N. 655 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2001

Ordinanza  emessa  il  16  maggio  2001  dal  tribunale di Savona nel
procedimento penale a carico di Carnazza Marco

Processo   penale  -  Giudizio  immediato  -  Richiesta  di  giudizio
  abbreviato - Termine di decadenza di giorni sette, decorrenti dalla
  notificazione  del  decreto  di  giudizio immediato, anziche' dalla
  notifica  al difensore dell'avviso di udienza - Lesione del diritto
  di difesa.
- Cod. proc. pen. art. 458, comma 1.
- Costituzione, art. 24, secondo comma.
(GU n.36 del 19-9-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    In  merito  alla eccezione di legittimita' dell'art. 458, comma 1
c.p.p.,  in  relazione  all'art. 24 della Costituzione, sollevata dal
Collegio  nel  corso dell'udienza 11 aprile 2001 nel proc. r.g. trib.
n. 162/01 a carico dell'imputato Carnazza Marco, osserva
                           Sulla rilevanza
    In  data  6 novembre 2000 veniva emesso nei confronti di Carnazza
Marco  decreto  di  giudizio  immediato per l'udienza del 13 dicembre
2000,  notificato  all'imputato il 9 novembre 2000; l'avviso relativo
alla  data  fissata  per  il  giudizio immediato veniva notificato al
difensore, avv. A. Mencobello, il 15 novembre 2000.
    In   data  18 novembre  2000  il  Carnazza  avanzava  istanza  di
definizione  con  rito  abbreviato, ma la richiesta veniva dichiarata
inammissibile dal g.i.p. presso il tribunale di Savona, con ordinanza
2  febbraio 2001, in quanto proposta oltre il termine di sette giorni
(e precisamente l'ottavo giorno) - decorrenti dalla notificazione del
decreto  di  giudizio  immediato  -  previsto,  a  pena di decadenza,
dall'art. 458, comma 1 c.p.p.
    Il  g.i.p.,  peraltro,  senza  che la cancelleria trasmettesse il
fascicolo  al giudice del dibattimento, provvedeva sulla richiesta di
giudizio abbreviato in data successiva a quella fissata per l'udienza
dibattimentale  - che percio' non veniva celebrata - e il 15 febbraio
2001  emetteva un secondo decreto di giudizio immediato per l'udienza
dibattimentale  del  4  aprile  2001,  decreto  che veniva notificato
all'imputato  il 14 febbraio 2001; il Carnazza avanzava, questa volta
tempestivamente,   il   15 febbraio   2001,  nuova  istanza  di  rito
abbreviato.
    Il  tribunale, con ordinanza a verbale di udienza 11 aprile 2001,
qualificava  il  secondo decreto come atto abnorme, essendo il g.i.p.
sprovvisto  di  poteri  processuali al riguardo, e giudicava priva di
effetti  la  richiesta  di  rito  abbreviato formulata in rapporto ad
esso, ritenendo, percio', che la comparizione dell'imputato, presente
in  aula,  e  del  difensore  dovessero  ricondursi  al decreto del 6
novembre 2000.
    Dal momento che, nelle more del giudizio, e' entrata in vigore la
legge  1  marzo  2001,  n. 63,  che, all'art. 14 comma 2, modifica il
termine di sette giorni previsto dall'art. 458 c.p.p., estendendolo a
giorni  quindici,  la difesa ha sostenuto che, alla luce dell'art. 26
comma  1,  secondo  cui  le  disposizioni  della  nuova  normativa si
applicano  ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore
della  stessa, il termine quindicinale dovrebbe valere anche nel caso
di  specie,  con  la  conseguenza  che  l'istanza  di rito abbreviato
formulata il 18 novembre 2000 non sarebbe da considerarsi tardiva.
    Questo tribunale ritiene che l'art. 26 della suddetta legge debba
essere  interpretato  nel  rispetto del principio generale del tempus
regit  actum,  secondo  cui  non  puo'  essere  applicata  ad un atto
processuale  una  normativa  che non era in vigore nel momento in cui
l'atto  e' stato compiuto: percio', le disposizioni di cui alla legge
63/2001  andranno  applicate  con  riferimento ad ogni, distinta fase
processuale,  senza  che  sia  consentito riaprire o incrementare nel
dibattimento  termini  che  concernono, invece, fasi precedenti, gia'
concluse.
    Pertanto,  la normativa che deve trovare applicazione nel caso di
specie  e'  rappresentata dall'art. 458 c.p.p. nella sua formulazione
antecedente alle ultime modifiche.
