N. 223 SENTENZA 4 - 6 luglio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Rilevanza  della questione - Motivazione non implausibile del giudice
  rimettente.
Sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali - Regime sanzionatorio -
  Giudizi  di  opposizione pendenti - Estinzione automatica ex lege -
  Assunta  violazione  del  diritto alla tutela giurisdizionale e del
  diritto di sciopero - Insussistenza.
Sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali - Regime sanzionatorio -
  Estinzione ex lege - Somme corrisposte per il pagamento di sanzioni
  - Divieto di rimborso, anche nel caso di intervenuta opposizione in
  sede giudiziaria alla sanzione - Violazione del diritto alla tutela
  giurisdizionale  e  del  principio  di eguaglianza - Illegittimita'
  costituzionale in parte qua.
- Legge 11 aprile 2000, n. 83, art. 16, comma 4.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali - Regime sanzionatorio -
  Estinzione   a   lege   dei  giudizi  di  opposizione  in  corso  -
  Compensazione  delle  spese  -  Violazione  del diritto alla tutela
  giurisdizionale - Illegittimita' costituzionale.
- Legge 11 aprile 2000, n. 83, art. 16, comma 3.
- Costituzione, all. 24.
(GU n.27 del 11-7-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 2, 3
e  4,  della  legge  11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche ed integrazioni
della  legge  12 giugno  1990,  n.146,  in  materia  di esercizio del
diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia
dei  diritti della persona costituzionalmente tutelati), promosso con
ordinanza  emessa  il  28 luglio  2000  dal  tribunale  di Genova nel
procedimento  civile vertente tra Roberto Biagini e le Ferrovie dello
Stato  s.p.a.,  iscritta  al  n. 656  del  registro  ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 21 marzo 2001 il giudice
relatore Franco Bile;

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 28 luglio 2000 il tribunale di Genova, nel
procedimento  civile  vertente tra un dipendente delle Ferrovie dello
Stato   s.p.a.   e   quest'ultima,   ha  sollevato  la  questione  di
legittimita'  costituzionaledell'art. 16, commi 2, 3 e 4, della legge
11 aprile 2000, n.83 (Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno
1990,  n.146,  in  materia  di  esercizio del diritto di sciopero nei
servizi  pubblici  essenziali  e  di  salvaguardia  dei diritti della
persona costituzionalmente tutelati), in riferimento agli artt. 3, 24
e 40 della Costituzione.
    1.1.  -  Il lavoratore aveva adito il pretore (poi tribunale dopo
l'istituzione del giudice unico di primo grado) di Genova per sentire
dichiarare   illegittima   e   revocare   la   sanzione  della  multa
inflittagli, in applicazione dell'art. 4 della legge n. 146 del 1990,
per aver aderito ad uno sciopero in violazione della legge.
    Il  giudice  rimettente rileva che, secondo l'art. 16 della legge
n.83  del  2000,  recante la nuova disciplina del diritto di sciopero
nei  servizi  pubblici  essenziali,  entrata in vigore nelle more del
giudizio,  le  sanzioni  contemplate  dagli  artt. 4  e 9 della legge
n. 146   del   1990   non   si  applicano  alle  violazioni  commesse
anteriormente  al 31 dicembre 1999, e le sanzioni, comminate prima di
tale    data    per    quelle    violazioni,   sono   estinte.   Come
conseguenzadell'estinzione  delle sanzioni il terzo comma prevede che
i  giudizi  di  opposizione  agli atti di irrogazione delle sanzioni,
pendenti in qualsiasi stato e grado, sono automaticamente estinti con
compensazione  delle  spese.  Infine,  il quarto comma dispone che in
nessun  caso  si  fa  luogo  al  rimborso di somme corrisposte per il
pagamento delle sanzioni.
    1.2.  -  Il  rimettente  ritiene siffatta disciplina lesiva degli
artt. 3, 24 e 40 della Costituzione.
    Il diritto alla tutela giurisdizionale sarebbe violato perche' al
lavoratore  non solo e' precluso il riconoscimento della legittimita'
della  condotta,  senza  che cio' sia bilanciato dal ripristino della
situazione  anteriore  all'applicazione  della  sanzione, ma e' anche
negato il recupero delle spese, pur se la pretesa sia fondata.
