N. 512 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 ottobre 2000

Ordinanza   emessa   il   20   ottobre  2000  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  24  maggio  2001)  dal  tribunale  di  Palmi  nel
procedimento penale a carico di Manchisi Davide

Processo  penale  - Dibattimento - Acquisizione delle prove - Lettura
  degli  atti  assunti  nel  medesimo dibattimento da giudice persona
  fisica  diversa o da collegio diversamente composto - Preclusione -
  Violazione   del  principio  del  contraddittorio  che  attribuisce
  valenza  a tutte le prove assunte nel contraddittorio delle parti -
  Lesione   del   principio   di   buon   andamento   della  pubblica
  amministrazione  - Riferimento a precedente ordinanza di rimessione
  oggetto  di  ordinanza  della  Corte costituzionale di restituzione
  degli atti.
- Cod. proc. pen., artt. 238, 511 e 511-bis.
- Costituzione, artt. 111 e 97.
Processo  penale  - Dibattimento - Letture consentite - Deliberazione
  della  sentenza  dopo  la chiusura del dibattimento - Utilizzazione
  degli  atti  assunti  nel contraddittorio da un precedente collegio
  nel  medesimo dibattimento - Preclusione - Violazione del principio
  del  contraddittorio  che  attribuisce  valenza  a  tutte  le prove
  assunte nel contraddittorio delle parti.
- Cod. proc. pen., artt. 525 e 511.
- Costituzione, art. 111.
(GU n.26 del 4-7-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Premesso  che  con  ordinanza  del  15 febbraio 1999 ha sollevato
eccezione  di  illegittimita'  costituzionale  degli artt. 238, 511 e
511-bis  c.p.p.,  per  la  parte  di essi che non consente la lettura
degli  atti  dibattimentali  assunti  nel medesimo dibattimento ma da
giudice   diverso  o  collegio  diversamente  composto,  come  meglio
esplicato  nell'ordinanza  relativa,  che  si  allega a far parte del
presente provvedimento;
    Rilevato  che  la Corte, con ordinanza 3 aprile 2000, ha disposto
la  restituzione  degli  atti,  per  un  nuovo esame delle questioni,
rilevando  che esse riguardano il principio del contraddittorio nella
formazione  della  prova,  sulla  cui  disciplina  e'  nel  frattempo
intervenuta  la  modifica  dell'art. 111  della  Costituzione  e cio'
impone un riesame della problematica;
    Cio' premesso,

                            O s s e r v a

    La   nuova   normativa   costituzionale   non   appare   immutare
sostanzialmente la problematica proposta e, anzi, lungi dal garantire
una  copertura  costituzionale  del  disposto dell'art. 525 c.p.p., e
delle  norme  oggetto  della  eccezione  costituzionale,  che  vi  si
collegano  inscindibilmente e ne estendono l'ambito sino a vanificare
l'attivita'  svolta  da  ogni precedente collegio, viene ad esaltare,
aggiuntivamente  e  direttamente, la contraddizione costituzionale di
tale norma.
    L'art. 525   c.p.p.  si  pone  adesso,  pur  esso,  in  immediato
contrasto, almeno nella sua interpretazione corrente, e per la gabbia
di  inutilizzabilita'  che  deriva  dalle  altre  norme oggetto della
sollevata  eccezione,  con il disposto costituzionale di cui al nuovo
testo dell'art. 111 Cost.
    Puo'   essere   pertanto,  in  questa  ulteriore  disamina  della
questione,  articolato l'aspetto di incostituzionalita' dell'art. 525
c.p.p.,  che  si viene ad aggiungere agli altri gia' prospettati, con
riferimento   alle   altre   norme  che  complessivamente  precludono
l'utilizzazione  di legittimi atti dibattimentali, per i quali appare
invece  sufficiente  allegare  il  provvedimento  originario  con  il
richiamo alle argomentazioni ivi esposte.
