N. 225 SENTENZA 4 - 6 luglio 2001

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Conflitto  promosso  dalla  Camera  dei  deputati,  nei confronti del
  giudice  per  le  indagini  preliminari  del  tribunale di Milano -
  Intervento  in  giudizio  del parlamentare imputato in procedimenti
  penali e destinatario delle ordinanze impugnate - Inammissibilita'.
Procedimento penale a carico di un membro della Camera dei deputati -
  Richiesta   di   rinvio   dell'udienza   penale   per   impedimenti
  parlamentari   dell'imputato   -   Diniego  della  rilevanza  degli
  impedimenti   addotti,   da  parte  del  giudice  per  le  indagini
  preliminari  del  tribunale di Milano - Affermazione dell'interesse
  alla  speditezza  del  procedimento  giudiziario  -  Lesione  delle
  attribuzioni  costituzionali della ricorrente Camera dei deputati -
  Accoglimento del ricorso - Conseguente annullamento delle ordinanze
  impugnate.
- Ordinanze  del giudice per le indagini preliminari del tribunale di
  Milano  17  settembre,  20  settembre,22  settembre,  5 ottobre e 6
  ottobre 1999.
- Costituzione, artt. 3, 64, 67, 68 e 72.
(GU n.27 del 11-7-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo ZAGREBELSKY,Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI,
Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  delle  ordinanze emesse dalgiudice per le indagini
preliminari del tribunale di Milano il 17 e 20 settembre 1999, in due
procedimenti   penali  a  carico  dell'on. Cesare  Previti,  e  delle
successive ordinanze (in particolare di quelle adottate nelle udienze
del  22 settembre  1999,  5 ottobre 1999 e 6 ottobre 1999), in quanto
non  considerano  assoluto impedimento il diritto dovere del deputato
di  assolvere  il mandato parlamentare attraverso la partecipazione a
votazioni  in  assemblea,  promosso  con  ricorso  della  Camera  dei
deputati,  notificato il 10 maggio 2000, depositato in cancelleria il
17 successivo ed iscritto al n. 21 del registro conflitti 2000.
    Visto  l'atto di costituzione del Senato della Repubblica nonche'
l'atto di intervento dell'on. Cesare Previti;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  20 febbraio  2001  il giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Massimo Luciani per la Camera dei deputati,
Stefano  Grassi  per  il Senato della Repubblica e Claudio Chiola per
l'on. Cesare Previti.

                          Ritenuto in fatto

    1. -   Con  ricorso depositato il 19 novembre 1999, la Camera dei
deputati  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello
Stato  nei  confronti  del  giudice  per  le indagini preliminari del
tribunale di Milano, in funzione di giudice dell'udienza preliminare,
in  ragione e per l'annullamento delle ordinanze in data 17 settembre
1999 (nel procedimento n. 3384/1998 R.G. GIP), 20 settembre 1999 (nel
procedimento  n. 5634/1997  R.G.  GIP),  nonche'  di  tutti  gli atti
consequenziali  - impugnati "anche in quanto autonomamente viziati" e
in  particolare  delle  conformi decisioni di rigetto di richieste di
rinvio  avanzate dalla difesa dell'on. Previti adottate nelle udienze
del  22 settembre 1999, 5 ottobre 1999 e 6 ottobre 1999 e di tutte le
altre  decisioni  di  eguale  contenuto  che eventualmente nelle more
siano state adottate, chiedendo che la Corte statuisca che non spetta
all'autorita'  giudiziaria  non considerare assoluto impedimento alla
partecipazione  del deputato alle udienze penali il diritto-dovere di
assolvere  il  mandato  parlamentare  attraverso  la partecipazione a
votazioni in assemblea.
    Nelle  menzionate ordinanze, il giudice, dopo aver preso atto dei
numerosi    rinvii    dell'udienza    preliminare    dovuti   (anche)
all'impedimento  a  comparire  dell'imputato  on. Previti per impegni
parlamentari,   aveva  osservato  che  la  quotidianita'  dei  lavori
parlamentari   impediva  il  sollecito  svolgimento  dell'udienza  e,
quindi,   l'effettivita'   della   giurisdizione.   Sul  rilievo  che
l'attivita'  parlamentare  e quella giurisdizionale hanno pari valore
costituzionale (ai sensi dell'art. 67 della Costituzione per la prima
e  degli  artt. 68,  101,  102,  104  e 112 della Costituzione per la
seconda),  il giudice, dovendo fare applicazione degli artt. 420, 485
e   486   cod.   proc.   pen.,   nel  riconoscere  che  la  "assoluta
impossibilita'  a  comparire"  non  ricorre  solo  quando  vi  sia un
"impedimento   materiale   superiore   a  qualsiasi  sforzo  umano  o
l'impossibilita'  oggettiva",  ma  anche  quando  vi  siano norme che
identifichino   una   "priorita'   di   impegni"  nei  cui  confronti
l'esercizio della funzione giurisdizionale risulti soccombente, aveva
ritenuto, da un lato, che non era possibile distinguere tra i diversi
impegni  parlamentari  per  discriminare  quelli  prevalenti e quelli
subvalenti   rispetto   all'esigenza  di  celebrare  il  processo  e,
dall'altro,  che  gli  impegni parlamentari invocati nella specie non
costituivano  un  impedimento  assoluto  a  comparire in udienza, non
integrando  una  priorita'  tale  da rendere soccombente il principîo
dell'indefettibilita' e dell'effettivita' della giurisdizione.
    La  difesa  della  Camera  osserva  che,  attraverso le ordinanze
impugnate,  si  sarebbe  affermato  un  univoco  indirizzo in tema di
rilevanza  dell'impedimento parlamentare nel procedimento penale, che
risulterebbe  lesivo  delle  attribuzioni costituzionali della Camera
stessa.
    In  particolare  la  Camera - affermata la propria legittimazione
attiva  al  ricorso  e  quella  passiva  del  giudice per le indagini
preliminari  in funzione di giudice dell'udienza preliminare - motiva
la   sussistenza   dell'interesse   a  ricorrere  in  relazione  alle
affermazioni delle ordinanze, le quali negherebbero che l'esigenza di
partecipazione  alle  attivita'  parlamentari,  pur  in  presenza  di
votazioni  in  assemblea,  giustifichi un rinvio delle udienze, e con
cio'  determinerebbero  il  completo  sacrificio  di  uno  dei valori
costituzionali in campo.
