N. 861 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 dicembre 2000
Ordinanza emessa il 19 dicembre 2000 (pervenuta alla Corte costituzionale il 3 ottobre 2001) dal g.i.p. del tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di Annesi Stefano ed altri Edilizia e urbanistica - Regione Toscana - Opere di ristrutturazione edilizia e di mutamento di destinazione d'uso - Assoggettamento al semplice obbligo di attestazione di conformita' anziche' a concessione edilizia come stabilito dalla normativa statale - Conseguente inapplicabilita' delle sanzioni penali stabilite dalle leggi statali - Indebita legiferazione regionale in materia penale. - Legge Regione Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, art. 4, comma 1, lett. e), comma 5 e comma 2, lett. d). - Costituzione, artt. 3 e 25. Edilizia e urbanistica - Legge urbanistica - Attribuzione alla potesta' legislativa regionale di stabilire i mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche dell'uso di immobili, da sottoporre a concessione o ad autorizzazione - Incidenza sul principio di uguaglianza per la possibilita' di differente trattamento di situazioni identiche nelle diverse regioni - Indebita legiferazione in materia penale riservata allo Stato. - Legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 25, ultimo comma. - Costituzione, artt. 3 e 25.(GU n.43 del 7-11-2001 )
IL TRIBUNALE Esaminati gli atti del procedimento penale sopra emarginato a carico di: Annesi Stefano, nato a Roma il 25 giugno 1960; Coccoluto Domenico, nato a Monte Argentario il 25 settembre 1937; Bagatti Enrico, legale rappresentante della CERITEC, con sede legale in Roma, via Manfredo Fanti n. 19, da compiutamente generalizzare; Indagati per i reati di cui: Annesi Stefano e Bagatti Enrico - A) all'art. 110, c.p.; all'art. 20, lett. b) legge 28 febbraio 1985, n. 47 perche', in concorso tra loro, l'Annesi in qualita' di proprietario - committente dell'immobile sito in Porto Santo Stefano, alla via Oratorio n. 16 (immobile rientrante nella zona classificata A1 di P.R.G.: edifici di rilevante interesse storico ambientale, in zona sottoposta a vincolo paesistico ambientale ai sensi dell'art. 138 ss. del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), il Bagatti in qualita' di legale rappresentante della ditta costruttrice CERITEC, con sede legale in Roma, via Manfredo Fanti n. 19, eseguivano, in totale assenza di concessione edilizia, opere edilizie finalizzate al mutamento di destinazione d'uso dell'immobile per uso abitativo, consistenti in: realizzazione di nuove tramezzature interne, al livello inferiore, atte a creare un nuovo locale bagno, con dimensioni di m 02,60 x 01,40; realizzazione di nuovi impianti ed allacci elettrici ed idrici, funzionali alla realizzazione di un angolo cottura; fatti accertati in Porto Santo Stefano, in data 10 giugno 2000; Annesi Stefano e Coccoluto Domenico - B) agli artt. 110, c.p.; art. 20, lett. c) legge 28 febbraio 1985, n. 46; art. 163 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490; perche', in concorso tra loro, l'Annesi in qualita' di proprietario - committente dell'immobile sito in Porto Santo Stefano, alla via Oratorio n. 16 (immobile rientrante nella zona classificata A1 di P.R.G.: edifici di rilevante interesse storico ambientale, in zona sottoposta a vincolo paesistico ambientale ai sensi dell'art. 138 ss. del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), il Coccoluto in qualita' di costruttore, eseguivano, in totale assenza di concessione edilizia e dell'autorizzazione prevista dall'art. 151 d.lgs. n. 490/1999, l'apertura di una nuova finestra sulla facciata dell'edificio, poco distante dalla porta di ingresso, delle dimensioni di m. 0,54 x 0,87, opera alla data di accertamento ancora in corso di completamento; fatti accertati in Porto Santo Stefano, in data 7 agosto 2000; Vista la richiesta del pubblico ministero di sequestro dell'immobile sito in Porto Santo Stefano, via dell'Oratorio n. 16 di proprieta' di Annesi Stefano, O s s e r v a i n f a t t o Il 10 giugno 2000 ed il 7 agosto 2000 