N. 206 SENTENZA 6 - 26 giugno 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Decorrenza  - Fissazione con i provvedimenti attuativi, destinati a
  individuare  beni  e  risorse  -  Ricorso  della  Regione  Veneto -
  Lamentata  incertezza  dei  conferimenti previsti, in contrasto con
  quanto  disposto  dalla  legge  delega  -  Contraddittorieta' della
  prospettazione - Inammissibilita' della questione.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, intero testo e artt. 3, comma 6, e 7,
  commi  1,  2, lettera a), 8, lettera a), 50, commi 2 e 3, 63 e 138,
  comma 2.
- Costituzione, artt. 76, 117 e 118 (in relazione agli artt. 1, comma
  1, e 3, comma 1, lettera a, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni  in  genere  - Conferimento di funzioni alle Regioni - Delega
  legislativa  al  Governo  - Attuazione - Emanazione di disposizioni
  correttive  della  disciplina  legislativa delegata - Ricorso della
  Regione Veneto - Ritenuto scorretto esercizio del potere correttivo
  conferito,  con  la  finalita'  di eludere il termine fissato nella
  delega principale - Non fondatezza della questione.
- D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 443, intero testo.
- Costituzione,  art.  76  (in  relazione  all'art. 10 della legge 15
  marzo 1997, n. 59).
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Attuazione  -  Riserva allo Stato di compiti e funzioni al di fuori
  dei  compiti  e  delle  materie  esclusi dalla delega legislativa -
  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Asserita violazione dei criteri
  della delega - Inammissibilita' delle questioni.
- D.Lgs.  31  marzo  1998, n. 112, artt. 13, 44, 54, 59, 69, comma 2,
  115, 118, 119, 120, 121, comma 1, 124, 129 e 142.
- Costituzione, artt. 76, 117 e 118 (in relazione agli artt. 1, commi
  3  e 4, 3, comma 1, lettera a, e 4, comma 3, lettere b, e, f, della
  legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Attuazione  -  Conservazione  allo  Stato  di  compiti e funzioni -
  Mancata  attribuzione alle Regioni - Ricorso della Regione Veneto -
  Asserita violazione della delega legislativa - Non fondatezza della
  questione.
- D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 443, artt. 1, 8 e 11.
- Costituzione, artt. 76, 117 e 118 (in relazione agli artt. 1, commi
  3  e  4,  3, comma 1, lettera a, 4, comma 3, lettere b, c, f, della
  legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Esclusione  dal  conferimento  di  compiti  "di  rilievo nazionale"
  riservati  allo Stato - Mancata previa intesa con la Conferenza per
  i  rapporti  fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome ovvero
  mancata  motivazione in ordine al provvedimento attuativo - Ricorso
  della Regione Veneto - Non fondatezza della questione.
- D.Lgs.  31  marzo 1998, n. 112, artt. 29, comma 1, 52, comma 1, 69,
  comma 1, 77, 80, 83, 88, 107 e 156; d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 443,
  artt. 13, 14, 15, 16 e 17.
- Costituzione,  artt.  76 (in relazione all'art. 1, comma 4, lettera
  c,  della  legge  15  marzo  1997, n. 59 e all'art. 3 del d.lgs. 28
  agosto 1997, n. 281), 117 e 118.
Regioni in genere - Conferimento di funzioni alle Regioni - Modifiche
  introdotte  in sede di correzione di un precedente decreto delegato
  -  Funzioni e compiti conservati allo Stato in materia di energia -
  Definizione  difforme  da  quella  concordata  in  sede di intesa -
  Ricorso  della Regione Veneto - Violazione della delega legislativa
  Illegittimita' costituzionale.
- D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 443, art. 3, comma 1, lettera a).
- Costituzione, art. 76 (in relazione all'art. 1, comma 4, lettera c,
  della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Attribuzione diretta, senza l'intermediazione regionale, di compiti
  e funzioni agli enti locali sub-regionali - Asserita violazione dei
  criteri  della  legge  delega  - Ricorso della Regione Veneto - Non
  fondatezza della questione.
- D.Lgs.  31  marzo  1998,  n. 112,  artt.  41, comma 3, 66, comma 1,
  lettere b) e c), 99, comma 3, secondo periodo, 131, comma 2, e 132.
- Costituzione,  artt.  76, 117 e 118 (in relazione all'art. 4, comma
  1, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Individuazione  delle  funzioni  trasferite  o  delegate  agli enti
  locali  e  di  quelle  mantenute in capo alla Regione - Termine per
  l'adozione  della  prevista  legge  regionale - Ritenuta brevita' -
  Asserita  lesione dell'autonomia regionale - Inammissibilita' della
  questione.
- D.Lgs.  31  marzo  1998,  n. 112, artt. 3, comma 1, e 132, comma 1,
  primo periodo.
- Costituzione, artt. 76, 117 e 118.
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Individuazione  delle  funzioni  trasferite  o  delegate  agli enti
  locali  e  di  quelle mantenute in capo alla Regione - Brevita' del
  termine  per  l'adozione  della  prevista legge regionale - Ricorso
  della  Regione  Veneto  - Questione di legittimita' costituzionale,
  proposta  in via subordinata, nei confronti della legge di delega -
  Inammissibilita'.
- Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 4, comma 5, primo periodo.
- Legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, art. 2.
Regioni  in  genere  - Conferimento di funzioni alle Regioni - Beni e
  risorse finanziarie da trasferire alle Regioni e agli enti locali -
  Quantificazione  - Lamentata indeterminatezza dei criteri indicati,
  con  lesione  dell'autonomia  finanziaria regionale - Ricorso della
  Regione Veneto - Non fondatezza della questione.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 7, comma 3.
- Costituzione, art. 119.
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Attribuzione  di  risorse agli enti locali, in relazione ai compiti
  agli  stessi  enti  trasferiti  -  Asserita  lesione dell'autonomia
  finanziaria   regionale  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Non
  fondatezza della questione.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 3, comma 3, in rapporto all'art.
  7.
- Costituzione, art. 119.
Regioni  in  genere  - Conferimento di funzioni alle Regioni - Omessa
  soppressione  o  trasformazione delle strutture statali interessate
  nonche' mancata individuazione delle procedure per il trasferimento
  del   personale   statale   -  Rinvio  a  successivi  provvedimenti
  governativi   -   Asserito   illegittimo   esercizio  della  delega
  legislativa  -  Ricorso della Regione Veneto - Non fondatezza della
  questione.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 7, comma 4, 9, 58, 67, comma 1,
  75, 92, commi 2 e 3, 106, comma 1, 109, comma 2, e 146.
- Costituzione,  artt.  76, 117 e 118 (in relazione all'art. 3, comma
  1, lettere d, e, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni   in  genere  -  Conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  -
  Attuazione,  su  delega  legislativa  -  Mancata  individuazione di
  strumenti di raccordo e di cooperazione - Asserita violazione della
  legge  di  delega - Ricorso della Regione Veneto - Inammissibilita'
  della questione.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
- Costituzione,  artt.  76, 117 e 118 (in relazione all'art. 3, comma
  1, lettere c, f, g, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Regioni   in   genere   -  Insediamento  di  attivita'  produttive  -
  Procedimento   di   autorizzazione  -  Variazione  dello  strumento
  urbanistico   -   Determinazione   della   Conferenza   di  servizi
  costituente  proposta  di  variante per la pronuncia definitiva del
  consiglio  comunale, anche nell'ipotesi di dissenso della Regione -
  Lesione  della  competenza  regionale  in  materia di urbanistica -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 25, comma 2, lettera g).
- Costituzione, artt. 117 e 118.
Regioni  in  genere - Conferimento di funzioni alle Regioni - Compiti
  conferiti alle Regioni in materia di tutela della salute - Verifica
  di  conformita'  alla  normativa nazionale di strutture e attivita'
  sanitarie,  di  sostanze  e  di  prodotti  - Modalita' definite con
  accordo  da approvare in sede di Conferenza Stato-Regioni - Ricorso
  della  Regione Veneto - Lamentato condizionamento dell'esercizio di
  funzioni regionali ad accordi con il Governo - Non fondatezza della
  questione.
- D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 443, art. 16, comma 1, lettera c).
- Costituzione, artt. 117 e 118.
Regioni  in  genere - Conferimento di funzioni alle Regioni - Compiti
  in  materia di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e
  commercio  dei  pubblici esercizi - Attivita' regolamentare statale
  da  esercitarsi  d'intesa con le regioni - Contrasto con i principî
  della legge delega - Illegittimita' costituzionale.
- D.Lgs.  31  marzo  1998,  n. 112,  art.  40,  comma  1, lettera f),
  aggiunta dall'art. 6 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 443.
- Costituzione, art. 76 (in relazione all'art. 2 della legge 15 marzo
  1997, n. 59).
(GU n.26 del 4-7-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale:
        a) del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni
e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali,
in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59);
        b)  degli  articoli  1,  3, 6, 8, 11, 13, 14, 15, 16 e 17 del
d.lgs.   29 ottobre   1999,   n. 443   (Disposizioni   correttive  ed
integrative  del  decreto  legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante
conferimento  di  funzioni  e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni  e  agli enti locali), promossi con due ricorsi della Regione
Veneto,   notificati   il  19 maggio  1998  e  il  28 dicembre  1999,
depositati  in  cancelleria  il 27 maggio 1998 e il 5 gennaio 2000 ed
iscritti ai nn. 25 del registro ricorsi 1998 e 1 del registro ricorsi
2000.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  16 gennaio  2001  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione
Veneto  e  l'avvocato  dello Stato Giancarlo Mando' per il Presidente
del Consiglio dei ministri.


                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso  notificato  il  19 maggio 1998 e depositato il
27 maggio  1998  (r.  ric.  n. 25  del  1998)  la  Regione  Veneto ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  articoli  76, 117, 118 e 119 della Costituzione, degli articoli
3,  commi  1,  3 e 6; 7, commi 1, 2, lettera a), 3 e 8 lettera a); 9,
13, 18, 25, comma 2; 29 commi 1 e 2; 33, 41, comma 3; 44, 50, commi 2
e  3;  52, comma 1; 54, 58, 59, 63, 65, 66, comma 1, lettere b) e c);
67,  comma  1; 69, commi 1 e 2; 75, 77, 80, 83, 85, 88, 92, commi 2 e
3; 93, 98, 99, comma 3, secondo periodo; 104, 106, comma 1; 107, 109,
comma  2;  115,  118, 119, 120, 121, comma 1; 124, 129, 131, comma 2;
132,  137,  138,  comma  2;  142,  146  e 156 del decreto legislativo
31 marzo   1998,   n. 112   (Conferimento   di   funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  e  agli  enti locali, in
attuazione  del  Capo  I  della  legge 15 marzo 1997, n. 59), nonche'
dello  stesso  decreto  legislativo  nella  sua interezza. La regione
ricorrente,  premesso che numerose disposizioni del decreto impugnato
presentano  vizi  di illegittimita' costituzionale, cio' che, data la
stretta  connessione  tra  di esse, implicherebbe l'invalidita' dello
stesso decreto nella sua interezza, espone undici motivi di censura.
    La  prima questione, sollevata in relazione agli articoli 76, 117
e  118  della Costituzione, ha ad oggetto gli articoli 3, comma 6; 7,
commi  1,  2,  lettera  a) e 8, lettera a), limitatamente alle parole
"l'individuazione  del  termine  eventualmente  differenziato, da cui
decorre  l'esercizio  delle  funzioni  trasferite",  50,  commi 2 e 3
(commi  peraltro  ora abrogati dalla legge n. 50 del 1999); 63 e 138,
comma  2, del decreto legislativo: disposizioni tutte che subordinano
la  decorrenza  dei conferimenti, e dunque l'esercizio delle funzioni
regionali,  a  provvedimenti  amministrativi  di  cui  non vi sarebbe
certezza alcuna.
    La   regione,   in  particolare,  osserva  che,  a  parte  talune
decorrenze  puntualmente  definite (come "ad esempio" quelle previste
dagli  artt. 115,  comma 3; 130, commi 2 e 3; 144, comma 3), l'art. 7
del decreto legislativo prevede, con norma di carattere generale, che
le  regioni  potranno esercitare le funzioni conferite solo a partire
dal  momento  che il Presidente del Consiglio dei ministri indichera'
con  uno dei provvedimenti fondati sull'art. 7 della legge di delega,
i  quali  dovrebbero  intervenire  entro il 31 dicembre 1999 (art. 3,
comma  6,  del  decreto  legislativo impugnato), e dovrebbero fissare
l'inizio  dell'esercizio  delle funzioni per un giorno non successivo
al  31 dicembre  2000  (art. 7,  comma  2,  lettera  a), dello stesso
decreto).   Secondo  la  ricorrente,  la  fissazione  della  data  di
trasferimento  potrebbe  in  concreto mancare, senza che sia previsto
alcun meccanismo che consenta di realizzare una forma di conferimento
automatico.   Non  gioverebbero,  a  tale  scopo,  ne'  il  comma  10
dell'art. 7  del  decreto  impugnato,  il quale stabilisce che, se lo
Stato  non  adotta  i  provvedimenti  di  attuazione,  la  Conferenza
unificata  puo'  predisporre  gli  schemi  degli  atti ed inviarli al
Presidente del Consiglio, poiche' all'iniziativa della Conferenza non
segue   necessariamente  alcuna  concreta  fissazione  di  date;  ne'
l'ultimo comma dello stesso art. 7, a termini del quale il Presidente
del  Consiglio  puo'  nominare  un  commissario ad acta, poiche' tale
disposizione  comunque  non  garantisce  una  data  certa  di  inizio
dell'esercizio delle funzioni.
    La  regione ricorrente sostiene dunque che, stando alle norme del
decreto  legislativo  impugnato,  la  generalita'  delle funzioni non
sarebbe  stata  affatto  conferita,  e che anche per il futuro non vi
sarebbe alcuna certezza di conferimento, in violazione della legge di
delega  n. 59  del  1997 che, agli articoli 1, comma 1, e 3, comma 1,
lettera a), imponeva un trasferimento, sia pure graduale, di funzioni
e    compiti;   e   aggiunge   che   l'eventuale   dichiarazione   di
incostituzionalita' non impedirebbe al legislatore statale di fissare
altri  termini per l'esercizio delle funzioni conferite, con le forme
e nel rispetto dei limiti stabiliti dalla Costituzione.
    La  seconda questione, sollevata in riferimento agli articoli 76,
117 e 118 della Costituzione e in relazione agli articoli 3 e 4 della
legge  di delega (articoli che porrebbero criteri direttivi a diretta
tutela  della posizione costituzionale e di autonomia delle regioni),
concerne  numerose  disposizioni  che  riservano allo Stato compiti e
funzioni  nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione e che,
secondo  la ricorrente, la legge di delega avrebbe voluto che fossero
conferiti  alle  regioni: l'art. 13 (artigianato); l'art. 44 (turismo
ed industria alberghiera); l'art. 54 (urbanistica e lavori pubblici);
l'art. 59   (edilizia  residenziale  pubblica);  l'art. 69,  comma  2
(protezione  della  natura  e  dell'ambiente); gli articoli 115, 118,
119,  120,  121,  comma 1, 124 (in materia di assistenza sanitaria ed
ospedaliera,  e  relativi personale e strutture); 129 (nelle parti in
cui  concerne  i  servizi  sociali  a  favore  della  generalita' dei
soggetti,  con  esclusione,  cioe',  delle  particolari  categorie di
persone  indicate  dall'art. 1,  comma 3, della legge di delega); 142
(formazione professionale).
    Pur  riconoscendo  che l'art. 3, comma 1, lettera a), della legge
di   delega  ha  demandato  ai  decreti  legislativi  il  compito  di
individuare  "tassativamente  le funzioni e i compiti da mantenere in
capo  alle  amministrazioni  statali",  la  regione sottolinea che la
stessa  legge ha stabilito che questa individuazione dovesse avvenire
"ai  sensi  e  nei  limiti  di  cui  all'art. 1".  Tale  articolo non
introdurrebbe  una clausola generale di riserva allo Stato di compiti
di  "interesse  nazionale",  ma  prevederebbe  singole  -  per quanto
numerose  -  ipotesi, ora con l'esclusione dai conferimenti di intere
materie  (comma  3),  ora  con la esclusione di compiti astrattamente
ricadenti  nelle  materie  da  conferire  (comma  4). Ad avviso della
Regione  Veneto,  sarebbe  questa l'unica interpretazione dell'art. 1
della   legge  di  delega  che  consente  di  attribuire  un  qualche
significato al suo comma 4, dal momento che, se la riserva di compiti
di  "interesse  nazionale"  fosse  implicita  nel  sistema ricavabile
dall'art. 1,  comma  2, le minuziose ipotesi disciplinate dal comma 4
risulterebbero  prive di significato. Questo risultato interpretativo
troverebbe  poi conferma nei principi direttivi indicati dall'art. 4,
comma  3,  della  stessa  legge  di  delega,  cioe'  nei  principi di
completezza    (lettera    b),    di   unicita'   e   responsabilita'
dell'amministrazione  (lettera  e),  e di omogeneita' (lettera f). Le
riserve  statali  censurate  sarebbero  dunque in contrasto anche con
questi  ultimi  principi  direttivi,  mantenendo  la  separazione  di
funzioni  omogenee,  accanto  alla  pluralita'  delle amministrazioni
competenti, con conseguente "annacquamento" delle responsabilita'.
    Con  il terzo motivo del ricorso, analogamente, la Regione Veneto
impugna,  in  riferimento agli articoli 76, 117, secondo comma, e 118
della  Costituzione,  le  disposizioni  del  decreto  legislativo che
riservano  allo Stato funzioni in materie non comprese nell'elenco di
cui all'art. 117 della Costituzione. In tal senso, sono censurati gli
articoli  18  e  29,  comma  2  (per le parti in cui si riferiscono a
funzioni  concernenti  le  industrie  e  l'energia, diverse da quelle
comprese  nell'art. 1,  comma  3, della legge di delega); 33, 65, 85,
93,  98  e  104 (questi ultimi tre per le parti in cui si riferiscono
alle  materie  relative  alle  opere  pubbliche, alla viabilita' e ai
trasporti  di  interesse "non regionale" ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione);  137  (per  la  parte  in  cui non riguarda gli ambiti
indicati  dall'art. 1, comma 3, lettera q) della legge di delega). La
ricorrente  sostiene  che,  pur  in assenza di un puntuale fondamento
costituzionale, l'attribuzione integrale dei compiti alle regioni era
imposta  dall'art. 1  della  legge  di  delega  e  dal  principio  di
completezza  di  cui  all'art. 4,  comma 3, lettera b) della medesima
legge.
    La  quarta  questione, sollevata in riferimento agli articoli 76,
117  e  118  della  Costituzione, ha ad oggetto, "tra gli altri", gli
articoli  29, comma 1; 52, comma 1; 69, comma 1; 77, 80, 83, 88, 107,
156  del  decreto  legislativo,  che  avrebbero  riservato allo Stato
"compiti di rilievo nazionale" senza osservare il procedimento di cui
all'art. 1,  comma  4,  lettera c) della legge di delega, a norma del
quale,  al  fine  dell'individuazione dei predetti compiti, lo schema
del  decreto  legislativo  avrebbe  dovuto  essere predisposto previa
intesa  con  la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni  e  le  province  autonome  e,  in  mancanza  dell'intesa, il
Consiglio dei ministri avrebbe dovuto deliberare motivatamente in via
definitiva su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.
    Secondo  la  ricorrente,  nonostante che il preambolo del decreto
legislativo  dia atto della raggiunta intesa, il procedimento seguito
ai fini dell'emanazione non avrebbe rispettato la legge di delega. In
primo  luogo,  non  vi sarebbe stata alcuna "intesa" preliminare alla
adozione  dello  schema  da parte del Governo, in quanto i compiti di
rilievo  nazionale  sarebbero  stati  inseriti direttamente nel testo
approvato  in  Consiglio  dei  ministri,  e sull'intero testo sarebbe
stato  chiesto  soltanto  il  parere  della  Conferenza,  secondo  il
disposto  dell'art. 6  della legge di delega: parere che sarebbe cosa
diversa dall'intesa di cui all'art. 1, comma 4, della medesima legge,
sia per oggetto, sia per contenuto, sia per successione temporale. In
secondo   luogo,   nemmeno   successivamente   alla   predisposizione
governativa  dello  schema  sarebbe  stata  raggiunta  la  necessaria
"intesa"  sui  compiti  di  rilievo nazionale, come si ricaverebbe da
piu'  passi del verbale della riunione della Conferenza Stato-regioni
del  5 marzo  1998. In conseguenza dell'iter erroneamente seguito, il
Consiglio  dei ministri non avrebbe nemmeno "deliberato motivatamente
in via definitiva" sui punti di mancata intesa, come invece richiesto
dalla  legge  di  delega  a tutela della posizione delle regioni, che
devono  essere  poste  in  grado  di  conoscere  sulla  base di quali
elementi determinati compiti debbano essere di rilievo nazionale.
    Con   il  quinto  motivo  del  ricorso  la  regione  impugna,  in
riferimento  agli  articoli  76,  117  e  118  della Costituzione, le
disposizioni  del  decreto legislativo che attribuiscono direttamente
funzioni   e   compiti   agli  enti  locali  nelle  materie  comprese
nell'elenco  dell'art. 117  della  Costituzione, e "specificatamente"
gli articoli 41, comma 3, in materia di fiere e mercati; 66, comma 1,
lettere  b)  -  lettera peraltro in seguito soppressa dall'art. 9 del
decreto   legislativo   n. 443  del  1999  -  e  c),  in  materia  di
agricoltura;  99,  comma  3,  secondo  periodo,  che attribuisce alle
province  "le  funzioni  di progettazione, costruzione e manutenzione
della  rete  stradale";  131,  comma  2,  e  132, nelle materie della
beneficenza    pubblica    e   della   sanita'.   Tali   disposizioni
sottrarrebbero  alla  regione funzioni ad essa spettanti in base agli
articoli 117 e 118 della Costituzione, non trattandosi di compiti "di
interesse  esclusivamente locale" (come invece puo' essere in taluni,
limitati,  casi,  quali quello dell'art. 117, comma 1, primo periodo,
dello stesso decreto legislativo) e, comunque, violerebbero l'art. 4,
comma  1,  della legge di delega, che stabilisce che nelle materie di
cui  all'art. 117  della Costituzione l'attribuzione delle funzioni e
dei  compiti  deve essere operata a favore delle regioni, cui sarebbe
riservata  la  valutazione  circa  la necessita' che gli stessi siano
svolti a livello regionale o meno.
