N. 601 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 2001

Ordinanza  emessa  il  2  aprile  2001  dal  tribunale di Messina nel
procedimento  fallimentare proposto da Italcarni S.r.l. nei confronti
di Carnabuci Domenica ed altri

Fallimento - Azione di responsabilita', contro gli amministratori e i
  sindaci  della societa' fallita, autorizzata dal giudice delegato -
  Misure   cautelari   ante   causam   strumentali   al  giudizio  di
  responsabilita'  -  Previsione  dell'adozione delle stesse da parte
  del  medesimo  giudice  delegato  -  Violazione  del  principio  di
  imparzialita' del giudice.
- Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, art. 146.
- Costituzione, art. 111.
Processo  civile  -  Astensione  e ricusazione - Incompatibilita' tra
  giudice  delegato  e  giudice  della cautela - Mancata previsione -
  Violazione del principio di imparzialita' del giudice.
- Cod. proc. civ., art. 51, primo comma, n. 4.
- Costituzione, art. 111.
(GU n.34 del 5-9-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Esaminati gli atti del fallimento Italcarni S.r.l.;
    Visto  il  proprio  decreto del 1o dicembre 2000, con il quale, a
norma  dell'art. 146 legge fall. e 669-sexies, secondo comma, c.p.c.,
e' stata accolta la richiesta del curatore fallimentare di promuovere
azione  di responsabilita' ex artt. 2393 e 2394 c.c. nei confronti di
amministratori  ed  ex  ammistratori  della societa' fallita nonche',
inaudita  altera  parte,  di eseguire sequestro conservativo dei beni
mobili  ed immobili di alcuni di essi (Carnabuci Domenica, Lo Giudice
Eugenio e Miceli Egidio);
    Sentito il comitato dei creditori;
    Rilevato che quel decreto e' stato ritualmente notificato a tutti
i resistenti;
    In esito alle udienze di comparizione delle parti, nelle quali si
e' costituito soltanto il Lo Giudice, che ha eccepito preliminarmente
l'illegittimita'  costituzionale  degli artt. 24 e 66 legge fall., in
relazione agli artt. 97 e 111 Cost., anche in rapporto alla terzieta'
del giudice, nonche' la prescrizione dell'azione;

                            O s s e r v a
    1.  -  L'eccezione  di illegittimita' costituzionale dell'art. 66
legge  fall.,  sollevata  dal Lo Giudice in relazione agli artt. 97 e
111  Cost.,  e'  manifestamente  irrilevante, posto che il richiamo a
quella  norma  ordinaria,  che  disciplina la fattispecie dell'azione
revocatoria  ordinaria  nel  fallimento,  e' inconferente rispetto al
caso  in  esame,  in cui si discute dell'azione di responsabilita' ex
art. 146 legge fall. e dei conseguenti poteri del giudice delegato.
    Quanto,  poi, all'eccezione riguardante l'art. 24 legge fall. (il
quale  statuisce, com'e' noto, la competenza funzionale, esclusiva ed
inderogabile  del tribunale che ha dichiarato il fallimento per tutte
le  cause  che ne derivano) e, per quel che e' dato comprendere dalla
difesa  svolta  dal  resistente,  anche  implicitamente il successivo
art. 146  (che  attribuisce al giudice delegato il potere di disporre
le  opportune  misure  cautelari nei confronti degli amministratori e
sindaci della societa' fallita), il richiamo all'art. 97 Cost. appare
incongruo.
    Intanto,   e'   bene   precisare   che,  in  base  al  prevalente
orientamento,  la  competenza  a  decidere  nel merito dell'azione di
responsabilita'  ex  art. 146  legge  fall.  non viene attratta dalla
sezione fallimentare del tribunale a norma dell'art. 24 stessa legge,
trattandosi di azione che non deriva dal fallimento ma che appartiene
al  curatore  in  via  derivativa  rispetto  a  quelle spettanti alla
societa'  ed  ai creditori ai sensi degli art. 2393 e 2394 c.c. (cfr.