la polizia municipale di Monte Argentario, nell'esercizio dei poteri di vigilanza edilizia eseguiva sopralluoghi su un immobile, sito nel comprensorio di Porto S. Stefano, ricadente in zona A1 di P.R.G. e classificato in catasto - in base al decreto ministeriale 19 febbraio 1962 (nella Gazzetta Ufficiale 20 aprile 1962 n. 104) - nella categoria C/2 (magazzini e locali di deposito, ossia tra le unita' immobiliari a destinazione ordinaria commerciale e varia), che dagli anni ottanta in poi aveva sempre ospitato la sede di un partito politico. In esito alle verifiche, la polizia giudiziaria rilevava l'esecuzione di lavori (in specie: tramezzature interne ed installazione di impianti idrici ed elettrici per la creazione di un bagno ed un angolo cottura; apertura luce nella muratura perimetrale per la creazione di una finestra) finalizzati a consentire l'uso dell'immobile per fini abitativi, senza che fossero state richieste e conseguite ne' la concessione edilizia, ne' l'autorizzazione ex art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, ritenuta necessaria sul presupposto della localizzazione dell'immobile in zona vincolata ai sensi dell'art. 138 dello stesso decreto. A seguito della comunicazione della notizia di reato, il p.m. inoltrava a questo giudice richiesta di sequestro preventivo del predetto immobile, rilevando come i lavori eseguiti comportino una variazione degli standards, determinando il passaggio dei locali dalla categoria commerciale a quella residenziale; I n d i r i t t o La normativa statale. Gli interventi edilizi rilevati dalla polizia giudiziaria integrano una ipotesi di abusivo mutamento di destinazione d'uso di un immobile eseguita mediante interventi di ristrutturazione dello stesso. Infatti, il mutamento d'uso e' stato attuato con la realizzazione di tramezzature, l'apertura di luci e la realizzazione di impianti tecnologici su un immobile del centro storico con destinazione commerciale, interventi per i quali sarebbe stato necessario il titolo concessorio. I parametri normativi dai quali si desume il regime amministrativo del mutamento di destinazione sono costituiti: da un lato, dall'art. 1 legge n. 10/1977 in base al quale e' soggetta a concessione "ogni attivita' comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale" e dall'art. 31 legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dalla predetta legge, che specifica che chiunque intenda modificare le costruzioni esistenti deve chiedere apposita concessione al sindaco; dall'altro, dall'art. 8 lett. a) della legge 28 febbraio 1985 n. 47, che qualifica come "essenziale" la variazione apportata al progetto approvato che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444. La problematica del mutamento d'uso degli edifici, della sua disciplina amministrativa e del trattamento sanzionatorio penale in caso di violazione si e' sviluppata prevalentemente nella giurisprudenza, della quale alcune soluzioni sono state poi recepite dalla legislazione in materia urbanistica. Importante momento di sintesi della problematica e di orientamento giurisprudenziale e' rappresentato dalla sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione 29 maggio 1982 n. 6, Querqui Guetta. Questa decisione, nell'affrontare il problema dell'assoggettabilita' a sanzione del mutamento d'uso - senza opere di un immobile realizzato dopo il 1967 - operava una distinzione preliminare tra mutamento nell'uso e mutamento della destinazione d'uso per stabilire che soltanto il secondo, accompagnato o meno dall'esecuzione di opere edilizie, richiedeva la concessione e comportava, in caso di violazione, la sanzione penale (prevista allora dall'art. 17 lett. a della legge 28 gennaio 1977 n. 10, oggi dall'art. 20 lett. a legge n. 47/1985). Per contro il mutamento nell'uso non accompagnato ne' da opere ne' da cambiamento nella destinazione d'uso, doveva essere ritenuto giuridicamente irrilevante. Il ragionamento della Suprema Corte ruotava sulla valorizzazione della normativa che, a partire dal 1962, aveva imposto ai comuni di disciplinare e governare il