N. 227 SENTENZA 4 - 6 luglio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Controversie in materia di lavoro - Garanzia patrimoniale del credito
  di  lavoro  -  Azione  revocatoria  - Ritenuta inapplicabilita' del
  regime  di  gratuita'  o  di  esenzione  da imposta e da diritti di
  qualsiasi   natura   -   Lamentata,  irragionevole,  disparita'  di
  trattamento  e  incidenza  sull'esercizio  del  diritto di azione e
  difesa  in  giudizio - Necessaria interpretazione adeguatrice della
  norma censurata - Non fondatezza della questione.
- Legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.27 del 11-7-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero  Alberto CAPOTOSTI,Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge
11 agosto  1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di
lavoro  e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza
obbligatorie),  promosso  con  ordinanza emessa il 26 aprile 2000 dal
tribunale  di  Torino  nei  procedimenti  civili riuniti vertenti tra
Moubarak  Brahim e il Ministero delle finanze, iscritta al n. 473 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 38, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7 marzo 2001 il giudice
relatore Franco Bile;

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il tribunale di Torino (in composizione monocratica) - nel
corso  di  tre  giudizi  civili  riuniti, proposti da M. B. contro il
Ministero  delle finanze, in opposizione avverso atti di accertamento
di  violazioni e di irrogazione delle correlate sanzioni per l'omesso
versamento  di  imposte  di  bollo  in atti giudiziari - ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con gli
articoli  3  e  24  della  Costituzione, dell'articolo 10 della legge
11 agosto  1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di
lavoro  e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza
obbligatorie),   che  ha  sostituito  l'articolo  unico  della  legge
2 aprile 1958, n. 319 (Esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di
lavoro), nella parte in cui "esclude, ovvero non contempla" il regime
di  gratuita' e di esenzione, senza limite di valore o di competenza,
dall'imposta  di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa, o diritto
di  qualsiasi specie e natura, per i giudizi aventi ad oggetto azioni
surrogatorie  (art. 2900  del codice civile) o revocatorie (art. 2901
del   codice  civile),  nonche'  per  il  procedimento  di  sequestro
conservativo  funzionale  all'esercizio della revocatoria (art. 2905,
secondo  comma,  del  codice  civile),  qualora  il  loro esperimento
avvenga  per  conservare  la  garanzia  patrimoniale di un credito di
lavoro.
    Il  rimettente  da' atto che l'opponente, dopo avere ottenuto dal
pretore  di  Torino,  in  funzione di giudice del lavoro, sentenza di
condanna  del  suo  datore di lavoro al pagamento di lire 35.035.286,
aveva  provveduto ad instaurare nei confronti del medesimo e di altri
due soggetti, azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., in relazione
ad  atti di disposizione patrimoniale compiuti in loro favore dal suo
datore  di  lavoro. Rileva, quindi, che l'opponente non aveva assolto
l'imposta  di  bollo  nel relativo giudizio e che da cio' erano stati
originati  gli  atti  di accertamento e di irrogazione delle sanzioni
oggetto dell'opposizione.
    Il  rimettente  osserva  che  lo stesso opponente ha sollevato la
questione  di  legittimita' costituzionale e ne fa propri i motivi di
non   manifesta   infondatezza,   rilevando  che  l'esclusione  dalle
esenzioni  e  dalla  gratuita'  previste  dalla  norma  impugnata dei
giudizi  instaurati  dal  "creditore  di  lavoro"  con  le  azioni di
conservazione    della    garanzia    patrimoniale,    determinerebbe
un'ingiustificata   disparita'   di   trattamento  tra  il  creditore
costretto  da  atti  di  disposizione  pregiudizievoli  ad esercitare
quelle azioni per ottenere la realizzazione del proprio credito ed il
creditore  che  agisca  esecutivamente,  eventualmente  procedendo ad
espropriazione  immobiliare.  La  disparita'  di  trattamento sarebbe
ingiustificata, data l'omogeneita' delle situazioni "sotto il profilo
funzionale  del  ricorso  alla  tutela  giurisdizionale  del  diritto
nascente dal rapporto di lavoro".