Cass.  14  luglio  1987,  n. 6121; Cass. n. 1327/54, App. Bologna, 16
ottobre 1962, in Dir. fall., 1962, II, 884).
    Cio' premesso, al di la' di opinioni minoritarie, sia in dottrina
che in giurisprudenza (cfr. ad esempio trib. Napoli, 21 ottobre 1993,
in  Il  fall., 1994, 315), la condivisibile tesi maggioritaria ha sin
qui  affermato  che  la competenza funzionale del giudice delegato in
merito   alle   misure   cautelari   (in  particolare,  il  sequestro
conservativo)    disposte   anteriormente   alla   instaurazione   di
quell'azione   di  responsabilita'  non  e'  venuta  meno  a  seguito
dell'introduzione da parte della legge 26 novembre 1990, n. 353 della
c.d.  disciplina  cautelare  uniforme  di  cui agli artt. 669-bis ss.
c.p.c., (cfr. Corte cost. 8 maggio 1996, n. 148, che ha dichiarato la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
della  norma  in  oggetto,  nella  parte  in  cui  prevede che, prima
dell'inizio  della  causa  di  merito, le misure cautelari contro gli
amministratori  e  i  sindaci  della  societa' fallita possano essere
disposte  d'ufficio  dal giudice delegato al fallimento, anziche' sul
ricorso  del  curatore  secondo  le norme ordinarie; trib. Padova, 12
maggio  1999, in Foro it. 1999, I, 3649; trib. Roma, 11 gennaio 1997,
in  Giur.  merito,  1999,  298;  trib. Roma, 10 gennaio 1996, in Dir.
fall.  1996,  II,  579;  trib.  Bologna, 22 aprile 1994, in Il fall.,
1994,  756).  E  cio'  in  virtu'  del principio secondo cui la legge
generale  posteriore  non  deroga  alla  legge speciale anteriore, ma
anche per ragioni di "concentrazione" decisionale in capo al medesimo
organo  e  per  esigenze  di economia e speditezza nel contesto della
tutela   del   ceto   creditorio  (sul  principio  di  concentrazione
processuale  si  veda  la  pur criticata Corte cost. 6 novembre 1998,
n. 363,  in  Giur.  cost.,  1998,  3208): il che rende manifestamente
infondata  la  censura  collegata  all'art. 97  Cost.,  essendo  anzi
l'interpretazione  qui  accolta  conforme a criteri di buon andamento
del procedimento.
    Peraltro,   l'enunciazione   nell'art. 111   Cost.   (cosi'  come
novellato  dalla  legge  costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) della
ragionevole  durata del processo - come ha notato autorevole dottrina
-   ha   determinato  l'ulteriore  pieno  riconoscimento  del  valore
costituzionale  dell'efficienza  della giurisdizione, ferma restando,
chiaramente,  l'imprescindibile necessita' di verificare se l'accolta
opzione  interpretativa  rispetti gli ulteriori fondamentali principi
ivi previsti.
    Sotto  quest'ultimo  profilo,  il citato art. 111, secondo comma,
Cost.  ha  statuito  che "ogni processo si svolge nel contraddittorio
delle parti, in condizioni di parita', davanti ad un giudice terzo ed
imparziale".
    Premesso  che la terzieta' va intesa come neutralita' del giudice
rispetto  alle parti, mentre l'imparzialita' implica un approccio del
giudice  al  procedimento equidistante rispetto alle parti medesime e
scevro  da  possibili  condizionamenti  da  prevenzione cognitiva, va
intanto rilevato che il principio costituzionale dell'imparzialita' e
terzieta'  del  giudice  non e' stato introdotto ex novo dalla citata
novella,  connotando  nell'essenziale e per secolare tradizione tutta
la  funzione  giurisdizionale in se' e costituendo, anzi, presupposto
indispensabile  per  l'esistenza  di un "giusto processo" (cfr. Corte
cost.  24  aprile  1996,  n. 131);  quel principio, peraltro, sancito
anche  dall'art. 6  della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali (ratificato con la
legge  4  agosto 1955,n. 848) non puo' subire condizionamenti nemmeno
dalla  c.d.  forza  della  prevenzione,  ovvero  da  quella  naturale
tendenza  a  mantenere  un  giudizio gia' espresso o un atteggiamento
gia'  assunto  in altri momenti decisionali dello stesso procedimento
(cosi' Corte cost. 15 settembre 1995, n. 432).
