N. 647 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 maggio 2001

Ordinanza  emessa  il 30 maggio 2001 dal tribunale per i minorenni di
L'Aquila nel procedimento di adozione relativo a L. G. D. T.

Adozione e affidamento - Adozione internazionale - Affido preadottivo
  di durata annuale - Riconoscimento quale principio fondamentale del
  diritto  di  famiglia  e dei minori - Mancata previsione - Illogica
  discriminazione del minore straniero rispetto a quello italiano.
- Legge  31 dicembre 1998, n. 476, artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e
  6,  in relazione alla legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 33, primo e
  secondo  comma,  art.  22,  23  e 25, e successive modif.; legge 31
  dicembre 1998, n. 476, art. 37-bis, e 35, comma 4.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.36 del 19-9-2001 )
                            IL TRIBUNALE


    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nel procedimento di adozione
internazionale  n. 84/2000  relativo alla minore L. G. D. T., nata il
21 ottobre 1994 in Medellin (Colombia).
    Letti gli atti, osserva in

                           Fatto e diritto

    Con  istanza  del  4  dicembre  2000  i  signori  D. M. nato il 2
febbraio  1960 in Pescara e R. S., nata il 31 agosto 1962 in Pescara,
ivi   residenti,   chiedevano   che  questo  Tribunale  ordinasse  la
trascrizione,  nei  registri  dello  stato  civile del loro comune di
residenza,  del  provvedimento straniero di adozione dei minori L. G.
S.  e  L.  G.  D. T., pronunciato dal "Juzgado Catorce de Familia" di
Bogota' (Colombia) in data 17 novembre 2000.
    Il  15  dicembre  2000  il  P.M.M.  esprimeva  parere  favorevole
all'accoglimento all'istanza.
    Comparsi all'udienza del 14 maggio 2001 davanti al Presidente dr.
Manera,  i coniugi D. e R. dichiaravano che i minori L. G. S. e L. G.
D.  T.  erano  stati  loro affidati dal Tribunale colombiano ed erano
entrati in Italia il 26 novembre 2000; che essi erano stati a Bogota'
tre  settimane  ed  avevano  visto  i  bambini  per  la  prima  volta
l'8 novembre  2000  e  da tale data avevano convissuto con essi in un
appartamento  trovato  loro  dall'Associazione  C.I.F.A.;  che  il 24
novembre   2000   avevano   ottenuto  l'autorizzazione  dalla  C.A.I.
all'ingresso  e  alla  permanenza dei minori in Italia; che i bambini
stavano  bene  e si erano presto e bene inseriti nella loro famiglia,
affezionandosi  loro  ancor prima di arrivare in Italia; e chiedevano
di  nuovo  che  la  sentenza  straniera  fosse subito riconosciuta in
Italia,  con  conseguente  ordine  di trascrizione nel registro dello
stato civile.
    Il  25 maggio 2001 questo t.m. acquisiva nuovamente il parere del
p.m.m.  e  quindi  deliberava nella camera di consiglio del 30 maggio
2001.
                      Rilevanza della questione
    La  soluzione  del dubbio se l'affido preadottivo della durata di
un  anno  costituisca  o  meno  un  principio fondamentale del nostro
diritto  di  famiglia  e  dei  minori relativamente all'adozione d'un
minore    straniero   e'   indubbiamente   rilevante   nel   presente
procedimento, poiche' solo se si ritiene che l'affido preadottivo non
costituisca un principio fondamentale il tribunale puo' (nel concorso
delle  altre  condizioni  richieste  dall'art. 35,  commi  2,  3 e 6)
ordinare  la  trascrizione  del  provvedimento estero di adozione nel
registri  dello  stato  civile  italiano,  mentre, in caso contrario,
mancando  in  concreto l'esperimento dell'affido, lo stesso tribunale
deve  rifiutare  la  trascrizione  e  continuare  a  "manipolare"  il
provvedimento  straniero,  riconoscendolo  efficace  come affidamento
preadottivo (come sostenuto da alcuni).