    Con il sesto motivo del ricorso la regione denuncia la violazione
degli  articoli  76,  117  e  118  della  Costituzione da parte degli
articoli  3,  comma  1,  e  132,  comma 1, primo periodo, del decreto
legislativo,  i  quali  prevedono che le regioni provvedano, entro il
termine   di   sei   mesi   dall'emanazione   dello  stesso  decreto,
all'individuazione delle funzioni che richiedono l'esercizio unitario
a  livello  regionale  e  di quelle da conferire agli enti locali. Il
termine  sarebbe  irragionevolmente  breve,  e tale da ledere nel suo
complesso  l'autonomia  organizzativa,  legislativa ed amministrativa
regionale,   e   da   rendere   pressoche'  inevitabile  l'intervento
sostitutivo  dello  Stato.  L'irragionevolezza  del  termine  sarebbe
provata   da   vari   elementi.   Innanzitutto   dalla   vastita'  ed
eterogeneita'  delle materie interessate dal decreto legislativo, per
l'emanazione  del  quale lo stesso Governo ha ottenuto la proroga del
termine  inizialmente  previsto dalla legge di delega. Inoltre, dalla
circostanza  che,  poiche'  il  termine  di  sei  mesi  decorre dalla
emanazione  del  decreto  impugnato,  avvenuta  il 31 marzo 1998, una
parte  di  esso  era  gia'  trascorsa al momento in cui la regione ha
avuto conoscenza ufficiale del testo a seguito della pubblicazione in
Gazzetta  Ufficiale in data 21 aprile. Ancora, dal fatto che esso non
terrebbe   alcun  conto  degli  adempimenti  richiesti  ai  fini  del
completamento del procedimento legislativo regionale (in particolare,
per la Regione Veneto, degli adempimenti richiesti dall'art. 55 dello
statuto   regionale,   che   prevede   la  consultazione  degli  enti
interessati  alla delega di funzioni, consultazione che si aggiunge a
quella imposta dall'art. 4, comma 1, della legge di delega).
    Per il caso in cui si ritenesse che la fissazione del termine sia
imposta  dall'art. 4,  comma  5, della legge di delega, la ricorrente
chiede   che   la  Corte  sollevi  dinanzi  a  se'  la  questione  di
legittimita'    costituzionale   della   medesima   disposizione   in
riferimento agli stessi parametri e motivi indicati in relazione alle
norme delegate.
    Con  il  settimo  motivo  del  ricorso  la  regione  denuncia  la
violazione  dell'art. 119  della  Costituzione  da parte dell'art. 7,
comma  3, del decreto legislativo, a termini del quale alle regioni e
agli  enti  locali sono "attribuiti beni e risorse corrispondenti per
ammontare  a  quelli  utilizzati  dallo  Stato  per l'esercizio delle
medesime funzioni e compiti prima del conferimento", tenendosi conto,
tra  l'altro,  "dei beni e delle risorse utilizzati dallo Stato in un
arco  temporale  pluriennale,  da  un  minimo di tre ad un massimo di
cinque  anni"  (lettera  a).  Tale  disposizione  e'  ritenuta lesiva
dell'autonomia finanziaria regionale, anche per effetto dell'assoluta
indeterminatezza  dei  "criteri"  indicati alle lettere b) e c) dello
stesso  comma 3 censurato, che non consentirebbero di determinare con
sufficiente  certezza  di  quali  risorse  sara'  possibile disporre,
essendo  rimessa  al  Governo  la scelta sia dell'arco temporale, sia
dell'anno-base   per  il  calcolo.  La  lesione  dell'art. 119  della
Costituzione,   precisa  la  regione,  non  potrebbe  essere  esclusa
dall'orientamento  della  Corte  costituzionale per il quale spese di
modesta  entita'  che  lo  Stato faccia gravare senza copertura sulla
finanza regionale non potrebbero compromettere l'autonomia dell'ente,
in quanto nel caso di specie le dimensioni dei conferimenti sarebbero
comunque tali da importare l'impiego di risorse molto ingenti.
    Con l'ottavo motivo del ricorso la regione denuncia nuovamente la
violazione dell'art. 119 della Costituzione, ma questa volta da parte
dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo, in rapporto all'art. 7
dello  stesso  decreto,  ai  sensi  del  quale  la  regione, entro il
30 settembre  1998,  dovrebbe  attribuire  agli  enti  locali i mezzi
necessari a coprire gli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni
trasferite,    "nel    rispetto    dell'autonomia   organizzativa   e
regolamentare"  degli  stessi enti. L'autonomia finanziaria regionale
sarebbe  lesa  in  quanto  non  si vedrebbe da quali fonti la regione
potrebbe  trarre le necessarie risorse, posto che alla Regione beni e
mezzi   saranno  attribuiti  solo  da  provvedimenti  governativi  da
adottarsi  ai  sensi  dell'art. 7  dello stesso decreto legislativo e
dell'art. 7 della legge di delega.
    La nona censura concerne il mancato riordinamento delle strutture
e  la  mancata  individuazione  delle  modalita' di trasferimento del
personale,   aspetti   che   sarebbero   sostanzialmente  rimessi  ai
provvedimenti amministrativi di cui all'art. 7 della legge di delega.
Ricorda  la regione che con l'art. 3, comma 1, lettere d) ed e) della
legge di delega, il Parlamento aveva imposto al Governo di provvedere
alla  soppressione,  trasformazione  o  accorpamento  delle strutture
centrali  e  periferiche  interessate  dal conferimento, oltre che di
individuare  le  modalita'  e  le  procedure per il trasferimento del
personale  statale;  e  che la norma di delega conteneva un rinvio ai
provvedimenti amministrativi di cui all'art. 7 della legge di delega,
ma  soltanto  per  quanto  attiene  alle modalita' della soppressione
delle  strutture.  Fatte salve alcune eccezioni ("ad esempio", quelle
di  cui  agli artt. 50, comma 1; 92, comma 4; 96, comma 2; 106, comma
2;  134),  il  legislatore  delegato  avrebbe,  secondo  la  regione,
sostanzialmente omesso di provvedere.
    La  regione  rileva che il testo del decreto contiene varie norme
con  le quali il Governo pretende, in violazione gli articoli 76, 117
e  118  della  Costituzione,  di  autodelegarsi il potere legislativo
quali  gli  articoli  7,  comma  4,  e  9  (disposizioni, queste, che
dispongono  "rinvii  generali":  per il personale ai provvedimenti di
cui  all'art. 7  della  legge  di delega, per le strutture anche, con
richiamo  ritenuto  "fuori luogo", ai decreti previsti dagli articoli
10  e  11  della  medesima  legge);  nonche' - a titolo di esempio di
disposizioni  di  "rinvio  al futuro" - gli articoli 58; 67, comma 1;
75;  92,  commi  2  e  3;  106,  comma  1;  109,  comma  2, e 146. In
particolare,  nell'art. 67,  comma  1, il riferimento alle parole "un
apposito  organismo  tecnico"  legittimerebbe il Governo ad istituire
quell'organismo  con  decreti  correttivi  ed  integrativi  entro  il
31 marzo  1999,  sulla  base dell'art. 10 della legge di delega, e il
contenuto  della "autodelega", per la parte in cui vorrebbe escludere
la  regione  dall'organismo,  sarebbe  incostituzionale, posto che di
esso  la  regione  dovrebbe  servirsi nello svolgimento delle proprie
funzioni.
    La  ricorrente  ritiene che le omissioni legislative rilevate non
implicano  tanto  che  il  decreto legislativo impugnato sia solo una
attuazione   parziale   della  delega,  ma  concretano  piuttosto  un
illegittimo  esercizio  del  potere delegato, in considerazione della
strettissima  connessione  esistente  tra  le "parti" qui considerate
della    delega.    L'indicazione   delle   strutture   oggetto   del
riordinamento,   come   pure  quella  del  personale  da  trasferire,
sarebbero da ritenere essenziali, nell'impianto della legge n. 59 del
1997,  per  dare  concretezza  ai  "conferimenti", e la loro mancanza
renderebbe viziato l'intero esercizio della delega.
    La  decima  censura,  sempre riferita agli articoli 76, 117 e 118
della  Costituzione,  riguarda  la mancata individuazione nel decreto
legislativo  delegato  di  strumenti  di  raccordo e cooperazione. La
regione  osserva  che  l'art. 3,  comma  1,  della  legge  di  delega
obbligava  il  Governo  a prevedere procedure e strumenti di raccordo
che  consentano  la  collaborazione  e  l'azione  coordinata tra enti
locali,  tra  regioni  e  tra  i  diversi  livelli  di  governo  e di
amministrazione  (lettera c); le modalita' per l'avvalimento da parte
dello Stato di uffici regionali e locali (lettera f); il conferimento
a  particolari strutture organizzative di funzioni che non richiedono
l'esercizio  esclusivo  da  parte  delle  regioni e degli enti locali
(lettera  g).  Tali  principi,  con  alcune limitate eccezioni (v. ad
esempio  l'art. 111, comma 1, del decreto legislativo), non sarebbero
stati  attuati dal decreto impugnato, mentre l'individuazione di tali
strumenti  di  raccordo  avrebbe  indotto,  secondo la regione, a non
operare  quei  ritagli  di  materia  a favore dello Stato di cui alle
precedenti censure.
    Con  l'undicesima  ed  ultima  censura  la  regione  impugna, per
violazione  degli  articoli  117 e 118 della Costituzione, l'art. 25,
comma 2, lettera g) del decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale
stabilisce   che   il   procedimento  amministrativo  in  materia  di
autorizzazione all'insediamento di attivita' produttive dovra' essere
disciplinato  con  uno  o  piu' regolamenti, i quali devono prevedere
che,  ove  il  progetto  contrasti con le previsioni di uno strumento
urbanistico,  si  possa  ricorrere alla conferenza di servizi, la cui
determinazione  (se  vi  e' accordo sulla variazione dello strumento)
costituisce   proposta   di   variante,   sulla  quale  si  pronuncia
definitivamente  il  consiglio comunale. Tale previsione e' censurata
in   quanto   lesiva   della   competenza  regionale  in  materia  di
urbanistica,   poiche'   esproprierebbe  la  regione  del  potere  di
concorrere alla definizione dell'assetto urbanistico.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  chiedendo  che le questioni sollevate dalla Regione Veneto
siano  dichiarate  inammissibili  o  comunque infondate, e osservando
quanto segue in relazione a ciascuna di esse.
    La prima questione sarebbe innanzitutto inammissibile per difetto
di  interesse  al  ricorso,  dovendosi  escludere che le disposizioni
censurate  abbiano  oggi (al momento della loro impugnazione da parte
della  regione)  una  portata lesiva. Al riguardo sarebbe sufficiente
rilevare  che  tali  disposizioni  sono  poste proprio a salvaguardia
dell'esito  dei conferimenti con l'ulteriore disposizione di chiusura
(art. 3,  comma  6,  del  decreto  legislativo impugnato), secondo la
quale  "i  decreti  del  Presidente del Consiglio dei ministri di cui
all'art. 7  della  legge  15 marzo 1997, n. 59, sono comunque emanati
entro  il  31 dicembre  1999": l'interesse al ricorso potrebbe se mai
divenire concreto solo successivamente a quella data.
    La  questione  sarebbe comunque infondata nel merito, in quanto i
procedimenti   previsti   dalle   disposizioni   censurate  sarebbero
finalizzati  proprio  ad  assicurare la certezza della emanazione dei
decreti   del  Presidente  del  Consiglio  per  rendere  operativi  i
conferimenti; e cio' in piena conformita' con l'art. 7 della legge di
delega,  che  demanda  al  decreto  del  Presidente  del Consiglio il
compito  di  attuare  i  decreti  legislativi sui conferimenti con le
scadenze  temporali  e  le  modalita'  dagli stessi previsti mediante
puntuale  individuazione e conseguente trasferimento dei beni e delle
risorse  finanziarie,  umane,  strumentali e organizzative ai diversi
enti territoriali. La ratio della norma delegante sarebbe evidente: i
decreti  legislativi  devono  provvedere  unicamente  al conferimento
delle  funzioni,  mentre  con l'ulteriore fase demandata all'atto del
Presidente  del Consiglio si deve dare attuazione e rendere operative
competenze  di cui gia' sono titolari gli enti territoriali in virtu'
dei  decreti  legislativi  di conferimento. L'atto del Presidente del
Consiglio,  in  altri  termini,  sarebbe  consequenziale all'avvenuto
trasferimento di funzioni, e concreterebbe un'attivita' essenziale ma
puramente  esecutiva.  Pertanto,  risulterebbe  infondata  la censura
concernente  l'incertezza  circa  l'effettivo  conferimento,  come si
evince  anche  dalla  previsione del termine del 31 dicembre 1999 per
l'emanazione  dei  decreti  del Presidente del Consiglio. In ipotesi,
certo,  tale termine potrebbe scadere inutilmente; ma soltanto allora
il  provvedimento  delegato diverrebbe oggetto di censura, e non gia'
perche'   il   legislatore   delegato   abbia   ora  reso  incerti  i
conferimenti,  bensi'  ed unicamente perche' non attuerebbe la delega
entro il termine previsto.
    La seconda questione sarebbe infondata. L'Avvocatura premette, in
proposito,  che la legge di delega ha rimesso alla competenza statale
da  un  lato  i  "compiti  di  rilievo  nazionale"  in alcune materie
(art. 1,  comma  4,  lettera  c), dall'altro la cura della promozione
dello  sviluppo economico, la valorizzazione dei sistemi produttivi e
la  promozione  della  ricerca applicata, definiti interessi pubblici
primari,  che lo Stato e gli altri enti locali assicurano nell'ambito
delle  rispettive  competenze  (art. 1,  comma 6): le due fattispecie
normative,  pur  avendo  una struttura differenziata, convergerebbero
per  le  finalita',  da rinvenire nella tutela dei valori che esigono
interventi  diretti  dello Stato. I "compiti di rilievo nazionale" si
riferirebbero   infatti   a  materie  astrattamente  suscettibili  di
regolamentazione  anche  da  parte  delle  autonomie  territoriali, e
proprio  per evitare problemi interpretativi su materie di competenza
potenzialmente   interferente,   il   legislatore  delegante  avrebbe
demandato  ai  decreti  legislativi  la  individuazione  dei  compiti
suddetti,   da   predisporre   previa   intesa   con   la  Conferenza
Stato-regioni,  quale  organo  di  concertazione  e  composizione dei
rispettivi   interessi,  ma  anche  di  tutela  nei  confronti  dello
Stato-apparato,  in  quanto  espressivo  degli interessi appartenenti
allo  Stato-comunita'.  Ai sensi dell'art. 1, comma 6, della legge di
delega, d'altra parte, lo Stato sarebbe chiamato a tutelare interessi
pubblici  primari,  ma nell'ambito della propria competenza: ed anche
in  questo  caso,  e  per le stesse ragioni di certezza giuridica, la
legge   di   delega   avrebbe   demandato   ai   decreti  legislativi
l'individuazione  tassativa delle funzioni e dei compiti da mantenere
in capo alle amministrazioni statali (art. 3, comma 1, lettera a). Le
censure della regione risulterebbero infondate, dal momento che tutte
le  disposizioni  impugnate  sarebbero  conformi alle due fattispecie
normative  descritte  dalla  legge  di  delega,  e  il  richiamo agli
ulteriori  criteri  direttivi,  stabiliti dall'art. 4, comma 3, della
legge  di delega, sarebbe inconferente, in quanto tali ultimi criteri
sarebbero   indirizzati   al   legislatore   delegato   ai  fini  del
conferimento  delle  funzioni  alle autonomie territoriali e non gia'
per quanto residua alla competenza dello Stato.
    In  relazione  alla terza questione, ritenuta parimenti infondata
anche sulla base delle medesime osservazioni svolte in relazione alla
precedente  questione,  l'Avvocatura erariale preliminarmente osserva
che  e'  privo di fondamento lo stesso presupposto dal quale muove la
Regione  Veneto,  secondo  cui  la  legge di delega avrebbe imposto i
conferimenti  alle  regioni  pur in assenza di un puntuale fondamento
costituzionale,  dal momento che, vigendo una Costituzione rigida, le
competenze   assegnate  allo  Stato  e  alle  regioni  non  sarebbero
"disponibili"  se  non  nei  limiti e con le modalita' previsti dalla
Costituzione.  Ed  infatti  la  nuova  disciplina sui conferimenti si
fonderebbe  su ben individuati parametri costituzionali, puntualmente
richiamati  dall'art. 1, comma 1, della legge di delega (artt. 5, 118
e  128 della Costituzione) e dall'art. 4, comma 1, della stessa legge
(art. 117 della Costituzione).
    Inoltre,   l'esame   specifico   delle   disposizioni   impugnate
dimostrerebbe  che  esse  sono  tutte avvalorate dalle relative norme
costituzionali.   Per   quanto   riguarda   l'art. 18   del   decreto
legislativo, in materia di industria, il legislatore delegato avrebbe
operato   in   coerenza   con   l'art. 118,   secondo   comma,  della
Costituzione,  mantenendo  la  competenza  allo Stato per gli aspetti
della   materia   non  localizzabili  in  ambito  regionale  (essendo
preminente  dare  attuazione  al  principio  di  completezza  di  cui
all'art. 4, comma 3, lettera b) della legge delega) e conferendo, con
lo  strumento  della delega, tutte le altre funzioni alle regioni. Le
stesse considerazioni varrebbero per l'art. 29, comma 2, del decreto,
in  materia  di  ricerca,  produzione,  trasporto  e distribuzione di
energia,   e   per   l'art. 33,  in  materia  di  miniere  e  risorse
geotermiche;   mentre  in  riferimento  all'art. 65,  in  materia  di
catasto,  servizi  geotopocartografici  e  conservazione dei registri
immobiliari,  accanto  alle  funzioni mantenute allo Stato si sarebbe
provveduto,  nel  quadro  dell'art. 128  della  Costituzione,  ad  un
conferimento   diretto  ai  comuni  per  le  funzioni  immediatamente
localizzabili  a  livello  locale.  Per quanto riguarda l'art. 85, in
materia  di  gestione  dei rifiuti, la disposizione terrebbe ferme le
competenze  gia'  disciplinate  con  il  d.lgs.  n. 22 del 1997 e dal
precedente art. 29 in materia di energia. Infine, in riferimento alle
altre disposizioni impugnate (art. 93, in materia di opere pubbliche;
art. 98, in materia di viabilita'; art. 104, in materia di trasporti;
art. 137,  in  materia di scuola), esse troverebbero fondamento negli
articoli 117, 118 e 128 della Costituzione.
    Il  quarto  motivo  del  ricorso sarebbe inammissibile, poiche' i
rilievi  della  regione  assumerebbero la natura di doglianze di mero
fatto. Il decreto legislativo risulterebbe infatti emanato sulla base
di  un  procedimento  conforme ai requisiti di forma prescritti dalla
Costituzione   e   in  osservanza  dei  limiti  ulteriori  posti  per
l'esercizio della delega: l'intesa con la Conferenza Stato-regioni in
ordine  all'individuazione  dei  compiti di rilievo nazionale sarebbe
stata  acquisita,  come  descritto  nel  preambolo,  in quanto l'atto
legislativo produrrebbe effetti unicamente per tutto cio' che in esso
e' affermato.
    La  quinta  censura  sarebbe  invece infondata, in quanto sarebbe
errata  l'interpretazione dell'art. 4, comma 1, della legge di delega
sulla  quale  si  fonda  il  ricorso  regionale:  in  osservanza  del
principio  di  sussidiarieta'  cui l'intera riforma si ispira (art. 1
della  legge  di  delega),  infatti,  si  imporrebbe  al  legislatore
delegato  di  utilizzare  tutte  le  potenzialita' insite nel sistema
costituzionale    delle    autonomie,   secondo   cui   le   funzioni
amministrative connesse a materie regionali debbono essere esercitate
"normalmente  in via di delega da comuni e province", nell'intento di
assicurare maggiore  avvicinamento  di  queste  funzioni alle realta'
locali.  L'art. 4,  comma  2, della legge di delega stabilisce bensi'
che  nelle  materie di cui all'art. 117 della Costituzione le regioni
conferiscono  alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte
le  funzioni  che  non  richiedono  l'unitario  esercizio  a  livello
regionale,  ma nella connessione organica e funzionale degli articoli
117  e  118  della  Costituzione,  secondo  la  difesa  statale, tale
disposizione  non  vieterebbe al legislatore delegato l'utilizzazione
del  primo comma dell'art. 118, e dunque la diretta attribuzione agli
enti  territoriali  di  alcune  funzioni  in  materie  proprie  delle
regioni.  Questa  interpretazione  sarebbe  confermata  dal  criterio
dell'art. 3,  comma  1,  lettera b) della stessa legge di delega, che
prevede  che  siano  indicati,  tra gli altri, i compiti da conferire
agli  enti  locali, territoriali o funzionali ai sensi degli articoli
128 e 118, primo comma, della Costituzione.
    La  sesta  censura  sarebbe  inammissibile  o comunque infondata.
Inammissibile,  perche'  le  doglianze  sulla  eccessiva brevita' del
termine  assegnato  alle regioni per il conferimento agli enti locali
involgerebbero questioni di fatto, attenendo ad eventuali difficolta'
materiali  per lo svolgimento di compiti prescritti dalla legge, e si
risolverebbero   in  affermazioni  apodittiche  e  comunque  tardive.
Infatti,  il  termine  di  sei  mesi,  gia' prescritto dalla legge di
delega  (art. 4,  comma  5),  sarebbe  stato meramente riprodotto dal
decreto  legislativo attraverso il richiamo della norma delegante. La
richiesta  regionale  che  la  Corte  sollevi  di  fronte a se stessa
questione  di  legittimita'  costituzionale  della  legge  di delega,
dunque,  sarebbe un mero espediente per eludere i termini del ricorso
in via principale.
    La  censura  sarebbe in ogni caso infondata nel merito, in quanto
la  ratio sottesa alle disposizioni dettate dal legislatore delegante
presupporrebbe  la  "contestualita'  logica"  dei  conferimenti dallo
Stato  alle  regioni  e  da  queste  agli  enti locali minori, che si
evincerebbe  dai criteri dettati dall'art. 3, comma 1, della legge di
delega,  ed  in  particolare  dal  principio  di sussidiarieta'. Tale
contestualita' logica sarebbe sancita proprio dall'art. 3 del decreto
legislativo,  la' dove esige che il procedimento di conferimento agli
enti  locali  avvenga secondo i principi stabiliti dall'art. 4, comma
3,  della  legge  di  delega.  In  quest'ottica di salvaguardia della
effettivita'  e completezza dei conferimenti delineati dalla legge di
delega   si   giustificherebbe  anche  l'intervento  sostitutivo  del
Governo,  con  effetti provvisori, nell'ipotesi in cui le regioni non
provvedano nel termine prescritto.
    La  settima  questione, sollevata in relazione all'art. 119 della
Costituzione, sarebbe infondata. Secondo la difesa erariale, infatti,
a  causa  dell'andamento fluttuante dei cicli finanziari di entrata e
di  spesa, il legislatore delegato ha dovuto, per i beni e le risorse
utilizzate  dallo Stato, fissare un arco temporale pluriennale, da un
minimo  di  tre  anni  ad  un  massimo  di cinque, precedente la data
dell'attribuzione  alle  regioni  e agli enti locali: cio' al fine di
calcolare   le   risorse   disponibili   in   un   periodo  di  tempo
sufficientemente  attendibile  per  un  utilizzo a regime ed idoneo a
dare  la  massima certezza possibile alla quantita' di beni e risorse
da  trasferire.  La  certezza  delle  risorse da trasferire, inoltre,
sarebbe  provata  dalle  disposizioni  di  cui  all'art. 7,  comma 3,
lettere   d)   (recte:  b)  e  c),  che  impongono  di  tenere  conto
dell'andamento  complessivo  delle spese finali iscritte nel bilancio
dello   Stato   e  dei  contenuti  dei  documenti  di  programmazione
economico-finanziaria approvati dalle Camere.