    Tuttavia,   anche   se   quei   concetti   erano   gia'  presenti
nell'elaborazione   giurisprudenziale  precedente  alla  legge  cost.
n. 2/1999, dalla stessa sono stati meglio esplicitati: pertanto, ogni
interpretazione   normativa   e   la   stessa   prassi  oggi  debbono
necessariamente  fare i conti in maniera piu' stringente con la nuova
norma  costituzionale, nel contesto di un riesame da un lato del tema
complessivo delle garanzie delle parti nel processo ("contraddittorio
tra  le  parti  in  condizione  di  parita' "), dall'altro dei citati
valori della terzieta' ed imparzialita' del giudice.
    In  ordine  al  primo profilo, non e' ravvisabile alcuna concreta
violazione    del   principio   costituzionale   del   rispetto   del
contraddittorio:  infatti,  come  prima  accennato, se e' vero che la
disciplina  generale  prevista  dagli artt. 669-bis ss. c.p.c. non ha
abrogato  la  norma  anteriore  ma speciale del citato art. 146 legge
fall., quest'ultimo va comunque con quella coordinato. Esso, infatti,
lungi  dal  prevedere  misure  cautelari atipiche o riti speciali, si
limita  a  statuire  la competenza funzionale ante causam del giudice
delegato  e  non gia' di quello individuato a norma dell'art. 669-ter
c.p.c. in caso di istanza cautelare anteriore all'instaurazione della
causa di merito.
    Ne  consegue  che,  al  di  la' dell'unico limite derivante dalla
competenza  funzionale  del  giudice  delegato (e, comunque, nel solo
caso  in  cui  questi  ritenga  di emettere il provvedimento inaudita
altera  parte),  non  puo'  dubitarsi  dell'applicabilita' anche alla
fattispecie  in  esame  della  summenzionata disciplina del codice di
rito, che, a norma dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., va estesa anche
ai  provvedimenti  cautelari  previsti  da  leggi speciali (quale e',
appunto,  la  legge  fallimentare),  nei limiti della compatibilita'.
Pertanto,  il  giudice  delegato  (al pari di qualsiasi altro giudice
comunque  investito  di  una  istanza  cautelare ante causam), con il
decreto  con  il  quale  autorizza il sequestro conservativo inaudita
altera  parte  e'  tenuto,  ai  sensi  dell'art. 669-sexies c.p.c., a
fissare  l'udienza  di  comparizione  delle  parti  davanti  a se' e,
quindi,  a  provvedere con ordinanza (avverso la quale e' proponibile
l'ordinario  reclamo  al  collegio  a art. 669-terdecies c.p.c.) alla
conferma,   modifica   o   revoca  del  provvedimento  assunto  senza
contraddittorio  (cfr.  trib. Roma, 11 gennaio 1997, Giur. it., 1999,
1202;  trib.  Napoli,  8  ottobre 1997, in Il fall., 1998, 621; trib.
Monza, 5 aprile 1994, Gius, 1995/76).
    Va  da  se' che, anche alla luce della novella costituzionale, il
giudice delegato, il quale abbia autorizzato il curatore a promuovere
contro   gli   amministratori   della   societa'  fallita  azione  di
responsabilita'  ex  art. 146  legge  fall.  ed  abbia  nel  contempo
autorizzato  il sequestro dei beni degli amministratori medesimi, non
dovrebbe  poi  partecipare  al  giudizio  di responsabilita' medesimo
(cfr. tribunale di Vigevano che, con ordinanza del 13 luglio 1999, in
Foro  it.,  2000,  I, 2361, ha sollevato la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 51 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost.,  nella  parte  in  cui non prevede l'obbligo di astensione nel
caso in oggetto).
