N. 20 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 3 luglio 2001

Ricorso  per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 3
luglio 2001 (della Camera dei deputati)

Parlamento  - Mandato parlamentare - Adempimento da parte di deputato
  sottoposto  a  procedimento  penale - Diritto-dovere di partecipare
  alle  votazioni  in  Assemblea  -  Valore di impedimento assoluto a
  comparire  nella  udienza penale fissata in concomitanza con esse -
  Diniego  da  parte  della  Corte  d'Assise di primo grado di Reggio
  Calabria  -  Conseguente  rigetto,  con ordinanza 16 novembre 1998,
  della  richiesta,  presentata  dalla difesa dell'on. Amedeo Gennaro
  Matacena,   di  considerare  giustificata  l'assenza  dello  stesso
  deputato  all'udienza  in  ragione  dell'impedimento parlamentare -
  Conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato sollevato dalla
  Camera   dei   deputati   -   Denunciata   lesione  dell'autonomia,
  indipendenza   e  funzionalita'  delle  Camere  -  Incidenza  sulle
  attribuzioni  del  potere  legislativo e sull'esercizio del mandato
  parlamentare  -  Mancato  bilanciamento tra i valori costituzionali
  dell'efficienza  processuale  e  dell'autonomia ed indipendenza del
  Parlamento  -  Violazione del principio di leale collaborazione tra
  poteri  dello  Stato  -  Richiesta  alla Corte di dichiarare la non
  spettanza  del  potere  esercitato  dall'autorita' giudiziaria e di
  annullare  conseguentemente  l'ordinanza  della  Corte  d'Assise di
  Reggio sopra richiamata ritenuta invasiva.
- Ordinanza  Corte  d'Assise  di  primo  grado  di Reggio Calabria 16
  novembre 1998.
- Cost.,  artt.  3,  64,  primo  e terzo comma, 67, 68, 72, 73, primo
  comma,  79,  primo  comma, 83, comma terzo, 90, comma secondo, 138,
  primo  e  terzo  comma;  legge  cost. 11 marzo 1953, n. 1, art. 12;
  legge  cost. 22 novembre 1967, n. 2, art. 3; legge cost. 16 gennaio
  1989, n. 1, artt. 9, comma 3, e 10, comma 3.
(GU n.34 del 5-9-2001 )
    Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato
della camera di deputati, in persona del Presidente On. prof. Luciano
Violante, come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 253 del
6 novembre 2000 e della Camera dell'8 novembre 2000, e giusta mandato
per  notar  Silvestro  in  Roma,  23  novembre  2000, Rep. n. 63.907,
rappresentato    e    difeso   dall'avv. prof. Massimo   Luciani   ed
elettivamente  domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Bocca di
Leone, n. 78;
Contro  la  Corte  di  Assise  di  primo grado di Reggio Calabria, in
persona  del  Presidente pro tempore, in ragione e per l'annullamento
dell'ordinanza  16  novembre  1998, emessa nel corso del procedimento
n. 10/98  RG  Assise, poi riunito al procedimento n. 15/98 RG Assise,
nei  confronti,  dell'on. Amedeo  Gennaro  Matacena,  con la quale e'
stata  rigettata  la  richiesta  della  difesa  dell'on.  Matacena di
giustificare   l'assenza  dell'imputato  all'udienza  in  ragione  di
impedimento  parlamentare e si e' disposto procedersi, dichiarando la
contumacia  dell'imputato,  e  per la statuizione che non spetta alla
Corte  di  Assise di primo grado di Reggio Calabria stabilire che non
costituisce  impedimento  assoluto  della partecipazione del deputato
alle  udienze  penali,  eppercio'  causa di giustificazione della sua
assenza,  il  diritto-dovere  del  deputato  di  assolvere il mandato
parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in Assemblea.

F a t t o

    All'udienza  del  16 novembre 1998, celebratasi, innanzi la Corte
di  assise  di  primo  grado  di  Reggio  Calabria,  nel  corso di un
procedimento  penale  nei confronti dell'on. Amedeo Gennaro Matacena,
la   difesa   chiedeva   di   giustificare   l'assenza  dell'imputato
all'udienza  medesima,  motivando  detta  richiesta con l'impedimento
parlamentare  dello  stesso  on. Matacena, attestato da un telegramma
del  Presidente  della  Camera  dei  deputati.  La  Corte  di  Assise
rigettava   con   ordinanza  la  richiesta  e  disponeva  di  doversi
procedere, dichiarando la contumacia dell'imputato.
    L'ordinanza  veniva  emessa all'esito di una brevissima camera di
consiglio  (risulta dal verbale di udienza - doc. n. 6 - che la Corte
si  e'  ritirata in camera di consiglio alle h. 10.25 ed e' rientrata
alle h. 10.40).
    La  stringata  motivazione faceva leva su cio' che l'on. Matacena
aveva  giustificato  la propria assenza "adducendo la concomitanza di
lavori  parlamentari",  ma  non  aveva specificato se "partecipera' a
detti  lavori  o  se  la  sua  presenza  per  eventuali  votazioni  o
interpellazioni prenotate sia oggi indispensabile in Parlamento".
    Con  deliberazione in data 6 novembre 2000 (doc. n. 1), l'Ufficio
di  Presidenza  della  Camera  dei  deputati, in considerazione della
natura  lesiva  della  riferita  ordinanza, ha deliberato di proporre
alla  Camera  di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato in riferimento alla stessa.
    Con deliberazione in data 8 novembre 2000 (doc. n. 2), la Camera,
approvando  la  proposta dell'Ufficio di Presidenza, ha deliberato in
conformita'.
    L'ordinanza   in   epigrafe  risulta  lesiva  delle  attribuzioni
costituzionali  della  ricorrente  Camera dei deputati per i seguenti
motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Preliminarmente, quanto all'ammissibilita' del ricorso.
    Sull'ammissibilita'  del  presente ricorso non possono sussistere
dubbi.  Quanto  alla  legittimazione  processuale, pacifica e' quella
passiva  della  Corte di assise di primo grado di Reggio Calabria. E'
principio    consolidato,    infatti,    che    "i   singoli   organi
giurisdizionali,   nell'esercizio   delle  funzioni  giurisdizionali,
possono  in genere essere parti nei conflitti di attribuzione" (cosi'
ord.  n. 150 del 1980, ma v. gia' prima ordd. nn. 228 e 229 del 1975;
successivamente,  ex  plurimis, ordd. nn. 250 e 261 del 1998; 319 del
1999; 102 del 2000).
    Non  meno  evidente  e' la legittimazione della ricorrente Camera
dei  deputati.  La legittimazione attiva di questa, infatti, e' stata
ripetutamente   riconosciuta,   in   quanto   essa   puo'   esprimere
"definitivamente la volonta' del potere che essa rappresenta" (sentt.
nn. 265  del  1997;  379  del 1996; 1150 del 1988; 129 del 1981; ord.
n. 150  del  1980;  cui  adde, per il Senato, sent. n. 129 del 1996).
