N. 259 ORDINANZA 5 - 17 luglio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo   penale   -   Intercettazioni   telefoniche  -  Garanzie  -
  Utilizzazione, in via derogatoria, di impianti di pubblico servizio
  o in dotazione alla polizia giudiziaria, ovvero esterni agli uffici
  della  procura  della  Repubblica  -  Rilevato  eccesso  di delega,
  nonche'  asserita  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e
  dell'obbligatorio   esercizio   dell'azione   penale   -  Manifesta
  infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 268, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 76 e 112.
(GU n.29 del 25-7-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA, CarloMEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 268, comma 3,
del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 21
gennaio 2000 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Pesaro nel procedimento penale a carico di L.B. ed altri, iscritta al
n. 633  del  registro  ordinanze  2000  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 45 dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 23 maggio 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che con ordinanza emessa il 21 gennaio 2000 nel corso di
un  procedimento penale nei confronti di persone imputate del delitto
di  cessione  illecita di sostanze stupefacenti - ordinanza pervenuta
alla  Corte  il  25 settembre  2000  -  il  giudice  per  le indagini
preliminari del tribunale di Pesaro ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  76  e  112  della  Costituzione,  questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 268, comma 3, del codice diprocedura penale,
nella  parte  in  cui consente al pubblico ministero di disporre, con
provvedimento  motivato,  che  le operazioni di intercettazione siano
compiute  mediante  impianti di pubblico servizio o in dotazione alla
polizia  giudiziaria  soltanto  quando  gli impianti installati nella
procura  della  Repubblica  risultino  insufficienti  o  inidonei  ed
esistano eccezionali ragioni di urgenza;
        che   il   giudice  a  quo  premette  di  essere  chiamato  a
pronunciarsi,  in  sede  di udienza preliminare, sull'eccezione della
difesa in ordine all'inutilizzabilita', ai sensi dell'art. 271, comma
1,  cod.  proc.  pen., delle intercettazioni telefoniche eseguite nel
corso  delle indagini preliminari mediante impianti in dotazione alla
polizia   giudiziaria:  inutilizzabilita'  conseguente  alla  mancata
indicazione,  nel  decreto  del  pubblico  ministero che disponeva le
intercettazioni  stesse,  delle  eccezionali  ragioni  di  urgenza in
presenza  delle  quali soltanto, a norma dell'art. 268, comma 3, cod.
proc.  pen.,  le  operazioni  possono  essere  compiute  con impianti
diversi da quelli installati presso la procura della Repubblica;
        che  il rimettente - dopo aver rilevato come, alla luce di un
consolidato  orientamento  giurisprudenziale, tale eccezione dovrebbe
essere  accolta - ritiene, tuttavia, che il citato art. 268, comma 3,
cod.  proc.  pen. risulti  viziato  da  eccesso  di delega: e cio' in
quanto le condizioni della inidoneita' o insufficienza degli impianti
esistenti  negli  uffici  di  procura e dell'esistenza di eccezionali
ragioni  di  urgenza  -  condizioni  alle quali, in forza della norma
impugnata, resta subordinata la possibilita' di avvalersi di impianti
di  pubblico  servizio  o in dotazione alla polizia giudiziaria - non
sarebbero in alcun modo ricollegabili alla direttiva di cui al numero
41,  lettera  d),  dell'art. 2  della  legge delega 16 febbraio 1987,
n. 81,  la  quale si limitava a prevedere la semplice "individuazione
degli   impianti   presso   cui  le  intercettazioni  possono  essere
effettuate";
        che   la  soluzione  adottata  dal  legislatore  delegato  si
porrebbe  altresi'  in  contrasto con le direttive cheprevedevano, in
via  generale,  la  facolta'  del pubblico ministero di delegare alla
polizia  giudiziaria  il  compimento di atti di indagine (n. 37) e la