                     Non manifesta infondatezza
    La  questione  di  illegittimita'  costituzionale degli artt. 34,
comma  2  e  35,  commi  3  e  6  della legge 476/1998, ad avviso del
Collegio, oltre ad essere rilevante, non e' manifestamente infondata,
onde va rimessa al giudizio di codesta onorevole Corte.
    E'  sufficiente  rilevare,  al  riguardo,  che la legge 476/1998,
attuativa  della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993, ha innovato
profondamente  la  previgente disciplina dell'adozione internazionale
introdotta  dalla  legge  184/1983, ma disegnando un quadro normativo
caratterizzato  da  poche  certezze  e  da molti dubbi, ambiguita' ed
incertezze.
    Uno  dei  principi essenziali della nuova legge (che spesso viene
trascurato  o  passato  sotto  silenzio  o  non considerato nella sua
importanza   fondamentale)   e'   il   principio   di  sussidiarieta'
dell'adozione internazionale.
    Un  altro  punto  fermo  della  nuova  disciplina  (finalizzato a
contrastare   il  c.d.  mercato  dei  minori)  e'  l'obbligo  imposto
dall'art. 31  agli  aspiranti  genitori adottivi di rivolgersi ad uno
degli   Enti   autorizzati   (previsti  dall'art. 39-ter)  per  farsi
assistere    nello    svolgimento    delle   pratiche   di   adozione
internazionale.
    Anche  tale obbligo (sanzionato penalmente dalla nuova ipotesi di
reato  prevista  dall'art. 72-bis  della  legge 476) ingenera qualche
perplessita' sulla natura di tali Enti, non riuscendosi a comprendere
come   gli  stessi  possano  essere  definiti  senza  fine  di  lucro
(art. 39-ter  lettera  d)  quando  i  coniugi  che  sono  costretti a
chiedere  la  loro  assistenza  spesso dichiarano apertamente di aver
dovuto versare per tale assistenza alcune decine di milioni.
    Altro  punto  qualificante  della  nuova disciplina dell'adozione
internazionale  e'  la diversita' di effetti riconosciuti dalla legge
476 ai provvedimenti stranieri di adozione. Mentre, infatti, la legge
184/1983  stabiliva  che  i  provvedimenti  stranieri  (di  adozione,
d'affidamento  ecc.)  non  avevano  efficacia in Italia senza la loro
delibazione  da parte del t.m. ai sensi dell'art. 32, invece la legge
476/1998   introduce   una   disposizione  di  maggior  rispetto  dei
provvedimenti stranieri, in quanto "l'adozione pronunciata all'estero
produce  nell'ordinamento  italiano  gli effetti di cui all'art. 27",
ossia  l'acquisto  dello  stato  di figlio legittimo degli adottanti,
l'assunzione  del  loro  cognome  e la cessazione dei rapporti con la
famiglia di origine.
    Mentre la c.d. "delibazione" del provvedimento straniero da parte
del  t.m.,  ai  sensi  dell'art. 32 della legge 184, non era una vera
delibazione,  in  quanto  il  c.d. provvedimento straniero non veniva
riconosciuto  come tale (cioe' come provvedimento straniero) efficace
nel  nostro  ordinamento, ma tale provvedimento era assunto solo come
presupposto  di  fatto  del  decreto con il quale il giudice italiano
costituiva   direttamente  ed  autonomamente  l'adozione  (dopo  aver
desunto,  dal  provvedimento straniero, la sussistenza dello stato di
effettivo abbandono del minore straniero all'estero ed il consenso al
suo  espatrio  definitivo in Italia), invece in base alla nuova legge
e' il provvedimento straniero in quanto tale che ha efficacia diretta
in Italia.