    Anche   l'ottava   questione,   sollevata   sempre  in  relazione
all'art. 119  della  Costituzione, sarebbe infondata, dal momento che
nell'attuazione    della    disposizione    impugnata   si   dovrebbe
necessariamente   tenere  conto  dell'intero  sistema  delineato  dal
legislatore delegante e delegato. La previsione in base alla quale la
legge  regionale di cui all'art. 3, comma 1, del decreto legislativo,
debba  essere  adottata  da  ciascuna  regione, ai sensi dell'art. 4,
commi  1  e 5, della legge di delega, entro sei mesi dalla emanazione
del  decreto  legislativo,  e  debba  determinare  in  conformita' al
proprio   ordinamento   le  funzioni  amministrative  che  richiedono
l'unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente
a   conferire   tutte   le  altre  agli  enti  locali,  discenderebbe
direttamente  dai  principi  di  cui alla legge n. 142 del 1990 e, in
particolare,  dal principio di sussidiarieta'. Il richiamo ai commi 1
e  5 dell'art. 4 della legge di delega, infatti, non lascerebbe dubbi
sul  fatto  che  oggetto  della  norma  impugnata sono i compiti e le
funzioni   gia'   di   competenza  regionale  nelle  materie  di  cui
all'art. 117  della  Costituzione,  che  non  richiedono  un unitario
esercizio a livello regionale: in ordine a tali compiti e funzioni le
regioni  sarebbero  gia' titolari di beni e risorse, e sarebbe quindi
possibile   dare   contestuale  operativita'  ai  conferimenti,  come
previsto   appunto  dalla  disposizione  impugnata.  Una  conferma  a
contrario si evincerebbe dall'art. 7, comma 1, lettera d) del decreto
impugnato, che espressamente prevede che "in caso di delega regionale
agli  enti locali, la legge regionale attribuisce ai medesimi risorse
finanziarie  tali  da  garantire  la  congrua  copertura  degli oneri
derivanti  dall'esercizio  delle funzioni delegate, nell'ambito delle
risorse  a  tale  scopo  effettivamente  trasferite  dallo Stato alle
regioni".
    Infondato  sarebbe  anche il nono motivo di censura, in quanto la
questione  si baserebbe su una errata interpretazione sia della legge
di  delega  che  del  decreto  legislativo. L'Avvocatura premette che
l'art. 3,  comma 1, lettera d), della legge n. 59 del 1997 demanda ai
decreti  legislativi  previsti  dal precedente art. 1 di procedere al
riordino  delle  strutture  centrali  e  periferiche  interessate dal
conferimento  "con  le  modalita'  e  nei  termini di cui all'art. 7,
comma 3",  che  a  sua volta dispone che al riordino si provvede, con
regolamento,  entro  novanta giorni dalla adozione di ciascun decreto
di  attuazione  di cui al comma 1 dello stesso articolo 7 (ovvero dei
decreti  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  di  puntuale
individuazione dei beni e delle risorse da trasferire alle regioni ed
agli  enti  locali).  In  ottemperanza  a  quanto dispone la legge di
delega, il legislatore delegato ha stabilito (art. 9) che al riordino
delle  strutture  centrali  e  periferiche si provvede "con i decreti
previsti dagli articoli 7, 10 e 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59".
Pertanto,  risulterebbe evidente la consequenzialita' della procedura
di  riordino delle strutture centrali e periferiche, da attuarsi solo
dopo  avere proceduto alla individuazione dei beni e delle risorse da
trasferire alle autonomie territoriali. Solo successivamente a questa
operazione,  che  rende concreti e certi nella misura i conferimenti,
sarebbe  possibile - secondo l'Avvocatura - procedere con altrettanta
certezza  al riordino con i diversi strumenti previsti dagli artt. 7,
10 e 11 della legge di delega.
    Analoga  argomentazione  viene  richiamata  per  l'individuazione
delle  modalita'  e delle procedure per il personale da trasferire di
cui all'art. 3, comma 1, lettera d) della legge di delega.
    Infine,   per   quanto   riguarda  le  disposizioni  del  decreto
legislativo  con  le  quali  la  ricorrente  regione asserisce che il
legislatore  delegato  avrebbe  proceduto ad una indebita autodelega,
l'Avvocatura  rileva  che  per  casi specifici il decreto delegato ha
anticipato  il  riordino  con  norme  singolari, compiendo una scelta
consentita nell'ambito della discrezionalita' spettante al Governo.
    La  difesa  statale  ritiene anche infondata la decima questione,
relativa  alla  mancata  individuazione degli strumenti di raccordo e
cooperazione.  La  lettura sistematica delle disposizioni del decreto
legislativo   impugnato  confermerebbe  che  il  principio  di  leale
collaborazione, in diversa guisa e con molteplici strumenti, e' stato
assunto  come base essenziale per i conferimenti, divenendo principio
informatore  del nuovo assetto dei rapporti fra i soggetti coinvolti,
come  dimostrerebbe il ruolo attribuito alla Conferenza Stato-regioni
ed  alla Conferenza Stato-citta'. Quanto al principio di avvalimento,
esso  costituirebbe,  per  disposto  della  legge di delega, criterio
sussidiario  per  l'esercizio  del  potere  delegato, occorrente solo
nelle  ipotesi  in  cui  vi  siano  difficolta' giuridiche ad attuare
compiutamente il principio di sussidiarieta'; e, poiche' il principio
di  sussidiarieta'  ha guidato l'intera stesura normativa del decreto
delegato, gli spazi disciplinati mediante il principio di avvalimento
risulterebbero residuali.
    Anche l'ultima questione sarebbe infondata, in quanto proposta in
termini  perentori  ed  "assolutistici",  proprio in un campo, quello
dell'autorizzazione  all'insediamento di attivita' produttive, in cui
l'articolazione degli interessi e delle competenze e' particolarmente
complessa.   Secondo   l'Avvocatura   il  procedimento  previsto  non
risulterebbe  lesivo della competenza regionale, in quanto la regione
partecipa  alla  conferenza  di  servizi di cui all'art. 25, comma 2,
lettera g), del decreto legislativo e solo se vi e' il suo accordo la
determinazione   costituisce  proposta  di  variante  allo  strumento
urbanistico.
    3. - Nell'imminenza   dell'udienza   pubblica,   fissata  per  il
4 aprile  2000,  ha  depositato  memoria  la sola regione ricorrente,
insistendo per l'accoglimento del ricorso.
    Quanto  al  primo  motivo  di ricorso, concernente la mancanza di
certezza  nei  conferimenti di funzioni, in violazione della legge di
delega,  la  regione, nel ribadire che il decreto impugnato, violando
la  legge di delega, non avrebbe operato alcun concreto trasferimento
di  funzioni,  ad  eccezione  di  quelli  previsti  dalle poche norme
richiamate  nel  ricorso,  afferma che tale conclusione e' confermata
dal   disposto  dell'art. 2,  lettera  b),  del  decreto  legislativo
correttivo  n. 443  del 1999, di modifica dell'art. 19, comma 12, del
decreto legislativo impugnato. Quest'ultima disposizione, concernente
le   incentivazioni   alle   imprese,   disponeva   che   le  regioni
subentrassero  alle  amministrazioni  statali nelle convenzioni dalle
medesime stipulate "ed in vigore alla data di emanazione del presente
decreto  legislativo e stipulando, ove occorra, atti integrativi alle
convenzioni   stesse   per   i   necessari   adeguamenti",  con  cio'
singolarmente  presupponendo una competenza regionale a partire dalla
emanazione  del  decreto  n. 112.  La  regione  rileva che il decreto
correttivo  ha  invece  disposto  che  le regioni subentreranno nelle
convenzioni  "in vigore alla data di effettivo trasferimento e delega
delle  funzioni  disposte  dal  presente decreto legislativo": con la
conseguenza   che   fino   a  quella  data  rimangono  competenti  le
amministrazioni statali.
    Inoltre, la regione osserva che in base all'art. 7 della legge di
delega  i  previsti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri
dovevano servire unicamente "alla puntuale individuazione" dei beni e
delle  risorse da trasferire, e dunque i mezzi economici in questione
avrebbero  dovuto  essere  complessivamente gia' indicati dai decreti
legislativi  di  trasferimento,  e  cita,  quale  esempio  di un modo
corretto di operare, il decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463,
recante  norme di attuazione dello statuto speciale del Trentino-Alto
Adige,  con  il  quale  si  e' provveduto a conferire contestualmente
funzioni,  mezzi  e  personale. Al contrario il Governo, adottando le
norme   impugnate,   avrebbe   rinviato  ai  successivi  decreti  del
Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  il  compito  di  attuare
direttamente la delega legislativa.
    In  relazione al secondo motivo di ricorso, la memoria regionale,
riprendendo l'impostazione del ricorso introduttivo, ribadisce che la
legge di delega avrebbe indicato un criterio di lettura delle materie
regionali  assolutamente  ampio e favorevole alle regioni, secondo il
quale nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione il Governo
avrebbe  dovuto trattenere in capo allo Stato solo i compiti previsti
dalla  legge  stessa.  Tale  interpretazione  della  legge  di delega
avrebbe trovato, secondo la memoria regionale, significativa conferma
nella  previsione  dell'art. 1,  comma 2, della legge 16 giugno 1998,
n. 191,  che,  integrando  l'art. 1,  comma  3, della legge n. 59 del
1997,  ha  escluso  dai  conferimenti  anche  le funzioni relative ai
"trasporti  aerei, marittimi e ferroviari di interesse nazionale": il
legislatore  del 1998 sarebbe infatti intervenuto sul presupposto che
gli  aspetti  ed i profili di interesse nazionale di tutte le materie
conferite  non potessero essere sottratti agli enti locali sulla base
di  una  clausola generale gia' implicita nella legge di delega. Ne',
in  contrario, potrebbe valere il richiamo all'art. 1, comma 2, della
legge  di  delega,  a  norma del quale sono conferiti alle regioni le
funzioni  e  i  compiti  "relativi  alla  cura degli interessi e alla
promozione dello sviluppo delle rispettive comunita'", nonche' quelli
"localizzabili  nei  rispettivi  territori":  tale comma non potrebbe
essere   inteso   come  riconoscimento  di  un  generalizzato  potere
governativo  di riserva di funzioni allo Stato, poiche' altrimenti si
dovrebbe  ammettere,  ad  esempio,  l'inutilita'  di tutto il comma 3
dello stesso articolo 1.
    Anche  in  relazione  al  terzo  motivo  del  ricorso  la  difesa
regionale  insiste  sull'illegittimita' delle disposizioni impugnate,
nelle  parti  in cui pongono riserve di funzioni a favore dello Stato
non  riconducibili a puntuali titoli giustificativi posti dalla legge
di  delega. In materia di energia rimarrebbero prive di fondamento in
particolare  le  riserve  di  cui all'art. 18 del decreto legislativo
impugnato,  lettere  a),  b),  d), e), i), m), n), o); molte di esse,
inoltre,  sarebbero  riserve  "in  bianco",  e vanificherebbero cosi'
l'obbligo di tassativita', in quanto non definirebbero esattamente la
funzione   trattenuta,   ma  farebbero  riferimento  ad  aspetti  non
ulteriormente  qualificati di "interesse nazionale". Anche in materia
di  energia  molte  delle  riserve  puntuali  a  favore  dello  Stato
sarebbero   di  ardua  giustificazione,  quali  quelle  dell'art. 29,
lettere  f),  g),  l),  n),  o).  La stessa formulazione dell'art. 85
attesterebbe  poi che in materia di rifiuti niente sia stato delegato
dallo  Stato.  Quanto all'art. 93 del decreto legislativo, la regione
ammette  che  le  funzioni  di  cui  al  comma 1, lettera c), possono
trovare  corrispondenza  nell'art. 1, comma 4, lettera b) della legge
di  delega,  ma esclude che altrettanto possa dirsi per le riserve di
cui  alle  lettere  f)  e  g), o per quelle previste dall'art. 98, in
particolare  lettere  a),  d),  f),  g),  h). Quanto alla materia dei
trasporti,  molti  sarebbero i casi in cui, tradendo il disegno della
legge  di  delega  (che  voleva  riservare  solo  le  funzioni di cui
all'art. 1,  comma 3, lettera r-bis e comma 4, lettera b), il decreto
legislativo  impugnato avrebbe trattenuto in capo allo Stato funzioni
il  cui  esercizio  sarebbe  facilmente localizzabile sul territorio.
Infine, quanto all'art. 137, esso sarebbe chiaramente illegittimo per
la  parte  in  cui  non riguarda gli oggetti considerati dall'art. 1,
comma 3, lettera q), della legge di delega.
    Sul  quarto motivo di ricorso, la regione afferma che spetta alla
Corte  costituzionale  appurare  "il  fatto"  della mancata intesa in
Conferenza   Stato-regioni   sui   compiti   di   rilievo  nazionale,
eventualmente  facendo uso dei poteri istruttori; e che, comunque, il
motivo  del  ricorso  sarebbe  ammissibile,  contrariamente  a quanto
sostenuto  dalla  difesa  erariale, in quanto la Corte costituzionale
avrebbe  gia'  in passato sindacato il procedimento di formazione dei
decreti  legislativi,  anche  per  cio'  che  attiene  alla  avvenuta
acquisizione  di  pareri  o altri atti endoprocedimentali, imposti da
norme costituzionali o dalle leggi di delega.
    Sulla  quinta  censura,  la difesa regionale afferma che, in base
alla  legge  di  delega,  nelle  materie regionali il Governo non era
abilitato  ad  attuare  direttamente  l'ultima  parte del primo comma
dell'art. 118  della Costituzione. Cio' risulterebbe sia dall'art. 4,
commi  1  e 2, della legge di delega, sia dal successivo comma 5, che
rinvia  all'art. 3  della legge n. 142 del 1990, il quale, attraverso
il  richiamo  all'art. 118,  primo comma, della Costituzione, prevede
che   spetta   alla   regione  individuare  i  compiti  di  interesse
esclusivamente  locale da attribuire a province e comuni; sia, anche,
dall'interpretazione  dell'art. 3 della legge n. 142 del 1990 e della
stessa legge di delega fornita dalla Corte costituzionale.
    Quanto  alla  sesta  censura,  la  regione,  replicando  alle due
eccezioni   di   inammissibilita'  proposte  dalla  difesa  erariale,
ricorda,   quanto   alla   prima,   che  gia'  in  passato  la  Corte
costituzionale  ha  valutato  nel  merito la congruita' di un termine
assegnato  alle  regioni  per  esprimere  un  parere;  e, quanto alla
seconda,  che  la questione non sarebbe stata sollevata tardivamente,
poiche'  l'art. 3  del  decreto  legislativo  avrebbe novato la fonte
precedente  (l'art. 4,  comma 5, della legge di delega), ponendo esso
direttamente la norma impugnata.
    Con riguardo alla settima questione, la ricorrente insiste per il
suo  accoglimento,  affermando,  fra  l'altro, che la legge di delega
(artt. 4,  comma  3,  lettera  i),  e  7,  comma  1, ultimo periodo),
conformemente  all'art. 119  della  Costituzione,  avrebbe posto come
principio  non  il  trasferimento  di quanto speso dallo Stato, ma di
quanto  e'  congruo  rispetto  alle  competenze che alle regioni sono
conferite; e ribadisce che l'art. 7, comma 3, del decreto legislativo
comunque  non  consentirebbe di stabilire di quali risorse le regioni
potranno disporre per svolgere le funzioni conferite.
    Quanto all'ottava questione, la difesa regionale precisa che essa
e'  logicamente  subordinata  al  mancato  accoglimento della settima
censura,  in  quanto  se  non fosse incostituzionale che lo Stato non
abbia  operato  i  trasferimenti  economici necessari, allora sarebbe
illegittimo  che  il  medesimo Stato li imponga alle regioni a favore
degli  enti  locali.  Osserva poi che se fosse vera l'interpretazione
dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo fornita dall'Avvocatura
dello  Stato,  secondo  cui  oggetto  di  conferimento da parte delle
regioni nei confronti degli enti locali sarebbero solo i compiti e le
funzioni dell'art. 117 della Costituzione di cui le regioni sono gia'
titolari,  allora  si dovrebbe dire che esclusivamente quei compiti e
funzioni  siano  oggetto  del  potere sostitutivo dello Stato, e cio'
rileverebbe in sede di giudizio nei confronti del decreto legislativo
n. 96 del 1999, pure impugnato dalla Regione Veneto, con cui lo Stato
ha esercitato il potere sostitutivo.
    Con  riferimento  al  nono  motivo  di ricorso, in primo luogo la
regione   ribadisce   la  propria  legittimazione  a  far  valere  la
violazione  del  principio  della  legge  di  delega  che imponeva di
provvedere  al  riordino  delle  strutture  statali,  in  quanto tale
violazione,  essendo  una  delle  cause dei ritardi nell'adozione dei
provvedimenti  di  cui  all'art. 7  della legge di delega, si sarebbe
tradotta   nella  violazione  dei  connessi  criteri  concernenti  il
trasferimento  delle  funzioni  alle  regioni;  e,  in secondo luogo,
ricorda  che  la  sua  contestazione  riguarda  la circostanza che il
Governo  non  abbia  provveduto,  con  lo  stesso decreto legislativo
impugnato,  a  riordinare  nella  sostanza le strutture statali, come
sarebbe  stato  invece  necessario  per  individuare funzioni, beni e
personale da trasferire.
    Quanto  al  decimo  motivo di ricorso, la regione precisa che gli
"strumenti di collaborazione", che il decreto legislativo non avrebbe
individuato,  in  violazione  della legge di delega, sono quelli che,
senza   disconoscere  la  spettanza  delle  competenze,  e  lasciando
inalterata   la  distinzione  delle  responsabilita',  consentono  ai
diversi enti di coordinare la loro azione.
    La  regione  insiste  anche per l'accoglimento dell'ultimo motivo
del  ricorso  e,  ricordando  che  l'art. 25,  comma  2,  del decreto
legislativo  la  esproprierebbe  delle  competenze che le spettano in
materia  urbanistica, aggiunge che tale disposizione la vincolerebbe,
tra l'altro, al rispetto di una fonte governativa regolamentare, alla
quale  non  potrebbe  essere  tenuta  in  assenza  di puntuali titoli
giustificativi.
    Nel  concludere  la memoria, la regione ribadisce che l'eventuale
declaratoria  di illegittimita' costituzionale di alcune disposizioni
del decreto legislativo impugnato, a causa della loro centralita' nel
sistema  delineato  dal Governo, non potrebbe non travolgere l'intero
decreto; e insiste nelle sue richieste, pur dichiarandosi consapevole
del  rischio che tale declaratoria rallenti il processo di attuazione
e sviluppo del disegno costituzionale delle autonomie.
    4. - Con  ricorso  notificato il 28 dicembre 1999 e depositato il
5 gennaio 2000 (r. ric. n. 1 del 2000) la Regione Veneto ha sollevato
questione   di   legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli
articoli 76, 117 e 118 della Costituzione, degli articoli 1, 3, 6, 8,
11,  13,  14,  15,  16  e 17 del decreto legislativo 29 ottobre 1999,
n. 443   (Disposizioni   correttive   ed   integrative   del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e
compiti  amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali).
Il decreto legislativo n. 443 sarebbe affetto, secondo la regione, in
parte  dai  medesimi  vizi  evidenziati  nei  confronti  del  decreto
legislativo  n. 112  del  1998  dalla  stessa  Regione  Veneto con il
ricorso iscritto al r. ric. n. 25 del 1998, di cui sopra, in parte da
vizi diversi. Le censure sono suddivise in cinque motivi.
    La  prima  censura  investe  l'intero  decreto  legislativo,  nei
riguardi  del  quale  la  regione denuncia la violazione dell'art. 76
della  Costituzione,  per  avere  il  Governo  adottato  disposizioni
"correttive" in assenza del relativo presupposto giustificativo.
    La  regione ricorda che il decreto legislativo impugnato e' stato
emanato sulla base dell'art. 10 della legge di delega n. 59 del 1997,
come  risultante  dalle  modifiche di cui all'art. 1, comma 11, della
legge 16 giugno 1998, n. 191, all'art 9, comma 6, della legge 8 marzo
1999, n. 50, e all'art. 1 della legge 29 luglio 1999, n. 241. Secondo
la  difesa  regionale, la disposizione di delega conterrebbe, oltre a
quelli puntualmente indicati, anche un ulteriore limite, implicito ma
necessitato,  secondo  il  quale le "correzioni" e le "integrazioni",
che  il  Governo  intende  apportare  ai decreti base, devono trovare
fondamento  e giustificazione in esigenze e fatti obiettivi insorti e
verificatisi   dopo   l'esercizio   del   potere  attribuito  in  via
principale.  Solo  in  tal  modo  si riuscirebbe a dare un senso alla
distinta  previsione,  nella  legge  di  delega,  di  un  termine per
l'emanazione  di  uno  o piu' decreti legislativi di disciplina della
materia,  e  di  un  ulteriore  termine per le norme correttive: e se
cosi' non fosse, a parere della ricorrente, le norme correttive altro
non  sarebbero  che il frutto di una delega esercitata fuori termine,
la  quale  porterebbe  con  se'  l'effetto  di  rendere "precario" il
decreto  base.  La regione afferma che nel caso di specie non sarebbe
rinvenibile   ne'  nel  decreto  ne'  aliunde  una  qualche  esigenza
obbiettiva per l'adozione del decreto correttivo, e le correzioni non
sarebbero  comunque  state  imposte  dalla  pratica  applicazione del
decreto  n. 112  del  1998,  posto  che  esso  sarebbe tuttora "carta
straccia"  per  la  perdurante  mancanza  dei trasferimenti, da parte
dello  Stato,  delle  risorse  finanziarie necessarie. L'elusione del
termine  della  delega  sarebbe  dunque l'unica giustificazione delle
norme  del  decreto  legislativo  n. 443  del  1999  impugnate  dalla
regione.
    La  seconda  censura  investe  alcune  disposizioni  del  decreto
legislativo   che   riservano   allo  Stato  compiti  e  funzioni,  e
precisamente:   l'art. 1,   che   modifica   l'art. 18   del  decreto
legislativo  n. 112  del 1998, mantenendo alla competenza statale "la
definizione   di  norme  in  materia  di  metrologia  legale"  e  "la
omologazione  di  modelli  e  strumenti  di  misura";  l'art. 8,  che
modifica   l'art. 48   del   decreto  legislativo  n. 112  del  1998,
mantenendo   alla  competenza  statale  le  funzioni  concernenti  la
promozione  e il sostegno alla costituzione di consorzi tra piccole e
medie  imprese  industriali,  commerciali  e  artigiane, qualora tali
consorzi  abbiano  carattere multiregionale; e l'art. 11, di modifica
dell'art. 104 del decreto legislativo n. 112 del 1998, nella parte in
cui  mantiene alla competenza statale le funzioni relative agli esami
per  i  conducenti  di  unita'  da  diporto  nautico e al rilascio di
patenti,   di  certificati  di  abilitazione  professionale,  patenti
nautiche  e di loro duplicati e aggiornamenti. Nei riguardi di queste
disposizioni,  la  regione  denuncia la violazione degli articoli 76,
117 e 118 della Costituzione.