    Conseguentemente,  l'imputato  non  ha  rispettato  il termine di
sette  giorni  dalla  notifica  dell'unico valido decreto di giudizio
immediato  ed  e'  decaduto  dalla  facolta'  di  avvalersi  del rito
abbreviato.
    Peraltro,  laddove  il  termine  di  decadenza  non  fosse  fatto
decorrere  dalla  data  di  notificazione  del  decreto all'imputato,
bensi'  dalla comunicazione al difensore dell'avviso della udienza di
giudizio  immediato,  il  Carnazza  sarebbe  stato  nei  termini  per
accedere  al  rito  alternativo,  avendo  presentato  istanza  il  18
novembre  2000,  ossia  tre  giorni  dopo  la notifica del decreto al
difensore.
    La  questione di legittimita' dell'art. 458 comma 1 c.p.p., nella
parte  in  cui non prevede che il termine per richiedere l'abbreviato
decorra   dalla  notifica  dell'avviso  al  difensore,  e',  percio',
rilevante  nel  presente  giudizio,  dal  momento che dalla soluzione
della  stessa dipende la possibilita' per il Carnazza di usufruire di
un  rito  alternativo  che  comporta  un  trattamento peculiare sotto
molteplici profili, in primis quello del trattamento sanzionatorio.
                  Sulla non manifesta infondatezza
    La legittimita costituzionale dell'art. 458, comma 1 c.p.p. viene
contestata  alla  luce  del  disposto  dell'art. 24,  comma  2  della
Costituzione,  che  qualifica  la  difesa come diritto inviolabile in
ogni stato e grado del procedimento.
    La   formulazione   estremamente   generica  della  norma  porta,
inevitabilmente, con se', difficolta' interpretative, che non possono
essere risolte attraverso il mero riferimento alla inviolabilita' del
diritto,  dalla quale nessuno dissente. Nel corpus dell'art. 24 della
Costituzione,  infatti, la difesa appare come un postulato, di cui si
danno  per  scontati  contenuto,  struttura e garanzie; viceversa, il
diritto   si   connota   diversamente   a   seconda  dell'ordinamento
processuale all'interno del quale viene calato.
    In  un  sistema  accusatorio quale quello attualmente vigente, in
cui il legislatore ordinario ha dimostrato in piu' di un'occasione di
giudicare   essenziale  per  il  corretto  svolgimento  del  rapporto
processuale  che le parti, accusa e difesa, siano nelle condizioni di
agire  in pieno contraddittorio e su un piano di sostanziale parita',
il  diritto  di  difesa  e',  senza dubbio, inteso anche come diritto
all'assistenza tecnica, ed assume connotazioni particolari, in quanto
qualificato come irrinunciabile.
    La  par  condicio  postula che alla capacita' professionale della
pubblica  accusa venga contrapposta l'uguale competenza professionale
di  un difensore tecnico, che affianchi l'imputato per tutto il corso
del processo.
    Se e' vero che il diritto di difesa significa, in primis, diritto
all'autodifesa,   che  si  realizza  attraverso  la  possibilita'  di
effettiva   ed   attiva   presenza   dell'imputato   alle   attivita'
processuali,  e'  anche  vero che la massima esplicazione del diritto
all'autodifesa  puo' aversi laddove all'imputato sia dato conoscere i
diritti  e  le  facolta'  che a lui competono, in modo da porlo nelle
condizioni  di  scegliere  la  strategia  processuale piu' adatta. La
funzione  del  difensore tecnico e', percio', anche quella di rendere
edotto il proprio assistito sulle differenti opzioni difensive, cosi'
da  garantirgli di scegliere coscientemente e con cognizione la linea
piu' confacente ai propri interessi.
    La disposizione dell'art. 458, comma 1 c.p.p., nella parte in cui
fa  decorrere  il  termine  di  decadenza  per la presentazione della
richiesta  di  abbreviato  dalla data della notifica all'imputato del
decreto   di  giudizio  immediato  anziche'  dalla  comunicazione  al
difensore  della data fissata per l'udienza di immediato, vanifica il
diritto di difesa proprio sotto il profilo del diritto all'assistenza
tecnica, in quanto non consente all'imputato la scelta consapevole di
un rito alternativo che comporta conseguenze di rilievo e consente un
notevole abbattimento di pena.
    La  norma  codicistica, infatti, pare partire dal presupposto che
ogni  imputato  non  solo  sia  in  grado  di  leggere  il decreto di
citazione  che  gli  viene notificato e capirne la terminologia ed il
contenuto, ma sia anche a conoscenza delle regole del codice di rito,
ossia di che cosa significhi "rito abbreviato" e di quali conseguenze
implichi la scelta di tale soluzione.