    Ma,   dato   atto   che  a  seguito  della  nuova  disciplina  il
provvedimento  straniero  di  adozione  pronunciato  all'estero prima
dell'arrivo del minore in Italia (ex art. 35) ha efficacia diretta in
Italia,   in   quanto   "l'adozione  pronunciata  all'estero  produce
nell'ordinamento  italiano  gli  effetti  di cui all'art. 27"; dubbi,
incertezze   e   discussioni   cominciano   a  sorgere  sulla  natura
dell'efficacia   del   provvedimento  straniero,  nel  senso  che  e'
controverso  se  il  provvedimento straniero di adozione abbia o meno
efficacia  automatica  in  Italia  (ai sensi degli artt. 64, 65 e ss.
della legge n. 218 del 1995).
    Nonostante  la  maggioranza  dei  commentatori  della nuova legge
ritenga che il provvedimento straniero abbia efficacia automatica nel
nostro ordinamento, il Collegio ritiene di non poter condividere tale
opinione,   in   quanto   essa   riceve   una  smentita  testuale  ed
inequivocabile  dal fatto che i commi 2 e 3 dell'art. 35 impongono al
t.m.  di  verificare  che  nel  provvedimento  straniero  risulti  la
sussistenza  delle  condizioni delle adozioni internazionali previste
dall'art. 4  della  Convenzione (art. 35, comma 2) e di accertare che
l'adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano in
Italia il diritto di famiglia e dei minori (art. 35, comma 3).
    Il t.m. deve, cioe', verificare che le autorita' competenti dello
Stato  straniero abbiano stabilito che il minore era adottabile e che
abbiano constatato, dopo aver debitamente vagliato le possibilita' di
affidamento  del  minore  nello  Stato  di  origine,  che  l'adozione
internazionale  corrispondesse  al  suo  superiore  interesse (art. 4
Conv.  e  art. 35, comma 1 legge 476/1998) e deve, inoltre, accertare
che  l'adozione  non  sia  contraria  ai  principi  fondamentali  che
regolano  in  Italia il diritto di famiglia e dei minori (valutati in
relazione  al  superiore  interesse  del  minore), onde, solo se tali
accertamenti  siano  positivi  (e  se  la C.A.I. abbia certificato la
conformita'  dell'adozione  alle  disposizioni  della  Convenzione ed
autorizzato  l'ingresso  ed  il  soggiorno  permanente  del minore in
Italia),  il  t.m.  puo'  ordinare  la trascrizione del provvedimento
straniero  nei  registri dello stato civile. Dalle superiori premesse
discende   la  conseguenza  che  il  t.m.  non  puo'  autorizzare  la
trascrizione   se   dal   provvedimento   straniero  non  risulti  la
sussistenza  dello  stato  di  abbandono  del  minore all'estero o la
constatata impossibilita' di sistemazione del minore nel suo Paese di
origine  (e,  ad  avviso  del  Collegio,  dal provvedimento straniero
devono risultare e nello stesso devono essere indicati specificamente
i  vari  tentativi  fatti in concreto per sistemare il minore nel suo
Paese  ed  evitare  lo  sradicamento  dalla  sua Nazione e l'espatrio
definitivo   all'estero,   consentito  solo  in  caso  di  constatata
impossibilita'   di   una  sistemazione  nel  Paese  di  origine:  il
fondamentale  criterio di sussidiarieta' dell'adozione internazionale
esige   che   siano  davvero  fatti  e  specificamente  indicati  nel
provvedimento  i  predetti tentativi di far restare il minore nel suo
Paese,  e  non  ci  si  puo'  appagare, per ritenere soddisfatto tale
principio,   di   una   mera   affermazione  generica,  che  dichiari
l'impossibilita'  di  sistemazione  del  minore  nel  suo Paese senza
indicare   gli   effettivi   predetti   tentativi,   altrimenti  tale
affermazione  diventa  una  vuota  clausola  di stile). Ugualmente la
trascrizione  non  puo'  essere  disposta  se  manchino  le  predette
certificazioni  della  C.A.I.  o se l'adozione si riveli contraria ai
principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e
dei  minori  (art. 35,  comma 3). Sembra pacifico che la C.A.I. possa
dichiarare   che  l'adozione  internazionale  risponde  al  superiore
interesse  del  minore  soltanto  se  dalla  documentazione trasmessa
dall'autorita'  straniera  risulti che il minore e' adottabile (ossia
in   stato   di   effettivo,   dichiarato   abbandono  all'estero)  e
l'impossibilita'   (nel  senso  dianzi  precisato)  di  procedere  ad
un'adozione o ad un affidamento del minore nello Stato di origine.