    Sull'interesse   a   ricorrere  non  inciderebbe  il  fatto  che,
nonostante  le  decisioni  di  rigetto  delle  richieste  di  rinvio,
l'on. Previti   abbia   preso   comunque  parte  alle  votazioni.  Si
tratterebbe  difatti  di  determinazione  strettamente  personale  ed
estrinseca  del  deputato  -  e  quindi  di  un  soggetto estraneo al
rapporto tra gli organi in conflitto, - che ha sacrificato il proprio
diritto  di  difesa  al  diritto-dovere  di  partecipazione ai lavori
parlamentari.
    Nel  merito,  la  ricorrente Camera dei deputati chiede che venga
considerato,  per i suoi componenti, impedimento assoluto a comparire
in  udienza  non  gia'  la  necessita'  di partecipare a qualsivoglia
attivita'  parlamentare,  ma  solo  la  necessita'  di  partecipare a
votazioni  in  assemblea,  per  le  quali  non  sussisterebbe  alcuna
possibilita' di delega ne' di spostamento o altro rimedio all'assenza
del  parlamentare,  a  differenza  di  cio'  che accadrebbe per altre
attivita' parlamentari.
    Ad  avviso della ricorrente, il mancato riconoscimento giudiziale
dell'assoluto impedimento a comparire all'udienza penale del deputato
impegnato   in  una  votazione  assembleare,  determinando  un  grave
ostacolo  alla  partecipazione ad essa del deputato, comprimerebbe in
primo  luogo  l'indipendenza e l'autonomia della Camera, violando gli
artt. 64,   68   e   72  della  Costituzione,  i  quali  garantiscono
quell'indipendenza  e quell'autonomia sia sotto il profilo del potere
della  Camera  di  disciplinare  con  autonomo regolamento la propria
organizzazione  e il funzionamento dei propri lavori, con particolare
riferimento  alla  funzione  legislativa, sia per quanto attiene alla
posizione   di   indipendenza   dei   singoli  membri  della  Camera,
riconosciuta   dalla   Costituzione   quale   strumento  di  garanzia
dell'indipendenza e dell'autonomia dell'istituzione di appartenenza.
    Gli  atti impugnati porrebbero inoltre a rischio la funzionalita'
dell'assemblea, compromettendo la formazione dei quorum strutturali e
funzionali   richiesti  per  la  validita'  delle  deliberazioni.  La
ricorrente  denuncia,  al riguardo, la violazione dell'art. 64, terzo
comma,  della  Costituzione,  che  stabilisce il quorum strutturale e
quello  funzionale per la validita' delle deliberazioni della Camera,
nonche'   delle   altre   norme   della   Costituzione   e  di  leggi
costituzionali  (artt. 64,  primo comma, 73, secondo comma, 79, primo
comma,  83, terzo comma, 90, secondo comma, 138, primo e terzo comma,
della  Costituzione;  artt. 12  della  legge  costituzionale 11 marzo
1953,  n. 1,  3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, 9,
comma  3,  e 10, comma 3, della legge costituzionale 16 gennaio 1989,
n. 1) che richiedono per talune deliberazioni o votazioni maggioranze
speciali,  assolute  o  qualificate.  Essendo  la  partecipazione dei
parlamentari  alle  sedute  parlamentari  preordinate alle votazioni,
nonche'   alle   votazioni   medesime,  indispensabile,  nei  termini
quantitativi  imposti dalla Costituzione, per la validita' degli atti
deliberativi,  ogni impedimento a tale partecipazione si risolverebbe
in impedimento alla funzionalita' del Parlamento, e dunque nella (pur
potenziale) compromissione delle attribuzioni del potere legislativo.
    La  Camera  lamenta  inoltre la coartazione (ab extrinseco) della
liberta'  di  espletamento  del  mandato parlamentare, denunciando la
violazione   degli   artt. 67  e  68  della  Costituzione,  anche  in
riferimento  ai  parametri  sopra  invocati.  Sulla  premessa  che le
prerogative  che  la  Costituzione  riconosce ai singoli deputati non
sono    loro    guarentigie   personali   ma   strumenti   funzionali
all'integrita'  della  posizione  costituzionale delle istituzioni di
appartenenza,  la  ricorrente sostiene che, ogni volta che viene leso
il  libero esercizio del mandato parlamentare, garantito dall'art. 67
della   Costituzione   in   una  con  l'art. 68,  si  ledono  percio'
l'autonomia  e  l'indipendenza  della  Camera di appartenenza, che in
tanto  possono  sussistere,  in  quanto  i  singoli  componenti siano
tutelati  nella  loro  liberta' di esercitare il mandato parlamentare
senza  impedimenti.  Nella  specie,  con atti giurisdizionali sarebbe
stata  incisa  la  liberta' di esercizio del mandato parlamentare del
singolo   deputato,   giacche'   questi  sarebbe  stato  pesantemente
condizionato  nella  sua  scelta  di  adempiere o meno i doveri (e di
esercitare i diritti) del suo ufficio, in presenza della contrapposta
esigenza  (essa  pure  costituzionalmente  protetta) di esercitare il
diritto   di   difesa.  La  violazione  della  liberta'  del  mandato
(imputabile  alla volonta' di un potere esterno a quello legislativo)
avrebbe per conseguenza la lesione delle prerogative della Camera dei
deputati, alla cui tutela quella liberta' e' strettamente funzionale,
anche   considerando   che  il  condizionamento  del  libero  mandato
determina un'alterazione profonda del libero giuoco delle maggioranze
e  delle  opposizioni,  che si fonda sull'altrettanto libero rapporto
delle forze.