Nella specie, inoltre, non viene in considerazione solo la potenziale
titolarita'  della  facolta' di esprimere definitivamente la volonta'
del  potere di appartenenza, ma anche l'esercizio in concreto di tale
facolta',  atteso  che  la volonta' della Camera (e quindi quella del
potere  cui essa appartiene) e' stata definitivamente manifestata con
la   programmazione   dei   lavori   e  l'approvazione  del  relativo
calendario.   Inoltre,  in  un  caso  largamente  analogo,  e'  stato
esplicitamente affermato che "la Camera dei deputati e' legittimata a
sollevare  conflitti  di  attribuzione  tra poteri dello Stato, quale
organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
cui appartiene" (ord. n. 102 del 2000, cit.).
    Non  dubbia  e'  anche  la sussistenza di requisiti oggettivi del
conflitto  di  attribuzione. Vi e', infatti, conflitto risolvibile ai
sensi  degli artt. 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, quando
(senza  che  necessariamente vi sia vindicatio potestatis: cfr. gia',
ad  es., sentt. nn. 110 del 1970 e 129 del 1981) si controverte sulla
delimitazione  della  sfera  delle attribuzioni costituzionali di due
poteri  dello  Stato.  Nella  specie,  e'  evidente che oggetto della
presente  controversia  e', appunto, la delimitazione dei confini tra
le   attribuzioni   costituzionali  d'uno  dei  soggetti  del  potere
legislativo  e  quelle  del  potere  giudiziario.  Costituzionalmente
garantito,  invero,  e'  il  potere  del  magistrato di procedere nel
giudizio  pendente  innanzi  a lui. Per quanto riguarda la Camera dei
deputati,  a  sua  volta, il provvedimento del giudice penale che non
riconosca  al  deputato  l'impedimento  a partecipare a un'udienza in
ragione   della   necessita'   di  adempiere  alle  sue  funzioni  di
parlamentale  incide  direttamente  sulle attribuzioni costituzionali
dell'organo  rappresentativo. La dimostrazione di questa affermazione
(di  per  se'  -  peraltro  - autoevidente) verra' data qui appresso,
quando  si  svolgeranno  le  necessarie  argomentazioni  in ordine al
merito  della  controversia.  Come  accade frequentemente nei giudizi
innanzi  a  codesta  Ecc.ma Corte (v., per il giudizio sulle leggi, i
rilievi  di  C.  Mezzanotte,  irrilevanza  e infondatezza per ragioni
formali,  in  Giur.  Cost,  1977,  I,  230  sgg.),  invero, i profili
processuali sono inestricabilmente connessi con quelli sostanziali, e
nel caso dei conflitti tra poteri l'identificazione dell'attribuzione
lesa non puo' che andare di pari passo con la dimostrazione della sua
lesione.
    Puo'  comunque  dirsi  sin  d'ora che la possibile sottrazione al
lavoro parlamentare (in particolare: alle votazioni in Assemblea) del
contributo  del  deputato  sottoposto  a  procedimento  penale incide
gravemente sull'autonomia e sulla funzionalita' dell'organo, e quindi
sulla   stessa  possibilita'  che  questo  eserciti  le  attribuzioni
(costituzionali) di sua spettanza.
    Non si potrebbe, in contrario, sostenere che le attribuzioni lese
sarebbero,  qui,  solo  quelle  del  singolo parlamentare e non anche
quelle  della  Camera di appartenenza. In un caso largamente analogo,
infatti,   e'   gia'  stato  statuito  che  il  singolo  parlamentare
"impropriamente..,    utilizza    lo    strumento    del    conflitto
d'attribuzione,  invece  di  avvalersi - come tutti i cittadini - dei
mezzi   endoprocessuali   d'impugnazione   degli  atti  asseritamente
viziati,   nonche'   di   quelli   diretti  a  provocare  l'eventuale
affermazione  di  responsabilita'  disciplinare,  civile o penale del
magistrato  cui egli rimprovera il comportamento non legittimo" (ord.
n. 101 del 2000).
    In  presenza  di tale precedente, i dubbi sull'ammissibilita' non
hanno  ragione  di  sussistere.  Per mero tuziorismo, vale la pena di
osservare,  comunque,  che  la  negazione  della legittimazione della
Camera   dei   deputati   dimenticherebbe   che  le  prerogative  dei
parlamentari  non  sono  (e  comunque  non  sono  solo)  strumenti di
garanzia  delle  loro situazioni soggettive individuali, ma strumenti
di  tutela  della  funzione  parlamentare nel suo complesso, e quindi
dell'istituzione  di  appartenenza (cfr., da ultimo, sent. n. 417 del
1999,  e  comunque  la  costante  giurisprudenza  costituzionale e la
dottrina  dominante).  Del  resto,  come  si dira' anche appresso, la
partecipazione  ai lavori parlamentari (massime quando consistenti in
votazioni)  non  e'  solo  un  diritto,  ma  e'  uno specifico dovere
(art. 48-bis  RC),  e  -  come  accade  per  tutti  i doveri - la sua
previsione  si  deve  almeno all'esigenza di soddisfare gli interessi
generali  dell'istituzione  che  lo  impone (e' questo il significato
davvero  minimo  dell'imposizione  dei  doveri:  cfr. G. M. Lombardi,
Contributo  allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, 29).
Il  voto,  dunque,  e'  un  atto di "natura squisitamente funzionale"
(sent.  n. 379  del  1996).  In ogni caso, e' pacifico che anche atti
giudiziari   riguardanti  singoli  parlamentari  possano  determinare
lesione   dell'autonomia   e   dell'indipendenza   della   Camera  di
appartenenza  nel  suo  complesso  (cfr.,  ad es., il caso scrutinato
dalla stessa sent. n. 379 del 1996).
    Contro l'ammissibilita' del presente ricorso non varrebbe neppure
obiettare  che,  con  esso,  si  intenderebbe  censurare  non gia' la
carenza  del  potere  del giudice, ma un semplice errore in iudicando
(v.,  in  riferimento  ad  analoga  fattispecie, A. Anzon, Ragioni di
inammissibilita' dei conflitti di attribuzione del "Caso Previti", in
AA.VV., Il "Caso Previti".