    In   realta',  la  migliore  strategia  processuale  puo'  essere
scientemente scelta dall'imputato, cui tale scelta spetta in proprio,
solo laddove sia posto nelle condizioni di conoscerne i presupposti e
le  conseguenze  e  non  si puo' presumere che l'uomo comune possegga
nozioni  di diritto processuale ed abbia dimestichezza con concetti a
volte di difficile interpretazione anche per esperti di diritto.
    La  effettivita'  del  diritto  di  difesa  viene assicurata solo
laddove  il  difensore  sia  posto  nelle  condizioni  di prospettare
all'assistito  le iniziative tecniche piu' convenienti, e cio' vale a
maggior  ragione  laddove  si  tratti di optare per un rito speciale,
quale  l'abbreviato,  per  cui e' prevista una disciplina particolare
sotto  il  profilo  del materiale utilizzabile ai fini probatori, del
trattamento sanzionatorio e dei limiti all'appello.
    Questo  tribunale e' consapevole che la questione qui proposta e'
gia'  stata  affrontata  in  passato  dalla  Corte  Costituzionale  e
dichiarata  manifestamente  infondata  con  le ordinanze n. 588/1990,
225/1991,   355/1991   e  36/1994;  peraltro,  si  ritiene  di  dover
dissentire  dall'argomento  a  suo  tempo sostenuto dal giudice delle
leggi,  secondo  cui  non sussisterebbe alcuna lesione del diritto di
cui  all'art. 24,  comma 2  della Costituzione poiche' il decreto che
dispone  il  giudizio immediato, e contenente l'avviso che l'imputato
puo'  richiedere  il  rito  abbreviato, viene notificato all'imputato
almeno  venti giorni prima della data fissata per il giudizio dinanzi
al  tribunale,  ed  entro lo stesso termine viene anche notificato al
difensore il relativo avviso, con la conseguenza che, nell'ipotesi in
cui  il  decreto  di  citazione  sia  notificato  prima  dell'avviso,
l'imputato  puo,  comunque,  informare  della  citazione  il  proprio
avvocato,  entro  un  termine  all'epoca  di  sette  giorni,  oggi di
quindici, adeguato all'esercizio del diritto di difesa.
    Quest'argomento  aggira  il  problema  di  fondo:  nonostante  il
decreto  di  giudizio  immediato  e  l'avviso  della relativa udienza
debbano  essere  notificati  almeno  venti  giorni prima dell'udienza
rispettivamente  ad  imputato e difensore, cio' non significa affatto
che  le  notifiche vengano effettuate a distanza di un breve lasso di
tempo  l'una  dall'altra, in modo da consentire al primo di conferire
con  il secondo, con la conseguenza che la comunicazione al difensore
potrebbe  avvenire quando e' gia' scaduto il termine per la richiesta
di  riti  alternativi.  Resta  il  fatto  che il termine di decadenza
decorre,  comunque,  dalla  notifica all'imputato, a nulla rilevando,
sotto  questo  profilo, la comunicazione al difensore, e che il primo
potrebbe  non  essere  in  grado  di  comprendere  il  contenuto  del
documento  notificatogli e quindi potrebbe sottovalutare l'importanza
di   avvertire  immediatamente  colui  che,  solo,  e'  in  grado  di
consigliare  la strategia processuale piu' adatta (e che potrebbe non
essere  piu'  nelle condizioni di farlo, a causa della decorrenza del
termine prescritto dal codice).
    Il  far  decorrere  il termine entro cui puo' essere richiesto il
rito  abbreviato  dalla  notificazione  all'imputato  del  decreto di
giudizio  immediato comporta una violazione del diritto di difesa, in
quanto non consente il corretto esplicarsi della difesa tecnica ed il
corretto  esercizio,  da  parte  dell'avvocato,  dei poteri-doveri di
assistenza,  con inevitabili ripercussioni sull'esercizio del diritto
di  autodifesa  da  parte  dell'imputato.  Cio'  vale  anche sotto la
vigenza  della  nuova  normativa,  che ha inciso esclusivamente sulla
durata del termine - peraltro sempre estremamente breve - e non ha in
alcun modo affrontato il profilo qui censurato.
    Per  tutte  le  sopraesposte ragioni la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 458, comma 1 c.p.p. per contrasto con l'art.
24,   secondo   comma,   della   Costituzione   deve   ritenersi  non
manifestamente infondata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 458,  comma  1  c.p.p.  per
violazione  dell'art. 24,  comma 2 della Costituzione, nei termini di
cui in motivazione;
    Sospende il processo in corso;
    Ordina da trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria,  copia  della  presente
ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Savona, addi' 16 maggio 2001
                     Il Presidente: Frascherelli
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