    Infine,  la Camera lamenta l'assenza, negli atti impugnati, di un
bilanciamento  fra  le  esigenze  di efficienza del processo e quelle
dell'autonomia,   indipendenza   e  funzionalita'  delle  istituzioni
parlamentari,  con violazione altresi' dell'art. 3 della Costituzione
e  del principîo di leale collaborazione fra i poteri dello Stato. Le
ordinanze impugnate, pur movendo dall'esatta premessa di un contrasto
tra valori costituzionali - la speditezza del processo, da un lato, e
la  libera  esplicazione  del mandato parlamentare e la funzionalita'
delle assemblee rappresentative, dall'altro - avrebbero provveduto in
realta'   alla   salvaguardia   d'uno   solo  di  essi,  sacrificando
integralmente    l'altro,   mentre   il   modello   disegnato   dalla
giurisprudenza  costituzionale  sarebbe  diverso, occorrendo, come e'
stato  precisato  dalla  sentenza n. 379 del 1996 di questa Corte, un
"equilibrio  razionale  e  misurato  tra  le  istanze  dello Stato di
diritto,  che  tendono  ad  esaltare  i valori connessi all'esercizio
della  giurisdizione  ...  e  la  salvaguardia di ambiti di autonomia
parlamentare  ...".  Secondo  la  ricorrente il bilanciamento sarebbe
possibile,   assegnando  all'impedimento  parlamentare  una  funzione
giustificativa   della   modificazione   dei   tempi  della  funzione
giurisdizionale  solo quando e' in giuoco la superiore esigenza della
validita'   delle   deliberazioni   della  Camera,  che  puo'  essere
assicurata  esclusivamente  dal  raggiungimento dei quorum prescritti
dalla  Costituzione.  Gli  atti impugnati, invece, risponderebbero ad
una  logica  opposta,  quella del sacrificio integrale dell'autonomia
parlamentare  e  dei  valori  connessi  alla rappresentanza, a totale
beneficio di quelli connessi alla giurisdizione.
    In  senso  contrario  non  potrebbe  invocarsi  la giurisprudenza
costituzionale  (sentenze  n. 353  del 1996 e n. 10 del 1997) con cui
sono  state  dichiarate  costituzionalmente  illegittime, in nome del
principîo  della  funzionalita'  del processo, norme che consentivano
atti che, pur essendo esercizio del diritto di difesa, diventavano in
realta'  abusivi  ed  ingiustificati perche' miranti al solo scopo di
rinviare  nel tempo il completamento dell'iter processuale; e cio' in
quanto nella vicenda da cui e' sorto il conflitto il parlamentare non
sarebbe  dominus  delle  cause  di  impedimento,  che derivano invece
dall'oggettiva  esistenza  di  un  calendario dei lavori parlamentari
ch'egli e' tenuto a rispettare e che non ha certo deciso da se'.
    Ne'  sarebbe possibile argomentare la superiorita' delle esigenze
del  processo  su quelle della funzione parlamentare dall'intervenuta
modifica     dell'art. 68    della    Costituzione:    l'eliminazione
dell'autorizzazione  a procedere, nel determinare il venir meno di un
ostacolo   al   pieno  dispiegarsi  della  funzione  giurisdizionale,
significa che la mera sottoposizione a procedimento penale non e', di
per se', fonte di alcun impedimento o pregiudizio per il parlamentare
e  per il rigoroso rispetto dei suoi doveri, ma non proverebbe che si
sia  voluto  tutelare la funzione giurisdizionale a totale scapito di
quella rappresentativa.
    In  conclusione,  tra  l'ipotesi  del  sacrificio integrale della
giurisdizione    e   l'ipotesi   del   sacrificio   integrale   della
rappresentanza      vi      sarebbe     quella     intermedia     del
bilanciamento-contemperamento.  La  tutela  dell'essenza  stessa  del
sistema  parlamentare  (che  sta  nella validita' delle deliberazioni
delle   Camere)   e'  possibile  senza  che  per  questo  si  rinunci
all'esercizio  della  giurisdizione,  che puo' (anche sollecitamente)
proseguire,  con il solo limite (tutt'altro che gravoso) del rispetto
dell'attivita' di votazione in assemblea programmata dalla Camera.
    La  soluzione  di considerare l'impedimento parlamentare assoluto
ed  insuperabile  solo  nel caso in cui attenga alla partecipazione a
votazioni  dell'assemblea,  e  non  anche  quando  attenga  a diverse
attivita'  dei  deputati, viene fatta derivare dalla ricorrente anche
dalla applicazione del principîo di leale collaborazione nei rapporti
fra  poteri dello Stato (sentenze n. 379 del 1992 e n. 403 del 1994).
Non  tutte  le  sedute  dell'assemblea - ricorda la ricorrente - sono
dedicate a votazioni, poiche' molte sono destinate ad altre attivita'
(discussione  di  progetti  di  legge;  dibattiti di vario contenuto;
svolgimento  dl interrogazioni ed interpellanze, ecc.). La previsione
dell'assolutezza  dell'impedimento  parlamentare  in riferimento alle
sedute   destinate   a   votazioni  non  comprometterebbe  dunque  la
funzionalita'    del    processo   ne'   lederebbe   le   prerogative
dell'autorita'  giudiziaria;  inoltre  rappresenterebbe una soluzione
certa,  fondata  su un criterio automatico ed oggettivo. La soluzione
opposta,  lasciando  al  giudice  penale  il  potere discrezionale di
valutare,  di  volta  in  volta,  l'assolutezza  dell'impedimento del
parlamentare,  offrirebbe  invece minori garanzie per la certezza non
solo  della  situazione  soggettiva  del  singolo  deputato, ma della
funzionalita' e dell'autonomia della Camera.
    2. - Questa  Corte,  con ordinanza n. 102 del 2000, ha dichiarato
ammissibile  il  predetto  conflitto  di  attribuzione proposto dalla
Camera dei deputati, estendendo la notifica del ricorso, oltre che al
giudice  per  le  indagini  preliminari  del tribunale di Milano, con
funzioni  di  giudice dell'udienza preliminare, anche al Senato della
Repubblica, stante l'identita' della posizione costituzionale dei due
rami  del  Parlamento  in  relazione  alle  questioni di principîo da
trattare.
    3. - Il   ricorso   e'   stato   successivamente   notificato   e
regolarmente depositato con la prova delle avvenute notifiche.