    Funzione  parlamentare  e giurisdizione in conflitto davanti alla
Corte,  Torino,  2000  29 sg.; R. Romboli, Tre ricorsi inammissibili,
ivi,  187).  Per un verso, infatti, la ricorrente contesta proprio la
titolarita',  in  capo al giudice, del potere di negare che l'impegno
in  votazioni  in  Assemblea  sia  valida  causa  di  giustificazione
dell'assenza,  all'udienza  penale, del parlamentare interessato. Per
l'altro, la stessa dottrina ora richiamata ricorda che codesta Ecc.ma
Corte  ha  negato  di  poter  esercitare un sindacato degli errori in
iudicando  perche',  altrimenti,  si  sarebbe  trasformata in giudice
dell'impugnazione.   E'   davvero  difficile  capire  come  cio'  sia
possibile nella presente fattispecie, atteso che la ricorrente non e'
ne'  poteva  essere,  parte nel giudizio che ha originato il presente
conflitto,  sicche'  non  ha  cosi'  come  non aveva (al contrario di
quanto  accade  per  il  singolo deputato: cfr. ord. n. 101 del 2000,
cit.),  strumenti  processuali  "ordinari"  per  tutelare  le proprie
attribuzioni  (analogamente,  n. Zanon,  il "caso Previti": conflitto
tra  poteri  dello  Stato o questione "privata"? in AA. VV., Il "caso
Previti",  cit.,  21;  F. Rigano, Tre domande, ivi, 184). Qui, non e'
neppur  pensabile  che si pretenda di trasformare il giudizio innanzi
alla  Corte  "inammissibilmente  in  un nuovo grado di giurisdizione"
(sent.  n. 27  del  1999), per la chiara circostanza che un "grado di
giurisdizione"  precedente  o  diverso,  al quale la Camera potesse o
possa accedere, semplicemente, non esiste.
    Si  deve,  infine,  osservare  che e' presente, senza incertezze,
l'interesse  a  ricorrere  della Camera dei deputati. Detto interesse
(che   deve   caratterizzare   anche  il  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione:  cfr., ad es. ordd. nn. 259 del 1986 e 420 del 1995) si
collega alle affermazioni dell'ordinanza.
    Questa,   invero,  ha  negato  che  il  deputato  Matacena  fosse
(giustificatamente)  impossibilitato  a  partecipare  all'udienza  in
quanto  non  avrebbe  asseverato  che,  per  il  giorno della stessa,
fossero  previste  votazioni o "interpellazioni" (deve presumersi che
la  Corte  di  Assise,  quasi a mo' di crasi o di sincope, intendesse
riferirsi  a "interpellanze" e "interrogazioni"), per le quali la sua
presenza   fosse  "indispensabile".  Teniamo  da  canto  il  problema
dell'illustrazione  delle  interpellanze  e  delle interrogazioni, in
ordine  al  quale,  come  appresso  si  precisera', la ricorrente non
intende  formulare censure. Restringendo lo sguardo alle votazioni in
Assemblea,  peraltro,  e' evidente che l'ordinanza ha presupposto che
ve  ne  siano  di  due generi: votazioni per le quali la presenza del
parlamentare  e'  "indispensabile",  e  votazioni  per  le quali tale
presenza  "indispensabile"  non e'. L'assunto, tuttavia, e' del tutto
erronea,  atteso  che, come subito si dimostrera', tutte le votazioni
in  Assemblea  sono  tali  da  rendere  indispensabile la presenza di
ciascun, singolo, parlamentare.
    Nella    specie,    risulta   inoppugnabilmente   dai   resoconti
parlamentari  che,  nella giornata del 16 novembre 1998, la Camera ha
iniziato  la  propria seduta alle h. 12.05 (con sospensioni tra le h.
13.10  e  le  h.  15.00,. nonche' tra le h. 15.30 e le h. 15.45), con
votazioni  elettroniche  in  ordine  ai  disegni  di  legge  nn. 5267
("Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo") e
5349 ("Conversione in legge del decreto-legge n. 335 del 1998: lavoro
straordinario").  A  tali  votazioni  l'on. Matacena  ha regolarmente
partecipato (doc. n. 4).
    L'erroneo  presupposto,  dal quale l'ordinanza impugnata ha preso
le  mosse,  ha  avuto  per  effetto che le esigenze processuali siano
state  anteposte a quelle della funzione parlamentare. In concreto, i
valori  collegati  alla  funzione parlamentare sono stati posti su un
gradino   inferiore   rispetto   a  quelli  attinenti  alla  funzione
giurisdizionale (sono stati interamente sacrificati i primi, cioe', e
interamente   salvaguardati   i   secondi).   Palese,   pertanto,  e'
l'interesse  della  Camera  dei deputati ad ottenere una pronuncia di
codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  che  ristabilisca il corretto
rapporto  tra potere giudiziario e potere legislativo, in riferimento
ai valori costituzionali che detti poteri rappresentano.
    Non  incide  sull'interesse a ricorrere della Camera dei deputati
il  fatto  che, nonostante la pronuncia qui censurata, l'on. Matacena
abbia   preso  parte  alle  votazioni  fissate  in  concomitanza  con
l'udienza  innanzi  la  Corte  di assise di Reggio Calabria. Trattasi
infatti di determinazione strettamente personale del deputato, che ha
sacrificato  il  proprio  diritto  di  difesa  al  diritto-dovere  di
partecipazione  ai  lavori  parlamentari, determinazione che tuttavia
non  era  affatto  imposta dalla vigente disciplina della materia. La
concreta  vicenda  delle  scelte del singolo parlamentare, invero, e'
estrinseca  rispetto all'atto impugnato e al suo contenuto, nel senso
che  e'  proprio  e solo da tale contenuto (trascendente, si badi, la
particolare  vicenda  processuale)  che origina la lesivita', che non
puo' certo venir meno per l'accidentale determinazione di un soggetto
estraneo al rapporto tra gli organi in conflitto.
    In  ogni  caso, come si e' osservato in dottrina, "la circostanza
che  il  parlamentare abbia votato non elimina l'oggettiva incertezza
circa  le condizioni alle quali gli impegni parlamentari giustificano
l'allegazione  di  un  impedimento..."  (N. Zanon, Il "Caso Previti",
cit., 17).
    Il grave condizionamento che l'indirizzo prescelto dalla Corte di
assise  di  primo grado di Reggio Calabria determina nelle scelte dei
parlamentari, in ogni caso, e' tale, come appresso si dimostrera', da
cagionare  la  lesione  delle prerogative costituzionali della Camera
dei deputati, della quale e' dunque evidente l'interesse a ricorrere.
    2.  -  Violazione  degli  artt. 64,  68  e 72 della Costituzione.
Venendo,  ora,  al  merito, devono prospettarsi le argomentazioni che
seguono.
    2.1.  -  Si deve premettere che la ricorrente Camera dei deputati
chiede  che  venga  considerato,  per  i suoi componenti, impedimento
assoluto  a  comparire in udienza (eppercio' causa di giustificazione
dell'assenza)  non  gia'  la necessita' di partecipare a qualsivoglia
lavoro  parlamentare,  bensi' soltanto quella di assolvere il mandato
parlamentare  attraverso  la partecipazione a votazioni in Assemblea.
Cio' non significa che la ricorrente muova dall'assunto della diversa
dignita' delle varie attivita' che i deputati svolgono nell'esercizio
del loro mandato. Significa invece, semplicemente, che l'attivita' di
votazione  e'  qualitativamente  diversa da tutte le altre proprio in
specifico  riferimento  alla  problematica  che  qui  ne  occupa.  Al
contrario  di  quanto  ritiene  la  Corte di assise di primo grado di
Reggio   Calabria,  invero,  e'  non  solo  possibile,  ma  doveroso,
distinguere   tra  i  vari  "impegni  parlamentari",  in  particolare
differenziando  l'attivita'  di  partecipazione  al  voto da tutte le
altre attivita' inerenti al mandato rappresentativo.