    La  mancanza  della  prova  dello  stato  di abbandono del minore
all'estero o della inutile ricerca di una sistemazione del minore nel
Paese  di  origine  devono  bloccare  il  procedimento di adozione ed
indurre  il t.m. a rifiutare la trascrizione. Alle stesse conseguenze
il  t.m.  deve  pervenire  quando  accerti  la mancanza dei requisiti
voluti dall'art. 35, comma 6 alle lettere da a) ad e), tutti ritenuti
pacificamente  di  importanza  fondamentale.  Poiche'  la  verifica e
l'accertamento  demandati al t.m. dall'art. 35, commi 2 e 3 integrano
una   valutazione   di   merito  circa  la  conformita'  o  meno  del
provvedimento  straniero di adozione ai principi della Convenzione ed
ai  principi  fondamentali  che  regolano  in  Italia  il  diritto di
famiglia  e dei minori (il cui esito condiziona la trascrivibilita' o
meno  del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile),
e'  di  tutta  evidenza che il provvedimento straniero non puo' avere
efficacia  automatica  nel  nostro  ordinamento,  in  quanto  solo il
positivo accertamento di tutti i predetti requisiti da parte del t.m.
autorizza  la  trascrivibilita'  del  provvedimento  di  adozione nei
registri  dello stato civile, trascrizione che il t.m. deve rifiutare
quando accerti l'insussistenza dei requisiti voluti dalla legge.
    Cio'  chiarito, resta da stabilire se tra i principi fondamentali
che  regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori rientri o
meno  quello  di  un  anno di affidamento preadottivo, gia' richiesto
dalla  nostra legge per l'adozione sia nazionale (artt. 22 e 25 legge
184/1983)  che internazionale (art. 33, comma 1 della legge 184/1983)
e  non piu' richiesto dall'art. 35, commi 3 e 6 e dall'art. 34, comma
2 della legge 476 per l'adozione internazionale.
    La maggioranza degli autori ritiene che un periodo di affidamento
preadottivo  (della  durata  di  un  anno)  non  costituisca  piu' un
principio  fondamentale del nostro diritto relativamente all'adozione
internazionale,  a  seguito  della  novella  piu' volte citata (legge
476/1998).