    Inoltre,  la  mancata  estensione  dell'esenzione  alle azioni in
esame  violerebbe  anche  il diritto di azione e di difesa ex art. 24
Cost.,  "risultando  certamente  piu'  oneroso  e  difficile  per  il
lavoratore  instaurare un giudizio diretto a ricostituire la garanzia
patrimoniale pregiudicata dal proprio debitore".
    Quanto  alla  rilevanza,  il  rimettente assume che i giudizi non
possono  essere  definiti  indipendentemente  dalla  soluzione  della
questione  "avendo i medesimi ad oggetto l'accertamento della debenza
dell'imposta  di  bollo  in un giudizio di revocatoria introdotto per
far valere un credito di lavoro".
    2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite  l'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'infondatezza
della questione.
    Quanto  all'art. 3, le azioni di cui agli artt. 2900, 2901 e 2905
cod. civ. non sarebbero assimilabili ai mezzi esperibili direttamente
per l'accertamento e la realizzazione concreta del credito di lavoro.
In  particolare,  sarebbe  da  escludere l'assimilabilita' fra azione
revocatoria  e  azione  esecutiva, in quanto la prima da' luogo ad un
giudizio  trilatero,  cui  partecipa un terzo estraneo al rapporto di
lavoro  dal  quale  nasce  il  credito. Si giustificherebbe quindi la
diversita'   di   trattamento  rispetto  all'azione  esecutiva,  "che
interessa  in via immediata, ed esclusiva, creditore e debitore della
retribuzione o di altra prestazione pecuniaria originata dal rapporto
di  lavoro".  Inoltre,  mentre il giudizio di cognizione od esecutivo
direttamente  attinente al credito di lavoro meriterebbe "particolare
e distinta attenzione da parte del legislatore, siccome rappresentato
da un bene di fondamentale rilievo individuale e sociale" viceversa i
mezzi  di conservazione della garanzia patrimoniale, pur quando fatti
valere  strumentalmente  ad un credito di lavoro, resterebbero rimedi
di   diritto   comune,   sottoposti   cioe'  "quanto  a  presupposti,
condizioni,   competenza  giudiziaria  ecc.  alla  stessa  disciplina
generale  che  lo  governa  senza  riguardo alla natura del credito a
tutela del quale sia esperito".
    Infondata  sarebbe  anche  la  lesione dell'art. 24, in quanto il
diritto di azione non sarebbe precluso o menomato dalla soggezione al
normale regime fiscale degli atti processuali.

                       Considerato in diritto

    1.L'ordinanza    in    epigrafe    dubita    della   legittimita'
costituzionale  dell'art. 10  della  legge  11 agosto  1973,  n. 533,
recante  "Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle
controversie  in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie",
(che  ha  sostituito  l'articolo  unico  della  legge  2 aprile 1958,
n. 319,  sull'esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro),
nella  parte  in  cui "esclude ovvero non contempla" l'applicabilita'
del  regime  di  gratuita'  ed  esenzione  dall'imposta  di bollo, di
registro  e  da  ogni  spesa,  tassa, o diritto di qualsiasi specie e
natura,   ai   giudizi   concernenti  azioni  surrogatorie  o  azioni
revocatorie  o  sequestri  conservativi  a  queste  ultime funzionali
(artt. 2900,  2901,  2905,  secondo  comma,  cod. civ.), promossi per
conservare la garanzia patrimoniale di crediti di lavoro.