    Da   quanto   detto   consegue  che  la  sollevata  questione  di
legittimita'  sia  manifestamente  infondata  sotto  il  profilo  del
rispetto delle garanzie del contraddittorio.
    Residua   l'importante   aspetto  attinente  all'imparzialita'  e
terzieta',  anche riguardo alla c.d. forza della prevenzione, per cui
il  giudice  che  ha  effettuato  una  valutazione  sulla  stessa res
iudicanda  non  puo'  essere chiamato per una nuova valutazione della
stessa   in   altra   fase  del  medesimo  procedimento.  E,  secondo
l'insegnamento della Corte costituzionale "l'espressione "altro grado
contenuta   nell'art. 51,   primo   comma,  n. 4  c.p.c.  (...)  deve
ricomprendere  non  solo  il  diverso grado del processo, ma anche la
fase  che,  in  un  processo  civile,  si  succede  con  carattere di
autonomia,  avente  contenuto  impugnatorio,  caratterizzata  da  una
pronuncia  che  attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni
decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche'
davanti  allo  stesso organo giudiziario" (cfr. Corte cost., sentenza
15  ottobre  1999,  n. 387,  che  ha  dichiarato l'infondatezza della
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma,
n. 4 c.p.c., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' tra le
funzioni  di  giudice  che  pronuncia  decreto  di  repressione della
condotta antisindacale ex art. 28 St. lav. e giudice dell'opposizione
a  tale  decreto,  posto che quella norma del codice di rito contiene
gia' in se' l'incompatibilita' in oggetto).
    Al  riguardo  la  dottrina piu' autorevole ha evidenziato che nel
processo  civile  la incompatibilita' da prevenzione dovrebbe giocare
un  ruolo importante soprattutto nei c.d. giudizi oppositori, come il
procedimento  camerale  ex art. 26 legge fall. in tema di reclamo, le
cause  di  opposizione  alla  dichiarazione di fallimento o quelle di
opposizione  allo  stato  passivo, conformemente alla citata sentenza
della  Corte  cost.  n. 387/1999  e  nonostante  il non condivisibile
arresto  di  Cass.  19  settembre  2000,  n. 12410  (secondo  cui non
sussiste  incompatibilita'  nel  caso di partecipazione alla causa di
opposizione alla dichiarazione di fallimento da parte del giudice che
ha  partecipato  a  quest'ultima,  stante  il  carattere sommario del
relativo  giudizio,  a fronte della cognizione piena che caratterizza
il giudizio ex art. 18 legge fall.).
    Deve  concordarsi  pienamente  con  coloro che, nell'occuparsi in
prima  battuta  dei  problemi  conseguenti alla novella dell'art. 111
Cost.,  hanno  correttamente  evidenziato  come  la terzieta' investa
principalmente o esclusivamente l'attuale ruolo del giudice delegato,
e, quindi, concerna le procedure concorsuali in senso proprio, mentre
il  tema  del  con  traddittorio  riguarda  precipuamente il processo
pre-fallimentare  e  le  successive,  eventuali  opposizioni  che  ne
seguono.
    Ne  consegue  che, seguendo sempre quelle autorevoli indicazioni,
sotto il primo profilo (quello della terzieta) sono tre i principi da
introdurre   nelle   procedure  concorsuali  per  una  completa  loro
armonizzazione con i principi costituzionali:
        una    corretta   separazione   delle   attivita'   di   tipo
amministrativo  e  propriamente  gestorie  da quelle aventi carattere
giurisdizionale,   sottraendo   al   giudice   delegato  le  funzioni
giurisdizionali  in  senso  stretto,  in  ossequio al principio della
separazione  dei  poteri;  da  cio'  dovrebbe  derivare la previsione
nell'art. 51   c.p.c.   di   un'ulteriore   ipotesi   di   astensione
obbligatoria  nei  casi  in  cui  il  giudice  abbia  autorizzato  la
proposizione  di  una controversia ai sensi dell'art. 25, n. 6, legge
fall. rispetto alla sua partecipazione al giudizio stesso;
        il  rispetto  del  principio della domanda, per la stretta ed
imprescindibile  correlazione  esistente tra lo stesso e la terzieta'
del  giudice,  che non puo' essere (o anche solo apparire) imparziale
quando  sia chimato a giudicare questioni e controversie dallo stesso
sollevate;  il  che  dovrebbe comportare l'abrogazione degli artt. 6,
146,  147, secondo comma, 162, secondo comma, 173, 179 e 181, secondo
comma,  legge  fall., nella parte in cui prevedono poteri di ufficio,
che  prescindono  dalla  domanda  di terzi, sia esso il curatore o il
pubblico  ministero  o altri (con la rimeditazione delle pronunzie di
infondatezza rese dalla Corte costituzionale con le sentenze 8 maggio
1996, n. 148 e 21 novembre 1997, n. 351);
        l'introduzione  di  tecniche  poste a salvaguardia della c.d.