territorio mediante una ripartizione dello stesso in zone, "chiamate a svolgere una funzione ben definita nell'ambito del piu' ampio quadro del piano generale, non solo in relazione alle zone non ancora o soltanto in parte edificate, ma anche per quelle gia' sature di costruzioni". La sentenza defini' il concetto di destinazione d'uso di un immobile (ed il suo mutamento) in funzione dell'organizzazione urbanistica del territorio comunale, quale risultante della normativa della legge e degli strumenti di pianificazione (piano regolatore generale o particolareggiato, programma di fabbricazione, lottizzazioni convenzionali): l'art. 41-quinquies commi 8 e 9 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 gia' allora aveva stabilito, introducendo per la prima volta nell'ordinamento gli standards urbanistici, che nella pianificazione del territorio i comuni dovessero serbare "limiti inderogabili di densita' edilizia (rapporto volume superficie), di altezza, di distanza tra fabbricati, nonche' rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, verde pubblico o a parcheggi". I limiti tra rapporti predetti per zone territoriali omogenee sono state definite con il decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444. Secondo la successiva interpretazione giurisprudenziale (cfr. Cass. Sez. VI 14 gennaio 1992, Baccalini) per effetto dell'art. 8 comma 1 lett. a) della legge 20 febbraio 1985 n. 47, i concetti di destinazione d'uso e di suo mutamento non sarebbero piu' soltanto il prodotto di un autorevole opinione giurisprudenziale, ma avrebbero acquisito la forza di una vincolante definizione legislativa: la norma, infatti, nello stabilire che per interventi comportanti variazioni essenziali all'edificio e' obbligatoria la concessione, perche' il mutamento della destinazione d'uso costituisce sempre variazione essenziale, ha anche definito legislativamente il concetto di destinazione d'uso, statuendo che esso deve implicare la variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968. A questa disposizione mostra di avere fatto riferimento anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 73/1991, interpretando la disposizione nel senso che la stessa avrebbe assoggettato il mutamento di destinazione al regime della concessione solo quando sia connesso a variazioni essenziali "del progetto", comportanti variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, valorizzando il dato testuale del riferimento alle variazioni essenziali "del progetto" per inferire la necessita' che le modifiche apportate all'immobile, per richiedere la concessione, siano strutturali. Dal tenore di detta norma e dal suo collegamento con l'art. 25 ultimo comma, che demandava al legislatore regionale di stabilire "criteri e modalita' cui dovranno attenersi i comuni, all'atto della predisposizione di strumenti urbanistici, per l'eventuale regolamentazione, in ambiti determinati del proprio territorio, della destinazione d'uso degli immobili, nonche' dei casi in cui, per la variazione di essa, sia richiesta la preventiva autorizzazione", si inferiva che la modifica funzionale della destinazione, non connessa all'esecuzione di interventi edilizi, poteva essere assoggettata soltanto al regime dell'autorizzazione. La Corte delle leggi, in altri termini, ha legato la disciplina del mutamento a quella delle opere con le quali lo stesso viene attuato. Nel caso di specie, la trasformazione dei locali di cui si chiede il sequestro puo' essere sussunta in una delle ipotesi dell'art. 20 legge n. 47/1985 tanto portando alle estreme conseguenze i principi enunciati dalle sezioni unite della Cassazione, quanto alla luce dell'interpretazione della Consulta. In base all'orientamento delle ss.uu., cioe', a prescindere dall'esistenza di interventi funzionali alla trasformazione e dal regime edilizio degli stessi, la condotta potrebbe essere ricondotta nell'ipotesi dell'art. 20 lettera a) legge n. 47/1985; sulla base di quello della Corte costituzionale, invece, si potrebbe ritenere l'integrazione, a seconda dei casi, delle ipotesi sub b) o