    Cio'  posto,  va  osservato  che  l'art. 111 Cost. presenta, gia'
nella  sua fase iniziale di vigenza, e pur in mancanza di consolidati
pronunciamenti   in   materia,   una  ratio  ed  un  tenore  testuale
inequivoci,  che  valorizzano l'esigenza che le prove vengano assunte
nel   contraddittorio,   principio  che  da  un  verso  pone  limiti,
espressamente  sanciti,  alle prove assunte fuori dal contraddittorio
ma  che,  d'altro  verso  ed  inscindibilmente, risalta la valenza di
tutte le prove assunte nel contraddittorio delle parti.
    Sotto  il  primo  aspetto,  non  vi  e' dubbio che tale regola e'
destinata  ad incidere su alcune norme del codice di rito, pur citate
nella  precedente  ed allegata eccezione di costituzionalita', la cui
attuale  vigenza  appare  richiedere,  al  di  la' delle disposizioni
transitorie, urgenti adattamenti.
    Ma  e'  certo  parimenti  che  la nuova norma costituzionale, nel
richiedere ma anche legittimare le prove assunte nel contraddittorio,
rende  il disposto dell'art. 525, nella sua attuale lettura combinata
con  gli  artt. 238,  511  e  511-bis,  al  di  la' e al di fuori del
principio costituzionale.
    Cio'  nella  misura  in cui esso richiede di piu' dell'assunzione
delle  prove  nel  contraddittorio,  svalutando,  in contrasto con il
testo  costituzionale,  tale requisito e rendendo inutilizzabili atti
che  costituzionalmente tali espressamente risultano e che nel quadro
normativo  processuale  sono  sempre  recuperate  ove  assunte  in un
diverso dibattimento.
    L'art. 525  c.p.p.,  e  le  norme  indicate  che  ne  determinano
l'effetto  finale,  nel proteggere una esigenza sicuramente di valore
processuale,  la  continuita'  dell'organo  collegiale, evidentemente
auspicabile  ma  troppo  spesso di difficile realizzazione, tutela un
interesse non costituzionale, e gia' non privilegiato dalla normativa
processuale,  di  cui  agli artt. 238, primo comma, e 511-bis c.p.p.,
ponendosi   in  contrasto  con  il  principio  costituzionale,  e  la
normativa  processuale,  non  consentendo  la  utilizzabilita' di una
prova assunta nel dibattimento e nel contraddittorio delle parti.
    Una  diversa  lettura dell'art. 111 Cost., che ritenesse che esso
richieda  la  necessita' di un contraddittorio tra le parti e davanti
allo stesso giudice, verrebbe a tradirne il testo, che ribadendo piu'
volte la necessita' del contraddittorio in un solo segmento specifica
che esso deve avvenire "davanti a giudice terzo ed imparziale" (e non
gia',  o  necessariamente,  allo stesso giudice della decisione), e a
travolgere, per incostituzionalita', gli artt. 238 e 511-bis c.p.p. e
le  altre norme, di recupero di atti non assunti dallo stesso giudice
della   decisione,  la  cui  vigenza  invece  non  pare  in  atto  in
discussione.
    Ne'  si  puo'  ritenere che il principio dell'art. 525 c.p.p., di
cui  e'  incontestabile  la  logica  generale nel quadro del processo
penale ma di cui non e' condivisibile, a parere di questo giudice, la
dispersione  delle  prove  assunte  da altro collegio, si muova in un
ambito   rimesso   al   legislatore  ordinario  e  privo  di  vincoli
costituzionali,  in  quanto  la connessa inutilizzabilita' degli atti
assunti  da  precedente  collegio,  nel  contraddittorio delle parti,
viene a ledere il principio dell'art. 111 Cost. che richiede ma anche
salva, espressamente, le prove assunte nel contraddittorio "davanti a
giudice  terzo"  (  e  non  gia', lo si ribadisce, davanti al giudice
della decisione).
    In  questo contesto, la prescrizione dell'art. 525 c.p.p. risulta
in  contrasto  non solo con la regola fissata dall'art. 111 Cost., ma
anche, emblematicamente, con le eccezioni ad essa che la stessa norma
disciplina.
    Tra  le  altre,  il  contraddittorio  risulta  costituzionalmente
derogabile,  per  cui  si  possono acquisire prove istruttore, con il
consenso delle parti o per non ripetibilita'.
