N. 307 ORDINANZA 12 - 25 luglio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Ordinamento  penitenziario  -  Benefici  penitenziari - Ammissione al
  regime  di  semiliberta'  di  condannati  per determinati delitti e
  sottoposti  alla  misura  di  sicurezza  della  casa  di  lavoro  -
  Condizione   della   condotta  collaborativa  con  la  giustizia  -
  Lamentata   irragionevolezza  della  previsione  e  violazione  del
  principio  della  finalita'  rieducativa  della  pena  - Difetto di
  motivazione  sulla  rilevanza  -  Manifesta  inammissibilita' della
  questione.
- Legge  26  luglio  1975, n. 354, art. 4-bis, introdotto dall'art. 1
  del  d.l.  13  maggio  1991, n. 152 (convertito, con modificazioni,
  nella  legge  12 luglio 1991, n. 203), come modificato dall'art. 15
  del  d.l.  8  giugno  1992,  n. 306 (convertito, con modificazioni,
  nella legge 7 agosto 1992, n. 356).
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma.
(GU n.30 del 1-8-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,  CarloMEZZANOTTE,  Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4-bis della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta) -
inserito  dall'art. 1  del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti
urgenti   in  tema  di  lotta  alla  criminalita'  organizzata  e  di
trasparenza   e   buon   andamento   dell'attivita'  amministrativa),
convertito,  con  modificazioni,  nella legge 12 luglio 1991, n. 203,
come   modificato   dall'art. 15   del  d.l.  8 giugno  1992,  n. 306
(Modifiche   urgenti   al   nuovo   codice   di  procedura  penale  e
provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito,
con  modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 -, promosso dal
tribunale   di  sorveglianza  dell'Aquila  con  ordinanza  emessa  il
21 gennaio  2000,  iscritta  al  n. 757 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 4 luglio 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto   che   il  tribunale  di  sorveglianza  dell'Aquila  ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  27, terzo comma, della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 4-bis  [primo  comma,  primo periodo] della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta)  -  inserito
dall'art. 1 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in
tema  di  lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
modificazioni,  nella  legge  12 luglio 1991, n. 203, come modificato
dall'art. 15  del  d.l.  8 giugno  1992, n. 306 (Modifiche urgenti al
nuovo  codice  di  procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
criminalita'  mafiosa),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
7 agosto   1992,   n. 356   -  nella  parte  in  cui  subordina  alla
collaborazione con la giustizia la concessione della semiliberta' nei
confronti  di  soggetti  condannati  per  i  delitti  ivi  indicati e
sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro;
        che  il  rimettente  premette  di  essere  investito  di  una
richiesta  di  ammissione alla semiliberta' formulata da un internato
in  esecuzione  della  misura  di  sicurezza  della  casa  di lavoro,
ordinata per la durata di un anno dalla Corte di assise di Palermo in
data  10 dicembre  1990  con la sentenza di condanna ad anni cinque e
mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 416-bis del
codice penale (associazione di tipo mafioso);
        che dall'ordinanza emerge che la misura di sicurezza e' stata
dichiarata  eseguibile  a norma dell'art. 679 del codice di procedura
penale  dal magistrato di sorveglianza di Catania in data 11 novembre
1994 e che il termine per il riesame obbligatorio della pericolosita'
del condannato e' fissato al 5 marzo 2000;
        che  il  rimettente  espone  che la verifica effettuata dalla
autorita'  di  pubblica  sicurezza  in  ordine alla offerta di lavoro
prospettata  dal  condannato  ha  avuto  esito  positivo  e che nelle
informazioni  fornite  sempre  dalla  autorita' di pubblica sicurezza
"non   si   riferisce   alcunche'   in  merito  alla  attualita'  dei
collegamenti  con  la criminalita' organizzata, giacche' ci si limita
ad elencare i trascorsi criminali del soggetto";
        che   tuttavia   il   rimettente  rileva  che  sussiste  "una
condizione ostativa all'esame del merito dell'istanza, che sotto ogni
altro profilo si appalesa ammissibile", non trovandosi il richiedente
nelle    condizioni    di    cui   all'art. 58-ter   dell'ordinamento
penitenziario   (anche   sotto  il  profilo  della  impossibilita'  o
inesigibilita' della condotta collaborativa);
        che,  a  giudizio del tribunale, la disposizione censurata si
porrebbe  in  contrasto  con  gli  artt. 3  (sotto  il  profilo della
irragionevolezza)   e   27,  terzo  comma,  della  Costituzione  (per
violazione del principio della finalita' rieducativa della pena);
        che  il  divieto di ammissione alla semiliberta', previsto in
assenza  del  requisito  della  collaborazione  nei  confronti  degli
internati  condannati  per  i delitti indicati dall'art. 4-bis, primo
comma,  primo  periodo, dell'ordinamento penitenziario, sarebbe privo
di  ragionevolezza  in  quanto tali soggetti possono fruire, ai sensi
dell'art. 53   del   medesimo   ordinamento,   delle   licenze,  "che
concretamente  implicano  una  limitazione della liberta' personale e
possibilita'  di  controllo  di  gran  lunga  inferiori rispetto alla
semiliberta',   che   non  interrompe  il  legame  con  l'istituzione
penitenziaria  e  richiede  un  preciso  supporto  esterno" e possono
addirittura  essere  ammessi  alla liberta' vigilata, in sostituzione