forza  della  prevenzione,  con  la conseguente necessaria previsione
dell'incompatibilita':
          1) tra  giudici che hanno dichiarato il fallimento e quelli
che  devono  conoscere  del  giudizio  di  opposizione  alla sentenza
dichiarativa  (in  contrario, Cass. 23 ottobre 1998, n. 10527, che ha
dichiarato  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 18  legge fall., in riferimento all'art. 24
Cost.,  nella  parte  in  cui  non  prevede che il giudice che decide
sull'opposizione  debba essere diverso da quello che ha dichiarato il
fallimento);
          2) tra  giudice  delegato e collegio che decide sul reclamo
ex  art. 26  legge  fall. avverso un provvedimento del primo (contra,
Corte cost., 6 novembre 1998, n. 363);
          3) tra  giudice  delegato  che  ha  dichiarato esecutivo lo
stato  passivo  e  giudice istruttore della causa di opposizione allo
stato  passivo  medesimo,  ai sensi dell'art. 98 legge fall. (si veda
trib.   Milano,   ord.  25 gennaio  2001,  in  www.ipsoa.it,  che  ha
dichiarato  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 98  e 99 legge fall. nella
parte  in  cui  il  primo  prevede che il ricorso in opposizione allo
stato  passivo  sia  presentato  al  giudice  delegato  ed il secondo
prevede che il giudice delegato sia il giudice istruttore della causa
di opposizione per violazione del principio del giusto processo ed in
particolare  dell'art. 111  della  Costituzione  con riferimento alla
regola dell'imparzialita' del giudice).
    Va  condivisa,  in  tale contesto, l'opinione di chi ha osservato
che  siffatto  modo  di  interpretare  la  normativa fallimentare non
comporta  il  venir meno in capo al giudice delegato di alcuni poteri
giustiziali  a  cognizione  sommaria,  strettamente connessi alla sua
funzione  anche di gestione della procedura, tra cui i decreti emessi
a  norma dell'art. 25 legge fall., l'accertamento del passivo, con il
conseguente  decreto  di esecutivita' ai sensi dell'art. 97, infine -
per  quel  che interessa in questa sede - i poteri cautelari previsti
dall'art. 146,  purche'  vi  sia  rituale  istanza  da parte di terzi
(com'e'  avvenuto  nel  caso  in  esame,  in  cui  questo  giudice ha
provveduto su specifica richiesta del curatore).
