N. 199 ORDINANZA 6 - 14 giugno 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Custodia  cautelare  -  Limite massimo di fase -
  Computo dei termini di fase - Esclusione dei periodi di sospensione
  per   revoca   del  mandato  difensivo  da  parte  dell'imputato  -
  Lamentata,   ingiustificata,   diversita'  di  disciplina  rispetto
  all'allontanamento   del   difensore  per  scelta  di  questo,  con
  disparita'  di  trattamento  tra imputati - Utilizzazione impropria
  del   giudizio   di   legittimita'   costituzionale   -   Manifesta
  inammissibilita' della questione.
- Cod. proc. pen., art. 304, comma 1, lettera b), e comma 7.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.24 del 20-6-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI
MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,
Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 1,
lettera  b),  e comma 7, del codice di procedura penale, promossi con
quattro  analoghe ordinanze in data 21 gennaio 1998, 19 agosto 1999 e
in  data  13 maggio  1999  (n. 2  ordinanze), dalla Corte d'assise di
Reggio Calabria, rispettivamente iscritte al n. 605, n. 759, n. 760 e
n. 761  del  registro  ordinanze  2000  e  pubblicate  nella Gazzetta
Ufficiale   della  Repubblica  n. 44  e  n. 50,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 aprile 2001 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
    Ritenuto  che  la  Corte  d'assise di Reggio Calabria, chiamata a
pronunciarsi, nel corso del medesimo procedimento penale, su svariate
istanze di scarcerazione per decorrenza dei termini di durata massima
di  custodia  cautelare,  con  quattro  analoghe  ordinanze  in  data
21 gennaio  1998 (r.o. n. 605 del 2000), in data 19 agosto 1999 (r.o.
n. 759  del  2000) e in data 13 maggio 1999 (r.o. n. 760 e n. 761 del
2000),  ha  sollevato,  in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di cui ai
commi  1,  lettera  b),  e  7  dell'art.  304 del codice di procedura
penale,  "nella  parte  in  cui  non prevedono che la sospensione del
corso dei termini di cui all'art. 303 cod. proc. pen. segua - e venga
cosi'  computata  salvo  che  per  il  limite  relativo  alla  durata
complessiva  della  custodia  cautelare  - alla revoca del mandato al
difensore da parte dell'imputato";
        che   il   remittente   premette  di  avere  gia'  precisato,
provvedendo  su  altre  istanze  di  scarcerazione per decorrenza dei
termini  di custodia cautelare, che il termine custodiale di fase per
il  dibattimento  di  primo  grado,  pari  ad un anno e sei mesi, era
divenuto  di  tre  anni  per effetto del provvedimento di sospensione
adottato, a causa della particolare complessita' del dibattimento, ai
sensi  dell'art. 304,  comma 2, cod. proc. pen., e che a tale termine
triennale  dovevano  aggiungersi  ulteriori periodi in conseguenza di
una  serie  di  avvenimenti,  che  si  erano registrati nel corso del
dibattimento  e  che  avevano  determinato sospensioni dell'attivita'
processuale  con  conseguente  sospensione  dei  termini  di custodia
cautelare, disposta ai sensi dell'art. 304, comma 1, lettera b), cod.
proc. pen;
        che,  in  particolare,  la  Corte d'assise di Reggio Calabria
puntualizza che nei suoi precedenti provvedimenti aveva gia' ritenuto
che,   "al   fine   del   computo  del  termine  custodiale  di  fase
complessivo",  al  termine  triennale  dovevano  aggiungersi, tra gli
altri,  "giorni  53,  intercorrenti  tra  il  26 ottobre  1995  ed il
successivo   18 dicembre:  cio'  per  effetto  del  provvedimento  di
sospensione  ex  art. 304,  comma 1, lettera b), adottato all'udienza
del  26 ottobre  per  i  motivi indicati nel relativo verbale (revoca
delle  nomine  dei  difensori  da  parte  degli  imputati  detenuti e
richiesta  di  termine  a  difesa  da  parte  del difensore d'ufficio
nominato in sostituzione)";
        che,  ad  avviso  del  giudice a quo, la simultanea revoca di
tutti  i  difensori  da  parte degli imputati detenuti, denotando "un
evidente  atteggiamento ostruzionistico [...] che precludeva di fatto
la  prosecuzione  dell'udienza",  non andava ricompresa tra i casi di
cui  alla lettera a) del comma 1 dell'art. 304 cod. proc. pen., per i
quali  il periodo di sospensione non opera ai fini del limite massimo
di  fase  ex  art. 304,  comma 7, cod. proc. pen., ma rientrava nelle
previsioni  dell'art. 304,  comma  1,  lettera  b),  con  conseguente
computabilita' ai fini del citato limite massimo;
        che,  infatti,  una  fattispecie di abbandono della difesa e'
ravvisabile,  secondo  la  Corte remittente, non soltanto nei casi in
cui  sia  direttamente  riferibile  alla iniziativa del difensore, ma
anche  quando  l'assistenza  difensiva  sia  venuta  a  mancare  "per
conseguenza  diretta di una iniziativa dei difesi, che abbiano, ad un
tempo,  posto  i difensori nella legale impossibilita' di svolgere il