    Secondo l'ordinanza la norma lederebbe:
        a)   l'art. 3   Cost.,   per   irragionevole   disparita'  di
trattamento tra chi agisca in via esecutiva per realizzare un credito
di  lavoro e chi invece eserciti le azioni indicate per conservare la
garanzia patrimoniale dello stesso credito, in quanto solo il primo e
non  anche  il secondo fruirebbe dell'esenzione, pur essendo entrambe
le azioni funzionali alla tutela del diritto nascente dal rapporto di
lavoro;
        b) l'art. 24 Cost., sotto il profilo che la mancata esenzione
dei giudizi volti a tutelare la garanzia patrimoniale renderebbe piu'
oneroso  l'esercizio del diritto di azione e di difesa in giudizio da
parte del creditore di lavoro.
    2.  -  La  questione  e' rilevante solo per l'azione revocatoria,
esercitata nel giudizio cui si riferisce l'imposta controversa.
    3.  -  Essa  non  e'  fondata, perche' la norma impugnata - della
quale  il  rimettente,  pur  in  assenza  di "diritto vivente" non ha
ricercato  un'interpretazione  adeguatrice - deve essere interpretata
in modo da escludere la prospettata incostituzionalita'.
    Il  primo  comma  dell'art. 10  dichiara  esenti  dall'imposta di
bollo,  di  registro  e  da  ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi
specie  e natura, tra gli altri, gli atti relativi alle "controversie
individuali di lavoro" (da identificare in quelle di cui all'art. 409
del codice di procedura civile) ed "ai provvedimenti di conciliazione
dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti
da contratti o accordi collettivi di lavoro".
    Il  secondo  comma  dispone che "sono allo stesso modo esenti gli
atti  e  i  documenti  relativi  alla  esecuzione sia immobiliare che
mobiliare  delle  sentenze  ed ordinanze emesse negli stessi giudizi,
nonche'  quelli riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di
lavoro  nelle  procedure di fallimento, di concordato preventivo e di
liquidazione coatta amministrativa".
    L'ultimo comma recita infine che "le disposizioni di cui al primo
comma si applicano alle procedure di cui agli artt. 618-bis 825 e 826
cod. proc. civ.".
    4.  - L'art. 10 e' suscettibile di interpretazione estensiva - in
principîo  non  vietata  dal  carattere  eccezionale  delle  norme di
esenzione,   preclusivo  solo  di  quella  analogica  (art. 14  delle
disposizioni  preliminari  al  codice civile) - nel senso di ritenere
compresi    nell'ambito   dell'esenzione   anche   procedimenti   non
formalmente  contemplati  ma  pur  sempre finalizzati alla tutela del
credito di lavoro.
    Una  diversa  lettura  dell'art. 10  rivelerebbe  del  resto  una
radicale  incoerenza  interna  della  norma,  fonte  di irragionevoli
disparita'  di  trattamento, e condurrebbe a negare l'esenzione a una
serie  di procedimenti non menzionati dal secondo comma, con evidente
e  irragionevole  discriminazione  rispetto  a  quelli esplicitamente
esentati. Cosi' non sarebbero esenti l'esecuzione promossa sulla base
di  verbali  di conciliazione sottoscritti nel procedimento avanti al
giudice   del  lavoro  (art. 420  cod.  proc.  civ.),  mentre  lo  e'
l'esecuzione  in  virtu'  di sentenze o ordinanze pronunciate da quel
giudice in quel procedimento; l'esecuzione promossa in base a verbali
di  conciliazione formati avanti agli uffici del lavoro o previsti da
contratti  collettivi (artt. 410 ss. cod. proc. civ.), mentre lo sono
gli  atti  dei  procedimenti  conclusi  da  quei  verbali;  e  ancora
l'esecuzione  iniziata  in  base  a  titolo  esecutivo stragiudiziale
(art. 474,  secondo comma, n. 3, cod. proc. civ.) che accerti crediti
di  lavoro,  mentre lo e' l'opposizione all'esecuzione promossa sulla
base   dello   stesso  titolo  (e  quella  avverso  i  relativi  atti
esecutivi).
