N. 264 ORDINANZA 5 - 17 luglio 2001
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Dibattimento - Acquisizione delle prove - Dichiarazioni eteroaccusatorie rese da persone imputate in un procedimento connesso e da soggetti gia' condannati con sentenza irrevocabile - Incompatibilita' con l'ufficio di testimone e facolta' di non rispondere - Prospettata violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, e di altri rilevanti principi, nonche' del principio di ragionevolezza - Sopravvenuta nuova normativa in materia di formazione della prova - Restituzione degli atti ai giudici rimettenti. - Cod. proc. pen., artt. 197, comma 1, lettera a), 210, comma 4, e 513. - Costituzione, artt. 3, 25, 101, 111 e 112.(GU n.29 del 25-7-2001 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Valerio ONIDA, CarloMEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI,Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera a) 210, comma 4, e 513 del codice diprocedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal tribunale di Milano, con ordinanze emesse in data 11 luglio 2000 e 22 giugno 2000, iscritte rispettivamente ai nn. 611 e 666 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44 e 46, prima serie speciale, dell'anno 2000. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2001 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che il tribunale di Milano con ordinanza in data 11 luglio 2000 (r.o. n. 611 del 2000) ha sollevato, in riferimento, rispettivamente, agli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost., e agli artt. 3, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost., questione di legittimita' costituzionale degli artt. 210, comma 4, e 513 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono la facolta' delle persone imputate in un procedimento connesso, che abbiano in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie, di non rispondere su fatti concernenti la responsabilita' di altri, nonchedell'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce la incompatibilita' con l'ufficiodi testimone di tali persone allorche' nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna divenutairrevocabile; che analoghe questioni sono state sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 111 e 112 Cost., dal tribunale di Milano con ordinanza del 22 giugno 2000 (r.o. n. 666 del 2000); che in entrambe le ordinanze si premette che, nell'ambito di procedimenti nei quali diverse posizioni erano state separate e definite con rito alternativo, buona parte degli imputati in procedimento connesso si erano avvalsi in dibattimento della facolta' di non rispondere; che ad avviso dei rimettenti gli artt. 513, comma 2, e 210, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui disciplinano la formazione della prova relativa alle dichiarazioni rese dai soggetti di cui al comma 1 dell'art. 210 cod. proc. pen., riconoscendo loro la facolta' di non rispondere, sono in contrasto con l'art. 111 Cost., in quanto le modifiche recate alla norma costituzionale impongono "una revisione dei confini tra il diritto alla formazione in contraddittorio della prova, ed il diritto al silenzio del dichiarante erga alios"; che, in particolare, nell'ordinanza n. 611 del 2000 il tribunale di Milano rileva che il riconoscimento della facolta' di non rispondere svuota di effettivita' il principio del contraddittorio nella formazione della prova, affermato dal quarto comma dell'art. 111 Cost., in relazione al quale il silenzio del dichiarante viene configurato, con evidente connotazione di disvalore, come "sottrazione al contraddittorio" nel secondo periodo dello stesso quarto comma; che la scelta dell'imputato di rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilita' di altri spiega effetti di cosi' grande rilevanza nei confronti dell'accusato nella fase predibattimentale che, una volta intrapresa tale via, l'esercizio successivo del diritto al silenzio si pone in contrasto, menomandolo, con il diritto dell'accusato al confronto dialettico nella formazione della prova, ora assunto a regola costituzionale (art. 111, terzo e quarto comma); che la disciplina censurata violerebbe anche gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la concorrenza tra le contrapposte articolazioni del diritto di difesa del dichiarante e dell'imputato puo' essere composta solo affermando che le nuove regole recate dall'art. 111 della Costituzione comportano la "compressione" dello spazio costituzionalmente garantito del diritto al silenzio, nonche' gli artt. 3, 112, 111, primo comma, e 25 Cost., in quanto da essa discende l'irragionevole ed inaccettabile sacrificio dei principi del libero convincimento del giudice, della irrinunciabile funzione conoscitiva del processo, dell'indefettibilita' della giurisdizione e