proprio  mandato  e  costretto  il  giudice  a  nominare un difensore
d'ufficio ed a concedere a costui i termini a difesa";
        che,  su queste premesse, il remittente chiede a questa Corte
"un   ulteriore  e  definitivo  approfondimento  interpretativo",  in
quanto,  a  suo  avviso,  le  disposizioni censurate, se interpretate
(come  vorrebbero  le  difese  degli  imputati  e  la stessa Corte di
cassazione  in  una pronuncia resa nell'ambito del medesimo processo)
nel  senso  di escludere dal computo dei termini di cui all'art. 304,
comma  6, cod. proc. pen. i periodi di sospensione per allontanamento
dei  legali  a  seguito  della  contemporanea revoca dei difensori da
parte  degli  imputati in custodia cautelare, contrasterebbero con il
principio di eguaglianza;
        che  invero,  prosegue  il  remittente,  ne  deriverebbe  una
ingiustificata    diversita'   di   disciplina   delle   ipotesi   di
"allontanamento"  del  difensore,  a  seconda  che  esso segua ad una
scelta  di  questo  o  sia  causato  dall'iniziativa  dell'assistito,
poiche',   del  tutto  irragionevolmente,  soltanto  nel  primo  caso
potrebbe  legittimamente  computarsi  la  sospensione  del  corso dei
termini  di  custodia  cautelare per il periodo concesso al difensore
d'ufficio per preparare la difesa;
        che  -  argomenta  ancora  il  giudice  a  quo  -  una simile
interpretazione  verrebbe  ad  attribuire  all'imputato "il potere di
tenere  costantemente  sotto  scacco  il  processo", con una serie di
continue   e   mirate   revoche  dei  mandati  difensivi,  dirette  a
consentirgli  di  beneficiare  della  scarcerazione  per scadenza dei
termini ben prima della pronuncia di merito;
        che   l'irragionevole   diversita'   di  disciplina  per  due
situazioni   che  invece  si  equivarrebbero  sul  piano  processuale
determinerebbe  oltretutto un trattamento deteriore per l'imputato il
quale  abbia  subito le conseguenze pregiudizievoli del comportamento
scorretto del proprio difensore che abbia autonomamente deciso di non
dar  corso  al  mandato rispetto a quello riservato all'imputato che,
con  la  revoca della nomina, abbia dato causa all'allontanamento del
difensore,  poiche'  solo  per  il primo imputato sarebbe operante la
sospensione dei termini di custodia cautelare;
        che  in  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  e ha chiesto che la questione sia dichiarata
inammissibile.
    Considerato  che  tutte  le  ordinanze di rimessione, provenienti
dallo   stesso   giudice,  sollevano  un'identica  questione  e  che,
pertanto,   i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere  decisi
unitariamente;
        che  il  remittente  riferisce  di  avere  gia' affermato, in
numerosi  provvedimenti  resi  nel medesimo processo nei confronti di
altri  imputati, che l'ipotesi della simultanea revoca dei rispettivi
difensori  da  parte  di  tutti  gli  imputati detenuti, denotando un
evidente  atteggiamento  ostruzionistico,  non  puo'  essere sussunta
sotto la lettera a) del comma 1 dell'art. 304 del codice di procedura
penale,  per la quale il periodo di sospensione non opera ai fini del
limite  massimo  di  fase  ex  art. 304, comma 7, cod. proc. pen., ma
rientra  nella  previsione  dell'art. 304, comma 1, lettera b), e che
conseguentemente detto periodo e' computabile ai fini del calcolo del
citato limitemassimo;
        che,   nonostante  cio',  egli  chiede  a  questa  Corte  "un
ulteriore e definitivo approfondimento interpretativo", giustificando
tale  richiesta  con  l'esistenza  di  una  diversa  interpretazione,
riconducibile  ad una pronuncia della Corte di cassazione, secondo la
quale  la  fattispecie  in  oggetto  ricadrebbe invece nella sfera di
operativita'  dell'art. 304,  comma  1,  lettera  a)  del  codice  di
procedura  penale  e  pertanto, in forza dell'art. 304, comma 7, cod.
proc.   pen.,   sarebbe  esclusa  dal  computo  dei  termini  di  cui
all'art. 304, comma 6, del medesimo codice;
        che  e'  qui del tutto evidente l'utilizzazione impropria del
giudizio di legittimita' costituzionale, dichiaratamente attivato per
contrastare una interpretazione che l'ordinanza di rimessione, con un
diffuso e insistito argomentare, lungi dal fare propria e dal porre a
fondamento   del   giudizio   di  costituzionalita',  mostra  di  non
condividere  affatto,  con  il  paradossale risultato di sottoporre a
censura  una  soluzione  interpretativa  alla quale si e' negata ogni
plausibilita';
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  304,  comma  1,lettera b), e
comma  7,  del  codice di procedura penale, sollevata, in riferimento
all'art.  3  della  Costituzione,  dalla  Corte  d'assise  di  Reggio
Calabria con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 giugno 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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