    La  difesa  regionale  ricorda  che l'art. 3, comma 1, lettera a)
della  legge  n. 59  del  1997 ha demandato ai decreti legislativi di
individuare  "tassativamente  le funzioni e i compiti da mantenere in
capo  alle  amministrazioni  statali",  e  che  cio'  sarebbe  dovuto
avvenire  "ai  sensi  e  nei  limiti  di  cui  all'art. 1". L'art. 1,
tuttavia,  non  prevederebbe affatto una clausola generale di riserva
allo  Stato  di compiti di "interesse nazionale", bensi' prevederebbe
singole  -  per  quanto numerose - ipotesi, ora con la esclusione dai
conferimenti  di  intere  materie (comma 3), ora con la esclusione di
compiti   che  astrattamente  sarebbero  ricaduti  nelle  materie  da
conferire  (comma  4).  Secondo la ricorrente, questa sarebbe l'unica
interpretazione  dell'art. 1  della  legge  di delega che consente di
attribuire  un qualche significato alla disposizione del suo comma 4:
infatti,  se  la riserva di compiti di interesse nazionale fosse gia'
stata  implicita  nel  sistema  e ricavabile dall'art. 1, comma 2, le
minuziose  ipotesi  del  comma  4  risulterebbero  del tutto prive di
senso. E nemmeno sarebbe stata necessaria l'integrazione dell'art. 1,
comma  3,  della  legge di delega operata dall'art. 1, comma 2, della
legge  n. 191  del  1998,  che  ha escluso dai conferimenti (anche) i
"trasporti  aerei,  marittimi  e  ferroviari di interesse nazionale":
sarebbe  evidente,  infatti,  secondo  la  difesa  regionale,  che il
legislatore  del 1998 sia intervenuto sul presupposto che gli aspetti
e  i  profili  di "interesse nazionale" di tutte le materie conferite
non  potessero  essere  sottratti  agli enti locali sulla base di una
clausola  generale  gia'  implicita  nella  legge di delega. Le nuove
riserve  di  competenza  allo  Stato disposte dal decreto correttivo,
inoltre,  sarebbero  in  contrasto  con  i  criteri  direttivi di cui
all'art. 4,  comma  3, della legge di delega, ed in particolare con i
principi  di  completezza  (lettera b), di unicita' e responsabilita'
dell'amministrazione (lettera e), e di omogeneita' (lettera f).
    La   regione   insiste  in  particolare  sulla  censura  relativa
all'art. 11,  che  modifica l'art. 104 del decreto legislativo n. 112
del  1998:  il  ri-trasferimento  allo  Stato  della  funzione non si
spiegherebbe,  in  quanto  alle province rimangono varie funzioni che
implicano  controlli  tecnici  su autoscuole e scuole nautiche, oltre
che   esami   per   il  riconoscimento  dell'idoneita'  dei  relativi
istruttori  (art. 105,  lettere  a)  e  c)  del  decreto  legislativo
n. 112);  inoltre,  proprio  la modifica della legge di delega di cui
alla  legge  n. 191  del  1998  confermerebbe  che  tutte le funzioni
ricadenti   nella  materia  dei  trasporti  avrebbero  dovuto  essere
trasferite,  con  la sola eccezione dei "trasporti aerei, marittimi e
ferroviari di interesse nazionale".
    La  terza censura investe le disposizioni del decreto legislativo
impugnato  che  secondo  la  regione  avrebbero  riservato allo Stato
"compiti  di  rilievo  nazionale"  senza  osservare  il  procedimento
stabilito  dalla legge di delega, violando cosi' gli articoli 76, 117
e  118  della  Costituzione.  Si  tratta  dell'art. 3,  in materia di
energia,  che  opera  una  duplice  modifica dell'art. 29 del decreto
legislativo  n. 112  del  1998; degli articoli 13 e 14, in materia di
protezione civile, che modificano gli articoli 107 e 108 dello stesso
decreto;  degli  articoli  15, 16, e 17, in materia di salute umana e
sanita'  veterinaria,  che modificano gli articoli 112, 115 e 119 del
decreto  n. 112.  Per  tali  disposizioni,  afferma la ricorrente, il
Governo  avrebbe  dovuto  seguire  la  procedura imposta dall'art. 1,
comma  4,  lettera  c), della legge di delega, e cioe' avrebbe dovuto
predisporre  lo  schema del decreto legislativo "previa intesa con la
Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  Stato, le regioni e le
province  autonome".  A  nulla  varrebbe,  secondo  la ricorrente, la
circostanza  che  il  preambolo  del  decreto  legislativo  dia  atto
dell'acquisizione dell'intesa: l'intesa sarebbe infatti mancata, e il
vizio  procedimentale  emergerebbe  chiaramente dall'esame dei lavori
della  Conferenza  (sedute  del 25 giugno 1999 e del 1o luglio 1999),
per i motivi che seguono.
    In  primo  luogo,  dall'art. 3 del decreto legislativo n. 281 del
1997   si  evincerebbe  che  per  il  raggiungimento  dell'intesa  e'
necessario  l'assenso  di  tutti  i  presidenti  delle  regioni, e la
circostanza  sarebbe  confermata  dall'art. 2,  comma 2, dello stesso
decreto, il quale consente che solo per alcune deliberazioni, diverse
da    quella    relativa    all'intesa,    l'assenso   sia   espresso
dalla maggioranza    dei   presidenti   "componenti   la   Conferenza
Stato-regioni, o da assessori da essi delegati a rappresentarli nella
singola  seduta".  Nelle  due sedute di cui si discute, al contrario,
non erano affatto presenti tutti i presidenti delle regioni, e dunque
non sarebbe stata sancita una valida intesa.
    In  secondo  luogo,  nella  seduta  del 25 giugno (e dunque nella
seduta  in  cui  sono state esaminate tutte le disposizioni impugnate
con il presente motivo di ricorso, ad eccezione dell'art. 16, lettera
c) del decreto correttivo, che introduce il comma 3-ter dell'art. 115
del  decreto base), essendo presenti solo 7 presidenti e 4 assessori,
la   deliberazione   non   avrebbe   potuto  neanche  essere  assunta
a maggioranza dei componenti, che sono 22.
    In  terzo  luogo,  il  testo  dell'art. 3 del decreto legislativo
correttivo,  che  modifica l'art. 29, comma 2, lettera b) del decreto
base, sarebbe diverso da quello sul quale si sarebbe formata l'intesa
(la  modifica  dell'art. 29  riserva  allo Stato le funzioni relative
alle  determinazioni  inerenti  l'importazione,  l'esportazione  e lo
stoccaggio  di  energia  "limitatamente  allo stoccaggio di metano in
giacimento",  mentre il testo dell'intesa prevedeva che tali funzioni
fossero   riservate  "limitatamente  allo  stoccaggio  di  metano  in
giacimento,  allo stoccaggio di oli minerali di capacita' superiore a
mc.  80.000  e di gas di petrolio liquefatti di capacita' superiore a
mc. 400").
    Infine,  non  varrebbe  ad escludere i vizi procedimentali appena
esposti  la  considerazione  che  richiedendo,  ai  fini dell'intesa,
l'unanimita'  o la maggioranza assoluta delle regioni, si impedirebbe
al  Governo  di esercitare il potere delegato: sia l'art. 2, comma 4,
lettera  c),  della  legge n. 59 del 1997, sia l'art. 3, comma 3, del
decreto  legislativo n. 281 del 1997, infatti, prevedono e consentono
che,  in  mancanza  dell'intesa,  il  Consiglio dei ministri deliberi
motivatamente  in  via definitiva. Nel caso di specie, tuttavia, tale
circostanza non si sarebbe verificata.
    La quarta censura ha ad oggetto l'art. 16 del decreto legislativo
correttivo,   nella   parte   in  cui,  aggiungendo  il  comma  3-ter
all'art. 115  del decreto legislativo n. 112 del 1998, stabilisce che
l'esercizio  delle funzioni - statali e regionali - di cui ai commi 3
e 3-bis dello stesso articolo, in materia di tutela della salute, "e'
regolato  sulla  base  di  modalita' definite con apposito accordo da
approvare  in  Conferenza  Stato-regioni,  ai  sensi  dell'art. 4 del
decreto  legislativo  29 agosto  1997,  n. 281".  Tale  disposizione,
secondo   la  regione,  violerebbe  gli  articoli  117  e  118  della
Costituzione,  in  quanto  condizionerebbe  l'esercizio  di  funzioni
regionali  ad  accordi  tra  Governo  e  regioni,  ed  in particolare
subordinerebbe all'accordo in sede di Conferenza non solo le funzioni
amministrative  regionali,  ma  anche la stessa attivita' legislativa
delle  regioni;  e  violerebbe anche l'art. 76 della Costituzione, in
quanto l'art. 2, comma 2, della legge n. 59 del 1997 fa espressamente
salva  la  potesta'  normativa  delle regioni e degli enti locali per
quanto   attiene   alla  "disciplina  della  organizzazione  e  dello
svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti".
    La  quinta  ed  ultima  censura  riguarda  l'art. 6  del  decreto
legislativo  correttivo, che modifica l'art. 40, comma 1, del decreto
legislativo   n. 112   del   1998,   conservando   allo  Stato  anche
"l'attivita' regolamentare in materia di somministrazione al pubblico
di  alimenti e bevande e di commercio dei pubblici esercizi, d'intesa
con   le   regioni".   La  disposizione,  nel  riservare  allo  Stato
l'"attivita'  regolamentare",  e  cioe'  la  funzione  complessiva di
disciplina  normativa nella materia, sarebbe incostituzionale sia per
violazione  degli  articoli  117  e  118  della Costituzione, sia per
eccesso  di  delega,  in  relazione  all'art. 2, comma 1, della legge
n. 59 del 1997.
    E infatti, se si ritiene che la materia del commercio sia propria
delle  regioni in quanto ricompresa nella locuzione "fiere e mercati"
di  cui all'art. 117 della Costituzione (come lascerebbe intendere il
legislatore  delegato all'art. 41, comma 2, lettera d laddove dispone
che   siano   trasferite  alle  Regioni  le  funzioni  amministrative
concernenti  le competenze gia' delegate ai sensi dell'art. 52, comma
1, del d.P.R. n. 616 del 1977, e cioe' anche le funzioni relative "ai
pubblici  esercizi  di  vendita e consumo di alimenti e bevande"), il
legislatore non avrebbe potuto prevedere che l'attivita' normativa ed
amministrativa  delle  regioni  fosse vincolata a fonti regolamentari
statali. Ma se anche si ritenesse che tali compiti siano delegati, il
divieto  di condizionarli a fonti subprimarie dello Stato deriverebbe
quanto  meno dal secondo periodo dell'art. 2, comma 1, della legge di
delega,  il  quale  demanda  direttamente  alle regioni "il potere di
emanare  norme attuative ai sensi dell'art. 117, secondo comma, della
Costituzione":  potere  che  sarebbe  invece  negato  dal legislatore
delegato con la disposizione censurata.
    5. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,   chiedendo   che  il  ricorso  della  Regione  Veneto  sia
dichiarato  inammissibile  e  comunque infondato, e producendo alcuni
documenti.
    Quanto  al  primo  motivo  del ricorso introduttivo, l'Avvocatura
dello  Stato  afferma  che  le  disposizioni  correttive, costituendo
esercizio  della  funzione legislativa delegata al Governo, non hanno
bisogno   di   un   ulteriore   presupposto   giustificativo,   e  si
caratterizzano  rispetto a quelle inizialmente emanate con il decreto
base  solo  perche' presuppongono queste ultime e si pongono rispetto
ad  esse in funzione integrativa o correttiva, secondo le valutazioni
del  Governo  delegato;  ne' si potrebbe dire violato l'art. 76 della
Costituzione,  in  quanto  anche  le  disposizioni  correttive,  come
espressamente  previsto  dall'art. 10  della  legge  n. 59  del 1997,
devono  essere  poste nel rispetto dei medesimi criteri e principi, e
adottate  con  le stesse procedure previste per gli originari decreti
legislativi,  ed  entro il tempo limitato prefissato a tal fine dalla
legge.
    Con  riferimento al secondo motivo, l'Avvocatura erariale afferma
che  dalle disposizioni della legge di delega invocate dalla regione,
lette  in correlazione con l'art. 2 della stessa legge, si desume che
il  criterio  per  determinare la spettanza delle funzioni e' proprio
quello del rilievo nazionale dell'interesse investito dalla funzione.
Ma  anche  a  volere  ritenere che il principio posto dal legislatore
delegante  sia  piuttosto  quello  della dimensione delle funzioni, e
quindi   della   loro   estensione   nell'ambito  territoriale  della
collettivita'  interessata,  non  sarebbe  ravvisabile  il  vizio  di
eccesso  di  delega.  Infatti:  l'aggiunta  all'art. 18  del  decreto
legislativo  n. 112 del 1998 mirerebbe a garantire uniformemente - in
un'ottica  non localizzabile nel territorio regionale e per la tutela
dell'interesse  dell'intera  collettivita' - la fede pubblica in ogni
tipo   di   rapporto   economico;   anche   la  modifica  all'art. 48
risponderebbe  alla  finalita'  di  riservare  allo Stato le funzioni
dirette alla promozione e al sostegno di consorzi tra piccole e medie
imprese  industriali,  aventi  carattere  multiregionale e quindi non
localizzabili  nel  territorio  di  una  singola regione; la modifica
all'art. 104,  infine,  sarebbe  conforme  ai principi della legge di
delega  e  coerente  con  la  previsione  di  cui alla lettera t) del
medesimo  art. 104, secondo cui sono mantenute allo Stato le funzioni
attinenti  alla  disciplina  e  alla  sicurezza  della navigazione da
diporto e alla sicurezza della navigazione interna.
    In ordine alla terza questione sollevata dalla Regione Veneto, la
difesa  statale  afferma che sulle disposizioni denunciate si sarebbe
formata  l'intesa  con  la  Conferenza Stato-regioni nelle sedute del
25 giugno  e del 1o luglio 1999, e in quest'ultima data sarebbe stato
acquisito anche il parere favorevole della Conferenza unificata, come
risulterebbe  dai  verbali  di  quelle  sedute, prodotti nel giudizio
costituzionale.  Osserva  inoltre  che  la  censura  relativa ai vizi
dell'esperito procedimento di intesa sarebbe inammissibile, in quanto
la violazione delle norme del decreto legislativo n. 281 del 1997 non
ridonderebbe  comunque  in  una  lesione  dell'autonomia regionale; e
questo  tanto piu' che la legge di delega prevede che, in mancanza di
intesa,  spetti  comunque  al Consiglio dei ministri, su proposta dal
suo  Presidente,  deliberare  i  decreti  legislativi di conferimento
delle funzioni.
    Quanto  al  quarto  motivo del ricorso introduttivo, l'Avvocatura
erariale  afferma  che  l'esercizio  delle  funzioni  di  verifica di
conformita'  di  cui  ai  commi  3  e 3-bis dell'art. 115 del decreto
legislativo  n. 112  del  1998,  cosi'  come  modificato  dal decreto
correttivo,  e' regolato sulla base di modalita' definite in apposito
accordo  da  approvare in Conferenza Stato-regioni: il cosi' previsto
strumento  di  raccordo per l'esercizio di tali funzioni, quindi, non
limiterebbe  in  alcun modo l'autonomia regionale, fermo restando che
anch'essa   deve   essere  esplicata  nel  rispetto  della  normativa
nazionale  e  comunitaria  del settore (art. 115, comma 2, lettera c,
del decreto n. 112).
    Quanto  al  quinto  motivo  del  ricorso  introduttivo, avente ad
oggetto  l'integrazione all'art. 40, comma 1, del decreto legislativo
n. 112  del  1998, disposta dal decreto correttivo in accoglimento di
puntuale richiesta espressa nel documento elaborato congiuntamente da
regioni,  ANCI,  UPI  e  UNCEM  allegato  al  parere della Conferenza
unificata  del  1o luglio del 1999, l'Avvocatura dello Stato sostiene
che  tale  integrazione, lungi dal configurare una compressione della
competenza   regionale,   costituirebbe   un   limite   all'attivita'
regolamentare dello Stato in materia di attivita' di somministrazione
al  pubblico  di  alimenti  e  bevande  e  di  commercio  in pubblici
esercizi, disponendo che essa venga svolta d'intesa con le regioni.
    6. - In  prossimita'  dell'udienza pubblica, fissata anch'essa in
data  4 aprile  2000, hanno depositato memoria sia la Regione Veneto,
sia  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, ed entrambe le parti
hanno prodotto alcuni documenti.
    La  memoria  regionale  insiste,  con le medesime argomentazioni,
sulle  censure gia' svolte nel ricorso introduttivo, aggiungendo solo
alcune notazioni.
    Quanto  al  terzo  motivo  del  ricorso  introduttivo, la regione
ricorda  come la Corte costituzionale abbia in passato gia' svolto il
controllo di costituzionalita' sugli elementi dell'iter di formazione
dei  decreti legislativi, in relazione sia a norme costituzionali sia
alla legge di delega. Secondo la regione, il controllo da parte della
Corte  sulla  esistenza  degli  elementi  del  procedimento  deve poi
estendersi  alla  loro  validita'  e dunque, nel caso di specie, alla
validita' dell'intesa, secondo le norme che la regolano.
    Quanto  all'ultimo  motivo  del  ricorso introduttivo, invece, la
difesa  regionale, richiamandosi integralmente all'atto introduttivo,
ricorda  che  questa  Corte avrebbe recentemente ribadito che vincoli
all'esercizio  delle  funzioni regionali possono essere disposti solo
con   atto  legislativo  o  -  ricorrendone  tutti  i  presupposti  -
attraverso  l'esercizio  della funzione di indirizzo e coordinamento:
ipotesi  che  non  ricorrerebbero  in  ordine  all'art. 6 del decreto
legislativo correttivo denunciato.
    7. - Anche  la memoria del Presidente del Consiglio si richiama a
quanto   gia'  esposto  nell'atto  di  costituzione  e  ribadisce  le
conclusioni gia' assunte.
    In  riferimento  al  secondo  motivo  del  ricorso,  l'Avvocatura
osserva  che  il  comma  2  dell'art. 1  della  legge di delega - nel
delimitare  in  positivo  l'oggetto  della  delega  - sancisce che il
conferimento  alle regioni ed enti locali, nel rispetto del principio
di  sussidiarieta'  di  cui  all'art. 4,  comma  3, lettera a), della
stessa  legge, concerne tutte le funzioni ed i compiti amministrativi
relativi  alla  cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo
delle  rispettive  comunita'  nonche'  tutte le funzioni ed i compiti
amministrativi   localizzabili   nei  rispettivi  territori  in  atto
esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato. Sarebbe
pertanto   indubitabile   che,   anche  al  di  fuori  delle  materie
espressamente escluse dal conferimento ai sensi dell'art. 1, comma 3,
della  legge  di  delega  ed in coerenza con il principio dell'unita'
della    Repubblica    di    cui   all'art. 5   della   Costituzione,
l'individuazione  delle  funzioni  mantenute  allo  Stato  rispetto a
quelle  conferibili  alle regioni ed agli enti locali sia determinata
in  base  al  criterio  della  dimensione  delle  funzioni  stesse in
correlazione  alla dimensione delle rispettive collettivita'. Da cio'
conseguirebbe  che  vadano  comunque riservate allo Stato le funzioni
intrinsecamente   unitarie   e   infrazionabili,  siccome  riferibili
all'intera  collettivita' nazionale e come tali in se' insuscettibili
di  localizzazione  territoriale  particolare: quali sarebbero quelle
mantenute allo Stato dagli articoli del decreto correttivo impugnati,
che si connotano chiaramente per la loro dimensione ultraregionale.
    Con   riguardo   al   terzo   motivo  del  ricorso  introduttivo,
l'Avvocatura  erariale, ribadendo l'inammissibilita' della questione,
argomenta  ulteriormente  sulla sua infondatezza. Se pure dai verbali
della  Conferenza  relativi  alle  sedute  del  25 giugno  1999 e del
1o luglio  1999  risulta  che,  nonostante  la regolare convocazione,
erano  alle  stesse  riunioni  presenti  solo  alcuni  presidenti  (e
assessori)  delle  regioni,  dal  primo  dei  due  verbali, tuttavia,
emergerebbe  che  in  quelle  sedi  venne  esaminato  e  discusso  il
"documento  delle  regioni  sugli  articoli  dello  schema di decreto
legislativo"  consegnato dal Presidente Mori (allegato al verbale del
25 giugno),  nel  quale  i  presidenti delle regioni e delle province
autonome,  riuniti  nella  relativa conferenza, manifestavano la loro
intesa  su alcuni degli articoli qui in discussione, con richiesta di
modifiche  o  integrazioni  per altri articoli. Sul contenuto di tale
"documento  delle  regioni"  si sarebbe del tutto validamente formata
l'intesa  espressa  nella  riunione  del  25 giugno,  integrata dalla
intesa  raggiunta  su  un'ulteriore  disposizione  sollecitata  dalle
stesse   regioni  e  formalizzata  nella  successiva  riunione  della
Conferenza Stato-regioni in data 1o luglio 1999. Pertanto, nonostante
la  mancata  partecipazione  di  alcuni presidenti delle regioni alle
riunioni  della  Conferenza,  pur  regolarmente convocata, gli stessi
avrebbero  espresso  in tal modo il loro assenso sugli articoli dello
schema del decreto ora contestati dalla ricorrente.
    Infine, l'Avvocatura dello Stato osserva che nella riunione della
Conferenza  unificata del 1o luglio 1999 - in relazione alla quale la
regione  ricorrente  non prospetta alcuna censura - sugli articoli in
discussione  fu  espresso il parere favorevole, richiesto dall'art. 6
della   legge  di  delega,  sulla  base  di  un  documento  elaborato
congiuntamente   dalle  regioni,  dall'ANCI,  dall'UPI  e  dall'UNCEM
(verbale del 1o luglio 1999 e relativo allegato): documento nel quale
viene  fatto  inequivoco  e  ripetuto riferimento alla gia' raggiunta
intesa nella Conferenza Stato-regioni.