    La    preclusione    all'accertamento   della   correttezza   del
comportamento  del  lavoratore  inciderebbe  anche sull'esercizio del
diritto di sciopero, violando l'art. 40 Cost.
    Inoltre  l'esclusione  del rimborso lederebbe l'art. 3 Cost., per
la  disparita' di trattamento tra i lavoratori che abbiano subito una
sanzione  pecuniaria  e  quelli  che,  pur  avendo tenuto la medesima
condotta,  non  siano  gia'  stati  assoggettati  a sanzione per mero
ritardo del datore di lavoro nella sua applicazione.
    2.  -  Nessuna  parte  si  e'  costituita,  ne' e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                       Considerato in diritto

    1.   -  Il  rimettente  dubita  che  i  commi  2,  3  e  4  -  ma
essenzialmente  i  soli  commi  3  e  4  -  dell'art. 16  della legge
11 aprile  2000,  n. 83,  siano in contrasto con gli artt. 3, 24 e 40
della  Costituzione,  in  quanto prevedono che i giudizi, pendenti in
ogni  stato  e  grado,  concernenti  opposizioni  ad  atti comminanti
sanzioni  per  le  violazioni  di  cui  al  comma 1 (che richiama gli
artt. 4  e  9  della  legge  12 giugno  1990,  n.146),  anteriori  al
31 dicembre  1999,  sono  automaticamente  estinti  con compensazione
delle spese (comma 3), e che in nessun caso e' ammesso il rimborso di
quanto corrisposto (comma 4).
    2. - La questione e' rilevante.
    In  un  giudizio  promosso  da un dipendente delle Ferrovie dello
Stato  al  fine  di  ottenere  la declaratoria di illegittimita' e la
revoca  della  sanzione  pecuniaria comminatagli dal datore di lavoro
per  l'adesione  ad uno sciopero in violazione della legge n. 146 del
1990,  il  giudice,  non  implausibilmente, ritiene che il lavoratore
abbia  chiesto sia l'accertamento dell'illegittimita' della sanzione,
sia la restituzione della somma trattenutagli sulla retribuzione, con
le   conseguenti   statuizioni   in  ordine  alle  spese,  e  che  la
sopravvenuta  legge  n. 83  del  2000  gli  impedisca di esaminare il
merito di tali domande.
    3.  -  Le  modifiche  apportate  dalla  legge n. 83 del 2000 alla
precedente legge n. 146 del 1990, sullo sciopero nei servizi pubblici
essenziali,  riguardano  -  fra l'altro - il regime sanzionatorio. La
nuova legge, da un lato, conferma la scelta di fondo di ricondurre al
piano  disciplinare le violazioni commesse dai lavoratori subordinati
(art. 4,  comma  1); e, dall'altro, innovativamente, prevede che, per
talune  di  esse,  la  Commissione  di  garanzia possa prescrivere al
datore   di  lavoro  l'applicazione  di  sanzioni  disciplinari,  con
relativa  sua  responsabilita'  in  caso  di inottemperanza (art. 13,
lettera i).
    Nel  contesto  di  tali  modifiche,  la  legge del 2000 ha voluto
sottrarre  alle  sanzioni  di cui agli artt. 4 e 9 della legge n. 146
del  1990 i fatti anteriori al 31 dicembre 1999. Percio', i primi due
commi  dell'impugnato  art. 16  dispongono che quelle sanzioni non si
applicano alle condotte precedenti tale data e, se comminate prima di
essa, sono estinte.
    La  disciplina  e'  completata  -  per  i  giudizi  pendenti,  di
opposizione  a sanzioni gia' comminate - dal terzo comma, secondo cui
essi  "sono  automaticamente  estinti con compensazione delle spese".
Infine,  il  quarto  comma dispone che "in nessun caso si fa luogo al
rimborso delle somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni".