massima semplificazione nello svolgimento del processo (n. 1);
        che  la  norma  impugnata  violerebbe,  inoltre,  i  principi
costituzionali   di   ragionevolezza   e  dell'obbligo  del  pubblico
ministero di esercitare l'azione penale;
        che, infatti, l'incremento del numero delle linee telefoniche
oggetto  di intercettazione renderebbe di fatto impossibile l'ascolto
di  tutte  le  conversazioni  mediante gli impianti ubicati presso le
procure  della  Repubblica,  onde  potrebbe  bene  accadere  che tali
impianti  risultino  "insufficienti  o  inidonei", senza tuttavia che
sussistal'altro  requisito delle "eccezionali ragioni di urgenza" (ad
esempio, perche' l'indagine e' iniziata da tempo): con la conseguenza
che,  in  tal  caso, la pubblica accusa non potrebbe avvalersi di una
prova decisiva per l'accertamento della verita';
        che  un  simile  regime  non risponderebbe, d'altro canto, ad
alcuna  apprezzabile  ratio,  in  quanto  l'ascolto  personale  delle
conversazioni  o  comunicazioni  da  parte  del  pubblico  ministero,
allorche' l'intercettazione abbia luogo presso gli uffici di procura,
costituirebbe  "quasi  un'ipotesi di scuola", essendo egli costretto,
per   ragioni   pratiche,  a  delegare  nella  generalita'  dei  casi
l'incombenza   agli  organi  di  polizia  giudiziaria;  laddove,  per
converso,  il  controllo  giurisdizionale  e  del pubblico ministero,
l'obbligo  di  depositare  i  cosiddetti  brogliacci  di ascolto e la
facolta'  dei  difensori  degli imputati di ascoltare a loro volta le
registrazioni  renderebbero "assai poco verosimile" la commissione di
abusi  da  parte  della  polizia giudiziaria (abusi che non sarebbero
comunque  scongiurati dalla circostanza che le operazioni si svolgano
nei locali del palazzo di giustizia);
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del   Consiglio   dei  ministri,  rappresentatoe  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il quale ha concluso per la
declaratoria di infondatezza dellaquestione.
    Considerato  che,  secondo  la  costante giurisprudenza di questa
Corte,  ai  fini della valutazione del vizio di eccesso di delega, le
norme  della  legge  di  delegazione  che  determinano i principi e i
criteri  direttivi  devono  essere  interpretate  tenendo  conto  del
complessivo  contesto  normativo  e delle finalita' ispiratrici della
delega  (v.,  ex plurimis, sentenze n. 96 del 2001 e n. 276, n. 292 e
n. 415 del 2000);
        che,  nella  specie,  in  verita',  gia' da un punto di vista
puramente logico-letterale, la direttiva di cui al numero 41, lettera
d),   dell'art. 2   della  legge  16  febbraio  1987,  n. 81  (Delega
legislativa  al  Governo  della Repubblica per l'emanazione del nuovo
codice  di  procedura  penale)  si  presenta incompatibile con quella
ampia  discrezionalita'  del  pubblico  ministero  nella scelta della
sedes  di  svolgimento  delle  operazioni  di intercettazione, che il
rimettente sostanzialmente postula;
        che  nel  compito,  conferito  all'esecutivo  dalla direttiva
citata,  di  individuare  "gli impianti presso cui le intercettazioni
telefoniche   possono   essere  effettuate"  e'  chiaramente  insita,
difatti,  una  "regola  di  selezione"  degli impianti stessi, il cui
termine  di  riferimento  non  puo'  che  essere  rappresentato dalle
esigenze  di  garanzia evocate nell'art. 15, secondo comma, Cost., in
tema di limitazione della liberta' e segretezza delle comunicazioni;
        che  la  validita'  dell'assunto risulta ancor piu' evidente,
peraltro, ove si tenga conto dello sviluppo normativo che sta a monte
del criterio di delega in parola;
        che  tale sviluppo prende per vero origine dall'affermazione,
fatta  da  questa  Corte nella vigenza del codice di procedura penale
del  1930,  in  forza  della  quale  vanno ricondotte alla previsione
dell'art. 15,  secondo  comma, della Costituzione anche le "garanzie"
di ordine piu' propriamente "tecnico", attinenti alla predisposizione
