N. 320 ORDINANZA 12 - 27 luglio 2001
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Esecuzione delle pene - Pene pecuniarie - Conversione della pena (nella specie, in liberta' controllata) per insolvibilita' del condannato - Automatica sospensione dell'efficacia della ordinanza che dispone la conversione, a seguito del ricorso per cassazione - Mancata attribuzione al giudice del potere di inibire l'effetto sospensivo, in caso di inammissibilita' del gravame - Prospettata contraddittorieta' e illogicita' della previsione di legge, nonche' irrazionale parita' di posizione tra condannati, con violazione del diritto di difesa, del principio di legalita' ovvero di doverosita' della repressione delle condotte violatrici della legge penale e della indefettibilita' della giurisdizione - Conferma dei principi affermati con una precedente decisione di accoglimento - Manifesta infondatezza della questione. - Cod. proc. pen., art. 660, comma 5. - Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 101.(GU n.30 del 1-8-2001 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, CarloMEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 660, comma 5, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 luglio 2000 dal magistrato di sorveglianza di Bari, iscritta al n. 685 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, 1a serie speciale, dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il giudice relatore Carlo Mezzanotte. Ritenuto che il magistrato di sorveglianza di Bari, con ordinanza in data 10 luglio 2000, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 101 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 660, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il ricorso per cassazione contro l'ordinanza che dispone la conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del condannato ne sospende l'esecuzione e non attribuisce al giudice la facolta' di inibire l'effetto sospensivo quanto meno nelle ipotesi di palese inammissibilita' del ricorso; che il remittente premette di avere, con ordinanza in data 18 maggio 1999, previo accertamento della sua insolvibilita', disposto la conversione delle pene pecuniarie comminate nei confronti di un condannato nella sanzione della liberta' controllata in misura corrispondente, e rileva che tale ordinanza, regolarmente notificata nel giugno 1999, e' divenuta "inoppugnabilmente esecutiva", essendo spirato il termine utile per proporre ricorso per cassazione; che tuttavia - precisa il giudice a quo - in data 16 giugno 2000, e cioe' circa un anno dopo le rituali notifiche, il difensore ha proposto ricorso per cassazione e in data 19 giugno 2000 ha presentato istanza di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 660, comma 5, codice procedura penale, istanza sulla quale egli e' chiamato a decidere; che il magistrato di sorveglianza di Bari, rilevato che l'art. 660, comma 5, codice procedura penale espressamente prevede che la semplice proposizione del ricorso produce automaticamente la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza impugnata ed esclude qualsiasi valutazione da parte del giudice che ha disposto la conversione, individua la ratio di tale previsione nell'esigenza di evitare che nella sfera giuridica dei condannati si producano gli effetti di provvedimenti, la cui legittimita' potrebbe essere disattesa dalla Corte di cassazione; che, tutto cio' premesso, il remittente dubita della legittimita' costituzionale del citato art. 660, comma 5, codice procedura penale in riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto: sarebbe contraddittorio ed illogico "il riconoscimento della sospensione dell'esecuzione dell'ordinanza a fronte di un ricorso che, in partenza, appare assolutamente inidoneo a incidere sulle statuizioni sinora adottate"; non apparirebbe incongruo riconoscere al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato la possibilita' di prendere atto di una ipotesi di inammissibilita' del gravame cosi' manifesta, quale quella del ricorso presentato fuori termine, e inibire in tali casi l'effetto sospensivo dell'impugnazione; escludere che il giudice possa procedere, nella fattispecie in esame, al mero accertamento dello spirare del termine di impugnazione significherebbe, attraverso una interpretazione formalistica della disposizione censurata, legittimare un palese "aggiramento" della ratio della norma stessa: lo strumento del ricorso potrebbe, infatti, essere utilizzato, ben oltre i termini concessi, a scopo puramente dilatorio, cioe' al fine di impedire, nelle more della pronuncia da parte del giudice dell'impugnazione, l'efficacia del provvedimento con cui e' stata disposta la conversione; che, secondo il giudice a quo la disposizione censurata sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, in ragione, da un lato, della