    Come e' noto, l'attivita' di votazione non e' delegabile ad altro
parlamentare e va esercitata personalmente (v. anche quanto affermato
da  codesta  Ecc.ma Corte nella sent. n. 379 del 1996). Se e' fissata
una  votazione,  pertanto,  il  solo  modo  che il deputato abbia per
parteciparvi  e'  la  presenza  personale.  Ne'  e'  possibile che il
deputato  chieda  (od  ottenga)  lo spostamento della votazione, onde
conservare  la  possibilita'  di  partecipare.  Quando e' fissata una
votazione,  in  altri  termini,  il  deputato deve partecipare, senza
alternative.  Proprio per le votazioni, pertanto, il dovere stabilito
dall'art. 48-bis  assume  una  indefettibilita' peculiare poiche' non
v'e' possibilita' di rimedio all'assenza.
    Diverso  e'  invece il regime delle altre attivita' parlamentari.
Nel  caso  in cui il deputato intenda partecipare ad una discussione,
ovvero   sia   programmato   un  suo  intervento  su  un  determinato
provvedimento, ma sia contemporaneamente convocato dal giudice penale
per  un  procedimento nei propri confronti, egli puo' ben chiedere lo
spostamento  ad  altra data dell'esame del provvedimento, e la prassi
consolidata  e'  nel  senso  che  -  ove  possibile - il rinvio venga
concesso.  La  Camera,  in  alternativa, puo' (in persona del proprio
Presidente)  rinviare  la  discussione  sulle linee generali, o anche
concedere facolta' al deputato in questione di svolgere un intervento
piu'  ampio  sull'art. 1  del  provvedimento  in  discussione (quando
trattasi  di  progetti  di  legge),  in  deroga alle comuni norme sui
tempi.   Anche   qui,   la  prassi  offre  solida  conferma  di  tali
possibilita'.
    Nel  caso,  in particolare, degli atti di sindacato ispettivo, e'
evidente che la possibilita' del rinvio del loro svolgimento ad altra
seduta  e'  in  re  ipsa. Come e' noto, del resto, per lo svolgimento
delle interrogazioni e delle interpellanze la Presidenza della Camera
prende  contatti  con  il  Ministro  destinatario  e  con il deputato
richiedente,  in  modo  tale  da  conciliare le rispettive esigenze e
assicurare  il  dibattito  (sul  punto,  cfr.,  ad  es.,  R. Moretti,
Attivita'  informative, di ispezione, di indirizzo e di controllo, in
T. Martines et alii, Diritto parlamentare, Rimini, 1992, 417, 421).
    Il  diverso regime e' dunque chiaro: nell'un caso (deliberazioni)
indefettibilita'   della  presenza  del  deputato  al  momento  della
votazione;   nel   secondo   (discussioni   di  qualsivoglia  genere)
possibilita'   di  rimedio  all'assenza  in  una  delle  forme  sopra
descritte.
    Sempre  quanto alla precisazione del thema decidendum, infine, la
ricorrente limita le proprie censure all'ipotesi della partecipazione
a  votazioni  dell'Assemblea,  nel  presupposto (la cui esattezza non
puo'   contestarsi)   che   l'Assemblea  sia  il  soggetto  "sovrano"
nell'ordinamento parlamentare.
    La  premessa  interpretativa  da cui si muove, e' bene ricordare,
trova opportuno conforto in un noto precedente giurisprudenziale, nel
quale  si e' distinto tra "attivita' deliberative in senso stretto" e
attivita'  diverse,  come  quelle  "di  tipo referente o consultivo".
(Trib. Brescia, ord. 23 novembre 1995, Sgarbi, in Foro it., 1996, II,
432),  e proprio in tale distinzione si e' identificato il discrimine
tra  impedimento  parlamentare  rilevante  o  meno al fine del rinvio
delle udienze penali.
    2.2.  -  Cosi' precisati i limiti delle censure prospettate dalla
ricorrente, si deve lamentare anzitutto la violazione degli artt. 64.
68 e 72 della Costituzione.
    Come codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha rilevato, l'autonomia
della  Camera  si  fonda  anzitutto  sul combinato disposto, appunto,
degli  artt. 64,  68  e  72 della Costituzione (cfr. sent. n. 379 del
1996).   E'  da  tali  previsioni  costituzionali,  infatti,  che  si
desumono,  per  un  verso, il potere della Camera di disciplinare con
autonomo regolamento la propria organizzazione e il funzionamento dei
propri lavori, con particolare riferimento alla funzione legislativa;
per  l'altro,  la  posizione di indipendenza dei singoli membri della
Camera,  riconosciuta  dalla Costituzione quale strumento di garanzia
dell'indipendenza e dell'autonomia dell'istituzione di appartenenza.
    Le    riferite    disposizioni,   pertanto,   vietano   qualunque
compressione   di   detta   indipendenza   ed  autonomia.  E'  dunque
sufficiente  dimostrare che un vulnus di tal genere si e' verificato,
per  concludere  nel  senso  della violazione degli artt. 64, 68 e 72
della Costituzione. Nella specie, l'atto impugnato determina un grave
ostacolo  alla  partecipazione  dei  deputati  alle  votazioni  della
Camera,  e  conseguentemente  produce  (come  piu'  analiticamente si
dimostrera'  appresso) un'altrettanto grave lesione delle prerogative
costituzionali  della  Camera,  tutte riassuntivamente tutelate dalle
disposizioni  indicate  nell'epigrafe del presente motivo di ricorso.
Sin  d'ora,  tuttavia, si deve rilevare che l'autonomia organizzativa
della  Camera  dei  deputati, connessa all'autonomia regolamentare di
cui  all'art. 64,  comma  1,  Cost.,  e'  direttamente lesa dall'atto
impugnato,  che  incide  su quel funzionamento interno dell'Assemblea
che,   per   costante   giurisprudenza   costituzionale,  si  sottrae
all'interferenza   (prima  ancora  che  all'invasione)  da  parte  di
qualsivoglia altro potere dello Stato.
    3.  -  Violazione  dell'art. 64, terzo comma, della Costituzione,
anche  in  riferimento agli artt. 64, primo comma; 73, secondo comma;
79,  primo  comma;  83,  terzo comma; 90, secondo comma; 138, primo e
terzo  comma  della Costituzione; 12 legge della Costituzione 11 mano
1953,  n. 1;  3  legge  della Costituzione 22 novembre 1967, n. 2; 9,
comma  3,  e  10,  comma  3,  legge  Cost.  16 gennaio 1989, n. 1. La
violazione  dell'art. 64  terzo comma, Cost., e degli altri parametri
costituzionali  connessi, indicati in epigrafe del presente motivo di
ricorso, e' palese.