c) dello stesso articolo, attribuendo rilievo non tanto al mutamento d'uso in se', quanto al fatto che i lavori edili ad esso funzionali integrino un intervento di ristrutturazione. Nel caso di specie, infatti, appare comunque realizzata la condizione cui tanto la Cassazione, quanto la Corte costituzionale subordinano la rilevanza della trasformazione, ossia la violazione del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444. Il mutamento della originaria destinazione commerciale dell'immobile in quella residenziale comporta, infatti, violazione di standards urbanistici: per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 41-quinquies citato sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante - insediato o da insediare - una dotazione minima di spazi pubblici. Di conseguenza, l'aumento del carico abitativo, conseguente all'utilizzo residenziale ad un immobile in precedenza destinato ad altro, alterando la proporzione tra spazi ed abitanti fissata in via normativa, determina una violazione di detti standards. La normativa della Regione Toscana. Sulla disciplina della legge statale, pero' si sovrappone quella dettata dalla legge della Regione Toscana 4 ottobre 1999, n. 52 in attuazione dell'art. 25 ultimo comma della legge 1985 n. 47 ("le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, subordinare a concessione, e quali mutamenti connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione"). Tale articolato normativo ha sottoposto "ad attestazione di conformita' con le vigenti norme degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali, delle salvaguardie regionali, provinciali e comunali ... i mutamenti di destinazione d'uso degli immobili, edifici ed aree anche in assenza di opere edilizie, nei casi previsti dalla legge regionale 23 maggio 1994, n. 39" (art. 4 comma 1), comunque subordinando detti interventi "alla autorizzazione edilizia rilasciata dal comune ove sussista anche una sola delle seguenti condizioni: a) gli immobili interessati siano assoggettati a vincolo ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089; b) per l'esecuzione delle opere sia prescritto anche il rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497" (art. 4 comma 5). Ai sensi dell'art. 4, comma 2 "sono inoltre oggetto di attestazione di conformita' ... gli interventi di ristrutturazione edilizia, ossia quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". Sulla base della predetta normativa, quindi, non solo la modificazione della destinazione d'uso in se' considerata, ma anche gli interventi accertati dalla polizia operante si dovrebbero considerare penalmente irrilevanti, in quanto sottratti dalla normativa regionale al regime concessorio. Evidentemente non puo' che dubitarsi della legittimita' costituzionale non solo dell'art. 4 commi 1 lett. e) e 5 nn. 1) e 2), nonche' comma 2 LRT 14 ottobre 1999, n. 52, ma ancor prima dell'art. 25 della legge n. 47/1985 per contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione. La questione implica anche quella della legittimita', in rapporto sempre ai medesimi parametri degli artt. 3 e 25 della Costituzione e per le medesime ragioni, dell'art. 4 comma 2 lett. d) della LRT n. 52/1999, che ha sottratto la ristrutturazione edilizia al regime concessorio fissato dalla legge statale. Infatti, in caso di dichiarazione d'illegittimita' delle norme denunciate, l'unica disposizione normativa alla quale rifirsi per definire il regime amministrativo e penale del mutamento di destinazione, non potrebbe che essere quella dell'art. 8 legge n. 47/1985, come interpretata da codesta Corte, e dell'art. 31 lett. d) della legge 5 agosto 1978 n. 457: qualificati gli interventi edilizi funzionali alla modificazione della destinazione dell'immobile come di ristrutturazione, si ripropone nei medesimi termini il problema di sovrapposizione della normativa regionale a quella statale, con violazione dei principi di uguaglianza e di riserva di legge. Inoltre: R i t e n u t o Quanto alla fondatezza della questione: 1) che l'attribuzione alle regioni del potere di stabilire