    8. - All'esito  dell'udienza pubblica del 4 aprile 2000, la Corte
costituzionale  ha  pronunciato  l'ordinanza 11 - 15 maggio 2000, con
cui,  riuniti  i  giudizi  instaurati  dai  due ricorsi della Regione
Veneto  di cui si e' riferito (r. ric. nn. 25 del 1998 e 1 del 2000),
ha  considerato  che  il  quarto  motivo del primo ricorso e il terzo
motivo  del  secondo  ricorso  sono  fondati  su  censure riguardanti
l'affermata  mancanza  o  l'invalidita'  dell'intesa nella Conferenza
Stato-regioni,  e ha conseguentemente ritenuto opportuno acquisire in
via  istruttoria gli elementi di fatto relativi alle modalita' con le
quali  si  e'  proceduto, da parte del Governo e dei presidenti delle
regioni,    nell'ambito    della   Conferenza   Stato-regioni,   alla
elaborazione  e  all'esame  dei  decreti  legislativi  impugnati, con
particolare  riguardo  all'intesa prevista per la identificazione dei
compiti  di  interesse  nazionale di cui all'art. 1, comma 4, lettera
c), della legge n. 59 del 1997.
    9. - In  ottemperanza  all'ordinanza  della  Corte sia la Regione
Veneto  che il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato
abbondante  documentazione,  e  la  regione  ha  depositato anche una
relazione illustrativa del materiale istruttorio.
    Secondo  la regione, dai verbali della Conferenza Stato-regioni e
della  conferenza  dei  presidenti, e dagli altri atti depositati, si
ricaverebbe quanto segue.
    In  primo  luogo,  tanto  il  Governo quanto le regioni avrebbero
costantemente  presupposto che - secondo quanto previsto dall'art. 1,
comma  4,  lettera  c),  della legge n. 59 del 1997 e dall'art. 3 del
decreto   legislativo  n. 281  del  1997  -  l'organo  competente  ad
esaminare  l'intesa fosse esclusivamente la Conferenza Stato-regioni,
e  che  l'intesa  dovesse  essere  puntualmente  formalizzata  in uno
specifico provvedimento.
    In secondo luogo, l'intesa relativa al decreto legislativo n. 112
del  1998 sarebbe stata raggiunta nel corso della seduta del 25 marzo
1998, benche' l'art. 89, comma 1, lettera b, e l'art. 109 del decreto
coincidano  solo  in  parte  con  i  corrispondenti articoli 86 e 105
dell'intesa.  Tuttavia,  tale  intesa  sarebbe inesistente, in quanto
nella  seduta  non sarebbero state rappresentate ne' direttamente ne'
indirettamente  tutte  le  regioni,  ed  in ogni caso sarebbe mancata
anche  la  possibilita'  di  deliberare a maggioranza, in quanto alla
Conferenza  partecipavano,  su  22  componenti,  solo  10  regioni  o
province autonome.
    In  terzo  luogo, l'intesa relativa al decreto legislativo n. 443
del  1999  sarebbe  stata  raggiunta,  come  gia'  detto  nel ricorso
introduttivo,  in  parte  nel corso della seduta del 25 giugno 1999 -
benche'  essa  non possa ritenersi raggiunta sull'art. 3, nella parte
in   cui  modifica  l'art. 29,  comma  2,  lettera  b),  del  decreto
legislativo  n. 112,  in  quanto  il  testo  di tale articolo sarebbe
diverso  da quello concordato nella seduta - e in parte in quella del
1o luglio  1999. Tuttavia, tale intesa sarebbe inesistente, in quanto
alla  seduta  del  25 giugno  non  sarebbero  state rappresentate ne'
direttamente  ne'  indirettamente  tutte  le regioni, ed in ogni caso
sarebbe  mancata  anche  la possibilita' di deliberare a maggioranza,
partecipando  solo  11  regioni; mentre nella riunione del 1o luglio,
assente  il Veneto, l'intesa non sarebbe stata neppure all'ordine del
giorno.
    Ancora,  la regione precisa che gli incontri di carattere tecnico
(i  c.d.  tavoli  tecnici)  che  hanno  preceduto alcune sedute della
Conferenza  Stato-regioni,  a cui hanno partecipato rappresentanti di
livello  politico  delle  regioni  e  delle  amministrazioni  statali
interessate,  sono  state  riunioni  del  tutto  informali,  senza la
verbalizzazione  dei  relativi lavori, aventi carattere assolutamente
preparatorio rispetto ai lavori della conferenza.
    Quanto poi ai verbali della conferenza dei presidenti, la regione
rileva  che  fin  dalla  prima riunione numerosi presidenti avrebbero
rilevato  il  mancato  rispetto  della procedura relativa alla previa
intesa  sullo  schema  di decreto legislativo; che tale conferenza si
sarebbe  sempre  limitata  a  formulare  propri  pareri complessivi e
proposte  di modifica, e che mai si sarebbe espressa su un articolato
normativo   compiuto,   da  sottoporre  all'intesa  della  Conferenza
Stato-regioni.
    Quanto  infine  alla  posizione  della  Regione Veneto, la difesa
regionale  rileva  che  essa non era rappresentata nelle sedute della
Conferenza  Stato-regioni  del 5 e 19 marzo 1998, del 25 giugno e del
1o luglio  1999, mentre il Presidente della regione era presente alla
seduta del 25 marzo 1998, pur assentandosi anticipatamente.
    10. - Nell'imminenza   della   nuova   udienza   fissata  per  il
16 gennaio  2001,  la Regione Veneto ha depositato una memoria con la
quale,  richiamati integralmente i motivi e le argomentazioni esposti
nei   ricorsi  introduttivi,  nelle  memorie  e  nella  relazione  di
accompagnamento  al  materiale  istruttorio  depositato,  si sofferma
esclusivamente su due temi.
    Con  riferimento  al  primo,  secondo,  terzo e quinto motivo del
ricorso n. 25 del 1998 e al secondo motivo del ricorso n. 1 del 2000,
la regione analizza la piu' recente giurisprudenza costituzionale sul
sindacato   di   costituzionalita'  in  relazione  all'art. 76  della
Costituzione,  da  cui  si  evincerebbe  che la Corte puo' dichiarare
incostituzionali   le   disposizioni   di   un   decreto  legislativo
indipendentemente   da   ogni   considerazione   sulla   legittimita'
costituzionale dello stesso, sotto il profilo dei contenuti; e che la
legge di delega va interpretata sistematicamente e in modo da rendere
minimo  lo  spazio  della  discrezionalita'  governativa, pena la sua
incostituzionalita'.
    Con  riferimento al settimo e all'ottavo motivo del ricorso n. 25
del  1998,  la  regione  richiama  le disposizioni dell'art. 52 della
legge  23 dicembre  2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), affermando
che  a nessuna di esse potrebbe essere attribuita una qualche portata
di  "sanatoria"  dei  vizi  del  decreto legislativo n. 112 del 1998:
tutte  anzi  presupporrebbero  il  sistema dei conferimenti delineato
dalla  legge  di delega e dal decreto legislativo. Piuttosto, nota la
difesa  regionale, il comma 1 di tale articolo, laddove certifica che
alla data del 31 dicembre 2000 non sarebbe stata ancora completata la
procedura  di  mobilita'  del  personale, costituirebbe la riprova, a
posteriori  che  il Governo non avrebbe attuato la delega nei termini
previsti,  ed  inoltre  deporrebbe  in  favore della fondatezza della
censura  avanzata  in  via  subordinata con l'ottavo motivo del primo
ricorso.
    11. - In  vista  della medesima udienza ha depositato una memoria
anche  il  Presidente del Consiglio dei ministri il quale, richiamato
quanto  gia'  esposto  negli atti di costituzione e nella memoria, si
sofferma esclusivamente su due questioni.
    In  relazione  al  primo  motivo  del primo ricorso, l'Avvocatura
erariale insiste sulla piena corrispondenza alla legge di delega, che
prevede  la  gradualita'  dei  conferimenti  e  impone l'effettivita'
dell'esercizio  delle funzioni e dei compiti trasferiti, del sistema,
previsto  dal  decreto  legislativo  n. 112 del 1998, dei decreti del
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   di  individuazione  e
trasferimento delle risorse.
    In relazione al quarto motivo del primo ricorso e al terzo motivo
del  secondo ricorso, la difesa statale ribadisce che nel corso delle
riunioni  della  Conferenza  Stato-regioni  sarebbe  stata  raggiunta
l'intesa  su  tutti i "compiti di rilievo nazionale" da trattenere in
capo  allo  Stato.  La  soluzione  del problema, secondo l'Avvocatura
dello  Stato, va impostata in termini sostanziali, in coerenza con la
natura  e  le  attribuzioni  della  Conferenza  Stato-regioni,  quale
organismo  collettivo  di rappresentanza delle regioni nell'ambito di
procedimenti  di concertazione con lo Stato: verificando quindi se, a
prescindere dall'osservanza di puntuali adempimenti formali, peraltro
non  prescritti  da  nessuna  disposizione  di  legge,  vi  sia stata
comunque  l'espressione  di un assenso riferibile ai presidenti delle
regioni  e  delle  province  autonome  componenti  di tale organismo,
rimanendo  ininfluente  il  mero  fatto, ricorrente nella prassi, che
alcuni  dei  componenti  della conferenza, pur ritualmente convocati,
abbiano  ritenuto  di  non partecipare di persona a tali riunioni. La
difesa  statale  analizza  poi i verbali delle riunioni, dai quali si
evincerebbe l'avvenuto perfezionamento dell'intesa, e conclude che da
tali   verbali  risulterebbe  chiaramente  che  i  presidenti  e  gli
assessori  regionali  abbiano sempre parlato non quali rappresentanti
del  proprio  ente,  ma  unitariamente  per  conto  e  in  nome della
totalita'  delle  regioni, agendo sempre come portatori delle istanze
collettive  e  della volonta' di tutti i componenti della Conferenza,
anche al di la' di ogni irrilevante formale delega o procura da parte
dei  presidenti  non  partecipanti alla seduta. Aggiunge, ancora, che
dalla  documentazione  depositata  dalla  regione  emergerebbe che le
posizioni  assunte  nella  Conferenza  Stato-regioni dai presidenti e
dagli  assessori  regionali trovano il loro puntuale e corrispondente
riferimento  nelle  previe  relative  delibere  della  conferenza dei
presidenti  delle  regioni e delle province autonome, tutte approvate
all'unanimita'.  La difesa erariale termina la sua memoria ricordando
che gli schemi di entrambi i decreti legislativi impugnati sono stati
sottoposti  all'esame  della conferenza unificata, che ha reso pareri
positivi  ai  sensi  dell'art. 6 della legge di delega: e tali pareri
positivi  si configurerebbero come conferma o ratifica della volonta'
di  intesa  con  lo  Stato ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera c),
della legge di delega.

                       Considerato in diritto

    1. - La  Regione  Veneto  ha  sollevato due serie di questioni di
legittimita'  costituzionale:  il  primo  ricorso  (r. ric. n. 25 del
1998)  investe  molte  disposizioni  del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato  alle  regioni  ed  agli  enti locali, in attuazione del capo I
della   legge  15 marzo  1997,  n. 59),  nonche'  lo  stesso  decreto
legislativo nella sua interezza; il secondo ricorso (r. ric. n. 1 del
2000)  investe  varie disposizioni del decreto legislativo 29 ottobre
1999,  n. 443  (Disposizioni  correttive  ed  integrative del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali),
nonche' lo stesso decreto nella sua interezza.
    I  due  giudizi,  concernendo  l'uno  il  decreto legislativo che
disciplina  il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli
enti  locali,  in  attuazione  del capo I della legge n. 59 del 1997,
l'altro  il  decreto legislativo contenente disposizioni correttive e
integrative  del primo, in attuazione della delega di cui all'art. 10
della  stessa  legge  n. 59  del  1997,  possono  essere  riuniti per
connessione oggettiva, per essere decisi con unica pronunzia.
    2. - Con  il primo degli undici motivi cui e' affidato il ricorso
avverso  il  d.lgs. n. 112 del 1998 la regione ricorrente lamenta che
il  decreto  impugnato  contenga  disposizioni  le quali renderebbero
"incerti  i  conferimenti" di funzioni, in quanto stabiliscono che le
funzioni  conferite  potranno  essere  esercitate  solo a partire dal
momento che sara' indicato con i decreti del Presidente del Consiglio
dei  ministri  previsti  dall'art. 7  della  legge  n. 59 del 1997, e
destinati  ad  individuare  i  beni  e le risorse finanziarie, umane,
strumentali  e  organizzative  da  trasferire,  a  ripartirle  tra le
regioni  e  tra  regioni  ed  enti locali, e ad operare i conseguenti
trasferimenti.  Da  tali  disposizioni deriverebbe che la generalita'
delle  funzioni  non  sarebbe stata affatto conferita, e anche per il
futuro  non  vi sarebbe alcuna certezza di conferimento: onde sarebbe
rimasta non attuata la delega che imponeva un trasferimento, sia pure
graduale,  ma non incerto nel suo stesso avverarsi. Sarebbero percio'
illegittime,  per  violazione  degli  articoli  76,  117  e 118 della
Costituzione,  le  disposizioni  che  subordinano  la  decorrenza dei
conferimenti  ai provvedimenti amministrativi di cui all'art. 7 della
legge  n. 59 del 1997, e cioe' gli articoli 3, comma 6, e 7, commi 1,
2,  lettera  a),  e  8,  lettera  a) (quest'ultima limitatamente alle
parole "l'individuazione del termine, eventualmente differenziato, da
cui     decorre     l'esercizio     delle    funzioni    conferite");
l'incostituzionalita' si estenderebbe poi agli articoli 50, commi 2 e
3 (peraltro oggi abrogati dall'art. 9 della legge n. 50 del 1999), 63
e  138,  comma  2.  Tuttavia  la ricorrente impugna altresi' l'intero
decreto,  sostenendo  che  le  disposizioni ora richiamate sono cosi'
"centrali"  nell'economia  del  medesimo,  che  la  loro  caduta  non
potrebbe non implicare quella dell'intero provvedimento legislativo.
    3. - La questione cosi' sollevata e' inammissibile.
    Con essa, infatti, da un lato sembrerebbe chiedersi di eliminare,
mediante  la  pronuncia  di questa Corte, i condizionamenti temporali
imposti  ai  conferimenti di funzioni, conseguendo cosi' l'effetto di
rendere  questi  ultimi  operativi  gia'  con l'entrata in vigore del
decreto   legislativo,   indipendentemente   dai   provvedimenti  che
individuano   e   trasferiscono   le   risorse   (data   la  evidente
impossibilita'  di  conseguire  con  una  pronuncia di illegittimita'
costituzionale   l'effetto   di  trasferire  risorse  alla  regione):
risultato  peraltro  paradossale,  e  chiaramente in contrasto con la
legge  di  delega,  che postula - correttamente - la contemporaneita'
fra inizio dell'esercizio delle nuove funzioni e disponibilita' delle
risorse  relative (cfr. art. 3, comma 1, lettera b, della legge n. 59
del   1997,  ove  si  prevedono  i  conferimenti  di  funzioni  e  la
"conseguente   e   contestuale  attribuzione  e  ripartizione"  delle
risorse,  nonche' la gradualita' del conferimento entro un periodo di
tre   anni,   "assicurando   l'effettivo   esercizio  delle  funzioni
conferite").
    Dall'altro  lato  la  stessa  regione  ricorrente,  evidentemente
consapevole  della  necessaria  contestualita'  dell'operativita' dei
conferimenti  e del passaggio delle risorse, impugna il decreto nella
sua  interezza,  e  sostiene  che  le  disposizioni  richiamate - che
demandano  l'attuazione dei conferimenti a decreti del Presidente del
Consiglio    -   sarebbero   cosi'   "centrali"   nell'economia   del
provvedimento  che  la  loro caduta non potrebbe non implicare quella
dell'intero atto: con cio' postulando un risultato contrario a quello
della  anticipazione  dell'effettivita'  dei conferimenti, e cioe' la
caduta delle stesse norme che tali conferimenti dispongono.
    La  perplessita'  della  domanda  e  la  contraddittorieta' della
prospettazione  della  ricorrente  rendono  pertanto inammissibile la
censura proposta.
    4. - Procedendo   nell'esame  delle  censure  di  carattere  piu'
generale,  mosse  con  i due atti introduttivi, conviene esaminare il
primo  motivo  del  ricorso avverso il decreto legislativo n. 443 del
1999.  Con  esso la ricorrente lamenta un uso scorretto della delega,
di  cui  all'art. 10  della  legge n. 59 del 1997, per la adozione di
disposizioni  correttive  ed  integrative  dei decreti legislativi di
conferimento  di funzioni, adottati ai sensi dell'art. 1 della stessa
legge;  e  impugna  pertanto,  sotto questo profilo, l'intero decreto
n. 443.
    Secondo  la  ricorrente,  la  delega in questione potrebbe essere
utilizzata solo per far fronte a esigenze e fatti sopravvenuti, e non
per  eludere  il  termine  della  delega  principale,  come invece si
sarebbe fatto con il decreto impugnato.
    5. - La questione e' infondata.
    L'art. 10  della  legge n. 59 del 1997, come varie altre leggi di
delega,   conferisce   al   Governo  la  possibilita'  di  esercitare
nuovamente   la   potesta'   delegata,  entro  un  ulteriore  termine
decorrente  dalla  entrata  in  vigore  dei decreti legislativi con i
quali  si e' esercitata la delega "principale", ai fini di correggere
-  cioe'  di  modificare  in  qualche  sua  parte - o di integrare la
disciplina  legislativa  delegata,  ma  pur  sempre nell'ambito dello
stesso  oggetto,  nell'osservanza  dei  medesimi  criteri  e principi
direttivi  operanti  per  detta  delega "principale", e con le stesse
garanzie  procedurali  (pareri, intese). Siffatta procedura si presta
ad  essere  utilizzata soprattutto in occasione di deleghe complesse,
il cui esercizio puo' postulare un periodo di verifica, dopo la prima
attuazione,  e  dunque  la  possibilita'  di  apportare  modifiche di
dettaglio   al   corpo   delle   norme  delegate,  sulla  base  anche
dell'esperienza  o  di  rilievi  ed  esigenze  avanzate  dopo la loro
emanazione,   senza   la  necessita'  di  far  ricorso  ad  un  nuovo
procedimento legislativo parlamentare, quale si renderebbe necessario
se la delega fosse ormai completamente esaurita e il relativo termine
scaduto.  Nulla  induce a far ritenere che siffatta potesta' delegata
possa  essere  esercitata  solo  per  "fatti  sopravvenuti": cio' che
conta,  invece, e' che si intervenga solo in funzione di correzione o
integrazione  delle  norme  delegate  gia'  emanate,  e  non  gia' in
funzione  di  un  esercizio tardivo, per la prima volta, della delega
"principale";  e  che  si rispettino pienamente i medesimi principi e
criteri  direttivi gia' imposti per l'esercizio della medesima delega
"principale".
    Nel  suo  insieme,  il decreto legislativo n. 443 del 1999 non si
discosta da questi criteri di utilizzo della delega "correttiva".
    6. - Con  il secondo e con il terzo motivo del ricorso avverso il
decreto legislativo n. 112, la regione censura le disposizioni che, a
suo avviso, riserverebbero allo Stato compiti e funzioni che la legge
di  delega  avrebbe  invece  imposto  di  conferire  alle regioni. Il
secondo  motivo  riguarda  materie  che  la  ricorrente  asserisce di
competenza  propria  delle  regioni,  ai  sensi  dell'art. 117  della
Costituzione,  e investe gli articoli 13 (artigianato), 44 (turismo e
industria   alberghiera),   54  (urbanistica  e  lavori  pubblici  di
interesse  regionale), 59 (edilizia residenziale pubblica), 69, comma
2 (protezione della natura e dell'ambiente), 115, 118, 119, 120, 121,
comma  1,  124  (assistenza  sanitaria  e  ospedaliera), 129 (servizi
sociali,  nelle  parti  concernenti  i servizi sociali a favore della
generalita'  dei  soggetti), 142 (formazione professionale). Il terzo
motivo a sua volta riguarda altre materie, ed investe gli articoli 18
e  29,  comma 2 (industria ed energia, per le parti diverse da quelle
contemplate dall'art. 1, comma 3, della legge di delega), 33 (miniere
e   risorse  geotermiche),  65  (catasto,  servizi  geotopografici  e
conservazione  dei  registri immobiliari), 85 (gestione dei rifiuti),
93,  98  e  104  (rispettivamente  in  materia  di  opere  pubbliche,
viabilita' e trasporti diversi da quelli di interesse regionale), 137
(istruzione  scolastica,  per  la  parte non contemplata dall'art. 1,
comma 3, lettera q, della legge di delega).
    Secondo  la ricorrente, il decreto legislativo avrebbe preteso di
riservare allo Stato compiti ritenuti di "interesse nazionale", anche
al   di  fuori  delle  materie  escluse  dal  conferimento  ai  sensi
dell'art. 1, comma 3, della legge di delega, e dei compiti esclusi ai
sensi  dell'art. 1,  comma 4, della stessa legge. Le riserve in esame
sarebbero estranee alle esclusioni previste dalla delega, e sarebbero
in  contrasto  con i principi di completezza, di responsabilita' e di
unicita' dell'amministrazione, e di omogeneita', sanciti dall'art. 4,
comma 3, della legge n. 59 del 1997: onde esse violerebbero i criteri
della delega.
    7. - Le censure sono inammissibili.
    La  ricorrente  afferma  genericamente  che  le  disposizioni che
riservano compiti e funzioni allo Stato avrebbero per presupposto una
lettura   erronea   della  delega,  la  quale  non  autorizzerebbe  a
trattenere  in  capo  allo Stato compiti e funzioni in nome di un non
specificato  "interesse nazionale", ma solo le funzioni espressamente
escluse  ai  sensi  dei commi 3 e 4 dell'art. 1 della legge n. 59 del
1997.  Tuttavia  la  censura  non  e'  poi  articolata  e motivata in
relazione alle singole, numerose e disparate disposizioni che vengono
impugnate, per argomentare che esse riserverebbero allo Stato compiti
e funzioni le quali, secondo i criteri della delega, avrebbero invece
dovuto,  a giudizio della ricorrente, essere conferiti alle regioni e
agli  enti  locali.  In  tal  modo  risulta  impossibile  valutare la
fondatezza della censura in relazione alle singole funzioni riservate
allo  Stato,  specie  tenendo  conto  che  molte  delle  disposizioni
impugnate    toccano   indubbiamente   anche   materie   ed   aspetti
astrattamente riconducibili proprio agli stessi criteri di esclusione
che,  come  la  stessa  ricorrente ricorda, sono stati adottati dalla
legge  di  delega: cosi', ad esempio, ai compiti di rilievo nazionale
per la tutela dell'ambiente (art. 1, comma 4, lettera c), della legge
n. 59  del  1997),  per  cio'  che  riguarda  le censurate riserve di
funzioni  in  materia  di  urbanistica e di protezione della natura e
dell'ambiente  o  di  gestione dei rifiuti (artt. 54, 69, comma 2, 85
del  decreto);  per  la tutela della salute (art. 1, comma 4, lettera
c),  cit.),  per  quanto riguarda le riserve in materia di assistenza
sanitaria ed ospedaliera (artt. 115, 118, 119, 120, 121, comma 1, 124
del  decreto); in tema di energia (art. 1, comma 4, lettera c, cit.),
per  quanto  riguarda  le  riserve  di funzioni in materia di energia
(artt. 29,  comma  2,  33  del decreto); o ancora ai compiti relativi
alle  grandi  reti  infrastrutturali  di interesse nazionale (art. 1,
comma  4, lettera b, della legge n. 59 del 1997), per quanto riguarda
le  riserve  in materia di opere pubbliche e viabilita' (artt. 93, 98
del decreto).