di  servizi  tali  da  consentire all'autorita' giudiziaria "anche di
fatto  il  controllo  necessario  ad  assicurare  che si proceda alle
intercettazioni   autorizzate,  solo  a  queste  e  solo  nei  limiti
dell'autorizzazione",  ed  al  conseguente  auspicio  dell'intervento
legislativo occorrente a tal fine (v. sentenza n. 34 del 1973);
        che,  di  seguito  a  tale  pronuncia,  il legislatore aveva,
quindi,   dapprima   stabilito   che   le  intercettazioni  dovessero
effettuarsi esclusivamente mediante impianti installati nelle procure
della   Repubblica,   salva   la   facolta'  di  utilizzare,  in  via
transitoria, gli impianti di pubblico servizio, fin quando gli uffici
giudiziari  non  fosseroadeguatamente  attrezzati  (art.  226-quater,
primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale  del 1930, aggiunto
dall'art. 5  della  legge 8 aprile 1974, n. 98); e poi consentito - a
fronte  della  perdurante  insufficienza  degli  impianti  installati
presso  le procure - di utilizzare, ma solo "per ragioni di urgenza",
anche  gli "impianti in dotazione agli uffici di polizia giudiziaria"
(nuovo  secondo  comma  del  citato  art. 226-quater, come sostituito
dall'art. 8  del  decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con
modificazioni, nella legge 18 maggio 1978, n. 191);
        che,  in questa prospettiva, confermando la regola per cui le
intercettazioni  "possono  essere  compiute  esclusivamente per mezzo
degli   impianti   installati  nella  procura  della  Repubblica",  e
puntualizzando  ulteriormente  i  presupposti che legittimano, in via
derogatoria,  l'utilizzazione  di  impianti  di  pubblico  servizio o
indotazione  alla  polizia  giudiziaria - con la previsione, a fianco
delle "ragioni di urgenza" (qualificate peraltro come "eccezionali"),
del  concorrente  requisito  dell'insufficienza  o  inidoneita' degli
impianti   di   procura,  nonche'  dell'obbligo  di  motivazione  del
provvedimento del pubblico ministero - la disposizione dell'art. 268,
comma  3,  del  nuovo  codice di rito si colloca pienamente nel solco
tracciato dal legislatore delegante;
        che   per   quanto  attiene,  poi,  alla  dedotta  violazione
dell'art. 3  Cost.,  questa  Corte  ha  gia'  di recente chiarito che
l'avere   il   legislatore  privilegiato  "l'impiego  degli  apparati
esistenti  negli  uffici  giudiziari, dettando una disciplina volta a
circoscrivere  con  apposite garanzie l'uso di impianti esterni", non
puo'  dirsi, in se', "sceltaarbitraria ..., avuto anche riguardo alla
particolare  invasivita'  del  mezzo  nella  sfera della segretezza e
liberta'  delle  comunicazioni costituzionalmente presidiata": e cio'
proprio  perche'  si tratta di scelta finalizzata ad "evitare che gli
organi  deputati  alla esecuzione delle operazioni di intercettazione
ed  al  relativo  ascolto"  possano  "operare  controlli sul traffico
telefonico  al di fuori di una specifica e puntuale verifica da parte
dell'autorita' giudiziaria" (v. ordinanza n. 304 del 2000);
        che  manifestamente  insussistente appare, infine, l'asserita
compromissione  dell'art. 112  Cost., trattandosi di disposizione che
non incide sull'obbligo del pubblico ministero di esercitare l'azione
penale,  ma stabilisce, con finalita' di salvaguardia di un valore di
rango    costituzionale    e    conseguenti    riflessi   sul   piano
dell'utilizzabilita(ex  art. 271,  comma  1,  cod.  proc.  pen.),  le
"garanzie  tecniche"  di  espletamento  di  un mezzo di ricerca della
prova particolarmente invasivo;
        che,  pertanto, la questione di costituzionalita' deve essere
dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 268,  comma  3, del codice di
procedura  penale,  sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 76 e 112
della  Costituzione,  dal  giudice  per  le  indaginipreliminari  del
tribunale di Pesaro con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 17 luglio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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