    Il  Collegio  ritiene  di  non  poter  condividere tale opinione,
considerata  la ratio dell'istituto dell'affidamento preadottivo, che
e'  quella  di  verificare  in  concreto  se l'inserimento del minore
adottabile  (o  in stato di dichiarato, definitivo abbandono e che ha
gia' subito seri pregiudizi dalla protratta mancanza di adeguate cure
parentali)   nella  nuova  famiglia  abbia  o  meno  probabilita'  di
successo,  tanto da poter poi procedere alla formale adozione. Invero
non  ha  senso  pronunciare  subito  l'adozione senza una verifica in
concreto  di  una positiva integrazione di quel particolare minore in
quella   nuova   particolare   famiglia,  poiche'  se  il  "rodaggio"
costituito dal periodo di affido non ha esito positivo, non ha alcuna
utilita'   inserire  formalmente  il  minore  nella  nuova  famiglia,
occorrendo   revocare   l'affido  preadottivo  e  procedere  a  nuovi
tentativi   di   altri  affidi  preadottivi,  e  cioe'  a  successivi
inserimenti  del  minore  adottabile  (e  privo di famiglia) in altri
nuclei  familiari.  Il "rodaggio" costituito dall'affido preadottivo,
ad avviso del Collegio, e' sempre necessario in ogni tipo di adozione
legittimante  (sia  nazionale  che  internazionale), poiche', data la
situazione  di  abbandono  in cui e' vissuto il minore (condizione di
fatto  indispensabile  per poterlo dichiarare adottabile), e' nozione
di   comune   esperienza  che  l'integrazione  d'un  minore  (che  ha
negativamente  sperimentato  sulla  sua pelle le negative conseguenze
della  carenza  non  temporanea  di  idonee  cure  parentali)  in una
famiglia  estranea  e'  sempre difficile ed aleatoria (anche quando i
minori  siano in tenera eta', poiche' secondo i cultori delle scienze
umane  i bimbi risentono delle condizioni di vita sfavorevoli sin dal
seno  materno  ed  anche nei primi mesi di vita), donde la necessita'
d'un esperimento, che verifichi in concreto se l'integrazione di quel
particolare  minore  (adottabile) in quella nuova, peculiare famiglia
(non  biologica,  ma  degli  affetti)  abbia  o  meno probabilita' di
successo  e  consenta all'adottabile di inserirsi tanto proficuamente
nel  nuovo  nucleo  da  diventarne  parte integrante e nuovo membro o
figlio  legittimo  a  tutti gli effetti, come se fosse stato generato
biologicamente dagli adottanti.
    La  durata  di almeno un anno dell'affido preadottivo integra una
verifica  d'una  situazione  di fatto (integrazione piena d'un membro
estraneo  in  un  nuovo  nucleo  familiare),  che  e' ontologicamente
necessaria  in  ogni  forma  di  adozione  legittimante (nazionale ed
internazionale).  Il  "rodaggio" costituito dal periodo di un anno di
affido   preadottivo   (necessario  per  l'adozione  nazionale)  deve
ritenersi    ugualmente    indispensabile    anche   per   l'adozione
internazionale,  in  quanto  e'  evidente che, se e' sempre difficile
l'inserimento  di un minore adottabile italiano in una nuova famiglia
di  accoglienza o "degli affetti", le difficolta' di inserimento d'un
minore  straniero  in  una  nuova  famiglia  sono ancora maggiori, in
quanto il minore straniero (oltre ai traumi derivanti dall'abbandono,
che sono comuni a quelli risentiti dal minore italiano adottabile) ha
altri  gravi  problemi,  derivanti  dalla  sua  diversa  etnia, dalle
diverse  caratteristiche somatiche e biopsichiche, dall'avulsione dal
suo  ambiente  e  dal  traumatico  inserimento in un contesto sociale
completamente nuovo e diverso per lingua, costumi, tradizioni ecc.
    E', pertanto, illogico ed assurdo ritenere che l'inserimento d'un
minore  italiano  adottabile in una nuova famiglia sia una situazione
difficile   (che   richiede   l'esperimento   positivo  d'un  congruo
"rodaggio"   prima   di   potersi   procedere  all'adozione),  mentre
l'inserimento  d'un minore straniero adottabile in una nuova famiglia
di  accoglienza  rappresenti  una situazione piu' facile o meno grave
(di  quella  del  minore  italiano  adottabile)  e  per  la quale sia
possibile  pronunciare subito l'adozione senza farla precedere da una
congrua  durata  (che  per  l'adozione internazionale dovrebbe essere
anche  maggiore  di  quella  prevista  per un minore italiano) di una
seria  verifica  della piena integrazione del minore nel nuovo nucleo
familiare.  Occorre  ricordare che, proprio per le difficolta' insite
in ogni inserimento d'un membro estraneo (quale un adottabile) in una
nuova  famiglia  di accoglienza, la legge impone, per l'adozione d'un
minore  italiano  (ed  in  passato  anche  per  il  minore straniero:
art. 33, comma 1 legge 184/1983) un periodo di affido preadottivo per
verificare se il trapianto o "innesto" del minore nel nuovo nucleo si
risolva  positivamente  o  se  si  verifichino  gravi  difficolta' di
ambientamento  (tali  da  far revocare l'affido) ma che, anche quando
l'affido  preadottivo  abbia  esito negativo, la legge prevede che il
t.m.  debba  ricercare altre nuove famiglie disposte ad accogliere il
minore,  e  cioe'  di  fare altri tentativi ponderati di nuovi affidi
preadottivi,  non  potendo  il  minore  adottabile (e per definizione
privo  di  famiglia)  restare  solo  e  crescere e maturare senza una
"propria"  idonea  famiglia  (cfr.  artt. 2,  3,  29,  30, 31 Cost.).