    4. - Degli    organi    ai   quali,   secondo   quanto   disposto
nell'anzidetta   ordinanza,   il   ricorso  per  conflitto  e'  stato
notificato  a  cura  della  Camera, si e' costituito innanzi a questa
Corte il Senato della Repubblica.
    Il Senato, con riserva di illustrazione in successiva memoria, ha
concluso  chiedendo che la Corte riconosca la fondatezza dei principî
affermati  nel  ricorso  della  Camera dei deputati in relazione alla
considerazione  come  assoluto impedimento, alla partecipazione di un
parlamentare  alle  udienze  penali,  del diritto-dovere dello stesso
parlamentare di assolvere al proprio mandato partecipando alle sedute
dell'organo parlamentare di cui e' membro.
    5. - Nel  giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto l'on. Cesare
Previti,  chiedendo  che vengano annullate"le impugnate ordinanze del
g.u.p.  dott.  Rossato  nelle  quali si e' apoditticamente imposta la
regola  della  prevalenza delle esigenze processuali sull'esigenza di
esercitare le funzioni parlamentari, dettando altresi' quale criterio
di  risoluzione del conflitto quello della cooperazione tra giudice e
parlamentare  al  quale  ultimo potrebbe fare carico l'esibizione del
calendario  dei  lavori  parlamentari,  quale base per il giudice per
fissare  la  scansione  temporale  delle  udienze";  ed  in subordine
sollecitando  la  Corte  a sollevare dinanzi a se stessa questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 3-bis,  comma  1,  del  d.l.
24 maggio 1999, n. 145, inserito dalla legge di conversione 22 luglio
1999, n. 234.
    6. - In   prossimita'   dell'udienza,   la  Camera  dei  deputati
ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
    Il  conflitto sollevato sarebbe attuale e concreto, non ipotetico
e astratto. Il fatto che, nella specie, il deputato interessato abbia
preso parte alle votazioni fissate in concomitanza con l'udienza, non
avrebbe   alcun   rilievo,   perche'   non  eliminerebbe  l'oggettiva
incertezza  circa  le  condizioni in presenza delle quali gli impegni
parlamentari   giustificano   l'allegazione  di  un  impedimento.  Il
conflitto - si osserva - serve a ristabilire il corretto ordine delle
attribuzioni,  al  di  la'  della sorte dei singoli atti che lo hanno
pregiudicato.
    La Camera esclude che con la proposizione del conflitto sia stato
censurato  un  semplice  errore  in  iudicando, perche' quello che la
ricorrente  - priva di strumenti processuali ordinari per tutelare le
proprie  attribuzioni  -  contesta  e'  la  titolarita',  in  capo al
giudice, del potere di negare che l'impegno in votazioni in assemblea
sia valida causa di giustificazione dell'assenza, all'udienza penale,
del  parlamentare  interessato,  ossia  la spettanza, non solo a quel
giudice, ma a qualunque giudice, del potere di condizionare il libero
esercizio del mandato parlamentare negando che l'impegno in votazioni
in  assemblea  costituisca  impedimento  assoluto alla partecipazione
all'udienza penale.
    Nel  merito,  la  Camera  ribadisce che, ferma la pariordinazione
qualitativa  di  tutte  le attivita' parlamentari, sarebbe necessario
considerare  assoluto  e  insuperabile  solo  l'impedimento derivante
dalla  partecipazione a votazioni in assemblea, attivita' tipizzata e
specificamente qualificata.
    7. - Nella  memoria  depositata  in  prossimita' dell'udienza, il
Senato  della  Repubblica  articola la propria posizione, aderendo in
linea  di  principîo alle censure mosse dalla Camera ai provvedimenti
del  giudice  dell'udienza  preliminare  di  Milano,  in  particolare
insistendo sull'esigenza di coordinamento fra corretto e indipendente
esercizio  della  funzione  giurisdizionale e corretto e indipendente
esercizio  delle  funzioni  parlamentari,  e  sul  principîo di leale
collaborazione.
    Nel  merito,  il Senato osserva che la lamentata interferenza con
la  sfera  di  autonomia  parlamentare  garantita  dalla Costituzione
sussiste  ove  la statuizione del giudice dell'udienza preliminare si
risolva  nella  perentoria  affermazione  che  il coordinamento tra i
valori   costituzionali   confliggenti  non  e'  ne'  necessario  ne'
possibile,  e  quindi  nella  negazione di ogni possibile esigenza di
coordinamento  fra i poteri che debbono organizzare l'esercizio delle
rispettive  funzioni.  Premesso  che  l'autonomia  del  Parlamento si
esprime  in  modo unitario, rendendo indispensabile la garanzia per i
parlamentari  di  poter  essere  presenti  non solo alle sedute nelle
quali  siano  previste  votazioni dell'assemblea, ma anche a tutte le
altre  attivita' nelle quali il parlamentare puo' svolgere il proprio
mandato,  il  Senato  ritiene  che  il non considerare le esigenze di
fissazione  del calendario delle sedute parlamentari come espressione
della posizione di autonomia costituzionale delle Camere abbia inciso
sul   funzionamento   interno   degli   organi   parlamentari,  abbia
condizionato   il   libero   svolgimento  del  mandato  parlamentare,
impedendo   all'imputato   qualunque   possibilita'  di  contemperare
l'esercizio  del  proprio  diritto  di  difesa  con l'esercizio delle
proprie funzioni parlamentari, e cosi' ostacolato la Camera di cui fa
parte  l'indagato in relazione alla formazione dei quorum strutturali
e funzionali dei suoi organi.