    Il  terzo ed il quarto comma devono interpretarsi congiuntamente,
nel senso che, in sede di opposizione a sanzione pecuniaria comminata
ed  applicata,  il  giudice  -  da  un  lato - e' tenuto a dichiarare
estinto il giudizio e - dall'altro - non puo' disporre il rimborso al
lavoratore  della  somma  a  lui trattenuta. Questa interpretazione -
accolta  dal  giudice  rimettente  -  e' coonestata dalla lettera del
quarto  comma,  il  cui inequivocabile incipit ("in nessun caso si fa
luogo  a  rimborso")  mostra che la regola, di portata generale, vale
anche se l'atto impositivo della sanzione sia stato impugnato.
    4.  -  Tale  disciplina - escludendo il rimborso e compensando le
spese  -  vanifica  in sostanza la tutela giurisdizionale del diritto
azionato dal lavoratore.
    4.1. - Questa Corte ha affermato che il legislatore, intervenendo
a  regolare  una certa materia, in tanto puo' incidere sui giudizi in
corso,  dichiarandoli  estinti  senza  ledere  il diritto alla tutela
giurisdizionale  garantito  dall'art. 24  Cost.,  in  quanto la nuova
disciplina,  lungi  dal tradursi in una sostanziale vanificazione dei
diritti  azionati,  sia  tale  da  realizzare le pretese fatte valere
dagli   interessati,   cosi'  eliminando  le  basi  del  preesistente
contenzioso (sentenza n. 310 del 2000).
    La  normativa impugnata prevede insieme l'estinzione "automatica"
dei  giudizi  di  opposizione e l'esclusione del rimborso delle somme
trattenute.
    La  prima  misura  e'  di per se' rispettosa dei principia appena
ricordati.  Essa  discende  infatti  dall'estinzione delle sanzioni e
dalla  correlativa  soddisfazione  ex  lege  della pretesa mirante ad
ottenerne  l'annullamento,  che determina la cessazione della materia
del  contendere.  Cio' consente anche di escludere che sia vanificato
il  diritto  del lavoratore all'accertamento della legittimita' della
sua  astensione  dal  lavoro  nell'esercizio  del diritto di sciopero
(art. 40  Cost.),  atteso  che,  estinta  ex  lege  la  sanzione,  il
lavoratore   non   ha  piu'  interesse  ad  un  accertamento  che  e'
finalizzato proprio alla caducazione della sanzione applicata.
    4.2.   -  Diversa  valutazione  merita  invece  l'esclusione  del
rimborso,  che  lascia  la  pretesa azionata dal lavoratore del tutto
priva   di   tutela   giurisdizionale,   quanto   alle   implicazioni
restitutorie  della  dedotta  illegittimita' della sanzione, al punto
che  la sua situazione patrimoniale resta definitivamente incisa, pur
senza causa.
    L'argomento   secondo   cui   il   divieto  di  rimborso  sarebbe
giustificato  dall'intervenuta  definizione  del  rapporto - sotto il
profilo  che  la sanzione, una volta applicata, avrebbe conseguito la
sua  finalita' afflittiva - puo' avere rilievo quando il destinatario
della  sanzione  non  ne  abbia contestato la legittimita', non certo
quando egli abbia proposto opposizione in sede giudiziaria.
    In  questo  caso - che corrisponde alla fattispecie esaminata dal
rimettente   -   viene  in  considerazione  il  diritto  alla  tutela
giurisdizionale, con riferimento al quale si impone un diverso e piu'
rigoroso   bilanciamento  delle  situazioni  sostanziali  versate  in
giudizio  e  dei  contrapposti  interessi.  E,  di certo, esso non e'
adeguatamente operato da una legge che dall'estinzione della sanzione
faccia discendere solo l'estinzione, per cessazione della materia del
contendere, del giudizio di impugnazione della sanzione, ma non anche
il    ripristino    della    situazione   patrimoniale   pregiudicata
dall'avvenuta sua applicazione.
    4.3.  -  Il  diniego  del  rimborso  viola  anche il principio di
eguaglianza  perche'  -  a  parita'  di  condizioni  in cui versano i
lavoratori  che abbiano adito il giudice per ottenere la declaratoria
di   illegittimita'   della   sanzione  -  la  stabilizzazione  delle
conseguenze   patrimoniali   negative   che   la   sanzione  comporta
deriverebbe  dalla  circostanza,  meramente accidentale, che essa sia
stata o meno applicata, con trattenuta sulla retribuzione od in altro
modo. Analoga disparita' sussiste rispetto alle sanzioni per le quali
non  si  ponga  un problema di restituzione di somme trattenute, come
quelle   che   non  comportino  conseguenze  economiche  (rimprovero,
censura)  ovvero  implichino conseguenze di tipo diverso (sospensione
dal servizio e dalla retribuzione).