Considerata  la  natura  e  la  finalita' dell'affido preadottivo, la
legge  prevede  in caso di suo esito negativo la revoca dello stesso,
proprio  per  consentire  al  t.m. di compiere ulteriori tentativi di
trovare  per  il  minore  adottabile  un'idonea  famiglia in grado di
corrispondere alle sue esigenze.
    Invece,  ritenendo  possibile  rendere  efficace il provvedimento
straniero  come  adozione  anche senza il preventivo esperimento d'un
congruo  periodo  di  affido  preadottivo, si introduce una ulteriore
disarmonia  nel sistema, perche' si impedisce che il minore straniero
non  integratosi  nella nuova famiglia adottiva possa essere inserito
in  altre  famiglie  adottive,  in quanto la legge, mentre prevede la
revoca  dell'affido  preadottivo  (v.  art. 23  legge 184/1983) quale
conseguenza  fisiologica  della  mancata  positiva  integrazione  del
minore   nel  nuovo  nucleo,  giustamente  non  contempla  la  revoca
dell'adozione,  in  quanto,  avendo l'adozione legittimante efficacia
piena, in nessun caso ne e' consentita la revoca.
    Percio'  coloro  che  ritengono  che  il  t.m.  possa ordinare la
trascrizione  del  provvedimento  straniero  di adozione nei registri
dello  stato  civile  italiano  anche quando l'adozione non sia stata
preceduta  da un anno di affidamento preadottivo, non considerano che
in  tal  modo  viene attuata un'odiosa e perniciosa discriminazione a
danno del minore straniero adottabile rispetto a quello italiano.
    Del  resto  il  nostro legislatore forse si e' reso conto di tali
disarmonie  quando  ha previsto (art. 34, comma 2) che "per almeno un
anno,  ai  fini  di  una corretta integrazione familiare e sociale, i
servizi socio-assistenziali degli enti locali e gli enti autorizzati,
assistono  gli  affidatari,  i  genitori  adottivi  ed  i  minori"  e
riferiscono in ogni caso al t.m. sull'andamento dell'inserimento e su
eventuali   difficolta'  per  gli  opportuni  interventi.  Ma  e'  da
sottolineare  che  l'assistenza  per  un  anno  e'  prevista  solo su
richiesta  degli interessati; che essa non equivale ad un vero affido
preadottivo e che tale assistenza non ha alcuna utilita' dopo che sia
stata  ordinata  la  trascrizione  del  provvedimento di adozione nei
registri  dello  stato civile, in quanto la trascrizione "produce gli
effetti  di  cui all'art. 27", ossia rende il minore figlio legittimo
degli  adottanti  (oltre che cittadino italiano) a tutti gli effetti,
onde  non  e'  piu' consentita la revoca dell'adozione ne' una tutela
piena  del  minore  straniero  (garantita  solo  da altri inserimenti
adottivi,  resi impossibili dall'acquisito status di figlio legittimo
ai sensi dell'art. 27).