    Le  attribuzioni  costituzionali del Parlamento non sono estranee
rispetto  alle  funzioni  che  il  giudice e' chiamato a svolgere. Il
principîo  di  leale  collaborazione  -  afferma la difesa del Senato
richiamando  i principî affermati dalla giurisprudenza costituzionale
(sentenze  n. 231  del  1975,  n. 379  del  1992 e n. 403 del 1994) -
impone  a  tutti i poteri dello Stato di svolgere le proprie funzioni
valorizzando  anche  interessi  che  la  Costituzione affida ad altri
poteri,    nell'esercizio   delle   autonomie   costituzionali   loro
riconosciute.  Il  dovere  di  collaborare  lealmente  si  pone  come
principîo  generale cui necessariamente deve ispirarsi l'esercizio di
funzioni   costituzionalmente   riconosciute,   tanto   piu'  che  la
flessibilita' che discende dall'applicazione del metodo collaborativo
non   potrebbe   certamente   condurre   a   deroghe   o  impedimenti
dell'esercizio di una delle funzioni interferenti e, in specie, della
funzione giurisdizionale. Nel caso di specie, e' la stessa disciplina
del  processo  penale che, nel consentire di valutare l'assolutezza o
meno   dell'impedimento   a  comparire  dell'indagato,  costituirebbe
indicazione  positiva  nel  senso  del  necessario  coordinamento tra
l'organo   giurisdizionale   e   l'organo   la   cui  attivita'  puo'
giustificare l'impedimento in questione.
    Il  giudice  aveva  la possibilita' di utilizzare l'art. 486 cod.
proc. pen. come strumento capace di stabilire un coordinamento con le
autonomie   parlamentari.  Invece  non  ha  ritenuto  possibile  tale
coordinamento, basandosi su una semplice valutazione quantitativa del
numero  dei casi in cui il rinvio dell'attivita' processuale era gia'
stato  accordato. Cio' che viene contestato nel presente conflitto e'
proprio  l'affermazione  secondo cui la norma processuale non avrebbe
consentito  di  attivare  una  forma di collaborazione per evitare la
lesione  della  posizione di autonomia dell'organo parlamentare. Solo
in  questa  parte  le  ordinanze  impugnate sarebbero illegittime sul
piano  costituzionale;  mentre non spetterebbe al Senato sostenere la
correttezza  o  meno della valutazione che in concreto e' stata fatta
delle istanze di rinvio.
    Il   ricorso  della  Camera  non  mirerebbe  alla  correzione  di
un'erronea  applicazione  da  parte del giudice ordinario della norma
processuale.  In  esso infatti non e' richiesto un mero controllo sul
contenuto   dell'attivita'   giurisdizionale,  bensi'  l'accertamento
dell'interferenza   nelle   attribuzioni  costituzionali  del  potere
ricorrente.
    Ne'   -  conclude  il  Senato  -  ci  sarebbe  in  tal  modo  una
sovrapposizione  con  le  ulteriori  istanze del giudizio comune, sia
perche'  l'organo  ricorrente  ha  a disposizione il solo rimedio del
conflitto,  sia  perche'  l'atto  giurisdizionale  e' suscettibile di
sindacato  solo  in  relazione  alle concrete potenzialita' lesive di
attribuzioni  altrui,  la  lesione  operata dal giudice ordinario ben
potendo  essere sanzionata non necessariamente con l'annullamento dei
dispositivi  delle  ordinanze impugnate dalla Camera dei deputati, ma
anche  e  soltanto  con la cancellazione delle argomentazioni e delle
affermazioni lesive dell'autonomia degli organi parlamentari.
    8. - In   prossimita'  dell'udienza  ha  depositato  una  memoria
illustrativa anche l'interveniente on. Previti.

                       Considerato in diritto

    1. -   Il  ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello
Stato  e' proposto dalla Camera dei deputati in riferimento ad alcune
ordinanze  del  giudice  dell'udienza  preliminare  del  tribunale di
Milano,  adottate  in  due  diversi  procedimenti, che hanno respinto
istanze di rinvio dell'udienza motivate da impegni parlamentari di un
imputato,  membro  della  Camera  stessa.  Da  tali  atti, secondo la
ricorrente,  emergerebbe un "unitario indirizzo" in tema di rilevanza
dell'impedimento  parlamentare  nel  procedimento penale, che sarebbe
lesivo  delle  attribuzioni  costituzionali della medesima Camera dei
deputati. Lesiva, in particolare, sarebbe l'affermazione secondo cui,
pur  muovendosi  dall'esatta  premessa  del pari rango costituzionale
rivestito  dalle  esigenze di sollecito svolgimento del giudizio e da
quelle  del  libero  e  corretto  assolvimento  delle  funzioni delle
Camere,  si  negherebbe  poi  che  le esigenze di partecipazione alle
attivita' parlamentari giustifichino il rinvio dell'udienza, con cio'
determinando   il   completo   sacrificio   di  uno  degli  interessi
costituzionali in campo.
    L'accennato  indirizzo  emergente  dalle  ordinanze  del  giudice
dell'udienza  preliminare,  secondo  la ricorrente, contrasterebbe in
particolare,  in  primo luogo, con le norme costituzionali (artt. 64,
68  e  72 Cost.) le quali garantirebbero l'indipendenza e l'autonomia
della  Camera  sia  sotto  il  profilo  del potere di disciplinare la
propria  organizzazione  ed  il  funzionamento dei propri lavori, sia
sotto  il  profilo della posizione di indipendenza dei singoli membri
della  Camera.  In  secondo  luogo,  essendo  la  partecipazione  dei
deputati   alle   votazioni,   nei  limiti  deiquorum  strutturali  e
funzionali  stabiliti, requisito per la validita' delle deliberazioni
parlamentari,  gli  atti  impugnati,  ponendo  un  impedimento a tale
partecipazione,   comporterebbero   un  potenziale  impedimento  alla
funzionalita'  della Camera, in violazione delle norme costituzionali
che  stabiliscono detto requisito. In terzo luogo essi, condizionando
la   scelta  del  deputato,  che  sarebbe  costretto  a  sacrificare,
alternativamente,    il    suo   diritto-dovere   di   partecipazione
all'attivita'  parlamentare  o il suo diritto di difesa nel giudizio,
violerebbero  la  liberta'  del  mandato  parlamentare (art. 67 della
Costituzione),  a  sua volta funzionale alla tutela delle prerogative
della  stessa  Camera.  Infine,  gli  atti impugnati ometterebbero di
realizzare  un  bilanciamento  fra  le  esigenze  di  efficienza  del
processo  e  quelle  di indipendenza, autonomia e funzionalita' delle
istituzioni  parlamentari,  con  conseguente  violazione  dell'art. 3
della Costituzione e del principîo di leale collaborazione.