    Del resto, in una similare fattispecie di preclusione ex lege del
diritto  al  rimborso,  questa  Corte  (sentenza  n. 416 del 2000) ha
ritenuto  in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione una norma che
dall'accertamento  del  diritto  del  contribuente ad un'agevolazione
fiscale  faceva  derivare solo l'illegittimita' dell'atto impositivo,
ma escludeva il rimborso dell'imposta pagata.
    4.4.    -    Pertanto,    deve    dichiararsi    l'illegittimita'
costituzionale,  per  violazione degli artt. 3 e 24 Cost., del quarto
comma  dell'impugnato  art. 16, nella parte in cui prevede che non si
fa  luogo  al  rimborso  di  somme corrisposte per il pagamento delle
sanzioni,  anche  se siano stati proposti i giudizi di opposizione di
cui  al  terzo comma (che rimanda al primo, e quindi agli artt. 4 e 9
della legge n. 146 del 1990).
    5. - Fondata e' anche la questione di legittimita' costituzionale
del   terzo  comma  dell'art. 16,  nella  parte  in  cui  dispone  la
compensazione   delle   spese  relative  ai  giudizi  di  opposizione
dichiarati estinti.
    In    generale,   il   diritto   alla   tutela   giurisdizionale,
costituzionalmente  garantito, si estende anche alle spese che devono
essere sostenute per agire in giudizio. Di tali spese il legislatore,
nell'introdurre  fattispecie  di  estinzione  ex  lege  di giudizi in
corso,  puo'  anche eccezionalmente prevedere la compensazione, in un
quadro di bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco.
    Ma, ancora una volta, tale bilanciamento non e' stato effettuato.
La  rigidita'  della  regola  della  compensazione sacrifica sempre e
comunque  il  diritto  della  parte,  che abbia fondatamente adito il
giudice,  di ottenere il rimborso delle spese processuali. Del resto,
l'estinzione ex lege dei giudizi di opposizione in esame non comporta
la  necessaria  compensazione  legale delle spese, essendo invece del
tutto  compatibile  con  il  criterio  (desumibile  dalla  disciplina
ordinaria:  artt. 91, 92 del codice di procedura civile), secondo cui
le  spese,  in  caso di cessazione della materia del contendere, sono
regolate in base alla c.d. soccombenza virtuale, salvo, beninteso, il
potere   del   giudice   di   disporre   la  loro  compensazione  ove
discrezionalmente ne ravvisi i presupposti.
    Pertanto,   se   la   cessazione  della  materia  del  contendere
sull'impugnativa  di  una sanzione ormai estinta per legge giustifica
l'estinzione  legale del giudizio, da questa non puo' discendere, con
analoga  consequenzialita',  la  compensazione  ex  lege  delle spese
processuali.
    Lo  scostamento  dal canone ordinario che regola le spese in caso
di   cessazione  della  materia  del  contendere  appare  ancor  meno
ragionevole,  considerando  come  il  lavoratore  che ha impugnato la
sanzione  non  possa  rinunciare  all'estinzione  e  insistere per la
pronuncia di merito.
    Il    comma 3   dell'art. 16   e',   quindi,   costituzionalmente
illegittimo,  per  violazione  dell'art. 24 Cost., limitatamente alle
parole "con compensazione delle spese".
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    a)  Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma
4,  della legge 11 aprile 2000, n.83 (Modifiche ed integrazioni della
legge  12 giugno  1990, n.146, in materia di esercizio del diritto di
sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali  e  di  salvaguardia dei
diritti  della  persona  costituzionalmente tutelati), nella parte in
cui  prevede che non si fa luogo al rimborso di somme corrisposte per
il  pagamento delle sanzioni, anche se siano stati proposti i giudizi
di opposizione di cui al terzo comma;
    b)  Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma
3,  della  legge 11 aprile 2000, n.83, limitatamente alle parole "con
compensazione delle spese".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Bile
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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