della  misura  detentiva  della casa di lavoro, a seguito del riesame
della  pericolosita'  sociale effettuato a norma dell'art. 230, comma
2, cod. pen;
        che,  inoltre,  risulterebbe  violato l'art. 27, terzo comma,
della   Costituzione,  in  quanto  la  norma  censurata,  ispirata  a
finalita'   di   prevenzione  generale,  introduce  "una  presunzione
assoluta  di inidoneita' dell'internato alla fruizione di determinati
benefici"  equiparabile  alle  "presunzioni di pericolosita' sociale,
non  consentite"  in  contrasto con le "finalita' specialpreventive e
risocializzanti" proprie delle misure di sicurezza;
        che  nei  confronti  dei  soggetti  sottoposti  a  misura  di
sicurezza  non  dovrebbero  essere consentite valutazioni estranee al
giudizio  di  pericolosita' sociale e che il legislatore non potrebbe
quindi prevedere "norme di sfavore in funzione della natura del reato
commesso e quindi con finalita' di prevenzione generale";
        che  la  disciplina  restrittiva  introdotta  dall'art. 4-bis
dell'ordinamento  penitenziario  si tradurrebbe "nella configurazione
normativa  di  una categoria di reclusi presuntivamente ad alto grado
di  pericolosita'",  ispirata  a  finalita' estranee a quelle proprie
delle misure di sicurezza e suscettibile di determinare un aumento di
afflittivita'  della  pena fissata in sentenza anche in ragione della
indeterminatezza  temporale  che  caratterizza le misure di sicurezza
per la mancanza di un termine finale di durata;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
        che,   ad  avviso  dell'Avvocatura,  sarebbe  tutt'altro  che
irragionevole  la  scelta  del  legislatore  di escludere l'accesso a
determinati  benefici  (come,  nella  specie, la semiliberta), la cui
concessione presuppone la non pericolosita' sociale del soggetto, nei
confronti  di chi e' sottoposto ad una misura di sicurezza che quella
pericolosita'   presuppone   ancora  attuale,  in  conseguenza  della
commissione  di  reati  di  particolare  gravita',  senza  che  siano
intervenuti  elementi  quali  la  collaborazione  con  la giustizia o
equipollenti,   che   consentano   di   ritenere  piu'  attenuata  la
pericolosita' stessa.
    Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3
e   27,   terzo   comma,   della   Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 4-bis,  primo  comma,  primo periodo, della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta) -
come modificato dall'art. 15, comma 1, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306
(Modifiche   urgenti   al   nuovo   codice   di  procedura  penale  e
provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito,
con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nella parte in
cui  subordina  alla  collaborazione  con la giustizia la concessione
della semiliberta' nei confronti di soggetti condannati per i delitti
ivi  indicati  e  sottoposti  alla  misura di sicurezza della casa di
lavoro;
        che,  per  quanto  concerne  i  profili  di  rilevanza  della
questione,  il giudice a quo da un lato si limita a fare presente che
la verifica effettuata dall'autorita' di pubblica sicurezza in ordine
all'offerta   di   lavoro   ha  avuto  esito  positivo  e  che  nelle
informazioni   acquisite   "non  si  riferisce  alcunche'  in  merito
all'attualita'  dei  collegamenti  con  la criminalita' organizzata",
dall'altro afferma apoditticamente che la richiesta dell'internato di
essere  ammesso  alla  semiliberta'  "sotto  ogni  altro  profilo  si
appalesa ammissibile";
        che,  trattandosi  nel  caso di specie di soggetto sottoposto
alla  misura  di  sicurezza  della  casa  di lavoro, disposta a norma
dell'art. 417 del codice penale a seguito di sentenza di condanna per
il  reato  di  associazione  di  tipo  mafioso, si deve ritenere che,
essendo  applicata  una  misura  di  carattere detentivo invece della
liberta' vigilata, l'internato sia portatore di un livello elevato di
pericolosita' sociale;
        che  pertanto  il  rimettente,  nel  motivare sulla rilevanza
della  questione,  avrebbe  quantomeno dovuto dare conto dell'attuale
grado  di  pericolosita'  dell'internato,  al  fine di verificarne la
compatibilita'  con  l'ammissione  alla semiliberta', con particolare
riferimento  ai  progressi  compiuti  nel corso dell'esecuzione della
pena  e  della  misura di sicurezza e alle condizioni per un graduale
reinserimento  nella  societa',  come  richiesto dall'art. 50, quarto
comma,  dell'ordinamento  penitenziario  per  la  concessione di tale
misura  (per  analoghe  considerazioni sull'onere di motivazione, con
riferimento  ad una questione concernente la misura alternativa della
detenzione domiciliare, v. ordinanza n. 77 del 2000);
        che   la   questione   va  quindi  dichiarata  manifestamente
inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4-bis  della  legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta)  -  inserito
dall'art. 1 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in
tema  di  lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
modificazioni,  nella  legge  12 luglio 1991, n. 203, come modificato
dall'art. 15  del  d.l.  8 giugno  1992, n. 306 (Modifiche urgenti al
nuovo  codice  di  procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
criminalita'  mafiosa),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
7 agosto  1992, n. 356 - sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo  comma,  della  Costituzione,  dal  tribunale  di  sorveglianza
dell'Aquila, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 25 luglio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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