    E' vero che l'art. 35, comma 6 lettera e) della legge 476 dispone
che   il   t.m.   non   puo'  ordinare  la  trascrizione  ...  quando
"l'inserimento  del  minore nella famiglia adottiva si e' manifestato
contrario  al  suo  interesse", ossia quando si sono verificate gravi
difficolta'  di idonea convivenza e non si e' verificata una positiva
integrazione del minore straniero nella nuova famiglia. Ma, avendo la
legge  476  eliminato  la  necessita'  del  periodo  di  un  anno  di
affidamento  preadottivo (richiesta dall'an. 33, comma 1, della legge
184/1983)  quale  condicio  sine  qua  non  per  poter riconoscere il
provvedimento  straniero quale adozione e non avendo parlato mai tale
legge  di  affidamento  preadottivo  quale principio fondamentale del
nostro  diritto  di famiglia e dei minori (relativamente all'adozione
internazionale),  il  giudice  richiesto  dagli interessati (come nel
caso  di specie) di ordinare subito la trascrizione del provvedimento
straniero  di  adozione  nei registri dello stato civile agli effetti
dell'an. 27,  non  potrebbe  rifiutare  tale adempimento imponendo il
previo  esperimento di un anno di affidamento preadottivo, che non e'
previsto (e quindi e' escluso) dalla legge 476.
    Ad  infirmare la validita' delle considerazioni che precedono non
puo'  valere  il rilievo che il denunciato sospetto di illegittimita'
costituzionale non potrebbe sussistere perche' l'adozione nazionale e
quella mternazionale riguarderebbero situazioni diverse, in quanto e'
agevole   replicare   in   contrario   che  la  situazione  di  fatto
(difficolta'  di  inserimento  d'un minore adottabile in una famiglia
estranea)  e'  la  stessa sia nell'adozione nazionale e sia in quella
internazionale,  come  identica e' la situazione giuridica, in quanto
entrambe  tali forme di adozione hanno efficacia piena o legittimante
(ai  sensi dell'an. 27), onde la denunciata disparita' di trattamento
appare  illogica  ed  irrazionale  e quindi evidente ed innegabile la
violazione  del principio di uguaglianza consacrato nell'art, 3 della
Carta costituzionale.
    La  sottolineata  disparita'  di  trattamento  appare  ancor piu'
evidente,  innegabile  ed  incomprensibile  quando  si ricordi che il
periodo  di  un anno di affidamento preadottivo e' richiesto non solo
per  l'adozione  dei  minori  italiani  (artt. 22 e 25 legge 184/1983
anche  nel  testo  modificato  dalla  legge 149/2001), ma anche per i
minori  stranieri  adottandi  a  norma  dell'art. 37 bis (ai quali si
applicano  gli  artt. 22  e  25 l. 184/1983) e per i minori stranieri
trasferiti  in Italia in forza d'un provvedimento non di adozione, ma
di affidamento preadottivo ai sensi dell'art. 35, comma 4 della legge
476/1998.
    L'unico  rimedio  per  evitare le disarmonie sopra evidenziate ed
un'illogica  e  pregiudizievole  discriminazione del minore straniero
rispetto  a  quello  italiano  e'  quello  di  sollevare  la presente
eccezione di illegittimita' costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 134 Cost;
    Visto  l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87  solleva,
d'ufficio,  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 34,
comma  2;  35,  conimi 3 e 6 della legge 476/1998, nella parte in cui
tali  articoli  non prevedono per l'adozione internazionale la durata
di  un  anno  di  affido preadottivo quale principio fondamentale del
nostro  diritto  di  famiglia e dei minori, in relazione all'art. 33,
commi 1 e 2 della legge 184/1983 e succ. mod., agli artt. 22, 23 e 25
legge  184/1983  (come  modificati  dalla  legge  149/2001)  ed  agli
artt. 37-bis  e  35,  comma  4  della  legge 476/1998, per violazione
dell'art, 3 della Costituzione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
degli  atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti ed al
p.m.  in  sede  nonche'  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e
comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        L'Aquila, addi' 30 maggio 2001.
                   Il Presidente estensore: Manera
01C0867