N. 627 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 2000
Ordinanza emessa il 10 novembre 2000 (pervenuta alla Corte costituzionale il 28 giugno 2001) dal tribunale di Siena sul ricorso proposto da Speranza Sergio Fallimento - Riabilitazione civile del fallito - Termine quinquennale di buona condotta - Decorrenza dalla data di chiusura del fallimento, anziche' dalla data della dichiarazione del fallimento - Irrazionalita' - Disparita' di trattamento dei falliti a seconda della rapidita' di chiusura della procedura fallimentare - Incidenza sul diritto al lavoro, nonche' sui principia di liberta' e segretezza della corrispondenza, sulla liberta' di circolazione e sulla liberta' di iniziativa economica privata. - R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 143, n. 3. - Costituzione, artt. 2, 3, 4, 15, 16 e 41.(GU n.35 del 12-9-2001 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento promosso da Speranza Sergio, con ricorso depositato nella cancelleria in data 7 aprile 1999, avente ad oggetto istanza di riabilitazione civile: Speranza Sergio residente in Colle Val d'Elsa (SI), premesso che con sentenza di questo tribunale in data 4 giugno 1986 era stato dichiarato il fallimento della propria ditta individuale omonima e che la procedura era stata chiusa soltanto in data 22 aprile 1998 con decreto depositato in cancelleria l'8 maggio 1998, chiedeva che venisse pronunciata la sua riabilitazione ai sensi dell'art. 143 n. 3 della legge fallimentare (r.d. n. 267/1942). Esponeva lo Speranza che la procedura concorsuale si era protratta per un tempo eccessivo per una serie di circostanze e di eventi del tutto indipendenti dalla sua volonta' e dalla sua condotta; che infatti erano state promosse azioni di opposizione allo stato passivo (da parte della Banca Toscana S.p.a. rimasta esclusa) ed era stato chiesto il rinvio a giudizio del curatore del fallimento rag. Chiti, sostituito dal rag. Ermini; che tali fatti avevano provocato un grave ritardo nella definizione della procedura fallimentare; che il progetto di riparto finale dell'attivo era stato approvato dal Comitato dei creditori in data 6 ottobre 1997 ed il fallimento si era chiuso solamente il 22 aprile 1998. Rilevava il ricorrente che il dies a quo dal quale decorre il termine dei cinque anni previsto dall'art. 143 n. 3 legge fallimentare, di buona condotta del fallito, va individuato nella data di chiusura del fallimento, e non in quella della sentenza dichiarativa di fallimento, cosicche' il verificarsi delle condizioni normativamente stabilite per conseguire la riabilitazione civile viene fatto dipendere anche da vicende processuali estranee alla condotta del fallito, addirittura da fatti personali del curatore, non riconducibili in alcun modo alla volonta' del fallito;che l'art. 143 n. 3 legge fallimentare citato, imponendo la decorrenza del quinquennio dalla data di chiusura del fallimento (termine durante il quale il fallito deve provare di avere tenuto una buona condotta) assoggetta il fallito ad una situazione di incapacita' piu' gravosa di quella imposta al condannato dall'art. 179 c.p., per la quale la riabilitazione e' consentita decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia estinta, nel concorso delle altre condizioni soggettive. Chiedeva lo Speranza che questo tribunale disponesse la sua riabilitazione, ancorche' non fosse decorso il quinquennio di cui all'art. 143 n. 3 legge fallimentare e in subordine, sollevava eccezione di legittimita' costituzionale della norma de qua, in relazione agli artt. 1, 3, 4, 15, 16, 24 e 41 della Carta costituzionale, ravvisando la non manifesta infondatezza della questione e la sua rilevanza nella fattispecie concreta. Osserva questo tribunale che l'art. 143 legge fallimentare, stabilendo che, per ottenere la riabilitazione del fallito, debba comunque trascorrere il periodo minimo di cinque anni dalla cessazione della procedura concorsuale, non consente al giudice di valutare in concreto la condotta del fallito e le ragioni che portarono al fallimento, nonche' di analizzare le cause che impediscono la conclusione della procedura concorsuale e quindi di intervenire positivamente al fine di valutare l'esistenza in concreto delle condizioni sostanziali sottese alla pronuncia di riabilitazione e ritenere non impeditive quelle cause o eventi che, ritardando indefinitivamente l'esaurimento della procedura concorsuale (cause o eventi pure non imputabili al fallito) impediscono che maturi il dies a quo di decorrenza del quinquennio. Deve rilevarsi che la mancata concessione della riabilitazione civile del fallito, quando si protrae per lungo tempo la procedura concorsuale si traduce in un impedimento al soggetto di esercitare una qualsiasi attivita' commerciale, con grave e a volte irreparabile pregiudizio del suo diritto al lavoro e all'esercizio di impresa, diritti costituzionalmente garantiti (art. 4 e 41 Carta costituzionale). Rileva ancora il tribunale che si verifica anche una ingiustificata disparita' di trattamento tra il titolare di un impresa individuale dichiarato fallito e l'amministratore di una societa' di capitali, incorrendo solo il primo e non anche il secondo nelle limitazioni e incapacita' previste e sanzionate dagli artt. 42 e segg. legge fallimentare con violazione dell'art. 3 della Costituzione. Deve inoltre considerarsi che la mancata concessione della riabilitazione civile del fallito, quando si protrae per lungo tempo o comunque per un tempo superiore al normale a causa di fatti indipendenti dalla condotta del fallito, e' stata sanzionata anche dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con sentenza 26 giugno 1996, con la quale e' stato tra l'altro sottolineato come l'eccessivo perdurare dello stato di incapacita' personale del fallito "costituisce una ingerenza dello Stato nel diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza garantita dall'art. 8, part. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo", e come "l'art. 143 legge fallimentare stabilendo che per la riabilitazione del fallito debba comunque trascorrere il periodo di cinque anni, non permette ai tribunali di utilizzare il proprio discernimento per evitare ogni possibile abnormita' in un caso concreto e percio' viola l'art. 8 della Convenzione suddetta". Deve comunque accreditarsi il possibile contrasto dell'art. 143 n. 3 con gli artt. 15 e 16 della Carta costituzionale dopo ben 12 anni circa dalla sentenza dichiarativa di fallimento. La sollevata questione di incostituzionalita', non solo non appare manifestatamente infondata, ma assume decisiva rilevanza nel caso in esame perche' lo Speranza ha provato di avere tenuto per l'intera durata della procedura e per il periodo (infraquinquennale) successivo alla chiusura del fallimento una costante buona condotta. Il fallimento si e' chiuso a seguito della regolare ripartizione dell'attivo tra i creditori ammessi.
P. Q. M. Rilevata come non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 143 n. 3 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), per possibile contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 15, 16, 41 della Carta costituzionale; Ritenuto che il procedimento non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alla parte ricorrente, al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Siena, addi' 10 novembre 2000. Il Presidente: Ferrari Il giudice estensore: Cavoto 01c0852