    Il  corretto  bilanciamento fra le opposte esigenze, con maggiori
garanzie   anche   per  la  certezza  giuridica,  si  avrebbe  invece
considerando,  per  gli  imputati  membri del Parlamento, impedimento
assoluto a comparire in udienza non gia' la necessita' di partecipare
a  qualsiasi  attivita'  parlamentare,  bensi'  solo la necessita' di
prendere  parte  a votazioni in assemblea, attivita' per la quale non
sussisterebbe  alcuna  possibilita'  di  delega ne' di spostamento, o
altro  rimedio  all'assenza  del parlamentare. Ed e' questo, appunto,
che  chiede  la  ricorrente  nelle  sue conclusioni: che questa Corte
dichiari  che  non  spetta  al giudice "stabilire che non costituisce
impedimento  assoluto  della partecipazione del deputato alle udienze
penali  il  diritto-dovere  del  deputato  di  assolvere  il  mandato
parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea".
    2. - Deve   preliminarmente   essere   dichiarato  inammissibile,
sciogliendo   in   tal   senso   la  riserva  formulata  dalla  Corte
nell'udienza  pubblica del 20 febbraio 2001, l'intervento spiegato in
giudizio dal deputato Previti.
    Le  posizioni  giuridiche  protette  dell'interveniente nella sua
qualita'  di  imputato  nei  procedimenti penali sopra ricordati e di
destinatario  delle  ordinanze  impugnate,  e  i correlati diritti di
impugnazione e di difesa, restano sempre suscettibili di essere fatti
valere  con  gli  ordinari  strumenti  processuali:  ne'  su  di essi
potrebbero  fondarsi  domande proposte con lo strumento del conflitto
di attribuzioni, come ritenuto da questa Corte allorche' dichiaro' in
limine  inammissibili,  per questa ragione, due ricorsi per conflitto
promossi  dallo  stesso  on. Previti  nei  confronti  del giudice per
l'udienza  preliminare  del  tribunale  di  Milano,  in  relazione ad
asseriti  abusi  di  potere di cui eglisi riteneva vittima (ordinanza
n. 101  del  2000). In ogni caso, tali diritti inerenti alla qualita'
di imputato non sono direttamente coinvolti, ne' sono suscettibili di
essere  pregiudicati,  nel presente giudizio per conflitto, nel quale
la  Corte  e'  chiamata  esclusivamente  a  decidere  in  ordine alle
denunciate lesioni delle attribuzioni costituzionali della Camera dei
deputati  ad  opera delle ordinanze medesime. Pertanto non sussistono
le ragioni di salvaguardia del diritto di agire in giudizio che hanno
condotto  la Corte, in un caso recente, ad ammettere l'intervento, in
un  conflitto  fra  Regione  e  Stato,  sorto in relazione ad un atto
dell'autorita'  giudiziaria penale, della parte civile costituita nel
relativo   procedimento,   in   quanto   l'esito  del  conflitto  era
suscettibile  di  condizionare la stessa possibilita' che il giudizio
comune avesse luogo (sentenza n. 76 del 2001).
    Nemmeno  puo'  ammettersi  l'intervento sotto il diverso profilo,
ora  prospettato dall'on. Previti, che esso sarebbe volto a difendere
"l'esercizio    delle   attribuzioni   del   singolo   parlamentare",
attribuzioni  le  quali  fonderebbero  un'autonoma  legittimazione al
conflitto,  parallela a quella della Camera, e sarebbero a loro volta
pregiudicate  dagli atti impugnati. Infatti, anche a volere accedere,
in  astratto,  a tale prospettazione, una domanda rivolta a difendere
le   attribuzioni   rivendicate,   avrebbe   comunque  dovuto  essere
introdotta  -  questa  si'  -  attraverso  un  autonomo  ricorso  per
conflitto  fra  poteri, non potendosi ammettere la proposizione di un
conflitto  attraverso  la  via  dell'intervento  volontario  in altro
giudizio, promosso dalla Camera dei deputati per la lamentata lesione
delle attribuzioni costituzionali di quest'ultima.
    3. - Il  ricorso  e'  fondato  nei  termini  e  nei limiti di cui
appresso.
    Si  deve  premettere  che, nella specie, non viene in rilievo una
prerogativa   o  una  immunita'  dei  membri  delParlamento,  il  cui
riconoscimento  da parte della Costituzione comporti un limite od una
deroga    rispetto    al    normale   svolgimento   della   attivita'
giurisdizionale  e all'applicazione delle comuni regole sostanziali e
processuali  che  concernono  la posizione dell'imputato nel processo
penale;  ne'  e' in discussione quel confine fra area della legalita'
ordinaria  e  della  giustiziabilita' dei diritti, da un lato, e area
dell'autonomia    dell'ordinamento    parlamentare    come   garanzia
dell'autonomia  e  dell'indipendenza del Parlamento, dall'altro lato,
che  in altra occasione ha condotto la Corte ad affermare l'esistenza
di limiti all'intervento del potere giudiziario riguardo ad attivita'
e a procedure interamente riconducibili a quell'ordinamento (sentenza
n. 379 del 1996).
    La  posizione  dell'imputato,  che  sia membro del Parlamento, di
fronte alla giurisdizione penale - dopo l'abrogazione dell'originario
secondo  comma  dell'art. 68 della Costituzione, ad opera della legge
costituzionale  n. 3 del 1993 - non e' assistita da speciali garanzie
costituzionali  diverse  da  quelle stabilite, sul piano sostanziale,
dall'art. 68,  primo  comma,  Cost.,  attraverso  la insindacabilita'
delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle funzioni
parlamentari,  e,  sul  piano procedimentale, dal secondo e dal terzo
comma  del  medesimo art. 68, che condiziona all'autorizzazione della
Camera   di  appartenenza  l'adozione  di  misure  restrittive  della
liberta'  personale  (nell'accezione  di  cui  all'art. 13,  primo  e
secondo   comma,   della  Costituzione)  o  della  liberta'  e  della
segretezza  della  corrispondenza  e  delle  comunicazioni (nell'area
cioe' garantita dall'art. 15 della Costituzione).
