N. 186 ORDINANZA 4 - 8 giugno 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  militari  - Richiesta di procedimento - Ingiuria e minaccia in
  danno di altri militari - Punibilita' a richiesta del comandante di
  corpo  e  non  anche a querela dell'offeso - Prospettata violazione
  del  principio informatore dell'ordinamento delle Forze armate, del
  diritto al risarcimento dei soggetti danneggiati nonche' disparita'
  ditrattamento  di  questi ultimi rispetto a quanti risultino offesi
  dai   corrispondenti   reati   comuni   -  Questionesostanzialmente
  coincidente con altra gia' rigettata - Manifesta infondatezza.
- Cod. pen. mil. pace, artt. 226 e 229, in relazione all'art. 260.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 52, terzo comma.
(GU n.23 del 13-6-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI
MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,
Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 226 e 229 del
codice  penale  militare  di  pace,  in  relazione all'art. 260 dello
stesso  codice,  promosso  con ordinanza emessa il 19 luglio 2000 dal
giudice  per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino
nel  procedimento  penale  a  carico di M. M., iscritta al n. 720 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 48, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 4 aprile 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 19 luglio 2000 (r.o. n. 720
del  2000),  il  giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale
militare  di  Torino  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e
52,  terzo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt. 226  e 229 del codice penale militare di
pace, in riferimento all'art. 260 dello stesso codice, nella parte in
cui  non  prevedono  che  i  reati, rispettivamente, di ingiuria e di
minaccia  commessi  da  un  militare in danno di altro militare siano
puniti,  oltre  che  a  richiesta del comandante del corpo o di altro
ente  superiore da cui dipende il militare colpevole, anche a querela
della persona offesa;
        che   il   rimettente  premette  di  essere  investito  della
richiesta  di  archiviazione  formulata  dal  pubblico  ministero  in
rapporto  ai  reati  di  ingiuria  e di minaccia (artt. 226 e 229 del
codice  penale militare di pace) ascritti ad un militare a seguito di
denuncia-querela  di  altro militare: richiesta basata esclusivamente
sulla  mancanza  della  richiesta  di  procedimento del comandante di
corpo  della persona sottoposta alle indagini, prevista dall'art. 260
del  codice penale militare di pace come condizione di procedibilita'
relativamente  ai reati per i quali la legge stabilisce la pena della
reclusione  militare  non  superiore  nel  massimo  a sei mesi (quali
quelli indicati);
        che,   ad   avviso   del   rimettente,  la  previsione  della
punibilita'  dei  fatti criminosi in esame esclusivamente a richiesta
del  comandante di corpo, e non anche a querela della persona offesa,
comprometterebbe     il     principio     di     "permeabilizzazione"
dell'ordinamento   delle  Forze  armate  allo  spirito  e  ai  valori
democratici  dello  Stato,  sancito  dall'art. 52, terzo comma, della
Costituzione,  essendo  le valutazioni del comandante ispirate ad una
logica  "istituzionalistica"  di  tutela dell'"immagine del reparto",
intesa  quale  valore  comunque  prevalente sui diritti della persona
tutelati dalle norme incriminatici dell'ingiuria e della minaccia;
        che  le  disposizioni  impugnate  si  porrebbero  altresi' in
contrasto  con  l'art. 24 della Costituzione, in quanto la scelta del
comandante  di  corpo di mantenere "segretato" l'illecito nell'ambito
della caserma, astenendosi dal proporre la richiesta di procedimento,
impedirebbe  alla  parte  offesa  di esercitare il proprio diritto al
risarcimento  del  danno nel processo penale mediante la costituzione
di  parte  civile,  consentita  anche davanti ai tribunali militari a
seguito  della  declaratoria  di incostituzionalita', con sentenza di
questa  Corte  n. 60 del 1996, dell'art. 270, primo comma, del codice
penale militare di pace;
        che    risulterebbe    violato,    infine,   l'art. 3   della
Costituzione,  a fronte della irragionevole disparita' di trattamento
tra  la  persona  offesa  dai reati militari di ingiuria e minaccia e
quella  offesa  dai corrispondenti reati comuni (artt. 594 e 612 cod.
pen.),  la  quale,  mediante  la proposizione della querela, puo' dar
corso all'azione penale senza preclusioni di sorta.
    Considerato   che   questa   Corte   ha   di   recente   ritenuto
manifestamente  infondate  questioni  di  legittimita' costituzionale
coincidenti  nella  sostanza  con quella odierna, ancorche' aventi ad
oggetto norme incriminatrici in parte diverse (cfr. ordinanze nn. 410
e 562 del 2000);
        che,  nell'occasione,  la  Corte  -  confermando  la  propria
costante  giurisprudenza - ha in particolare ribadito come l'istituto
della  querela,  non previsto attualmente in rapporto ad alcuno fra i
reati  militari,  debba  ritenersi  con  essi  incompatibile,  stante
l'offesa  alla  disciplina  e  al  servizio, e dunque ad un interesse
eminentemente  pubblico,  che caratterizza tali fattispecie criminose
(v. anche, da ultimo, ordinanze nn. 415, 563, 588del 2000);
        che,  in  questa prospettiva, l'attribuzione al comandante di
corpo,  tramite  l'istituto  della  richiesta  di procedimento, della
facolta'   di  scelta  tra  l'adozione  di  provvedimenti  di  natura
disciplinare  e  il  ricorso  all'ordinaria  azione  penale, non puo'
ritenersi  in contrasto con il principio informatore dell'ordinamento
delle  Forze  armate  - identificato dall'art. 52, terzo comma, della
Costituzione nello spirito democratico della Repubblica - trattandosi
di  scelta  che  mira  ad  adeguare  al  caso  concreto  la  risposta
dell'ordinamento  militare, stante l'esistenza di casi nei quali, per
la  scarsa gravita' del reato, l'esercizio incondizionato dell'azione
penale      rischierebbe      di      causare      un     pregiudizio
proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso;
        che va escluso, altresi', che l'impedimento alla costituzione
di  parte civile nel processo relativo al reato militare, conseguente
alla  mancata  proposizione  della richiesta da parte del comandante,
comporti  una  violazione del diritto di difesa, giacche' il soggetto
danneggiato  dispone  di  mezzi  di tutela giudiziaria alternativi, e
segnatamente  della  facolta'  di  esercitare,  senza alcun ostacolo,
l'azione  risarcitoria  nella  sua  sede  naturale,  ossia davanti al
giudice civile;
        che  neppure,  da  ultimo,  e'  ravvisabile  una  lesione del
principio  di  uguaglianza,  in  quanto  la diversita' di trattamento
rilevata  dal  giudice  a  quo  trova giustificazione nella peculiare
posizione   del   cittadino   inserito  nell'ordinamento  militare  -
caratterizzato  da  specifiche  regole di natura cogente - rispetto a
quella della generalita' dei cittadini.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 226 e 229 del codice penale
militare  di  pace,  in  relazione  all'art. 260 del medesimo codice,
sollevata,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 52, terzo comma, della
Costituzione,  dal  giudice per le indagini preliminari del tribunale
militare di Torino con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria l'8 giugno 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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