    L'art. 64,  terzo  comma, Cost., dispone che "Le deliberazioni di
ciascuna  Camera  e del Parlamento non sono valide se non e' presente
la  maggioranza  dei  loro  componenti,  e  se  non  sono  adottate a
maggioranza  dei  presenti,  salvo  che la Costituzione prescriva una
maggioranza  speciale".  E'  qui previsto, per le deliberazioni delle
Camere,   un  doppio  quorum:  uno  strutturale  (la  presenza  della
maggioranza  dei  componenti)  e  uno  funzionale (il voto favorevole
della  maggioranza  dei  presenti, salva l'ipotesi di una maggioranza
speciale).   In  entrambi  i  casi,  il  quorum  e'  stabilito  quale
condizione   di  validita':  il  mancato  raggiungimento  dell'uno  o
dell'altro determina appunto l'invalidita' della deliberazione.
    Questa previsione riguarda indistintamente tutte le deliberazioni
delle  Camere  e  tutte  quelle  del  Parlamento in seduta comune. La
partecipazione  dei  parlamentari  (per  quanto  qui  interessa:  dei
deputati)   alle  sedute  parlamentari  preordinate  alle  votazioni,
nonche'  alle  votazioni  medesime,  e'  dunque  indispensabile,  nei
termini  quantitativi  imposti  dalla  Costituzione, per la validita'
degli  atti  deliberativi.  Ogni impedimento a tale partecipazione si
risolve  pertanto  in  impedimento  alla funzionalita' del Parlamento
(per  quanto  qui interessa: della Camera dei deputati), con evidente
compromissione delle attribuzioni del potere legislativo:
    La  previsione  generale  dell'art. 64,  terzo comma, inoltre, e'
ulteriormente   specificata   e  rafforzata  dalle  disposizioni  che
stabiliscono,  per  singole  fattispecie,  maggioranze speciali. Cio'
vale almeno per:
        l'art. 64,  primo  comma (maggioranza assoluta dei componenti
per l'approvazione dei regolamenti);
        l'art. 73, secondo comma (maggioranza assoluta dei componenti
per la dichiarazione di urgenza della legge);
        l'art. 79,   primo  comma  (maggioranza  dei  due  terzi  dei
componenti per l'approvazione delle leggi di amnistia o di indulto);
        l'art. 83, terzo comma (maggioranza dei due terzi o assoluta,
del  Parlamento  in  seduta  comune,  in  composizione integrata, per
l'elezione del Presidente della Repubblica);
        l'art. 90, secondo comma (maggioranza assoluta dei componenti
del  Parlamento  in  seduta comune per la messa in stato d'accusa dei
Presidente della Repubblica: v. anche art. 12 legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1);
        l'art. 138,  primo  e terzo comma (approvazione a maggioranza
assoluta  ovvero  dei  due  terzi  delle  leggi  costituzionali  o di
revisione costituzionale).
    A  tali  previsioni  vanno  aggiunti  almeno l'art. 3 della legge
costituzionale  22  novembre  1967, n. 2 (maggioranza dei due terzi o
dei  tre  quinti  dei  componenti del Parlamento in seduta comune per
l'elezione  dei  giudici  costituzionali)  e l'art. 9, comma 3, della
legge   Cost. 16   gennaio   1989,  n. 1  (maggioranza  assoluta  dei
componenti  della  Camera  competente  per  negare l'autorizzazione a
procedere nei confronti dei ministri o del Presidente del Consiglio).
    Di  rilievo  l'art. 10,  terzo  comma,  della  stessa  legge, che
nell'ipotesi  della  richiesta  di  misure restrittive delle liberta'
fondamentali  a  carico  dei  Ministri o del Presidente del Consiglio
prevede non solo la convocazione di diritto delle Camere, ma anche il
dovere,   per   esse,  di  deliberare  entro  quindici  giorni  dalla
richiesta. Previsione, questa, di interesse, perche' chiarisce che le
Camere, in questo caso, non hanno solo il dovere di riunirsi ma anche
quello  di  deliberare  (e  quindi  di  votare  entro  un  tempo  ben
determinato,  sicche'  la  partecipazione  alla votazione dei singoli
parlamentari e' ancor piu' indefettibile e la non rinviabilita' della
votazione;  fosse  pure  ad  istanza  di un parlamentare impedito, e'
stabilita addirittura ex lege.
    Da  tutto  questo  si  evince  che la stessa possibilita', per la
Camera  dei  deputati,  di  esercitare validamente le funzioni che la
Costituzione   le  conferisce  e'  condizionata  dalla  presenza  dei
deputati   nel   numero   necessario.   Ogni   impedimento   di  tale
partecipazione  si risolve dunque nella compromissione dell'esercizio
delle attribuzioni parlamentari.
    Non   si  potrebbe  opporre  che  la  lesione  delle  prerogative
parlamentari   deriverebbe,   comunque,   dalla  scelta  del  singolo
deputato. Perche' tale obiezione fosse fondata, infatti, occorrerebbe
che  detta  scelta  fosse  effettivamente libera, potendo il deputato
optare,  senza condizionamenti di sorta, per la partecipazione o meno
alla  votazione parlamentare. In realta', detta scelta non e' affatto
libera, ne' priva di condizionamenti. Si deve infatti considerare che
il  deputato  sottoposto a procedimento penale esercita, partecipando
alle  udienze,  il  proprio  diritto  costituzionale  alla  difesa in
giudizio.  Trattasi  di  un  diritto fondamentalissimo, che sin dalla
prima  giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale e' stato
ritenuto   caratterizzante   l'identita'  stessa  della  Costituzione
repubblicana  (sentt.  nn.  2  del  1956  e soprattutto 18 del 1982).
L'adempimento   del   dovere   di   partecipazione   alle   votazioni
(funzionale,  si ripete, al valido esercizio delle attribuzioni della
Camera),  pertanto,  confligge in questo caso con un primario diritto
costituzionale.  Lungi dall'essere libera e non condizionata, allora,
la scelta del deputato diventa drammatica.
    Cio'   che   qui   maggiormente   conta,  il  condizionamento  e'
determinato dalla volonta' di un potere esterno a quello legislativo,
che  interferisce  gravemente  nelle prerogative di questo, ponendo a
rischio  la  stessa funzionalita' della Camera (in ordine, si ripete,
alla validita' delle votazioni dell'Assemblea).
    4.  - Violazione degli artt. 67 e 68 della Costituzione, anche in
riferimento  ai  parametri  sopra  invocati.  Non meno evidente e' il
vizio  che  affligge  l'atto  impugnato  qualora  si  assumano  quali
parametri anche gli artt. 67 e 68 della Costituzione.