    Le  domande  cosi'  sottoposte  alla  Corte  non  danno  luogo  a
specifiche questioni sulla conformita' delle disposizioni del decreto
alla legge di delega: come tali, esse non sono ammissibili.
    8. - Le  questioni  sollevate  con  il secondo motivo del secondo
ricorso  investono gli articoli 1, 8 e 11 del d.lgs. n. 443 del 1999,
che  avrebbero  trattenuto  in  capo  allo Stato funzioni e compiti -
rispettivamente  in  tema di metrologia legale e strumenti di misura,
di consorzi tra piccole e medie imprese, e di esami per conducenti di
unita' di diporto nautico e di patenti nautiche - che invece, secondo
la  legge  di delega, avrebbero dovuto essere conferiti alle regioni,
con cio' violando gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione.
    9. - Le questioni non sono fondate.
    L'art. 1  del  decreto  impugnato  modifica  l'art. 18 del d.lgs.
n. 112,  aggiungendo  ai  compiti  conservati allo Stato dal comma 1,
lettera  c),  del decreto base (determinazione dei campioni nazionali
di  unita'  di  misura  e  conservazione  dei prototipi nazionali del
chilogrammo  e  del  metro)  gli ulteriori compiti di "definizione di
norme  in materia di metrologia legale" e di "omologazione di modelli
di strumenti di misura".
    Si tratta di compiti del tutto omogenei a quelli gia' individuati
dal  decreto  base, ed evidentemente estranei, da un lato, "alla cura
degli  interessi  e  alla  promozione dello sviluppo" delle comunita'
territoriali,   nonche'   alle   funzioni  e  compiti  amministrativi
"localizzabili  nei  rispettivi territori", cioe' a quelle funzioni e
compiti  che,  in  base  all'art. 1,  comma 2, della legge di delega,
erano  destinati ad essere conferiti alle regioni e agli enti locali,
"nell'osservanza  del  principio di sussidiarieta'"; dall'altro lato,
riconducibili  ai  compiti  "preordinati ad assicurare l'esecuzione a
livello  nazionale  degli obblighi derivanti dal Trattato sull'Unione
europea  e  dagli  accordi internazionali" in materia di strumenti di
misura  e  controllo  metrologico (cfr., ad esempio, il d.P.R. n. 798
del  1982,  di  attuazione della direttiva CEE n. 71/316, e il d.lgs.
n. 517 del 1992, di attuazione della direttiva CEE n. 90/384), a loro
volta esclusi dal conferimento ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera
e), della legge di delega.
    L'art. 8  del  d.lgs.  n. 443  del  1999  esclude  dalle funzioni
conferite alle regioni dall'art. 48, comma 1, lettera b), del decreto
base,  relative  alla  "promozione e al sostegno alla costituzione di
consorzi  tra  piccole  e  medie  imprese  industriali, commerciali e
artigiane", quelle relative ai consorzi "a carattere multiregionale".
    Le funzioni di promozione e di sostegno dei consorzi in questione
sono  riconducibili  ai  compiti  comuni in tema di "promozione dello
sviluppo economico" e di "valorizzazione dei sistemi produttivi", che
l'art. 1,  comma  6,  della legge di delega individua come "interessi
pubblici  primari  che  lo Stato, le regioni, le province, i comuni e
gli   altri  enti  locali  assicurano  nell'ambito  delle  rispettive
competenze":   il   carattere   multiregionale   dei   consorzi  puo'
giustificare,  in base all'apprezzamento del legislatore delegato, la
loro  esclusione dall'area dei compiti rimessi in esclusiva agli enti
territoriali in funzione della loro riconducibilita' agli interessi e
alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunita' e alla loro
localizzabilita'  nei  rispettivi  territori  (art. 1, comma 2, della
legge di delega).
    L'art. 11,  comma  1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 443 modifica
l'art. 104,  comma  1,  del  decreto  base,  che  elenca  le funzioni
mantenute  in  capo  allo Stato in materia di trasporti, estendendo i
compiti statali in tema di esami per conducenti di veicoli a motore e
loro  rimorchi  a quelli "per unita' di diporto nautico"; e parimenti
aggiungendo,  ai  compiti statali in tema di rilascio di patenti e di
certificati   di   abilitazione  professionale  e  loro  duplicati  e
aggiornamenti,  i compiti concernenti il rilascio di patenti nautiche
e relativi duplicati e aggiornamenti.
    La  conservazione  in  capo  allo  Stato  dei  compiti  predetti,
evidentemente  omogenei  a quelli gia' riservati allo Stato dal testo
originario  dell'art. 104  del  decreto base, si giustifica in quanto
essi  incidono  sulla  materia della "sicurezza pubblica", esclusa, a
norma  dell'art. 1,  comma  3, lettera l), della legge di delega, dal
conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali.
    10. - Con  il  quarto  motivo  del  primo  ricorso e con il terzo
motivo  del secondo ricorso la ricorrente censura le disposizioni dei
decreti  impugnati  che stabiliscono i compiti "di rilievo nazionale"
riservati allo Stato ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera c), della
legge  n. 59  del  1997,  in  quanto  non  sarebbe  stata  seguita la
procedura  prevista  da  tale  norma: sarebbe cioe' mancata la previa
intesa  con  la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le
regioni  e  le  province  autonome,  che  avrebbe dovuto precedere la
predisposizione   del   decreto   legislativo;   e  anche  dopo  tale
predisposizione  non  sarebbe stata raggiunta l'intesa sui compiti di
rilievo nazionale, ne' il Governo avrebbe motivatamente deliberato in
mancanza  dell'intesa, come previsto dalla norma predetta della legge
di delega. Sarebbero percio' violati gli articoli 76, 117 e 118 della
Costituzione.  Nel  ricorso  contro  il  decreto  n. 443  del 1999 si
specifica  la  censura  rilevando  che  alle  sedute della Conferenza
Stato-regioni  nelle  quali  si  e'  sancita  l'intesa  (25 giugno  e
1o luglio 1999) non erano presenti tutti i presidenti delle regioni e
delle  province  autonome,  il  cui  assenso  unanime  sarebbe invece
necessario  a  tale  fine,  e,  nella  seduta  del 25 giugno, non era
presente  neanche  la maggioranza  dei  presidenti, onde l'intesa non
avrebbe  potuto  essere sancita nemmeno a maggioranza dei componenti.
Si  rileva  infine,  in  relazione all'art. 3 del decreto legislativo
n. 443,  modificativo  dell'art. 29,  comma 2, lettera b), del d.lgs.
n. 112,  che  il  testo  del  decreto  impugnato e' diverso da quello
sancito nell'intesa.
    Il  profilo  di censura relativo al mancato assenso all'intesa di
tutti  i  presidenti  delle  regioni,  e  comunque all'assenza, nella
seduta    della   Conferenza   in   cui   l'intesa   venne   sancita,
della maggioranza  dei presidenti, e' avanzato dalla ricorrente anche
riguardo  al d.lgs. n. 112 del 1998, ma solo nella memoria depositata
in  vista dell'udienza del 16 gennaio 2001, quindi tardivamente. Tale
profilo  e'  stato  invece  tempestivamente  prospettato, nel secondo
ricorso, a proposito del d.lgs. n. 443 del 1999.
    11. - Le  questioni, nei loro termini generali, e salvo quanto si
dira'  a  proposito  dell'art. 3 del d.lgs. n. 443 del 1999, non sono
fondate.
    L'art. 1,  comma 4, lettera c), della legge di delega dispone che
restino  esclusi  dal conferimento alle regioni e agli enti locali "i
compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la
difesa del suolo, per la tutela dell'ambiente e della salute, per gli
indirizzi,  le  funzioni  e i programmi nel settore dello spettacolo,
per  la  ricerca,  la  produzione, il trasporto e la distribuzione di
energia".   Ai   fini  dell'individuazione  dei  compiti  di  rilievo
nazionale,   gli   schemi  di  decreti  legislativi  dovevano  essere
"predisposti  previa  intesa  con  la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano";  in mancanza dell'intesa, il Consiglio dei ministri avrebbe
dovuto  deliberare  motivatamente  in  via definitiva su proposta del
Presidente del Consiglio.
    L'istruttoria   disposta   da   questa   Corte   con  l'ordinanza
11-15 maggio 2000 ha consentito di accertare che:
        a)  per  quanto riguarda il d.lgs. n. 112 del 1998, lo schema
originario  del  decreto fu predisposto dal Governo e sottoposto alla
Conferenza Stato-regioni ai fini del raggiungimento dell'intesa sulla
individuazione  dei  compiti  di  rilievo nazionale da riservare allo
Stato;   le  regioni,  pur  rilevando  che  l'intesa  avrebbe  dovuto
precedere e non seguire la predisposizione dello schema, affrontarono
il  merito  della  disciplina  in  esame,  elaborando  tra l'altro un
proprio  documento  e chiedendo e ottenendo che il decreto contenesse
anche   le   disposizioni   in   materia   di   spettacolo,   assenti
nell'originario   schema  governativo;  le  posizioni  delle  regioni
vennero  concordate,  all'unanimita'  dei presenti, nell'ambito della
conferenza  dei  presidenti  delle  regioni,  che  si riuniva, con la
presenza  maggioritaria  dei suoi membri, in vista delle sedute della
Conferenza  Stato-regioni; la discussione avvenne su tutte le materie
cui  si  riferiscono  i  compiti di rilievo nazionale individuati nel
decreto, e sfocio' nell'intesa definitivamente sancita, sul testo dei
relativi  articoli  dello schema di decreto legislativo, nella seduta
della  Conferenza  del  25 marzo  1998, alla quale tutti i presidenti
delle  regioni  e  delle  province  autonome risultavano regolarmente
invitati,  mentre risultavano presenti i rappresentanti di 10 regioni
e  province autonome; nessuna posizione di dissenso rispetto al testo
definitivo    dell'intesa    risulta   essere   stata   espressa   da
rappresentanti  regionali,  in  particolare della regione ricorrente,
nell'ambito  della Conferenza, ne', peraltro, al di fuori di essa nei
rapporti fra le regioni ed il Governo;
        b)  per  quanto  riguarda  il  d.lgs.  n. 443  del  1999,  le
modifiche  al  decreto  base  furono tutte sottoposte alla Conferenza
Stato-regioni,   che  sanci'  formalmente  l'intesa  -  sempre  sulle
formulazioni  testuali delle disposizioni del decreto legislativo poi
approvato  -  nella  seduta  del  25 giugno 1999 (con la presenza dei
rappresentanti  di  11 regioni e province autonome) in relazione agli
articoli  3, 13, 14, 15 e 17, nonche' all'art. 16, limitatamente alle
lettere  a e b del comma 1, e nella seduta del 1o luglio 1999 (con la
presenza  dei  rappresentanti  di  12 regioni e province autonome) in
relazione  alla  lettera c), del comma 1, dell'art. 16, introdotta su
richiesta  delle  regioni, ad integrazione - proposta nel corso della
seduta  -  dell'intesa  gia'  raggiunta nella precedente seduta, come
ulteriore  modificazione  dell'art. 115  del  decreto base, nel quale
tale  lettera introduce il comma 3-ter; anche in questo caso l'intesa
fu  preceduta  da  deliberazioni,  prese all'unanimita' dei presenti,
della  conferenza  dei  presidenti  delle  regioni, e nessun dissenso
risulta  essere  stato  manifestato  da  alcuna  delle  regioni, e in
particolare  dalla  ricorrente,  sui  testi definitivi dell'intesa in
sede  di Conferenza Stato-regioni, ne', peraltro, al di fuori di essa
nei rapporti fra regioni e Governo. Risulta parzialmente difforme dal
testo dell'intesa raggiunta l'art. 3 del decreto legislativo.
    12. - Cio'  premesso in punto di fatto, non puo', in primo luogo,
essere  condivisa  la tesi della ricorrente, secondo cui la procedura
seguita sarebbe in contrasto con l'art. 1, comma 4, lettera c), della
legge di delega, in quanto il Governo predispose lo schema originario
del  decreto  n. 112  senza  previamente  raggiungere  l'intesa sulla
individuazione dei compiti di rilievo nazionale da trattenere in capo
allo  Stato.  Vero  e',  infatti,  che  sullo  schema originariamente
proposto  dal Governo non era stata sollecitata e raggiunta l'intesa,
ma cio' che conta e' che tale intesa sia stata richiesta e raggiunta,
nella  Conferenza  Stato-regioni,  prima  che  si intraprendessero le
ulteriori  tappe del procedimento prescritto (pareri della Conferenza
Stato,  regioni,  citta'  e  autonomie  locali,  e  delle commissioni
parlamentari,  deliberazione  definitiva  del  Governo), cosi' che le
regioni  abbiano  avuto  modo  di esprimere le proprie posizioni e di
pervenire o meno all'intesa, sulla base di un effettivo confronto con
le  posizioni del Governo, nella sede della Conferenza Stato-regioni:
cio' che, come si e' visto, e' in fatto accaduto.
    Nemmeno  puo'  consentirsi  con la ricorrente circa la necessita'
che  l'assenso  sia espresso, in sede di formalizzazione dell'intesa,
dai  presidenti  di  tutte  le regioni e province autonome componenti
della   Conferenza  Stato-regioni.  L'art. 3,  comma  2,  del  d.lgs.
28 agosto   1997,   n. 281   -   unica  disposizione  che  regola  il
procedimento  per  le intese sancite nella Conferenza Stato-regioni -
stabilisce   che   "le   intese  si  perfezionano  con  l'espressione
dell'assenso  del  Governo  e  dei  presidenti  delle regioni e delle
province  autonome di Trento e di Bolzano". Esso non puo' intendersi,
conformemente  alla sua ratio e ad una interpretazione congruente con
il  principio  di  leale  collaborazione,  nel senso che l'assenza di
alcune  regioni,  al  limite  anche  di  una  sola,  pur regolarmente
convocate, alla riunione della Conferenza, non accompagnata da alcuna
espressione  di dissenso, eventualmente manifestata anche fuori della
sede  della  conferenza,  possa  inficiare  l'assenso delle regioni e
dunque impedire il perfezionamento dell'intesa.
    Ma  non  puo'  neanche  accogliersi  la  tesi  sostenuta  in  via
subordinata   dalla  ricorrente,  secondo  cui  sarebbe  quanto  meno
necessario  l'assenso  della maggioranza assoluta delle regioni i cui
presidenti  sono  membri  della  Conferenza.  La  regola dell'assenso
espresso  dalla  unanimita' o almeno dalla maggioranza assoluta della
componente  regionale  della  Conferenza  e'  stabilita, dall'art. 2,
comma 2, del d.lgs. n. 281 del 1997, limitatamente all'adozione degli
atti  di  cui  alle  lettere  f),  g)  e i), del comma 1 dello stesso
articolo,  vale  a  dire per la determinazione dei criteri di riparto
fra   le   regioni   di   risorse  finanziarie,  per  l'adozione  dei
provvedimenti  attribuiti  dalla  legge  alla  Conferenza,  e  per la
nomina,  nei  casi  previsti dalla legge, dei responsabili di enti od
organismi  strumentali  all'esercizio  di  funzioni  concorrenti  tra
Governo  e  regioni;  nonche'  -  ai sensi del successivo comma 8 del
citato  art. 2  - per la deliberazione degli indirizzi per l'uniforme
applicazione   dei   "percorsi  diagnostici  e  terapeutici"  di  cui
all'art. 1,  comma 28, della legge n. 662 del 1996, dei protocolli di
intesa  dei  progetti  di  sperimentazione  gestionale  del  servizio
sanitario,  di cui all'art. 9-bis del d.lgs. n. 502 del 1992, e degli
atti  gia' di competenza dei soppressi organismi a composizione mista
Stato-regioni.  Si  tratta,  come  si  vede,  di  ipotesi  in  cui la
Conferenza esercita competenze decisorie come collegio deliberante.
    Diverso  e'  il caso delle intese, previste dall'art. 2, comma 1,
lettera  a),  e  regolate  dall'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997. La
Conferenza  non  opera qui come collegio deliberante, ma come sede di
concertazione  e  di  confronto,  anzitutto  politico,  fra Governo e
regioni  -  queste  ultime considerate quale componente complessiva e
unitaria,  ancorche'  rappresentativa  di  interessi  e  di  opinioni
eventualmente,  in  partenza,  differenziate  -,  confronto  volto  a
raggiungere,  ove possibile, una posizione comune. Decisivo, a questo
riguardo, e' che esso si svolga, in conformita' al principio di leale
collaborazione,  con  modalita'  idonee a consentire a ciascuna delle
due  componenti  di  esprimere  le  proprie posizioni, di valutare le
posizioni dell'altra parte e di elaborare e proporre soluzioni su cui
concordare (cfr. sentenza n. 379 del 1992).
    Nell'assenza  -  giustificabile d'altra parte alla luce dei sopra
descritti  caratteri  dell'intesa  -  di ulteriori regole formali che
disciplinino il modus procedendi della Conferenza e pongano requisiti
di  numero  legale  e di maggioranza, l'intesa non puo' dirsi mancata
una  volta  che  (come  in effetti, secondo quanto si e' detto, nella
specie  e'  accaduto)  tutte le regioni siano state messe in grado di
partecipare   effettivamente   alla   ricerca   e   alla  definizione
dell'accordo e di concorrere al raggiungimento del medesimo, o invece
di  impedirlo, e non siano stati manifestati dissensi sulla posizione
comune raggiunta, come formalmente sancita nella Conferenza.
    13. - In  relazione  al  decreto  legislativo n. 112 del 1998, la
ricorrente, nella relazione di accompagnamento dei documenti prodotti
a  seguito  dell'istruttoria  disposta  da  questa Corte, afferma che
l'art. 89, comma 1, lettera b) (concernente le funzioni trasferite in
materia  di  dighe)  e  l'art. 109, comma 2 (concernente le strutture
statali  soggette  a  riordino)  sono  difformi dal testo dell'intesa
sancita  nella  Conferenza  Stato-regioni  nella  seduta del 25 marzo
1998. Tuttavia - a parte il rilievo che detti articoli non sono stati
specificamente impugnati nel ricorso, ma al piu' potrebbero ritenersi
oggetto  della  generica  censura  di assenza della previa intesa sui
compiti  di rilievo nazionale, mossa con il quarto motivo del ricorso
-  non  si  tratta di divergenze tali da inficiare la conformita' del
decreto  all'intesa  prescritta in tema di individuazione dei compiti
di rilievo nazionale da conservare alla competenza statale.
    Invero:
        a)  la difformita' relativa all'art. 89, comma 1, lettera b),
e'  puramente  formale  e non incide sulla sostanziale individuazione
dei  compiti  di  rilievo  nazionale.  Infatti  il  testo del decreto
include,  fra le funzioni trasferite, quelle relative "alle dighe non
comprese  in quelle indicate all'articolo 91, comma 1" (cioe' diverse
da quelle aventi le caratteristiche tecniche di cui all'art. 1, comma
1, del d.l. n. 507 del 1994, che detto art. 91, comma 1, del decreto,
in  conformita'  dell'intesa,  conserva alla competenza dello Stato),
anziche'  "alla  vigilanza  sulla  realizzazione  e l'esercizio delle
dighe  di  ritenuta di cui al decreto del Presidente della Repubblica
1o novembre  1959,  n. 1363"  (come  risultava  nel  testo oggetto di
intesa):   la   variazione   appare  determinata  dalle  esigenze  di
coordinamento  con  il  testo  -  conforme all'intesa - dell'art. 91,
comma  1,  e  non  modifica  la  portata  rispettiva  delle  funzioni
conferite e di quelle conservate in capo allo Stato;
        b) la difformita' relativa all'art. 109, comma 2, riguarda la
mancata  inclusione - nel testo finale - del dipartimento dei servizi
tecnici nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri fra
le  strutture  per  le  quali  si  prevede il riordino ai sensi degli
articoli  11  e  12  della  legge  n. 59 del 1997, cioe' in base alla
delega    specifica   per   la   riorganizzazione   delle   strutture
amministrative  nazionali.  Ma,  com'e'  evidente,  si tratta di tema
estraneo  alla  individuazione  -  unico oggetto dell'intesa prevista
dalla  legge  di  delega  -  dei  compiti  di  rilievo  nazionale  da
trattenere   in   capo   allo  Stato,  in  deroga  al  principio  del
conferimento alle regioni e agli enti locali, secondo quanto previsto
dall'art. 1, comma 4, lettera c), della legge di delega.
    14. - In  relazione  al  d.lgs. n. 443 del 1999, sulla base delle
considerazioni  sopra svolte (al n. 12), potrebbe porsi uno specifico
interrogativo   circa   la   validita'   dell'intesa   sancita  dalla
Conferenza,    nella   seduta   del   1o luglio   1999,   concernente
l'introduzione,  nel  testo dell'art. 115 del d.lgs. n. 112 del 1998,
del  nuovo  comma  3-ter, ad integrazione delle modifiche allo stesso
art. 115 su cui era stata sancita l'intesa nella seduta del 25 giugno
1999,  in  relazione alla circostanza che la nuova intesa integrativa
fu  il  frutto  di una proposta avanzata, al di fuori dell'ordine del
giorno  della  seduta,  dalle  regioni  e  dalle province autonome di
Trento  e  di  Bolzano  (come risulta dal verbale n. 19/1999, punto A
degli "argomenti proposti nel corso della seduta"). Tuttavia la Corte
non ha ragione di affrontare, in questa sede, tale interrogativo, sia
perche' si tratta di un profilo non dedotto nel ricorso, nel quale la
regione  si  limita  a  impugnare,  fra gli altri, nel suo complesso,
l'art. 16  del d.lgs. n. 443 del 1999, modificativo dell'art. 115 del
d.lgs.  n. 112 del 1998, contestando la mancanza, anche relativamente
all'intesa  sancita  nella seduta del 1o luglio 1999, dell'assenso di
tutti  i presidenti delle regioni (mentre in altro motivo del ricorso
-  esaminato  piu'  avanti  nel  corso  della presente pronuncia - e'
censurato  il  comma 3-ter aggiunto all'art. 115 del decreto base, ma
sotto  il  profilo  del  suo  contenuto);  sia  perche', comunque, la
modifica in questione - richiesta, come si e' detto, dalle regioni ad
integrazione  della  precedente intesa, e accettata dal Governo - non
riguarda la individuazione di compiti di rilievo nazionale, bensi' la
disciplina,   sulla  base  di  accordi  da  approvare  in  Conferenza
Stato-regioni,  dell'esercizio delle funzioni (statali, come si dira)
previste  dai  commi  3 e 3-bis dello stesso art. 115, concernenti le
verifiche  di  conformita'  alle  normative di strutture, attivita' e
prodotti in materia sanitaria.