    Tali  deroghe  non  sono  previste  ed  applicabili, in ulteriore
contrasto con la norma costituzionale, in base all'art. 525 c.p.p.
    Gli  orientamenti  interpretativi volti a ritenere sufficiente il
consenso  delle  parti, per utilizzare gli atti assunti da precedente
collegio,  o  che  finalmente  riconoscono la utilizzabilita' di tali
atti  salva  l'esigenza  di una riassunzione delle prove se ve ne sia
richiesta,  sono  uno  volto  ad  una  interpretazione  che  preservi
costituzionalmente la norma e a non disperdere atti legittimi e altro
che sancisce tale legittimita' ed utilizzabilita' ma che nel contempo
la puo' totalmente vanificare per scelta discrezionale delle parti.
    Certo e' che tali alte interpretazioni vanno, comunque, al di la'
del  contenuto  della norma e si fondano su un istituto, il consenso,
che  e' mutuato eb externo ad essa, tradendone, non solo formalmente,
il principio.
    In  quest'ottica,  il tribunale solleva la problematica anche per
l'ipotesi  di  consenso  delle parti alla utilizzabilita' delle prove
assunte dal precedente collegio.
    Il  consenso, o la mancata richiesta di riassunzione della prova,
non  rendono "piu' partecipe" al dibattimento il giudice che subentri
in  corso di istruttoria o all'esito di essa, rispetto al giudice che
subentri nel medesimo momento e che non benefici del consenso o della
mancata richiesta di riassunzione.
    Ne'  del  resto  il  potere dispositivo delle parti puo' giungere
all'arbitrio  di  "scegliere"  il  giudice  dell'istruttoria, di fare
rinnovare  o meno, ed interamente, il processo, potendo essere legato
ad  interessi  (l'esito delle prove, i tempi di prescrizione) che non
appaiono  razionalmente  meritevoli  di  una tutela tale da rendere o
meno  effettiva  ed applicabile una norma invece prevista a nullita'.
Non  e' un caso che il consenso, di regola, sia previsto non gia' con
riferimento  alla  "scelta" del giudice che ha istruito ed assunto la
prova,   bensi'   con   riferimento   a   prove   assunte   senza  il
contraddittorio  o  a  specifiche  prove  che,  per  la  loro  natura
particolare,  richiedono  non lo stesso giudice ma il contraddittorio
delle stesse parti.
    Non    appare   pertanto   risolutivo,   per   salvaguardare   la
costituzionalita'  dell'art. 525  c.p.p., fare utilizzazioni traslate
dell'art. 238 c.p.p.
    Cio'  non  solo per quanto detto e perche', comunque, si va al di
la'  del  contenuto  espresso  di  tale norma, ma anche perche' resta
incomprensibile  la  ragione per cui dovrebbe trovare applicazione il
quarto  comma dell'art. 238 e non gia' il disposto del primo comma di
tale norma, restando peraltro evidente che il riferimento, nel quarto
comma,  ad  altri casi, riguarda ambiti non dibattimentali e non gia'
la modifica del collegio.
    Peraltro,     singolarmente,     nel     recente     orientamento
giurisprudenziale,  per  il  caso  di  modifica  del collegio, di una
disciplina  analoga  a  quella  sancita  dall'art. 238, quinto comma,
c.p.p.,  non  viene  riconosciuto al giudice neppure il potere di cui
all'art. 190  bis  c.p.p.,  in  quella  norma invece richiamato e che
consente al giudice di valutare la necessita' di riassumere una prova
gia'  acquisita,  pur  a  fronte  del  diritto  delle  patti di farne
richiesta.
    Tanto   appare   effetto  di  autolimitazioni  degli  adattamenti
interpretativi   che,   in   mancanza  della  piu'  alta  statuizione
necessaria,  pur  a  fini  conservativi, vengono ad autocomprimere le
interpretazioni  estensive  adattate  ed adottate, creando una figura
ibrida e di difficile giustificazione.