    Si deve ribadire che le prerogative che la Costituzione riconosce
ai  singoli deputati non sono loro guarentigie personali ma strumenti
funzionali   all'integrita'   della  posizione  costituzionale  delle
istituzioni  di  appartenenza.  Ogni  volta  che viene leso il libero
esercizio  del  mandato  parlamentare  garantito  dall'art. 67  della
Costituzione  in  una  con l'art. 68, si ledono percio' l'autonomia e
l'indipendenza  della  Camera  di  appartenenza, che in tanto possono
sussistere,  in quanto i singoli componenti siano tutelati nella loro
liberta'  di esercitare il mandato parlamentare senza impedimenti. Il
concetto  di  liberta' del mandato parlamentare, come e' noto, non e'
di  semplice  interpretazione.  Quale che sia la linea interpretativa
che  si  segue,  comunque, non vi e' dubbio che pregiudizio al libero
mandato   parlamentare  possa  venire  proprio  dall'esercizio  della
giurisdizione   (cfr.,   ad   es.,   n. Zanon,   Il   libero  mandato
parlamentare, Milano, 1991, 305).
    Nella  specie,  ci  troviamo  di fronte ad un'ipotesi addirittura
paradigmatica di incisione con atti giurisdizionali sulla liberta' di
esercizio del mandato parlamentare del singolo deputato, atteso che -
come  sopra  rilevato  - questi viene pesantemente condizionato nella
sua  scelta  di adempiere o meno i doveri (e di esercitare i diritti)
del  suo  ufficio, in presenza della contrapposta esigenza (essa pure
costituzionalmente protetta) di esercitare il diritto di difesa.
    Non   e'   dunque   libera   la  scelta  del  deputato  costretto
all'alternativa   tra   diritto   di   difesa   e  diritto-dovere  di
partecipazione  alle  votazioni  della  Camera.  La  violazione della
liberta'  del  mandato  (imputabile - si ripete - alla volonta' di un
potere  esterno  a  quello legislativo) ha per conseguenza la lesione
delle  prerogative  della Camera dei deputati, alla cui tutela quella
liberta'  e' strettamente funzionale. Si consideri, del resto, che il
condizionamento  del libero mandato determina un'alterazione profonda
del libero giuoco delle maggioranze e delle opposizioni, che si fonda
sull'altrettanto  libero rapporto delle forze. Alterazione che, anche
se  limitata  a un solo voto, puo' essere terribilmente rilevante (la
prima  crisi  di  governo  "parlamentare"  della  Repubblica,  con la
votazione   alla   Camera  il  9  ottobre  1998,  lo  testimonia  con
chiarezza).
    5.  -  Assenza  di  un  bilanciamento nell'atto impugnato, tra le
esigenze   dell'efficienza  del  processo  e  quelle  dell'autonomia,
dell'indipendenza    e    della   funzionalita'   delle   istituzioni
parlamentari.  Violazione  dell'art. 3 Cost., anche in riferimento ai
parametri precedentemente invocati. In questa delicata materia vi e',
indubbiamente,   un   concorso   tra   valori   entrambi   di   rango
costituzionale. Non e' contestabile, infatti, che tanto la speditezza
del processo quanto la libera esplicazione del mandato parlamentare e
la   funzionalita'   delle  assemblee  rappresentative  siano  valori
costituzionalmente protetti.
    Secondo  concetto,  come  sempre accade nel caso di contrasto tra
valori  costituzionali,  detto contrasto deve essere composto, e cio'
e' possibile solo pel mezzo di un prudente bilanciamento tra di essi.
Proprio del bilanciamento, anche qui secondo concetto, e' che nessuno
dei  valori  in  conflitto  debba essere interamente sacrificato (ove
cio'  non  sia  inevitabile),  e  che  di quei valori si individui il
migliore  contemperamento,  che  deve avvenire secondo i canoni della
ragionevolezza imposti dall'art. 3 della Costituzione.
    Questo schema tipico (e necessitato) del bilanciamento tra valori
costituzionali,  tanto  frequente  nella  giurisprudenza  di  codesta
Ecc.ma     Corte    costituzionale    che    qualunque    indicazione
giurisprudenziale sarebbe superflua, non e' stato seguito dalla Corte
di  Assise  di  primo grado di Reggio Calabria. Cio', fra l'altro, ha
determinato   anche   la   violazione   del   principio  della  leale
collaborazione  tra i poteri dello Stato (sul quale ci si soffermera'
piu'  ampiamente  in  chiusura),  che  impone  a  ciascun  potere  di
comportarsi  in modo tale da esercitare le proprie attribuzioni senza
sacrificio   di   quelle   degli   altri.   Tanto  il  principio  del
bilanciamento  che  quello  della leale collaborazione si invocano in
una  con  i  parametri gia' precedentemente menzionati, atteso che la
salvaguardia  dei valori protetti da quei parametri e' possibile solo
a  condizione  di  non  sacrificarli  totalmente  quando si trovino a
subire il confronto con altri valori costituzionali.
    Nella   specie,  l'Autorita'  giudiziaria  non  ha  tenuto  conto
dell'esistenza    di    due   confliggenti   valori   costituzionali,
salvaguardando solo uno di essi e sacrificando integralmente l'altro.
    Il  modello  disegnato  dalla  giurisprudenza  costituzionale  e'
tutt'altro.   In   questa  materia,  infatti,  come  ha  limpidamente
precisato  la sent. n. 379 del 1996, occorre un "equilibrio razionale
e  misurato  tra  le  istanze  dello Stato di diritto, che tendono ad
esaltare  i valori connessi all'esercizio della giurisdizione... e la
salvaguardia  di  ambiti  di  autonomia  parlamentare...".  La stessa
pronuncia  non  ha  mancato  di  precisare  che "il confine tra i due
distinti   valori   (autonomia   delle   Camere,   da   un   lato,  e
legalita-giurisdizione,  dall'altro)  e'  posto  sotto  la  tutela di
questa Corte".
    La   logica   di  tale  modello  e',  pertanto,  che  si  proceda
all'indicato  bilanciamento tra i valori costituzionali eventualmente
confliggenti,  se  possibile senza il sacrificio integrale di alcuno,
secondo  il  modello  del  "contemperamento"  tipico  anche  di altri
settori  della giurisprudenza costituzionale (sul punto, in dottrina,
da  ultimo,  G.  Scaccia,  gli  "strumenti"  della ragionevolezza nel
giudizio  costituzionale, Milano, 2000, 348 sgg.). Nella specie, tale
bilanciamento  e'  possibile proprio seguendo la via che si prospetta
nel  presente  ricorso,  giusta  la  quale l'impedimento parlamentare
giustifica  la modificazione dei tempi della funzione giurisdizionale
solo, quando e' in giuoco la superiore esigenza della validita' delle
deliberazioni della Camera, che puo' essere assicurata esclusivamente
dal  raggiungimento  delle maggioranze prescritte dalla Costituzione.
L'ipotesi  opposta,  seguita  nell'atto  impugnato (l'ipotesi, cioe',
dell'esistenza di votazioni in Assemblea per le quali la presenza del
deputato  non  e' "indispensabile"), e' proprio quella del sacrificio
integrale  dell'autonomia parlamentare, sacrificio che e' in radicale
contrasto con la logica del bilanciamento/contemperamento.