quali interventi siano soggetti a concessione edilizia viola, in primo luogo, il principio di uguaglianza tra i cittadini, in quanto - in ragione delle differenti determinazioni che possono essere assunte dagli organi legislativi regionali - la rilevanza penale di una medesima condotta viene a dipendere, in definitiva, dal luogo in cui il reato e' stato accertato, con la conseguenza che un medesimo comportamento riceve trattamenti differenti nell'ambito dello stesso territorio nazionale, con sostanziale abrogazione del principio di obbligatorieta' e di territorialita' della legge di cui agli artt. 3 e 6 del codice penale. Il principio di uguaglianza formale, sancito nell'art. 3 comma 1 della Costituzione impone al legislatore di assicurare un trattamento uniforme di situazioni omogenee, per cui non puo' essere invocato rispetto al trattamento di situazioni intrinsecamente eterogenee: in questo caso, infatti, la disciplina differenziata non puo' essere ritenuta arbitraria. Di conseguenza, la limitazione dell'efficacia di una legge statale ad un ambito territoriale piu' ristretto di quello dell'intero territorio nazionale non comporta violazione del principio di uguaglianza quando tale limitazione trovi fondamento in speciali situazioni delle zone considerate. Nel caso di specie, pero', non si rileva alcuna ragione di ordine obiettivo in ragione della quale la disciplina dell'uso del territorio toscano debba essere differenziata da quella del restante ambito nazionale; 2) che le disposizioni denunciate violano, inoltre, il principio della riserva di legge in materia penale. La tecnica legislativa utilizzata nella formulazione dell'art. 20 della legge n. 47/1985 implica che la definizione del precetto avvenga attraverso l'integrazione della norma citata con le disposizioni di natura extrapenale che determinano i casi in cui l'esecuzione di lavori edili richieda il conseguimento di preventiva concessione edilizia. Il riconoscimento in favore delle regioni del potere di individuare il regime edilizio di un'opera implica di necessita' anche l'attribuzione di una potesta' normativa in ambito penale, poiche', in dipendenza dalle scelte effettuate, una determinata fattispecie cessera' di essere o, al contrario, diventera' penalmente rilevante. Le regioni, pero', non hanno competenza legislativa in materia penale, che non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 117 della Costituzione. Il potere legislativo penale appartiene soltanto allo Stato e la competenza esclusiva dello Stato legiferare in un campo, che attiene a quella salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo che la Costituzione afferma e pone a base di tutto l'ordinamento giuridico dello Stato, risulta dal testo dell'art. 25 della Costituzione. Che questo articolo si riferisca nel secondo comma alla sola legge statale risulta dalla natura dei diritti che da esso vengono toccati, ed e' comprovato dalla portata inequivocabile che ha la stessa parola "legge" quando e' adoperata negli altri due commi dell'art. 25, che trattano di materie le quali attengono a diritti fondamentali di liberta', e che percio' sicuramente rientrano nella sfera di competenza dello Stato "uno e indivisibile". Infatti, se si esaminano tutti gli articoli della Costituzione, nei quali si rinvia puramente e semplicemente alla "legge" la disciplina dei diritti individuali e delle funzioni e potesta' degli organi costituzionali dello Stato, si vede che essi si riferiscono sempre alla legge statale. Pertanto la disciplina del potere punitivo resta riservato lo Stato ed e' del tutto precluso le regioni, sia quelli ad ordinamento comune, sia quelle a statuto speciale (Corte costituzionale 19 gennaio 1957 n. 1 e 12 novembre 1962 n. 90). Poiche' il potere sanzionatorio penale appartiene solo legislatore statale, le regioni possono solo assoggettare, con loro norme, materie nelle quali hanno competenza legislativa alla legislazione dello Stato gia' vigente in quella materia, ivi comprese le norme penali in essa contenute, le quali continueranno ad applicarsi in quanto norma