    Il  vero  problema  e',  in  realta',  se  si  possa ritenere che
l'art. 525  c.p.p.  richieda meramente che concorra alla decisione il
giudice  che  ha  partecipato  al  dibattimento, restando logicamente
escluso chi non vi abbia preso parte, ma incluso chi abbia costituito
l'organo  decidente anche solo nel segmento finale del processo o se,
invece,  e'  richiesto  che  il  giudice abbia partecipato all'intero
dibattimento.
    Nel  primo  caso,  che  la lettera consente, e' chiaro che potra'
utilizzare   gli  atti  con  la  lettura  (che  appare  assolutamente
pertinente  ed ammissibile in se) di cui all'art. 511 c.p.p., primo e
secondo  comma,  senza  bisogno di alcun consenso, mentre nel secondo
caso e' evidente che non vi sara' alcun consenso, o mancata richiesta
di  riassunzione  delle  prove,  che possa farlo diventare il giudice
dell'intero dibattimento.
    In  realta',  quest'ultimo orientamento, sulla utilizzabilita' ex
se,  degli  atti  assunti da altro collegio, oltre che piu' corretto,
liberando  dal  limbo di inutilizzabilita' tali atti, apre la breccia
ad  una corretta interpretazione degli artt. 525 e 511 c.p.p., che ne
puo'   consentire   la   salvaguardia  costituzionale,  ma  resta  la
condizione  che non vi sia una invalutabile richiesta di riassunzione
a precluderne una reale efficacia.
    Tale  considerazione  porta,  in piu', all'aggiuntiva valutazione
relativa  al  contrasto,  delle  norme segnalate, anche con l'art. 97
della    Costituzione,    apparendo    contro   il   buon   andamento
dell'amministrazione,  e  in  realta'  idoneo  a  paralizzare il gia'
difficile  sistema  della  giustizia,  il vanificare prove assunte in
legittimo  contraddittorio  dibattimentale,  il richiedere costanti e
spesso  sterili  ripetizioni  di  prove,  il  determinare, specie nei
tribunali  disagiati  e  con alta mobilita' di magistrati, o a fronte
dei  legittimi  e  frequenti  congedi,  la paralisi dei processi e la
sostanziale  impossibilita'  di  definizione  di quanti, per numero e
complessita',  non risultino definibili nei brevi tempi di vigenza di
un medesimo collegio.
    La   delicatezza   della   problematica,   e   i   suoi   rilievi
costituzionali  e  di  nullita', appaiono imporre comunque, puranco a
fini conservativi, il proposto pronunciamento di costituzionalita'.
    Si rinnova pertanto, richiamandola interamente anche per la parte
dispositiva,  con  l'aggiunta dei rilievi superiormente proposti, per
il  contrasto  delle  norme denunciate, e anche dell'art. 525 c.p.p.,
con  il  nuovo  testo  dell'art. 111 Cost., e altresi', con l'art. 97
Cost.,  l'eccezione  di legittimita' costituzionale sollevata in data
15-2-1999,  che  si  allega  a  far  parte  integrante della presente
ordinanza.
    Cio' appunto ed in particolare con la integrazione della denuncia
di  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 525  e  511 c.p.p., per
contrasto con l'art. 111 Cost., nella misura in cui non consentono la
utilizzazione  di  atti  assunti nel contraddittorio da un precedente
collegio nel medesimo dibattimento.
    Resta evidente che il profilo di costituzionalita' ulteriormente,
e  aggiuntivamente,  proposto  e'  cumulativo  rispetto a quelli gia'
segnalati  e  che  si  reiterano,  in quanto e' il combinato disposto
delle  norme  segnalate  a  pregiudicare  l'utilizzazione  degli atti
assunti   nel   contraddittorio,   e   quindi   lo  stesso  principio
costituzionale  di  cui  all'art. 111 Cost., nella misura in cui tale
norma,  nell'essere  volta  ad  escludere e limitare le prove assunte
fuori  dal  dibattimento,  afferma contestualmente la regola positiva
della valenza delle prove assunte nel contraddittorio delle parti.
        Palmi, addi' 20 ottobre 2000
                      Il Presidente: Mastroeni
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