    Al  di  fuori  di queste tassative ipotesi, trovano applicazione,
nei  confronti  dell'imputato  parlamentare,  le  generali regole del
processo, assistite dalle correlative sanzioni, e soggette nella loro
applicazione  agli ordinari rimedi processuali. Fra queste, le regole
che  sanciscono il diritto dell'imputato di partecipare alle udienze,
e  la  correlativa  previsione  del  rinvio  dell'udienza  in caso di
impossibilita'  assoluta  per  l'imputato di essere presente per caso
fortuito,  forza maggiore  o  altro  legittimo impedimento (art. 486,
commi  1  e  2,  cui si richiama a sua volta l'art. 420, comma 4, del
codice  di procedura penale; e vedi, ora, art. 420-ter e art. 484 del
codice di procedura penale).
    4. - Non  e'  compito  di  questa Corte, ma dei competenti organi
della  giurisdizione,  stabilire  i corretti criteri interpretativi e
applicativi delle regole processuali: nemmeno, quindi, stabilire se e
in  che  limiti  gli  impedimenti  legittimi  derivanti  non  gia' da
materiale  impossibilita',  ma dalla sussistenza di doveri funzionali
relativi  ad attivita' di cui sia titolare l'imputato, rivestano tale
carattere  di  assolutezza  da  dover  essere  equiparati, secondo il
dettato  dell'art. 486  del  codice  di  procedura penale, a cause di
forza maggiore.
    Nella   specie,  e'  peraltro  lo  stesso  giudice  autore  delle
ordinanze  impugnate  ad  affermare espressamente (nell'ordinanza del
17 settembre  1999)  che  l'impedimento suscettibile di dare luogo ad
assoluta  impossibilita'  di  comparire puo' derivare anche "da norme
che   delineino  una  priorita'  di  impegni  tale  da  far  ritenere
soccombente    quello   derivante   dall'esercizio   della   funzione
giurisdizionale". Egli ammette bensi' che "all'attivita' parlamentare
sia  attribuita  speciale  rilevanza  e  il  suo  esercizio non debba
trovare ostacoli"; ma, invocando la "non minore rilevanza" attribuita
dalla  Costituzione  alla attivita' giurisdizionale, conclude che "la
soluzione  giuridica"  non dovrebbe essere "quella di dare prevalenza
all'attivita'  parlamentare  a scapito delle esigenze di celebrazione
del   processo",   bensi',   al   contrario,  quella  di  considerare
"prioritario"    -    s'intende,   anche   rispetto   alle   esigenze
dell'attivita'  parlamentare  -  il  valore  dell'effettivita'  della
giurisdizione,  e  pertanto  di  negare  il  carattere di assolutezza
dell'impedimento  dedotto.  Cio'  dopo  che, come ricordano le stesse
ordinanze,  piu'  volte  era  stato  disposto  il rinvio dell'udienza
chiesto  per  impedimento parlamentare dell'imputato, impedimento che
dunque   era   stato,  implicitamente,  riconosciuto  come  non  solo
legittimo, ma assoluto.
    E'  dunque la stessa impostazione data dal giudice alle ordinanze
impugnate,  anche  in  relazione ai precedenti, che pone in essere le
condizioni da cui origina il presente conflitto, mettendo in rapporto
le    esigenze    costituzionali,   rispettivamente,   dell'attivita'
parlamentare  e  di quella giurisdizionale, confliggenti fra di loro.
Di  cio', appunto, si duole la ricorrente Camera dei deputati: che il
giudice,  mettendo a raffronto i due ordini di esigenze, abbia omesso
di   contemperarle  e  abbia  dato  invece,  in  concreto,  esclusiva
prevalenza  a quelle del giudizio, sacrificando quelle (pur, in linea
di  principîo, non disconosciute) dell'attivita' parlamentare. Di qui
l'odierno  conflitto, nella forma tipica del conflitto da menomazione
o da interferenza.
    5. - Il  quesito  cui  questa  Corte  e' chiamata a rispondere e'
dunque  se il giudice, nell'esercizio delle attribuzioni che gli sono
proprie   ai   fini  della  conduzione  del  procedimento  attraverso
l'applicazione  delle  comuni regole processuali, abbia tuttavia leso
le attribuzioni costituzionali della Camera ricorrente.
    Per  risolvere il conflitto, non v'e' luogo ad individuare regole
speciali,  derogatorie del diritto comune: nemmeno, quindi, la regola
che  la  ricorrente vorrebbe invece vedere affermata da questa Corte,
secondo  cui  il  solo  impedimento  derivante  dalla  necessita' per
l'imputato  membro  della  Camera  di  prendere  parte a votazioni in
assemblea  dovrebbe  essere  riconosciuto  senz'altro  come assoluto.
Regola  che,  peraltro,  pur  non  essendo  priva in se' di una certa
razionalita', date le caratteristiche delle votazioni assembleari nel
quadro  delle  attivita'  delle  Camere,  non  solo acquisterebbe pur
sempre  una  impropria  valenza  derogatoria  del  diritto comune, ma
potrebbe  d'altra  parte,  a  sua  volta,  manifestarsi  inadeguata a
garantire l'interesse del Parlamento: sia per la netta (e quanto meno
discutibile)  distinzione  che  verrebbe cosi' introdotta fra diversi
aspetti   dell'attivita'   del   parlamentare,   tutti  riconducibili
egualmente   ai   suoi  diritti  e  doveri  funzionali;  sia  per  la
impossibilita'  di  escludere  che  l'esigenza  di  indire  votazioni
insorga  in  ogni  momento  nel corso delle attivita' delle assemblee
parlamentari,  indipendentemente  dalla preventiva programmazione dei
lavori  (punto, questo, su cui ha insistito particolarmente la difesa
dell'interveniente Senato della Repubblica).
    In  concreto,  nell'applicare,  com'era  suo  compito,  le comuni
regole  processuali  sugli  impedimenti  a  comparire, il giudice non
poteva  pero',  contraddicendo  le  proprie  stesse premesse circa la
parita'  di  rango  costituzionale  degli  interessi  confliggenti, e
mutando  radicalmente  indirizzo  rispetto  alla  sua stessa condotta
precedente,    disconoscere    in   senso   assoluto   la   rilevanza
dell'impedimento    in   questione,   per   invocare   esclusivamente
l'interesse del procedimento giudiziario.
