' investito, sicche' lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui e' tenuto a seguito dell'istanza di una parte; esito questo non solo irragionevole, ma in contrasto col principio del giudice naturale precostituito per legge dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto". Sicche', premesso che e' da ritenersi che le sentenze interpretative di accoglimento, emesse dalla Corte costituzionale, creino - col loro effetto parzialmente abrogativo della precedente - una nuova norma, suscettibile come ogni altra di censure di costituzionalita', va ritenuto pertanto che l'art. 34 c.p.p., nella formulazione conseguente alla sentenza n. 186/1992 della Corte costituzionale, appaia affetto, alla stregua delle medesime motivazioni addotte dalla stessa Corte con la predetta ordinanza n. 232/1999, ribadite con la ordinanza n. 443/1999, da manifesti vizi di incostituzionalita', per violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, in quanto realizza una irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni del tutto analoghe (come, appunto, quella del giudice che abbia rigettato istanza di oblazione speciale e quella del giudice che abbia rigettato istanza di applicazione di pena, in entrambi i casi in forza di valutazioni implicanti un apprezzamento del fatto ascritto all'imputato), e contemporaneamente assoggetta irragionevolmente alla medesima disciplina situazioni non comparabili processualmente (prevedendo l'incompatibilita' al giudizio sia del giudice che abbia legittimamente espresso valutazioni di merito nell'ambito della medesima fase processuale, sia del giudice che le abbia espresse nell'ambito di fase processuale diversa); il tutto in violazione dei principi' di buona amministrazione, per detta via realizzandosi "un'assurda frammentazione del procedimento"; ed in violazione altresi' del principio del giudice naturale precostituito per legge, consentendosi alle parti, mediante studiata proposizione di istanze ex art. 444 c.p.p. inaccoglibili, di "sbarazzarsi" del loro giudice naturale, costringendolo all'astensione. La questione e' senz'altro rilevante atteso che, non sollevandola, questo giudice dovrebbe, in applicazione dell'art. 34 c.p.p. nella formulazione vigente, astenersi; e va osservato che le riforme apportate dal d.lgs. n. 51/1998 alla disciplina delle incompatibilita' non appaiono mutare il quadro normativo di riferimento rispetto alle valutazioni qui espresse e gia' operate dalla stessa Corte costituzionale, va sollevata davanti a detta Corte la questione di costituzionalita' della norma menzionata; questione gia' sollevata in diverse altre occasioni da questo giudice in termini pressocche' identici con precedenti ordinanze, e che qui si reitera formalmente, essendo l'unico mezzo a disposizione per sospendere, unitamente al processo, il decorso del termine prescrizionale.
P. Q. M. Rigetta l'istanza di applicazione pena formulata dalle parti; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2 c.p.p., per contrasto con gli articoli 3, 25 e 97 della Costituzione, nella parte in cui prevede l'incompatibilita' al giudizio del giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di applicazione pena avanzata dalle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p.. Dispone trasmettersi copia degli atti e della presente ordinanza alla Corte costituzionale, e sospende il giudizio in attesa della decisione della stessa. Manda alla cancelleria per la notifica all'imputato contumace, al Presidente del Consiglio e la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Letto in udienza. Soave, addi' 23 febbraio 2001 Il giudice: Sernia 01C0603