    La conclusione e' dunque obbligata: nel contrasto tra i valori in
campo,  l'esigenza  prima e' quella del bilanciamento nella forma del
contemperamento.  Lede  pertanto  tale  esigenza l'atto impugnato, in
quanto - senza che cio' fosse inevitabile - sacrifica integralmente i
valori  connessi  alla  rappresentanza,  a totale beneficio di quelli
connessi  alla giurisdizione. Si determina in tal modo, anzi, un vero
e  proprio  paradosso, in quanto, nell'ipotesi che fra tali valori un
contemperamento  non  sia possibile, la giurisprudenza costituzionale
afferma  semmai  la  prevalenza  dei  primi sui secondi, in speculare
contrapposizione alla scelta compiuta con l'atto impugnato.
    Ipotizziamo  (del  tutto  astrattamente,  e nel convincimento che
tale  ipotesi  sia  infondata) che il modello del contemperamento non
possa  essere  seguito.  Ebbene,  non  si  puo'  certo  negare che il
principio  dell'efficienza  e  della snellezza del processo sia stato
ritenuto,  dalla  giurisprudenza,  implicitamente  riconosciuto dalla
Costituzione  (cfr.,  ad  es.,  sent.  n. 460  del  1995).  Cio'  non
consente,  tuttavia,  che in suo nome siano sacrificate l'autonomia e
l'indipendenza della Camera dei deputati.
    In primo luogo, codesta ecc.ma Corte, nei precedenti nei quali ha
fatto  valere  quel  principio,  ha inteso impedire qualunque pratica
dilatoria,   che   pretestuosamente   intendesse   compromettere   la
funzionalita' del processo.
    Atti  che,  pure, sono esercizio del diritto di difesa, diventano
abusivi  ed  ingiustificati  laddove mirino al solo scopo di rinviare
nel  tempo  il  completamento  dell'iter  processuale.  E'  prorio in
ipotesi  di  tal  genere  che sono state rese le note declaratorie di
incostituzionalita'  delle  norme  di  legge che consentivano atti di
questo  tipo  (sentt. nn. 353 del 1996; 10 del 1997). Nel caso che ne
occupa,  pero',  il  parlamentare  non e certo dominus delle cause di
impedimento,  che  derivano  invece  dall'oggettiva  esistenza  di un
calendario  dei  lavori parlamentari ch'egli e' tenuto a rispettare e
che non ha certo deciso da se'. La situazione e' dunque assai diversa
da   quella  considerata  nelle  pronunce  sopra  ricordate,  poiche'
l'ostacolo allo svolgimento del processo ha un'oggettivita' che resta
del tutto al di fuori della disponibilita' del deputato.
    In  secondo  luogo,  non e' possibile (come invece fa la Corte di
assise di primo grado di Reggio Calabria) argomentare la superiorita'
delle  esigenze  del  processo  su quelle della funzione parlamentare
dall'intervenuta  modifica  dell'art. 68  Cost. Certo, l'eliminazione
dell'autorizzazione  a  procedere  ha determinato il venir meno di un
ostacolo  al pieno dispiegarsi della funzione giurisdizionale. Questo
pero',  non  e'  risolutivo.  La  mera  sottoposizione a procedimento
penale,  infatti, non sarebbe, di per se', fonte di alcun impedimento
o pregiudizio per il parlamentare e per il rigoroso rispetto dei suoi
doveri.  Che si sia prevista la possibilita' di tale sottoposizione a
prescindere  da qualsivoglia autorizzazione non prova, dunque, che si
sia  voluto  tutelare la funzione giurisdizionale a totale scapito di
quella rappresentativa.
    Tutt'al   contrario,  come  sopra  si  accennava,  vale,  secondo
l'indirizzo  di  codesta  ecc.ma Corte, esattamente la reciproca. Per
stare  soltanto  alle pronunce piu' significative, bastera' ricordare
le  sentenza  nn. 129 del 1981 e 129 del 1996 (successiva - si badi -
alla  riforma  dell'art. 68  Cost.).  La  sent.  n. 129  del  1981 ha
affemato (sulla scia della sent. n. 110 del 1970) che la Costituzione
ammette  deroghe alla giurisdizione", quando e' in giuoco l'autonomia
delle  istituzioni  rappresentative  che  si  collocano "a livello di
sovranita'"  (cio'  vale  dunque  per  le  Camere, non, invece, per i
consigli regionali).
    Nella   sent.   n. 129   del  1996  si  legge,  a  proposito  dei
procedimenti  relativi  a  opinioni espresse dai parlamentari, che il
costituente  ha  compiuto un "bilanciamento", in seguito al quale, "a
tutela  del  principio  (corrispondente a un interesse generale della
comunita'   politica)   di   indipendenza   e  autonomia  del  potere
legislativo  nei  confronti  degli altri organi e poteri dello Stato,
l'art. 68  Cost. sacrifica il diritto alla tutela giurisdizionale del
cittadino che si ritenga offeso nell'onore o in altri beni della vita
da  opinioni  espresse da un senatore o deputato nell'esercizio delle
sue funzioni".
    L'autonomia  del  Parlamento,  dunque, e' un bene cosi' prezioso,
che  l'esigenza  della sua tutela potrebbe, in astratto (e in assenza
di  soluzioni  alternative),  addirittura imporre il "sacrificio" del
diritto    alla    tutela    giurisdizionale,    e   conseguentemente
dell'esercizio  della  giurisdizione. Non e' questo, pero', cio' che,
in  concreto, deve accadere nel presente giudizio, ne' e' questo cio'
che domanda la ricorrente Camera dei deputati.
    Come   sopra   si  e'  dimostrato,  infatti,  tra  l'ipotesi  del
sacrificio  integrale  della giurisdizione e l'ipotesi del sacrificio
integrale   della   rappresentanza   vi   e'  quella  intermedia  del
bilanciamento/contemperamento  nella  forma  gia' prima ricordata. La
tutela  dell'essenza  stessa  del sistema parlamentare (che sta nella
validita'  delle  deliberazioni  delle Camere) e' possibile senza che
per  questo  si  rinunci  all'esercizio della giurisdizione, che puo'
(anche sollecitamente) proseguire, con il solo limite (tutt'altro che
gravoso)  del  rispetto  dell'attivita'  di  votazione  in  Assemblea
programmata dalla Camera.
    6.  -  Violazione  del principio della leale collaborazione tra i
poteri dello Stato, anche in riferimento ai parametri precedentemente
invocati.
    Come   codesta   ecc.ma  Corte  costituzionale  ha  statuito,  il
principio  di  leale collaborazione non regge, nel nostro ordinamento
costituzionale,  soltanto i rapporti intersoggettivi, ma anche quelli
fra  poteri dello Stato (sentt. nn. 379 del 1992 e 403 del 1994). Non
varrebbe  obiettare come, pure, qualcuno, in dottrina, ha fatto - che
il  principio  di  leale  collaborazione  non  dovrebbe  riguardare i
giudici,  tenuti  soltanto  ad applicare la legge (cosi' n. Zanon, Il
"Caso  Previti".,  in  AA.  VV.,  Il  "Caso  Previti",  cit.,  14; P.