    Tale  e'  invece,  in  sostanza,  il  contenuto  delle  ordinanze
impugnate.   Cosi'  facendo,  il  giudice  ha  leso  le  attribuzioni
dell'istituzione  parlamentare,  il cui rispetto esige che ogni altro
potere,  allorquando  agisce  nel  campo suo proprio e nell'esercizio
delle  sue  competenze,  tenga  conto  non  solo delle esigenze della
attivita'   di   propria   pertinenza,   ma  anche  degli  interessi,
costituzionalmente   tutelati,   di  altri  poteri,  che  vengano  in
considerazione  ai fini dell'applicazione delle regole comuni: cosi',
come  nella  specie,  ai  fini  dell'apprezzamento  degli impedimenti
invocati per chiedere il rinvio dell'udienza.
    Il  vizio  dei provvedimenti in questione, sotto questo riguardo,
e'  dimostrato,  in  particolare,  dalla  circostanza  che il giudice
dell'udienza   preliminare,   dopo  avere  emanato  le  due  motivate
ordinanze  (relative  a  due  diversi  procedimenti)  in  data  17  e
20 settembre  1999, ha ripetutamente confermato lo stesso deliberato,
senza  nuova  autonoma  motivazione,  in  occasione  di  udienze e di
istanze  di  rinvio  successive, cosi' mostrando che le sue decisioni
non   si   sono  sostanziate  in  un  apprezzamento  specifico  della
situazione,  in  relazione  alle  istanze via via presentate, ma sono
piuttosto  il  frutto  di  una  presa  di posizione generale, fondata
sull'affermata  prevalenza  delle  esigenze  del  giudizio  su quelle
dell'attivita' parlamentare.
    6. - Ne',  d'altra  parte,  potrebbe  dirsi  che  tale prevalenza
dovesse necessariamente discendere, nella specie, dalla necessita' di
condurre   a   compimento,   in  tempi  ragionevoli,  i  procedimenti
giudiziari.  La  ricorrente  Camera  dei  deputati,  e  per parte sua
l'interveniente  Senato  della  Repubblica, sia pure riferendosi alla
disciplina,  parzialmente differenziata, dei rispettivi regolamenti e
alle   rispettive  prassi,  pur  esse  parzialmente  difformi,  hanno
ampiamente  dimostrato che - come d'altronde e' noto ed e' facilmente
accertabile, data la pubblicita' degli atti e dei lavori parlamentari
- l'attivita' delle Camere si svolge con ritmi bensi' intensi, ma non
tali,  di  per  se',  da  risultare  a priori incompatibili con altri
impegni dei componenti delle Camere.
    E'  pur  vero che, a loro volta, procedimenti giudiziari lunghi e
complessi,  come  quelli  da  cui  trae origine il presente giudizio,
debbono   -  anche  in  relazione  all'interesse,  costituzionalmente
tutelato,  alla  durata  ragionevole  del processo (art. 111, secondo
comma,  Cost.)  -rispettare  esigenze  temporali  stringenti,  specie
quando  molte  siano  le  parti e molti i possibili impedimenti delle
stesse.  E' anche in relazione a tali esigenze che il legislatore del
codice   di  rito,  nell'esercizio  della  sua  discrezionalita',  ha
configurato le norme sugli impedimenti dell'imputato.
    Ma  e'  altrettanto  evidente  che,  in  linea  di principîo, non
sarebbe    impossibile    adattare   i   calendari   delle   udienze,
preventivamente  stabiliti  e discussi con le parti, in modo da tener
conto di prospettati impegni parlamentari concomitanti dell'imputato.
E'  ben  noto infatti che vi sono giorni della settimana (di massima,
almeno  il  lunedi'  e  il  sabato, oltre naturalmente la domenica) e
periodi  dell'anno  in  cui  non  vengono  programmate riunioni degli
organi  parlamentari.  Cosi'  che  udienze preliminari svoltesi (come
nella  specie)  in uno dei procedimenti nel corso di quasi un anno e,
nell'altro,  nel corso di oltre un anno, con un totale, per ciascuno,
di  una  ventina  di  convocazioni,  sarebbero  suscettibili  di  una
organizzazione  dei  tempi,  anche  attraverso  la  consultazione dei
calendari   parlamentari,  tale  da  evitare,  almeno  di  norma,  la
concomitanza  con  i  lavori  della  Camera,  e quindi l'insorgere di
quelli   che   lo  stesso  giudice  procedente  ha  per  lungo  tempo
considerato  come impedimenti assoluti alla presenza dell'imputato in
udienza,  e da ultimo invece ha negato essere tali. Ne' il giudice ha
dimostrato  che  altra  via  non  vi  fosse,  per  evitare  la temuta
"situazione di sostanziale stallo" dei procedimenti, se non quella di
ignorare   sistematicamente,   da   un  certo  momento  in  poi,  gli
impedimenti parlamentari dell'imputato.
    Alla constatazione dell'avvenuta lesione delle attribuzioni della
ricorrente, e alla correlativa dichiarazione in ordine a cio' che non
spettava    al    giudice    dell'udienza    preliminare,    consegue
necessariamente l'annullamento dei provvedimenti impugnati.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    a)  Dichiara  in  accoglimento  del ricorso in epigrafe, proposto
dalla  Camera  dei  deputati,  che  non  spettava  al  giudice per le
indagini  preliminari del tribunale di Milano, in funzione di giudice
dell'udienza  preliminare, nell'apprezzare i caratteri e la rilevanza
degli  impedimenti addotti dalla difesa dell'imputato per chiedere il
rinvio  dell'udienza,  affermare  che  l'interesse  della  Camera dei
deputati  allo  svolgimento  delle  attivita'  parlamentari, e quindi
all'esercizio dei diritti-doveri inerenti alla funzione parlamentare,
dovesse essere sacrificato all'interesse relativo alla speditezza del
procedimento giudiziario; e conseguentemente
    b)   Annulla   le   impugnate  ordinanze  in  data  17 settembre,
20 settembre,  22 settembre,  5 ottobre e 6 ottobre 1999 del predetto
giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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