statale (Corte costituzionale 13 novembre 1969 n. 142 e 29 dicembre 1982 n. 239), ma e' escluso che, per il solo fatto di avere autonoma potesta' normativa in quelle materie, dispongano del potere di introdurre, di rimuovere o variare con proprie leggi norme penali nelle materie stesse, spettando solo allo Stato di fornire, attraverso la propria legislazione, il presidio della tutela penale alla legislazione regionale. (Corte costituzionale 12 maggio 1977, n. 79). Pertanto le disposizioni dell'art. 4 commi 1 lett. e), comma 5 nn. 1) e 2) e comma 2 della legge regionale Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, nonche' l'art. 25 ultimo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47, appaiono costituzionalmente illegittime perche' in contrasto anche con l'art. 25, comma 2 della Costituzione: le prime nella parte in cui, sottraendo le modificazioni della destinazione d'uso e gli interventi edilizi di ristrutturazione al regime concessorio escludono l'applicazione delle norme di legge statali aventi natura penale. L'art. 25 u.c. nella parte in cui attribuisce alle regioni una potesta' normativa incidente anche in campo penale, consentendo una disciplina del mutamento d'uso difforme da quella desumibile dalla legge statale. R i t e n u t o Quanto alla rilevanza della questione: 1) che la questione appare decisiva per il prosieguo del procedimento, imponendone la delibazione immediata e facendo escludere la opportunita' di differimento alla conclusione della fase, proprio in considerazione dell'idoneita' delle norme sospettate di costituzionalita' ad escludere la rilevanza penale della condotta e, di contro, dell'efficacia della loro rimozione rispetto alla concessione della misura cautelare reale richiesta; 2) che la concessione dell'invocata misura cautelare reale dipende esclusivamente dalla possibilita' di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta dell'art. 20 legge n. 47/1985 citata, preclusa dalla concorrenza delle norme denunciate. Secondo la prospettazione del p.m. sono configurabili i reati previsti: dall'art. 20 lett. b) legge 28 febbraio 1985 n. 47, in relazione ai lavori eseguiti all'interno dell'immobile; dall'art. 20 lett. c) legge n. 47 citata e dall'art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, in relazione all'apertura di una luce delle dimensioni di m. 0,54 x 0,87. Premesso che l'obiettiva connessione e consequenzialita' temporale tra le opere costituisce presupposto per l'applicazione del regime della continuazione tra violazioni omogenee, con la conseguenza che i fatti potranno ritenersi integrare o l'ipotesi di cui alla lettera "b)" o quella della lettera "c)", ma non contemporaneamente l'una e l'altra, a parere di questo giudice non e' configurabile il reato di cui all'art. 163 cit. alla luce della giurisprudenza di codesta Corte formatasi sull'art. 1-sexies della legge 8 agosto 1985 n. 431, applicabile anche all'art. 163, che ha sostituito, senza sostanzialmente modificare, la disposizione della legge "Galasso". Con le sentenze della Corte costituzionale nn. 360/1995, 133/1992, 333/1991, 296/1996 e 247/1997, si e' precisato che l'oggetto della tutela apprestata dall'art. 1-sexies legge n. 431/1985 e' la protezione dell'ambiente nella sua proiezione estetica, funzionale e materiale sul paesaggio, finalizzata ad impedire interventi potenzialmente idonei a pregiudicare l'assetto ed il governo del territorio. La delimitazione dell'interesse protetto influenza il giudizio sulla tipicita' della fattispecie concreta rimesso al giudice, il quale e' chiamato a valutare - attraverso un giudizio in astratto ed ex ante, atteso il carattere formale del reato - se la condotta sia potenzialmente idonea ad incidere in maniera apprezzabile sull'assetto territoriale e ambientale. Il criterio per tale valutazione non puo' che essere offerto dalla natura dell'interesse specificamente protetto attraverso il vincolo, ovverosia dal tipo di vincolo gravante sulla zona o sull'immobile oggetto degli interventi abusivi. Pertanto, in presenza, come nel caso di specie, di un