    15. - Deve  invece  essere  esaminato,  sempre riguardo al d.lgs.
n. 443  del  1999, il profilo di censura prospettato dalla ricorrente
la'  dove  essa  rileva  che  l'art. 3  del  d.lgs.  n. 443 del 1999,
modificativo dell'art. 29, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 112 del
1998, e' stato approvato dal Governo in un testo parzialmente diverso
da   quello   risultante   dall'intesa   sancita   nella   Conferenza
Stato-regioni.
    L'art. 29  del  decreto  base  determina  le funzioni e i compiti
conservati  allo Stato in materia di ricerca, produzione, trasporto e
distribuzione di energia. In particolare, la lettera b), del comma 2,
nel  testo  originario,  conservava  in  capo  allo Stato le funzioni
amministrative     concernenti     "le     determinazioni    inerenti
l'importazione,  l'esportazione e lo stoccaggio di energia". Il testo
dell'art. 3  dello  schema di decreto modificativo e integrativo, sul
quale intervenne l'intesa nella seduta della Conferenza del 25 giugno
1999,  prevedeva  (oltre ad una modifica della lettera l) del comma 2
dello  stesso  art. 29,  trasfusa  integralmente nel testo del d.lgs.
n. 443  del 1999, e che qui non viene in considerazione), l'aggiunta,
nel  citato  testo  della  lettera  b), dopo le parole "stoccaggio di
energia",  delle  seguenti  parole: "limitatamente allo stoccaggio di
metano  in  giacimento,  allo stoccaggio di oli minerali di capacita'
superiore  a  mc. 80.000 e di gas di petrolio liquefatti di capacita'
superiore  a  mc.  400".  Nel  testo  finale del decreto legislativo,
invece,  l'aggiunta  e'  limitata  alle  parole  "limitatamente  allo
stoccaggio  di  metano in giacimento". In sostanza, mentre il decreto
base conservava allo Stato per intero le determinazioni inerenti allo
stoccaggio  di  energia,  la  modifica  recata dal decreto correttivo
prevede  una  limitazione  di  tali  competenze  rimaste in capo allo
Stato:  secondo  l'intesa  dette competenze avrebbero comunque dovuto
essere  piu' ampie di quelle poi effettivamente rimaste allo Stato in
base  al decreto n. 443, concernendo, oltre allo stoccaggio di metano
in  giacimento, altresi' lo stoccaggio, in quantita' superiori a date
soglie,  degli  oli minerali e dei gas di petrolio liquefatti. Queste
ultime  funzioni  sono  state  invece  escluse, nel testo definitivo,
dalla  competenza  statale,  risultando  dunque,  in definitiva, piu'
ampia  la  sfera  delle  funzioni  conferite  alle  regioni  ai sensi
dell'art. 30,  comma 1, dello stesso d.lgs. n. 112, secondo cui "sono
delegate  alle  regioni le funzioni amministrative in tema di energia
(...)  che non siano riservate allo Stato ai sensi dell'articolo 29 o
che non siano attribuite agli enti locali ai sensi dell'articolo 31".
    16. - La questione, sotto questo specifico profilo, e' fondata.
    La  modifica  introdotta  nel  decreto base dall'art. 3, comma 1,
lettera  a),  del  d.lgs.  n. 443  e'  infatti  difforme  dall'intesa
raggiunta, e dunque perviene ad una definizione dell'area dei compiti
di  rilievo  nazionale,  conservati  in  capo  allo Stato, diversa da
quella  concordata. Poiche' il Governo non ha motivato specificamente
tale  difformita'  dal testo dell'intesa, essa da' luogo a violazione
dell'art. 1,  comma  4,  lettera  c),  della  legge n. 59 del 1997, e
dunque, indirettamente, a violazione dell'art. 76 della Costituzione.
    Ne'  si potrebbe obiettare che la modifica introdotta dal Governo
e'  ampliativa,  e  non  restrittiva,  delle  funzioni conferite alle
regioni,  rispetto  al testo su cui si raggiunse l'intesa: infatti la
garanzia   dell'intesa   riguarda  non  solo  l'ampiezza  minima  dei
conferimenti convenuti, ma piu' in generale il riparto delle funzioni
risultante  dalla  individuazione  dei  compiti  di rilievo nazionale
trattenuti  in  capo  allo  Stato, anche tenendo conto del fatto che,
nella specie, le funzioni delegate alle regioni ai sensi dell'art. 30
del  d.lgs.  n. 112 possono comportare oneri finanziari, come risulta
implicitamente  dallo stesso art. 30, comma 2, che vincola le regioni
a  statuto  ordinario  a  destinare, "per far fronte alle esigenze di
spesa  relative  alle  attivita'  di  cui  al  comma  1",  cioe' alle
attivita'  delegate,  una  percentuale  minima dell'1 per cento delle
disponibilita' conseguite annualmente ai sensi dell'art. 3, comma 12,
della  legge  n. 549  del  1995  (vale a dire del gettito della quota
dell'accisa sulla benzina attribuita alle regioni stesse).
    Poiche'  la  pronuncia  di  questa  Corte non puo', all'evidenza,
conseguire  l'effetto  di ripristinare la corrispondenza fra il testo
su  cui  e'  intervenuta  l'intesa  e  il  testo legislativo emanato,
inserendo in quest'ultimo ulteriori ipotesi di compiti riservati allo
Stato  nel  campo  dello  stoccaggio di energia, l'accoglimento della
censura   deve   condurre   alla   dichiarazione   di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 443 del
1999,  ripristinando cosi', per questa parte, il testo originario del
d.lgs.  n. 112  del  1998, che la disposizione censurata aveva inteso
modificare.
    17.  -  Con  il  quinto  motivo  del  primo ricorso la ricorrente
lamenta la violazione degli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione
ad   opera   delle  disposizioni  del  d.lgs.  n. 112  del  1998  che
attribuiscono  direttamente  funzioni  e  compiti  agli  enti  locali
sub-regionali nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, e
specificamente  degli  articoli 41, comma 3; 66, comma 1, lettere b),
(peraltro poi soppressa dall'art. 9 del d.lgs. n. 443 del 1999) e c),
99,  comma 3, secondo periodo; 131, comma 2; 132: non si tratterebbe,
infatti,  di  compiti  di  interesse esclusivamente locale, e sarebbe
comunque  violato il criterio di cui all'art. 4, comma 1, della legge
di delega, secondo cui nelle materie dell'art. 117 della Costituzione
l'attribuzione  delle funzioni avrebbe dovuto essere operata a favore
delle regioni, alle quali sarebbe poi spettato valutare la necessita'
di conferimento delle stesse a livello locale.
    18. - La questione non e' fondata.
    La  legge di delega attribuiva al Governo, in termini assai ampi,
il compito di procedere a conferire "alle regioni e agli enti locali,
ai  sensi  degli articoli 5, 118 e 128 della Costituzione, funzioni e
compiti   amministrativi".   Il   legislatore   delegato  era  dunque
autorizzato   ad  impiegare  tutti  gli  strumenti  di  decentramento
funzionale  contemplati dalla Costituzione, dal trasferimento e dalla
delega  a  favore  delle  regioni,  all'attribuzione diretta a favore
degli  enti  locali;  e  infatti l'art. 3, comma 1, lettera b), della
stessa  legge  prevedeva  che  con  i  decreti  legislativi  delegati
fossero,  fra l'altro, "indicati, nell'ambito di ciascuna materia, le
funzioni  e  i compiti da conferire alle Regioni (...) o da conferire
agli  enti  locali  territoriali o funzionali ai sensi degli articoli
128  e  118,  primo  comma,  della  Costituzione":  dove  il richiamo
all'art. 118,  primo  comma, non puo' che riferirsi alle funzioni "di
interesse  esclusivamente  locale" che la legge della Repubblica puo'
attribuire direttamente agli enti locali proprio nelle materie di cui
all'art. 117  della Costituzione (cfr. sentenza n. 408 del 1998, n. 3
del considerato in diritto).
    L'ulteriore  principio  sancito dall'art. 4, comma 1, della legge
di  delega,  secondo cui "nelle materie di cui all'articolo 117 della
Costituzione,  le  regioni,  in  conformita'  ai  singoli ordinamenti
regionali,  conferiscono  alle  province, ai comuni e agli altri enti
locali  tutte  le  funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a
livello  regionale"  (mentre  gli altri compiti e funzioni decentrati
vengono conferiti a regioni, comuni e altri enti locali con i decreti
legislativi delegati: art. 4, comma 2, della stessa legge), ha per un
verso  una portata piu' ampia, concernendo tutte le funzioni comunque
facenti  capo  alle regioni nelle materie di loro competenza propria,
comprese  quelle  gia'  ad  esse  intestate;  per  altro verso ha una
portata  direttiva di massima, nel senso della spettanza alle regioni
del  compito  di procedere, nelle materie medesime, alla ripartizione
di  funzioni  fra  di  esse e gli enti locali, ma non puo' intendersi
come  preclusivo  dell'impiego,  da  parte  del legislatore delegato,
dello  strumento  della  attribuzione  diretta  di  compiti agli enti
locali ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione.
    Nel   procedere  alla  individuazione  dei  compiti  ritenuti  di
"interesse  esclusivamente  locale" da attribuire agli enti locali il
medesimo  legislatore  delegato  godeva  di  ampia  discrezionalita',
nell'osservanza  dei  criteri generali indicati dall'art. 4, comma 3,
della  legge  di  delega  (sussidiarieta', completezza, efficienza ed
economicita',   responsabilita'   e   unicita'  dell'amministrazione,
omogeneita', adeguatezza, differenziazione): ne' la ricorrente adduce
una  specifica  dimostrazione  del  fatto che i compiti, o taluni dei
compiti,  attribuiti  agli  enti  locali  dal decreto legislativo non
rivestano carattere di interesse esclusivamente locale, o che la loro
attribuzione agli enti locali sia in contrasto con i predetti criteri
generali.
    19.  -  La  ricorrente  censura,  con  il  sesto motivo del primo
ricorso,  gli articoli 3, comma 1, e 132, comma 1, primo periodo, del
d.lgs.  n. 112,  secondo  i quali, entro sei mesi dall'emanazione del
decreto,  ciascuna regione doveva determinare le funzioni richiedenti
l'unitario  esercizio  a livello regionale e conferire tutte le altre
agli   enti   locali,  adottando  la  legge  regionale  di  "puntuale
individuazione delle funzioni trasferite o delegate ai comuni ed agli
enti  locali  e  di  quelle  mantenute  in capo alle regioni stesse".
Sarebbero  violati  gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione per
la  irragionevole  brevita' del termine imposto alle regioni, tale da
lederne  l'autonomia e da rendere pressoche' inevitabile l'intervento
sostitutivo  dello  Stato  previsto  dall'art. 4,  comma  5,  secondo
periodo, della legge n. 59 del 1997.
    20. - La questione e' inammissibile.
    Il  termine di sei mesi dalla emanazione del decreto legislativo,
assegnato  alle  regioni  per  l'adozione  della  legge  di "puntuale
individuazione  delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali
e  di quelle mantenute in capo alla regione stessa", e' espressamente
stabilito dall'art. 4, comma 5, primo periodo, della legge di delega.
Il  legislatore  delegato  non  ha fatto altro, a tale proposito, che
richiamare e ripetere la prescrizione della legge di delega.
    La  censura  non  puo'  dunque  utilmente  appuntarsi sul decreto
delegato.   Ne'  puo'  accogliersi  la  richiesta  subordinata  della
ricorrente,  di  sollevare  questione  di legittimita' costituzionale
dell'art. 4,  comma  5,  della  legge di delega, per violazione degli
indicati  medesimi parametri costituzionali, poiche' si farebbe luogo
in  tal modo ad una inammissibile elusione del termine assegnato alle
regioni  dall'art. 2  della legge costituzionale n. 1 del 1948 per la
impugnazione delle leggi statali.
    21.  -  Il  settimo motivo del primo ricorso solleva questione di
legittimita'   costituzionale,  per  violazione  dell'art. 119  della
Costituzione,  dell'art. 7,  comma  3,  del  d.lgs.  n. 112,  ove  si
prevedono  i  criteri di attribuzione alle regioni e agli enti locali
di  beni e risorse finanziarie "corrispondenti per ammontare a quelli
utilizzati  dallo  Stato  per  l'esercizio  delle medesime funzioni e
compiti  prima  del  conferimento",  stabilendo  che,  ai  fini della
relativa  quantificazione,  si  tenga conto "dei beni e delle risorse
utilizzati dallo Stato in un arco temporale pluriennale, da un minimo
di  tre  ad  un  massimo di cinque anni" (lettera a), "dell'andamento
complessivo  delle  spese  finali  iscritte  nel bilancio statale nel
medesimo  periodo  di riferimento" (lettera b), e "dei vincoli, degli
obiettivi  e  delle  regole di variazione delle entrate e delle spese
pubbliche     stabiliti     nei     documenti    di    programmazione
economico-finanziaria,  approvati  dalle  Camere, con riferimento sia
agli  anni  che precedono la data del conferimento, sia agli esercizi
considerati   nel  bilancio  pluriennale  in  vigore  alla  data  del
conferimento    medesimo"   (lettera   c).   La   lesione   lamentata
discenderebbe  dalla  indeterminatezza  dei criteri indicati, essendo
rimessa  al  Governo  la  scelta  dell'arco  temporale e dell'anno da
assumere  come  base  per  il  calcolo,  e  potendo esso utilizzare i
criteri  a  loro volta indeterminati di cui alle citate lettere b), e
c).
    22. - La questione non e' fondata.
    Il  criterio fondamentale individuato per la determinazione delle
risorse da trasferire e', in conformita' all'art. 3, comma 1, lettera
b), della legge di delega (che prevede, insieme al conferimento delle
funzioni,  la "conseguente e contestuale attribuzione e ripartizione"
dei   beni   e   delle  risorse  finanziarie,  umane,  strumentali  e
organizzative),   quello   della   attribuzione  di  beni  e  risorse
"corrispondenti  per  ammontare  a  quelli utilizzati dallo Stato per
l'esercizio   delle   medesime   funzioni   e   compiti   prima   del
conferimento":   criterio  logico  ed  obiettivo,  volto  ad  evitare
squilibri fra compiti e risorse, o un aggravio della finanza pubblica
per  effetto del decentramento delle funzioni. Gli indici contemplati
per   la  quantificazione  delle  risorse  da  attribuire  tendono  a
realizzare   tale   principio   di   corrispondenza,   attraverso  un
riferimento  meno  meccanico  di  quello  (utilizzato in occasione di
precedenti  trasferimenti  di funzioni) alle sole cifre stanziate nei
capitoli pertinenti dell'ultimo bilancio dello Stato, e tenendo conto
della  dinamica  della  spesa  nel tempo in rapporto anche agli altri
indici   dell'economia,   utilizzati  al  fine  della  programmazione
finanziaria dello Stato.
    Nessuna  lesione  dell'autonomia  finanziaria  delle regioni puo'
percio' discendere da tale definizione di criteri di quantificazione:
mentre   eventuali   lesioni   che   discendessero   da  una  cattiva
applicazione  degli  stessi  potrebbero,  se  del  caso, essere fatte
valere in sede di sindacato sui decreti del Presidente del Consiglio,
cui  l'art. 7,  comma  1,  della  legge di delega e lo stesso art. 7,
comma  3,  del  decreto  legislativo  impugnato  affidano la puntuale
individuazione delle risorse da trasferire.
    23.  -  Anche con l'ottavo motivo del primo ricorso la ricorrente
lamenta   la  lesione  dell'art. 119  della  Costituzione,  ad  opera
dell'art. 3,  comma  3,  in  rapporto  all'art. 7, del d.lgs. n. 112.
L'art. 3,  comma  3,  infatti, impone alla regione di attribuire agli
enti  locali  le  risorse,  "in  misura  tale da garantire la congrua
copertura  degli  oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni e dei
compiti   trasferiti",  con  la  legge  regionale  che  definisce  la
ripartizione  delle  funzioni  e  dei compiti medesimi fra regione ed
enti  locali:  ma  la regione non saprebbe donde trarre le risorse da
trasferire,  posto  che  a  sua  volta riceverebbe dallo Stato beni e
mezzi  solo  successivamente,  con  i  provvedimenti attuativi di cui
all'art. 7 del decreto legislativo.
    24.  -  La questione non e' fondata, in quanto le norme impugnate
non  possono  intendersi  nel  senso,  paventato dalla ricorrente, di
imporre  un trasferimento di risorse da parte della regione, a favore
degli enti locali, anticipato rispetto alla attribuzione delle stesse
da parte dello Stato alla regione medesima.
    In  realta'  la ripartizione delle risorse trasferite dallo Stato
fra regione ed enti locali non puo' che seguire la ripartizione delle
funzioni  e  dei  compiti:  questo  e'  il  criterio  di fondo cui si
ispirano  sia  la legge di delega, sia il decreto delegato. E' dunque
evidente  che  la  individuazione  delle  risorse spettanti agli enti
locali deve conseguire, da un lato, alla ripartizione delle funzioni,
parzialmente  rimessa  alla  legge  regionale,  dall'altro  lato alla
individuazione  da  parte  dello  Stato  dell'insieme  delle  risorse
trasferite  in conseguenza dei conferimenti di funzioni e di compiti.
Ed  infatti  l'art. 7, comma 8, del d.lgs. n. 112 prevede che siano i
decreti  del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'art. 7
della   legge   n. 59   del   1997,   a   contenere,   fra   l'altro,
"l'individuazione  dei  beni  e  delle  strutture  da  trasferire, in
relazione  alla ripartizione delle funzioni, alle regioni e agli enti
locali"  (art. 7, comma 8, lettera b), e che a tal fine gli schemi di
decreti siano elaborati sulla base di accordi tra Governo, regioni ed
enti  locali  promossi  dalla  Conferenza  unificata  Stato, regioni,
citta'  e  autonomie  locali,  salvo,  in caso di mancato accordo, il
dovere  del  Presidente  del  Consiglio  di  provvedere, acquisito il
parere  della  Conferenza  unificata  (art. 7, comma 8, cit., prima e
ultima proposizione).
    Il principio di congruita' delle risorse trasferite rispetto alle
funzioni  conferite a ciascun livello vale sia per la ripartizione di
risorse  effettuata da parte dello Stato sulla base degli accordi fra
Governo,  regioni  ed  enti  locali,  sia  per  le  ulteriori risorse
trasferite  agli  enti locali dalle Regioni in relazione ad ulteriori
conferimenti di funzioni.
    25.  -  Con  il  nono  motivo del primo ricorso la regione Veneto
lamenta  che  il decreto legislativo impugnato abbia omesso quasi del
tutto  di provvedere alla soppressione, trasformazione o accorpamento
delle  strutture  statali  interessate dal conferimento di funzioni e
compiti,  come previsto dall'art. 3, comma 1, lettera d), della legge
di  delega,  nonche'  alla  individuazione  delle  modalita'  e delle
procedure  per  il trasferimento del personale statale, come previsto
dall'art. 3,  comma  1,  lettera  e),  della  stessa legge, rinviando
invece  a  successivi provvedimenti del Governo. La omissione di tali
adempimenti  comporterebbe  non  gia'  un  parziale  esercizio  della
delega,   ma   un  illegittimo  esercizio  della  stessa,  posto  che
l'indicazione delle strutture oggetto del riordino e del personale da
trasferire sarebbe essenziale per dare concretezza ai conferimenti di
funzioni.  Sarebbero  dunque violati gli articoli 76, 117 e 118 della
Costituzione.
    26. - La questione non e' fondata.
    Al  riordino delle strutture statali interessate dal conferimento
di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali e' previsto che
si  debba  provvedere,  ai sensi dell'art. 7, comma 3, della legge di
delega,  "con  le  modalita'  e  i  criteri  di  cui  al  comma 4-bis
dell'art. 17   della   legge   31 agosto  1988,  n. 400",  introdotto
dall'art. 13,  comma  1, della stessa legge n. 59 del 1997: cioe' con
regolamenti  di  organizzazione,  sulla base dei principi fissati con
atto  legislativo.  Specifici  interventi  di  riordino  di strutture
centrali,  da attuare con decreti legislativi, sono poi previsti come
oggetto  di una autonoma delega dall'art. 11 della stessa legge n. 59
del 1997.
    Non  contrasta  percio'  con  la  legge  di  delega  il  disposto
dell'art. 9 del d.lgs. n. 112 del 1998, secondo cui al riordino delle
strutture  che svolgevano le funzioni e i compiti oggetto del decreto
medesimo,   ed   eventualmente  alla  loro  soppressione  o  al  loro
accorpamento,  "si  provvede con i decreti previsti dagli articoli 7,
10 e 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59".
    Quanto  poi  al  trasferimento del personale statale, la legge di
delega  prevede  che  i  decreti  legislativi individuino modalita' e
procedure  per  detto  trasferimento  (art. 3, comma 1, lettera e), e
demanda  ai  provvedimenti  attuativi  di cui all'art. 7 della stessa
legge  il  compito  di  individuare  puntualmente,  fra  l'altro,  il
personale da trasferire e di ripartirlo tra le regioni e fra queste e
gli  enti  locali  (art. 7, comma 1). Apposite norme statuenti regole
sostanziali   in   materia,   in   particolare  per  quanto  riguarda
l'inquadramento e il trattamento giuridico ed economico del personale
trasferito, sono contenute nell'art. 7, commi 4, secondo periodo, 5 e
6,  del  decreto impugnato. A sua volta lo stesso art. 7, al comma 8,
specifica  le  procedure  da  seguire per la elaborazione dei decreti
attuativi  a  cui  e'  affidata,  fra  l'altro,  "la  definizione dei
contingenti  complessivi,  per qualifica e profilo professionale, del
personale  necessario  per  l'esercizio delle funzioni amministrative
conferite  e  del  personale da trasferire" (lettera c). Il pur largo
rinvio  ai  provvedimenti  attuativi di cui all'art. 7 della legge di
delega  per  la  (ulteriore)  "individuazione delle modalita' e delle
procedure di trasferimento", nonche' "dei criteri di ripartizione del
personale"  (art. 7,  comma 4, dello stesso decreto legislativo), non
contrasta dunque con i criteri della delega e non inficia l'efficacia
del  previsto  meccanismo  di conferimento di funzioni e compiti e di
conseguente   trasferimento   delle   risorse,   comprese  quelle  di
personale.
    27.  -  Con  il  decimo  motivo  del  primo ricorso la ricorrente
lamenta   che  il  decreto  impugnato  abbia  omesso  di  attuare  le
prescrizioni  della  legge  di delega relative alla individuazione di
procedure  e  strumenti  di raccordo per la collaborazione e l'azione
coordinata  fra  diversi livelli di governo (art. 3, comma 1, lettera
c,  della  legge  n. 59  del  1997),  alla  previsione di modalita' e
condizioni per l'avvalimento da parte dello Stato di uffici regionali
e  locali  (art. 3,  comma  1,  lettera  f),  e per il conferimento a
particolari  strutture  organizzative  di funzioni che non richiedano
l'esercizio  esclusivo  da  parte  delle  regioni e degli enti locali
(art. 3,  comma  1, lettera g). La mancanza, nel decreto legislativo,
salve  limitate  eccezioni,  di tali previsioni violerebbe ancora una
volta gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione.