    Dubbi  sorgono,  invece,  riguardo la ricordata separazione delle
attivita'   di   tipo   amministrativo  da  quelle  aventi  carattere
giurisdizionale  nonche'  gli  aspetti connessi alla prevenzione, nel
contesto dei rapporti tra cognizione sommaria e cognizione in sede di
merito.  Infatti,  e'  vero che la valutazione sommaria effettuata in
sede   cautelare   non  ha  natura  decisoria  e  definitiva,  ma  e'
strumentale  e  strettamente  funzionale  ad un giudizio di merito da
instaurare  in  base  alle  regole  ordinarie  e rispetto al quale il
giudice  delegato  non  dovrebbe  rivestire  le  funzioni  di giudice
istruttore:  si  ricordi  quanto  detto prima in ordine alla ritenuta
inapplicabilita'  all'azione  di  responsabilita'  ex  art. 146 legge
fall.  della  vis  actractiva  del  tribunale  fallimentare  prevista
dall'art. 24  legge fall. Tuttavia, potrebbe ritenersi che il giudice
delegato,   autorizzando   con   decreto  il  curatore  all'esercizio
dell'azione di responsabilita', sarebbe "vincolato" dalla forza della
prevenzione   di   tale   valutazione  nel  successivo  provvedimento
cautelare:  invero, anche a voler prescindere da ogni questione circa
la   natura   di   quel   decreto,   che  difetterebbe  di  carattere
giurisdizionale (cfr. Corte cost., sentenza 21 novembre 1997, n. 351,
che  ha dichiarato l'inammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 34  c.p.p.  nella  parte in cui non prevede
l'incompatibilita'  del  magistrato  che,  come  giudice delegato del
fallimento  abbia autorizzato il curatore a costituirsi parte civile,
a  svolgere  le  funzioni  di  giudice del procedimento penale in cui
debba    effettuarsi   la   costituzione   stessa),   la   competenza
all'emanazione  di provvedimenti cautelari spetta in via esclusiva al
giudice  delegato  soltanto  in  via  d'urgenza  e contestualmente al
rilascio  della  autorizzazione  al  curatore  a proporre l'azione di
responsabilita'  nei confronti degli amministratori (cfr. trib. Roma,
7 marzo  1996, Giur. merito, 1997, 529; trib. Asti, 10 novembre 1998,
in  Giur. it., 1999, 1414), come e' avvenuto nel caso in esame. Ma si
tratta  di  una  contestualita'  -  astrattamente idonea ad escludere
qualsiasi  prevenzione  -  relativa,  posto che, comunque, il giudice
deve   poi   decidere   successivamente,   una  volta  instaurato  il
contraddittorio,   con   ordinanza,  sulla  base  di  una  precedente
valutazione   in   ordine   alla   sussistenza  dei  presupposti  per
l'esercizio dell'azione.
    Si  impone,  pertanto,  la rimessione del procedimento alla Corte
costituzionale,  perche'  valuti  se,  in  rapporto  ai summenzionati
principi,  sia  costituzionalmente  necessaria  una dissociazione tra
giudice  dell'autorizzazione  all'azione di responsabilita' e giudice
del provvedimento sulla domanda cautelare autorizzata, al fine di non
svalutare  la cognizione compiuta e la presa di posizione assunta dal
giudice  delegato  nel  concedere  quell'autorizzazione. E cio' anche
riguardo  all'art. 51,  primo comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui
non  prevede, come causa di astensione del magistrato, la fattispecie
in esame.
                              P. Q. M.
    Dichiara  manifestamente irrilevante la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 66 legge fall., in relazione agli artt. 97 e
111 Cost.;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 146 legge fall. e 51, primo
comma,  n. 4,  c.p.c., nella parte in cui il primo prevede che, prima
dell'inizio  della  causa  di  merito, le misure cautelari contro gli
amministratori  e i sindaci della societa' fallita, nei cui confronti
sia    stata   autorizzata   dal   giudice   delegato   l'azione   di
responsabilita',   possano  essere  disposte  dallo  stesso  giudice,
anziche'  secondo  le  norme ordinarie, ed il secondo non prevede una
corrispondente fattispecie di incompatibilita' tra giudice delegato e
giudice  della  cautela,  per  violazione  dell'art. 111  Cost.,  con
riferimento alla regola dell'imparzialita' del giudice.
    Dispone  che, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, a
cura  della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia trasmessa alla
cancelleria  della Corte costituzionale, sia notificata al curatore e
alle  parti  e  al  sig. Presidente  del Consiglio dei ministri e sia
comunicata  ai  sigg.  Presidenti del Senato della Repubblica e della
Camera dei deputati.
    Sospende il presente procedimento sino alla decisione della Corte
costituzionale.
        Messina, addi' 2 aprile 2001.
                    Il giudice delegato: Minutoli
01C0835