    5. - In siffatto quadro si colloca il problema del riconoscimento
o  meno  dell'esenzione all'azione revocatoria proposta dal creditore
di  lavoro,  per  assicurare  la  garanzia  patrimoniale  del proprio
credito.
    Tale  azione  -  ma  il  problema  interpretativo  e' comune alla
surrogatoria ed al sequestro ex art. 2905, secondo comma, cod. civ. -
mira  evidentemente  a tutelare, sia pure con modalita' peculiari, lo
stesso credito nascente dal rapporto di lavoro che la norma impugnata
ritiene di esentare dal normale trattamento tributario, per agevolare
il ricorso del creditore alla tutela giurisdizionale.
    Il  rilievo  vale  da  solo  ad  escludere  la  ragionevolezza di
eventuali disparita' di trattamento.
    Soccorre  poi  l'argomento  che  -  dopo  il positivo esperimento
dell'azione  revocatoria  -  la  successiva  espropriazione contro il
terzo  proprietario, acquirente in virtu' dell'atto revocato, avviene
pur sempre in base al titolo esecutivo ottenuto nella controversia di
lavoro, e quindi sicuramente si avvale dell'esenzione.
    Ne  risulta  quindi  confermata  l'irrazionalita' di un ipotetico
sistema  che  -  pur riconoscendo l'esenzione alla fase cognitiva che
conduce  al  titolo  esecutivo  contro  il  debitore,  ed  alla  fase
esecutiva contro il terzo dopo l'esito vittorioso della revocatoria -
la   negasse   invece   all'eventuale   fase  intermedia,  da  questa
rappresentata,   volta   ad   assicurare   l'esercizio   del  diritto
riconosciuto  in  un  giudizio  esente  da  imposte,  in vista di una
successiva esecuzione parimenti esentata.
    L'irragionevolezza   e'  ulteriormente  avvalorata  dalla  sicura
spettanza  dell'esenzione alla revocatoria che il creditore di lavoro
proponga  contestualmente  all'azione per l'accertamento del credito.
Il  terzo  comma  dell'art. 40  cod.  proc.  civ.  impone  infatti la
trattazione  congiunta  delle  due  cause (con il rito del lavoro), e
l'unita' del giudizio comporta l'esenzione per entrambe le azioni.
    6.  -  Non  rileva  invece,  ai fini dell'esenzione, che l'azione
revocatoria  a  tutela  di  un  credito  di  lavoro  -  se esercitata
separatamente dall'azione relativa a quel credito - non rientri nella
competenza del giudice del lavoro, ne' sia soggetta al rito speciale.
    Invero   l'esenzione  si  coordina  alla  situazione  sostanziale
dedotta  in giudizio e non al rito. Ne e' prova la sua applicazione a
procedimenti   di  sicuro  estranei  al  rito  del  lavoro,  come  le
opposizioni in tema di ammissione dei crediti al passivo fallimentare
e  i  giudizi di accertamento dell'obbligo del terzo ex art. 548 cod.
proc.  civ.,  certamente  esentati  dal  secondo  comma  della  norma
impugnata,  in  quanto rispettivamente inquadrabili nel "recupero dei
crediti  per  prestazioni  di lavoro nelle procedure di fallimento" e
nell'esecuzione in genere.
    7.  -  Interpretata  nel  senso  che l'esenzione si applica anche
all'azione   revocatoria   esercitata   per  conservare  la  garanzia
patrimoniale  del  credito  di  lavoro, la norma impugnata si sottrae
alle  prospettate  censure  di  incostituzionalita',  e  la  relativa
questione  -  alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa
Corte - deve essere dichiarata non fondata.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 10  della  legge  11 agosto  1973, n. 533 (Disciplina delle
controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di
previdenza  e di assistenza obbligatorie), sollevata dal tribunale di
Torino,  in  riferimento  agli  artt. 3  e 24 della Costituzione, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Bile
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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