    28. - La questione e' inammissibile.
    Le norme della legge di delega invocate come parametro interposto
hanno  carattere  solo facoltizzante, nel senso che esse consentivano
al  legislatore  delegato  di  prevedere,  la'  dove  fosse  ritenuto
necessario   od   opportuno,   strumenti   di  raccordo,  ipotesi  di
avvalimento  di  uffici,  o  la  creazione  di  particolari strutture
organizzative, senza pero' imporre l'uso di tali strumenti o istituti
a  proposito  di  oggetti o materie determinate. La stessa ricorrente
ammette  che  in  taluni casi, che sarebbero limitati, il legislatore
delegato  ha utilizzato siffatte previsioni, ma il fatto che esso non
abbia  ritenuto  opportuno  di  farvi  ricorso piu' largamente, od in
altre   ipotesi,  non  puo'  dar  luogo  a  censure  di  legittimita'
costituzionale.  Per  altro  verso, la ricorrente non specifica quali
sarebbero  le  disposizioni  del  decreto  legislativo  viziate sotto
questo  profilo, onde la censura si palesa inammissibile anche per la
sua genericita'.
    29. - Con l'ultimo motivo del primo ricorso la regione ricorrente
censura,  per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione,
l'art. 25,  comma  2,  lettera  g),  del  d.lgs.  n. 112 del 1998. La
disposizione  demanda  ad  uno  o  piu' regolamenti la disciplina del
procedimento   in   materia  di  autorizzazione  all'insediamento  di
attivita'  produttive, stabilendo che essi debbono prevedere che, nel
caso   in  cui  il  progetto  sia  in  contrasto  con  uno  strumento
urbanistico,  si  possa  ricorrere alla conferenza di servizi, la cui
determinazione, se vi e' accordo sulla variante, costituisce proposta
di  variante,  sulla  quale si pronuncia definitivamente il consiglio
comunale.
    Secondo   la   ricorrente  tale  previsione  lede  la  competenza
regionale  in materia urbanistica, espropriando la regione del potere
di concorrere a definire l'assetto urbanistico.
    30. - La questione e' fondata.
    Secondo  le  regole  generali oggi risultanti dall'art. 14-quater
della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dalla legge n. 340
del  2000,  e gia' prima dall'art. 14, comma 3-bis della stessa legge
nel  testo  modificato  dalla legge n. 127 del 1997, la conferenza di
servizi  puo'  adottare una determinazione positiva sul progetto, non
conforme  allo  strumento  urbanistico  generale, anche quando vi sia
dissenso  di  taluna  delle  amministrazioni  partecipanti,  e dunque
anche,  in particolare, della regione. In tale ipotesi, la previsione
secondo   cui   la   proposta   di  variante  puo'  essere  approvata
definitivamente    dal    consiglio   comunale,   senza   l'ulteriore
approvazione  regionale,  equivale  a  consentire  che  lo  strumento
urbanistico  sia  modificato  senza  il  consenso  della regione, con
conseguente   lesione   della   competenza   regionale   in   materia
urbanistica.
    Ne' puo' valere, a far ritenere salvaguardata tale competenza, il
richiamo al disposto dell'articolo 14, comma 3-bis della legge n. 241
del  1990,  introdotto  dall'art. 17 della legge n. 127 del 1997, che
attribuiva  fra  l'altro al Presidente della regione, previa delibera
del  consiglio  regionale, il potere di disporre la sospensione della
determinazione  di  conclusione  positiva  del procedimento, adottata
dall'amministrazione   procedente   a  seguito  della  conferenza  di
servizi.   A   parte   ogni   altra  considerazione,  infatti,  detta
disposizione  non  e'  piu' in vigore, a seguito della riformulazione
degli articoli da 14 a 14-quater della legge n. 241 del 1990, operata
dalla  legge  n. 340  del  2000:  oggi  l'art. 14-quater  si limita a
prevedere   che   se   una  o  piu'  amministrazioni  hanno  espresso
nell'ambito  della  conferenza  il  proprio  dissenso  sulla proposta
dell'amministrazione  procedente,  quest'ultima  assuma  comunque  la
determinazione   di   conclusione   del   procedimento   sulla   base
della maggioranza  delle  posizioni  espresse,  e che solo qualora il
motivato  dissenso  sia espresso da un'amministrazione "preposta alla
tutela   ambientale,   paesaggistico-territoriale,   del   patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute",  la decisione sia
rimessa  al  Consiglio  dei ministri (con l'intervento del presidente
della  regione  quando  il  dissenso  e' espresso da una regione) ove
l'amministrazione    dissenziente    o    quella    procedente    sia
un'amministrazione  statale,  ovvero "ai competenti organi collegiali
esecutivi    degli    enti    territoriali"   nelle   altre   ipotesi
(art. 14-quater   commi   3   e   4).   Non   e'  dunque  appropriata
l'integrazione  apportata  di  recente  al  regolamento in materia di
sportelli   unici   per   gli  impianti  produttivi  dall'art. 1  del
regolamento  approvato  con  d.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440, la' dove
dispone, per l'ipotesi di pronuncia definitiva del consiglio comunale
sulla  proposta  di variante dello strumento urbanistico, che "non e'
richiesta  l'approvazione  della  regione,  le  cui attribuzioni sono
fatte  salve  dall'art. 14,  comma  3-bis  della legge 7 agosto 1990,
n. 241".
    Deve  pertanto  essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
della  disposizione censurata, nella parte in cui prevede che, ove il
progetto di insediamento contrasti con le previsioni di uno strumento
urbanistico,   la   determinazione   della   conferenza   di  servizi
costituisce,  anche  nell'ipotesi di dissenso della regione, proposta
di  variante  sulla  quale  si pronuncia definitivamente il consiglio
comunale.
    31.  -  L'art. 16 del d.lgs. n. 443 del 1999 e' impugnato, con il
quarto  motivo  del  secondo  ricorso,  nella  parte in cui introduce
nell'art. 115  del  decreto  base  (concernente la ripartizione delle
competenze  in  materia di tutela della salute) il comma 3-ter ove si
dispone  che  "l'esercizio  delle  funzioni di cui ai commi 3 e 3-bis
[concernenti la verifica di conformita' alla normativa di strutture e
attivita'  sanitarie,  di sostanze e prodotti] e' regolato sulla base
di modalita' definite con apposito accordo da approvare in Conferenza
Stato-regioni, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto
1997,   n. 281".  Esso  violerebbe  gli  articoli  117  e  118  della
Costituzione,  in  quanto  condizionerebbe  l'esercizio  di  funzioni
regionali,  e  la  stessa  attivita'  legislativa  delle  regioni, ad
accordi con il Governo.
    32.  - La questione non e' fondata, non avendo la norma impugnata
la portata ad essa attribuita dalla ricorrente.
    L'art. 115, comma 2, del d.lgs. n. 112, elencando le funzioni e i
compiti  amministrativi  conferiti  alle regioni in materia di tutela
della  salute,  contempla  fra  questi "la verifica della conformita'
rispetto   alla  normativa  nazionale  e  comunitaria  di  attivita',
strutture,  impianti, laboratori, officine di produzione, apparecchi,
modalita'  di lavorazione, sostanze e prodotti, ai fini del controllo
preventivo,  salvo  quanto previsto al comma 3 del presente articolo,
nonche'   la   vigilanza   successiva,   ivi   compresa  la  verifica
dell'applicazione della buona pratica di laboratorio".
    A  sua  volta  il  comma 3 dello stesso articolo stabiliva che il
conferimento  delle  funzioni di verifica della conformita' di cui al
comma  2  ha effetto dopo un anno dalla entrata in vigore del decreto
legislativo;  e  che  entro  tale termine, con decreto legislativo da
emanarsi ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 59 del 1997 - cioe'
con  decreto  integrativo  e  correttivo  dei  decreti legislativi di
conferimento   -   sarebbero  stati  individuati,  fra  l'altro,  gli
adempimenti  "che,  per  caratteristiche tecniche e finalita', devono
restare di competenza degli organi centrali".
    In attuazione di tale previsione, l'art. 16 del d.lgs. n. 443 del
1999  ha  anzitutto  introdotto  nel  citato art. 115 un comma 3-bis,
secondo  il  quale,  "ai  sensi  del  comma  3 del presente articolo,
restano  riservate  allo  Stato  le funzioni di verifica, ai fini del
controllo  preventivo,  della  conformita'  rispetto  alla  normativa
nazionale  e  comunitaria, limitatamente agli aspetti di tutela della
salute di rilievo nazionale:
        a) degli stabilimenti di produzione dei prodotti destinati ad
alimentazione particolare e dei prodotti fitosanitari;
        b)  dei  macelli,  dei  mercati ittici e stabilimenti dove si
allevano  animali o pesci, nonche' dei laboratori di trasformazione e
delle  altre  strutture  di  interesse  veterinario  che fabbricano o
trattano prodotti destinati all'esportazione;
        c) dei laboratori".
    Ha  poi inserito un comma 3-ter - la disposizione qui impugnata -
ai  sensi  del  quale "l'esercizio delle funzioni di cui ai commi 3 e
3-bis  e'  regolato  sulla  base  di  modalita' definite con apposito
accordo   da   approvare   in   Conferenza  Stato-regioni,  ai  sensi
dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281".
    Tale ultimo comma fu aggiunto, come si e' prima ricordato (sopra,
n. 11),   al   testo   gia'   oggetto   di  intesa  nella  Conferenza
Stato-regioni,   che   conteneva   solo  il  comma  3-bis  a  seguito
dell'intesa  integrativa  raggiunta nella seduta della Conferenza del
1o luglio 1999, su specifica richiesta delle regioni.
    Esso  non puo' intendersi nel senso che subordini all'accordo con
il  Governo in Conferenza Stato-regioni l'esercizio delle funzioni di
verifica  di  conformita' conferite alle Regioni dall'art. 115, comma
2,  lettera  c),  del  d.lgs. n. 112: comma, quest'ultimo, che non e'
infatti  richiamato  dal  comma  3-ter.  Piuttosto  deve  intendersi,
nonostante  la  formulazione  non perspicua, nel senso che sulla base
dell'accordo,  e  quindi  con  la  partecipazione  decisionale  delle
regioni nella Conferenza, sono disciplinate le modalita' di esercizio
delle  funzioni di verifica di conformita' attribuite alla competenza
degli  organi  centrali  dal comma 3-bis, mentre il richiamo anche al
comma  3  si  spiega per il fatto che e' in tale comma, gia' presente
nel testo originario del decreto, che si rinviava espressamente ad un
decreto  integrativo la individuazione dei compiti da conservare allo
Stato  in  questa  materia.  L'accordo  fra  Governo e regioni dovra'
dunque  concernere  la  individuazione degli "aspetti della salute di
rilievo   nazionale"  che  delimitano  le  funzioni  di  verifica  di
conformita'   attribuite   allo  Stato,  e  la  determinazione  delle
modalita'   di   esercizio   di   tali  funzioni  statali  in  quanto
interferenti  con  le funzioni di verifica che, nella stessa materia,
sono  attribuite  alle  regioni:  ferma  restando,  evidentemente, la
possibilita'  per  lo  Stato  di  intervenire  anche  in quest'ultimo
ambito,  con  gli  strumenti  a  sua  disposizione, quale l'eventuale
esercizio,  ove previsto, della funzione di indirizzo e coordinamento
a tutela di interessi unitari.
    33.  -  L'ultimo  motivo del secondo ricorso investe l'art. 6 del
d.lgs.  n. 443  del  1999,  che  aggiunge  all'art. 40,  comma 1, del
decreto  base - ove si individuano le funzioni e i compiti conservati
allo  Stato in materia di fiere e mercati e di commercio - la lettera
f),    concernente   "l'attivita'   regolamentare   in   materia   di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e di commercio dei
pubblici esercizi, d'intesa con le regioni".
    La  ricorrente lamenta la violazione degli articoli 76, 117 e 118
della Costituzione, in quanto si vincolerebbe l'attivita' normativa e
amministrativa  delle  regioni  all'osservanza di norme regolamentari
statali,  il  che sarebbe precluso sia che si consideri la materia in
questione  oggetto di competenza propria delle regioni, sia che la si
consideri materia delegata.
    34. - La questione e' fondata.
    La  materia  di  cui si discute - somministrazione al pubblico di
alimenti  e  bevande  e commercio dei pubblici esercizi - non rientra
nell'ambito   delle   competenze   costituzionalmente  proprie  delle
regioni.
    Ancorche',  infatti,  l'art. 41  del  medesimo  d.lgs. n. 112 del
1998,  al comma 1, lettera d), disponga il trasferimento alle regioni
delle  "competenze  gia'  delegate  ai  sensi dell'articolo 52, primo
comma,  del  decreto  del  Presidente della Repubblica 24 luglio 1977
n. 616", e fra queste rientrino quelle relative "ai pubblici esercizi
di  vendita  e  consumo  di  alimenti  e bevande" (lettera a di detto
art. 52,  primo  comma),  sta  di  fatto  che  l'art. 39 dello stesso
decreto  legislativo n. 112 tiene distinte le funzioni amministrative
relative  alla  materia  "fiere  e  mercati",  rientrante nell'elenco
dell'art. 117  della  Costituzione, da quelle relative alla materia -
estranea invece a detto elenco - del "commercio", nel cui ambito sono
espressamente comprese, fra l'altro, "l'attivita' di somministrazione
al  pubblico  di  bevande e alimenti" e "l'attivita' di commercio dei
pubblici esercizi" (cfr. sentenza n. 205 del 2001).
    Non  trattandosi  di materia di competenza propria delle regioni,
non  sarebbe  di per se' costituzionalmente illegittima la previsione
di  un  esercizio  da  parte  dello  Stato  della potesta' di emanare
regolamenti  di  esecuzione della legge statale (cfr. legge 25 agosto
1991,  n. 287,  il cui art. 12 prevede l'emanazione di un regolamento
interministeriale di esecuzione, che non risulta ancora emanato).
    Tuttavia,  nella  specie,  occorre  tener  conto  che la legge di
delega  (art. 2  della  legge  di  delega  n. 59 del 1997, richiamato
espressamente  dall'art. 2,  comma  3,  del d.lgs. n. 112 del 1998) -
riprendendo  una  clausola  generale gia' presente nell'art. 7, primo
comma,  del  d.P.R.  n. 616 del 1977 - stabilisce in via generale che
nelle  materie diverse da quelle di competenza propria delle regioni,
ma  oggetto  di  conferimenti di funzioni amministrative alle stesse,
"spetta  alle  regioni  il potere di emanare norme attuative ai sensi
dell'articolo  117,  secondo  comma,  della  Costituzione"  (comma 1,
seconda   parte);   e   che   "in  ogni  caso,  la  disciplina  della
organizzazione  e  dello  svolgimento  delle  funzioni  e dei compiti
amministrativi  conferiti  (...)  e'  disposta, secondo le rispettive
competenze  e  nell'ambito della rispettiva potesta' normativa, dalle
regioni e dagli enti locali" (comma 2).
    Con  tale previsione generale di attribuzione alle regioni di una
potesta' normativa di attuazione della legislazione statale contrasta
la  riserva  allo  Stato,  non  gia'  di  singoli compiti esclusi dal
conferimento,  bensi',  genericamente, della "potesta' regolamentare"
(benche'  da  esercitarsi  "d'intesa con le regioni"), in una singola
materia  o  submateria  -  quella  dei pubblici esercizi di vendita e
consumo  di  alimenti  e  bevande  - compresa fra quelle in cui vi e'
conferimento  di funzioni amministrative alle regioni (art. 41, comma
2,  lettera  a, del d.lgs. n. 112 del 1998), ancorche' non rientrante
fra   quelle   elencate  nell'art. 117  della  Costituzione.  Non  si
tratterebbe infatti di una potesta' destinata ad esplicarsi in ordine
ad  aspetti  della  materia rimasti alla competenza dello Stato (cfr.
sentenza  n. 159  del  2001),  ma  di una generale potesta' normativa
diretta  a  integrare  e specificare la disciplina della legislazione
statale - cioe' a darvi attuazione - proprio nella materia oggetto di
conferimento  alle  regioni:  dunque  di  una  funzione  normativa di
attuazione  coincidente con quella che, in base alla legge di delega,
e' attribuita a queste ultime.
    Ne'  potrebbe ritenersi che la potesta' attribuita allo Stato sia
di   carattere  suppletivo,  riguardi  cioe'  l'emanazione  di  norme
regolamentari  destinate  ad  avere  efficacia  solo fino a quando la
regione non adotti, nella stessa materia, proprie norme di attuazione
(come ritenuto in altra occasione, rispetto ad un regolamento statale
in  materia  analoga,  dalla  sentenza  n. 165  del 1989). Infatti il
contesto  in  cui  e'  inserita la norma in esame, volta ad integrare
l'elenco delle funzioni "conservate allo Stato", e quindi escluse dal
conferimento  alle  regioni  e  agli  enti  locali  (art. 3, comma 1,
lettera a, della legge n. 59 del 1997), in materia di commercio, e la
stessa   previsione   di   una  attivita'  regolamentare  statale  da
esercitarsi  "d'intesa  con  le  regioni", impediscono di riconoscere
alla  norma  stessa  la  portata riduttiva che sarebbe propria di una
attribuzione di potesta' normativa solo suppletiva.
    La   disposizione   impugnata  deve  pertanto  essere  dichiarata
costituzionalmente  illegittima  per  contrasto  con i principi della
delega, e quindi con l'art. 76 della Costituzione.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    a)  Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma
2,   lettera  g),  del  decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 112
(Conferimento  di  funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni  e  agli  enti  locali,  in attuazione del Capo I della legge
15 marzo  1997,  n. 59),  nella  parte  in  cui  prevede  che, ove la
conferenza  di  servizi  registri  un  accordo sulla variazione dello
strumento  urbanistico,  la  determinazione  costituisce  proposta di
variante  sulla  quale  si  pronuncia  definitivamente  il  consiglio
comunale, anche quando vi sia il dissenso della regione;
    b) Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera   a),   del   decreto  legislativo  29 ottobre  1999,  n. 443
(Disposizioni  correttive  ed  integrative  del  decreto  legislativo
31 marzo  1998,  n. 112,  recante  conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali);
    c)  Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 40, comma
1,  lettera  f),  del  decreto  legislativo n. 112 del 1998, aggiunta
dall'art. 6 del decreto legislativo n. 443 del 1999;
    d)   Dichiara   inammissibile   la   questione   di  legittimita'
costituzionale degli articoli 3, comma 6; 5, commi 2 e 3; 7, commi 1,
2, lettera a) e 8, lettera a), 50, commi 2 e 3; 63; 138, comma 2, del
decreto  legislativo  n. 112  del  1998, nonche' dello stesso decreto
legislativo  nella  sua  interezza,  sollevata,  in  riferimento agli
articoli  76, 117 e 118 della Costituzione, nonche' in relazione agli
articoli  1,  comma 1, e 3, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo
1997, n. 59, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r. ric.
n. 25 del 1998);
    e)   Dichiara   inammissibile   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  del decreto legislativo n. 112 del 1998 sollevata, in
riferimento  agli  articoli 76, 117 e 118 della Costituzione, nonche'
in  relazione  agli  articoli  3,  comma 1, lettere c), f), g), della
legge n. 59 del 1997, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe
(r. ric. n. 25 del 1998);
    f)   Dichiara   inammissibili   le   questioni   di  legittimita'
costituzionale  delle  seguenti  disposizioni  del  predetto  decreto
legislativo  n. 112  del  1998,  sollevate, in riferimento alle norme
sotto  indicate,  dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r.
ric. n. 25 del 1998): articoli 13, 44, 54, 59, 69, comma 2, 115, 118,
119,  120,  121, comma 1, 124, 129, 142, in riferimento agli articoli
76,  117 e 118 della Costituzione, nonche' in relazione agli articoli
1,  commi 3 e 4; 3, commi 1, lettera a) e 4, comma 3, lettere b), e),
f), della legge n. 59 del 1997; articoli 18; 29, comma 2, 33, 65, 85,
93,  98,  104,  137,  in  riferimento  agli articoli 76, 117, secondo
comma, e 118 della Costituzione, nonche' in relazione agli articoli 1
e  4,  comma  3,  lettera b), della legge n. 59 del 1997; articoli 3,
comma  1, e 132, comma 1, primo periodo, in riferimento agli articoli
76, 117 e 118 della Costituzione;
    g)   Dichiara   non   fondate   le   questioni   di  legittimita'
costituzionale  delle  seguenti  disposizioni del decreto legislativo
n. 112 del 1998, sollevate, in riferimento alle norme sotto indicate,
dalla  Regione  Veneto  con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 25 del
1998):  articoli  29,  comma 1; 52, comma 1; 69, comma 1; 77, 80, 83,
88, 107, 156, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione ed in
relazione  all'art. 1,  comma  4,  lettera  c), della legge n. 59 del
1997;  articoli  41, comma 3; 66, comma 1, lettere b) e c); 99, comma
3,  secondo  periodo; 131, comma 2; 132, in riferimento agli articoli
76, 117 e 118 della Costituzione e in relazione all'articolo 4, comma
1,  della  legge  n. 59 del 1997; articolo 7, comma 3, in riferimento
all'art. 119  della  Costituzione;  articolo  3, comma 3, in rapporto
all'articolo  7,  in  riferimento  all'art. 119  della  Costituzione;
articoli  7,  comma  4; 9, 58, 67, comma 1; 75; 92, commi 2 e 3; 106,
comma  1;  109,  comma 2; 146, in riferimento agli articoli 76, 117 e
118 della Costituzione e in relazione all'art. 3, comma 1, lettere d)
,ed e), della legge n. 59 del 1997;
    h)   Dichiara   non   fondata   la   questione   di  legittimita'
costituzionale del decreto legislativo n. 443 del 1999 - intero testo
-  sollevata,  in  riferimento  all'art. 76 della Costituzione, dalla
Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 1 del 2000);
    i)   Dichiara   non   fondate   le   questioni   di  legittimita'
costituzionale  delle  seguenti  disposizioni del decreto legislativo
n. 443 del 1999, sollevate, in riferimento alle norme sotto indicate,
dalla  Regione  Veneto  con  il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 1 del
2000):  articoli 1, 8, 11, in riferimento agli articoli 76, 117 e 118
della  Costituzione  e  in relazione agli articoli 1, commi 3 e 4; 3,
comma  1,  lettera  a);  4,  comma 3, lettere b), c), f), della legge
n. 59  del  1997;  articoli  13,  14,  15,  16,  17,  in  riferimento
all'articolo  76  della Costituzione e in relazione all'art. 1, comma
4,  lettera  c),  della legge n. 59 del 1997 e all'art. 3 del decreto
legislativo  n. 281  del  1997;  art. 16,  comma  1,  lettera  c), in
riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 giugno 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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