Veronesi,  Tre  ricorsi  intrecciati: alla ricerca del "bandolo della
matassa", ivi, 235).
    A parte l'ovvia considerazione che i principi (come rammentava, a
tacer  d'altri, Vezio Crisafulli) illuminano di se' l'interpretazione
della  legge,  vale  infatti  quella  che  il giudice esercita poteri
discrezionali   quanto  meno  in  ordine  alla  scansione  dei  tempi
processuali,  potendo  stabilire  (ovviamente nei limiti della legge,
eppercio',   ancorche'   non   liberamente,   discrezionalmente),  in
particolare, i ritmi delle udienze. Che nell'esercizio di tali poteri
il  giudice  possa ritenersi sottratto al dominio di un principio che
riguarda tutti i poteri dello Stato e', invero, incomprensibile.
    Il  problema,  comunque,  e'  stato  gia' affrontato e risolto da
codesta  ecc.ma  Corte proprio con la cit. sent. n. 403 del 1994, che
ha  espressamente  stabilito che anche l'autorita' giudiziaria (nella
specie, si trattava del collegio inquirente per i reati ministeriali,
che e' titolare dei poteri del giudice delle indagini preliminari) e'
assoggettata  al principio della leale collaborazione, in particolare
per  quanto  concerne  la determinazione dei tempi di esercizio delle
attivita'  processuali. Leale collaborazione e corretto bilanciamento
sono, pertanto, due esigenze imprescindibili.
    E'  anche  in  questa  chiave  che  va  interpretata  la presente
controversia,  nella  quale - come sopra si e' detto - sono in giuoco
concorrenti (e, nella specie, confliggenti) valori costituzionali tra
i  quali  e'  indispensabile  trovare  il  corretto bilanciamento. La
posizione  della  ricorrente,  intesa  ad  affermare il principio che
l'impedimento   parlamentare  deve  essere  considerato  assoluto  ed
insuperabile  solo  nel  caso  in  cui  attenga alla partecipazione a
votazioni  dell'Assemblea,  e  non  anche  quando  attenga  a diverse
attivita'   dei   deputati,   si   presenta  come  il  piu'  corretto
contemperamento   tra  i  valori  in  giuoco.  Non  tutte  le  sedute
dell'Assemblea  sono  dedicate  a votazioni (non in tutte, dunque, si
assumono  le  deliberazioni disciplinate dall'art. 64 Cost.), poiche'
molte  sono  destinate ad altre attivita' (discussione di progetti di
legge; dibattiti di vario contenuto; svolgimento di interrogazioni ed
interpellanze,  etc.).  Per  stare ai soli dati degli ultimi tre anni
(che  mostrano,  comunque,  una  proporzione pressoche' costante), si
constata che: nel 1998, a fronte di un totale di 168 sedute, solo 103
sono  state  destinate  a votazioni; nel 1999 il rapporto e' stato di
189  a  115;  nel  2000 (dati al 6 dicembre) di 173 a 99 (doc. n. 5).
Cio'  significa,  chiaramente,  che  la  previsione  dell'assolutezza
dell'impedimento  parlamentare in riferimento alle sedute destinate a
votazioni  non  compromette affatto la funzionalita' del processo ne'
lede le prerogative dell'autorita' giudiziaria.
    Invero, le votazioni non sono previste quotidianamente: a parte i
periodi  di  sospensione,  le  votazioni  sono  in genere fissate nei
giorni  centrali  della  settimana,  martedi', mercoledi' e giovedi'.
Nell'anno,  assai  meno  di un giorno su tre e' mediamente dedicato a
votazioni  in  Assemblea, e cio' consente di soddisfare pienamente le
esigenze di celerita' del processo.
    La soluzione qui prospettata, pertanto, e' il punto di equilibrio
costituzionalmente  piu'  corretto tra i diversi valori in campo. Non
solo  il  piu'  corretto,  invero,  ma anche il piu' certo. La strada
alternativa,  seguita  dalla Corte di assise di primo grado di Reggio
Calabria,    si   risolve   infatti   (come   risulta   espressamente
dall'ordinanza  impugnata)  nell'attribuzione  al  giudice penale del
potere  discrezionale  di  valutare, di volta in volta, l'assolutezza
dell'impedimento, con conseguenti minori garanzie per la certezza non
solo  della  situazione  soggettiva  del  singolo  deputato, ma della
funzionalita' e dell'autonomia della Camera.
    E'  noto  che  la discrezionalita' del giudice, in casi di questo
tipo, e' comunque delimitata dalla ragionevolezza e - nel tempo - dal
consolidarsi degli indirizzi giurisprudenziali (cfr. sent. n. 178 del
1991). Nondimeno, e evidente che un criterio automatico ed oggettivo,
come  quello che conseguirebbe all'accoglimento del presente ricorso,
offrirebbe  garanzie  di  certezza largamente superiori. Quello della
certezza del diritto, invero, e' un valore costituzionale di primaria
importanza,  come  anche  la  piu'  recente giurisprudenza di codesta
ecc.ma  Corte ha chiarito (sent. n. 416 del 1999). L'accoglimento del
presente  ricorso, pertanto, oltre a ristabilire il corretto rapporto
tra  il  valore dell'efficienza processuale e quello dell'autonomia e
dell'indipendenza  delle  istituzioni  parlamentari, consentirebbe il
miglior  soddisfacimento  del valore, parimenti costituzionale, della
certezza del diritto.
                              P. Q. M.
    La  Camera dei deputati, come sopra rappresentata nonche' difesa,
chiede  che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare che
non  spetta  alla  Corte  di Assise di primo grado di Reggio Calabria
stabilire    che   non   costituisce   impedimento   assoluto   della
partecipazione  del  deputato alle udienze penali, eppercio' causa di
giustificazione  della sua assenza, il diritto-dovere del deputato di
assolvere  il  mandato  parlamentare  attraverso  la partecipazione a
votazioni  in  Assemblea, e conseguentemente annullare l'ordinanza 16
novembre  1998,  emessa  nel  corso  del  procedimento  n. 10/1998 RG
Assise,  poi  riunito  al  procedimento  n. 15/1998  RG  Assise,  nei
confronti  dell'on. Amedeo  Gennaro  Matacena,  con la quale e' stata
rigettatala  richiesta della difesa dell'on. Matacena di giustificare
l'assenza   dell'imputato   all'udienza  in  ragione  di  impedimento
parlamentare  e  si  e' disposto procedersi dichiarando la contumacia
dell'imputato.
        Roma, addi' 11 dicembre 2000
       On. prof. Luciano Violante - Prof. avv. Massimo Luciani
01C0712