contraddittorieta' del sistema e della irrazionale parita' di posizioni che verrebbe a determinarsi tra il condannato diligente (che presenti ritualmente e tempestivamente ricorso per cassazione) e il condannato negligente, che si preoccupi esclusivamente di paralizzare l'efficacia del provvedimento impugnato, e, dall'altro, dello "sfruttamento" di un diritto inviolabile, quale quello di difesa, per il perseguimento di scopi che non sarebbero meritevoli di tutela; che l'art. 660, comma 5, codice procedura penale sarebbe in contrasto altresi' con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, poiche' il principio di legalita' "rende doverosa non solo la repressione delle condotte violatrici della legge penale, ma anche l'applicazione, nel caso di colpevolezza accertata con sentenza di condanna divenuta irrevocabile, delle relative sanzioni", e "abbisogna, per la sua concretizzazione, della "legalita'" del procedere di tutti i soggetti processuali", nonche' con l'art. 101 della Costituzione, per violazione del principio della indefettibilita' della giurisdizione; che, ad avviso del remittente, la norma impugnata violerebbe l'art. 3 della Costituzione anche sotto un altro profilo: premesso che la liberta' controllata, oltre ad essere disposta, come nel caso di specie, dal magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero, in conversione di una pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato, puo' essere irrogata, in sentenza, dal giudice della cognizione in sostituzione delle pene detentive brevi, in questa seconda ipotesi troverebbe applicazione l'art. 666, comma 7, codice procedura penale, e l'esecuzione non sarebbe sospesa a seguito della proposizione del ricorso per cassazione, sicche' un medesimo istituto (la liberta' controllata) sarebbe irragionevolmente differenziato nella sua disciplina e nei suoi effetti; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e, rilevato che e' precluso al giudizio di costituzionalita' ogni intervento in materia penale che si risolva in un trattamento sfavorevole per l'imputato, anche quando, come nel caso di specie, riguardi il regime della esecuzione della pena, ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile. Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 108 del 1987, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale del comma 7 dell'art. 586 del codice di procedura penale previgente, nella parte in cui escludeva che l'opposizione avverso il provvedimento che ordinava la conversione della pena pecuniaria avesse effetto sospensivo; che tale soluzione fu adottata sul rilievo che, in un sistema processuale incardinato sul principio generale dell'effetto sospensivo delle impugnazioni, la discriminazione prodotta dalla disposizione allora censurata, con la quale si tendeva tra l'altro a scoraggiare l'opposizione con la minaccia della irrogazione di un'ulteriore sanzione pecuniaria nel caso in cui l'incidente fosse risultato manifestamente infondato, non era sorretta da apprezzabili ragioni giustificative, sia perche' la dilazione esecutiva non poneva alcun serio ostacolo alla realizzazione della pretesa punitiva dello Stato, sia, soprattutto, perche' i tempi tecnici di definizione della procedura incidentale avrebbero potuto provocare effetti irreparabilmente pregiudizievoli per l'interessato nei casi in cui, come spesso si verificava, la pena sostitutiva da espiare fosse stata di breve durata; che nella relazione al progetto preliminare del vigente codice di rito, la previsione dell'art. 660, comma 5, secondo cui il ricorso avverso l'ordinanza di conversione ha effetto sospensivo, viene indicata come "soluzione vincolata dalla citata sentenza n. 108 del 1987"; che, sebbene il provvedimento di conversione della pena pecuniaria, che nel sistema previgente era adottato, in assenza di contraddittorio, dal pubblico ministero o dal pretore, non possa essere assimilato all'ordinanza del magistrato di sorveglianza emessa in un procedimento pienamente garantito, qual e' quello di cui all'art. 678 del codice in vigore, i principia espressi in quella sentenza non possono che essere ribaditi; che anche sotto il vigore del nuovo codice, infatti, l'esclusione dell'effetto sospensivo del ricorso per cassazione sarebbe priva del benche' minimo fondamento giustificativo e potrebbe anzi recare grave nocumento all'interessato, attesa la normale brevita' della pena da espiare a seguito della conversione; che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 660, comma 5, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 101 della Costituzione, dal magistrato di sorveglianza di Bari, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001. Il Presidente: Ruperto Il redattore: Mezzanotte Il cancelliere: Fruscella Depositata in cancelleria il 27 luglio 2001. Il cancelliere: Fruscella 01C0811