dell'obbligatorieta' dell'azione penale; che, a parere del medesimo rimettente, il dubbio di costituzionalita' prospettato in relazione all'art. 197 cod. proc. pen. implica la rivisitazione dell'intero istituto del diritto al silenzio, nonche' l'attribuzione della veste di vero e proprio testimone all'imputato in procedimento connesso la cui posizione sia stata definita con sentenza di condanna divenuta irrevocabile, con inevitabili conseguenze, da un lato, sull'obbligo di rispondere secondo verita' e sulle sanzioni penali a lui irrogabili, dall'altro in ordine alle regole di valutazione della prova cosiacquisita; che nell'ordinanza iscritta al n. 666 del registro ordinanze del 2000 il tribunale, rilevando che il procedimento e' "soggetto ai principi di cui all'art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 2, in quanto il dibattimento e' stato aperto in epoca successiva all'introduzione dellapredetta innovazione costituzionale", ritiene che "il principio di formazione della prova in contraddittorio di cui al quinto [recte: quarto] comma dell'art. 111" comporti la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' "dell'intero sistema di assunzione della prova per cio' che concerne le dichiarazioni di persone esaminate ai sensi dell'art. 210 c.p.p. sotto il profilo della previsione" della facolta' di non rispondere, nonche' della disciplina concernente "l'incompatibilita' con l'ufficio di testimone dei soggetti gia' "condannati con sentenza divenutairrevocabile"; che la normativa censurata sarebbe pertanto in contrasto con l'art. 111 Cost., in quanto, da un canto, "ogni strumento nel tempo individuato, allo scopo di rendere utilizzabili le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari da chi successivamente esercita la facolta' di non rispondere, e' allo stato impercorribile in quanto in aperto conflitto con il nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione"; dall'altro, la facolta' di non rispondere per l'imputato in procedimento connesso che abbia reso dichiarazioni eteroaccusatorie contrasta "con la costituzionalizzazione del principio del confronto dialettico in dibattimento"; che sarebbero cosi' violati anche il principio "di accertamento dei fatti aventi rilevanza penale", individuato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 111 del 1993; il principio "di conservazione degli elementi di prova", enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 361 del 1998; e, infine, il principio di ragionevolezza, per l'incoerenza di un sistema che assegna valenza assoluta alle dichiarazioni in questione nei confrontidell'accusato in fase predibattimentale e cautelare (artt. 3, 25, 111 e 112 Cost.); che le medesime considerazioni sorreggono, nell'ordinanza r.o. n. 666, il dubbio di costituzionalitaprospettato in relazione all'art. 197 cod. proc. pen., concernente la "minore attualita' e rilevanza dei diritti, pur costituzionalmente garantiti, di colui nei confronti del quale sia stata gia' pronunciata sentenza irrevocabile di condanna - alla quale e' equiparata ex art. 445, primo comma, ultima parte, c.p.p., la sentenza di applicazione di pena - in quanto la sua posizione e' insuscettibile di essere aggravata o comunque modificata"; che nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate, facendo particolare riferimento ai principi di cui all'art. 24 Cost. Considerato che identica e' la sostanza delle questioni sollevate con le due ordinanze di rimessione,concernenti il diritto al silenzio riconosciuto sia alle persone che sono state gia' giudicate sia alle persone ancora imputate in un procedimento connesso, che abbiano in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie, inrelazione al regime della acquisizione e utilizzazione in dibattimento di tali precedenti dichiarazioni, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che successivamente alle ordinanze di rimessione e' intervenuta la legge 1o marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e di valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, da un lato modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen. - che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l'ufficio di testimone -, dall'altro intervenendo sugli artt. 500, 513 e 526 cod. proc. pen.; che di conseguenza, essendo mutati le norme censurate e il contesto complessivo della disciplina diriferimento, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti, perche' verifichino se le questioni siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi; Ordina la restituzione degli atti al tribunale di Milano. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001. Il Presidente: Ruperto Il redattore: Neppi Modona Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 17 luglio 2001. Il direttore della cancelleria: Di Paola 01C0755