vincolo paesaggistico, occorrera' verificare l'attitudine delle opere ad alterare, in modo apprezzabile, il quadro estetico d'insieme dell'area. Procedendo alle predette valutazioni attraverso l'esame delle fotografie dei luoghi, deve escludersi che la condotta fosse idonea a produrre una lesione dell'interesse protetto, non apparendo pregiudicato l'aspetto d'insieme dell'area: la modificazione dell'opera preesistente, che non e' situata in punto panoramico, non incide in modo apprezzabile sul paesaggio. Cosi' stando le cose, si deve ritenere non necessaria l'autorizzazione ex art. 151 del d.lgs. n. 490/1999, mentre era necessario il preventivo conseguimento della concessione edilizia; 3) che non e' possibile ricavare dall'art. 25 u.c. della legge 28 febbraio 1985 n. 47 alcuna disposizione conforme a Costituzione. Si e' gia' detto che l'intervento della Corte costituzionale ha cristallizzato il criterio discretivo del regime amministrativo del mutamento d'uso nelle caratteristiche dell'intervento edilizio ad esso funzionale (per cui si doveva ritenere esclusa dal regime della concessione ogni ipotesi di mutamento di destinazione non connessa con modifiche strutturali dell'immobile). L'art. 25 u.c. citato contiene una innovazione particolarmente significativa, che rende plausibile la sottoposizione al regime concessorio delle modificazioni d'uso meramente funzionali. La norma, infatti, impone una riconsiderazione dell'interpretazione dell'art. 8 lett. a) affermatasi negli anni, grazie anche alla sentenza della Corte costituzionale prima richiamata, implicando che il mutamento di destinazione e' una categoria di intervento edilizio a se' stante, di per se' rilevante a prescindere dalla natura delle opere funzionali al suo conseguimento, con conseguente superamento della tradizionale coppia di binomi: "modifica strutturale/concessione; modifica funzionale/autorizzazione", nonche' lo sganciamento del regime amministrativo (e penale) del mutamento d'uso da quello delle opere ad esso funzionali. Nello scrivere la norma, sembra che il legislatore abbia avuto presente piu' le ragioni che avevano spinto nel 1982 le ss.uu. a ritenere integrabile la violazione dell'art. 17 lett. a) legge n. 10/1977 in presenza di una modificazione funzionale, piuttosto che quelle sottostanti alla decisione della Corte delle leggi del 1991. A parere di questo giudice la disposizione dell'art. 8 lett. a) legge n. 47/1985 presuppone un abuso realizzato nel corso dell'esecuzione di opere regolarmente concessionate, per cui non puo' costituire il (solo) paradigma alla stregua del quale valutare la rilevanza di condotte poste in essere (magari) a distanza di tempo dall'ultimazione di lavori legittimamente eseguiti. In altri termini, se la disposizione puo' essere assunta a scopo definitorio, al fine di stabilire quando la modificazione nell'uso di un immobile si puo' qualificare come mutamento di destinazione, la variazione del progetto non si puo' invece ritenere elemento costante della condotta penalmente sanzionata, tale per cui in mancanza di lavori da eseguire in conformita' ad un progetto non vi puo' essere reato. Se la funzione degli strumenti urbanistici e' quella di disciplinare le modalita' di utilizzazione e di governo del territorio, e' ben possibile ipotizzare la violazione di detta normativa in presenza di un uso dello stesso difforme da quello programmato, a prescindere dall'esistenza di opere edili postulanti il rilascio di concessione edilizia. In tutti questi casi rimane costante un dato, ossia la violazione dell'ordinamento normativo edilizio (inscindibilmente connessa con la definizione di mutamento di destinazione, che fa leva sulla violazione degli standards), oggi sanzionata dall'art. 20 lett. a) della legge n. 47/1985, che - a differenza delle ipotesi sub lettere b) e c) - non presuppone l'esecuzione di lavori edili. Diversamente, non avrebbe neppure rilievo pratico attribuire rilievo al mutamento dell'uso come categoria edilizia, agganciandone la definizione alla violazione degli standards, per poi farne dipendere il regime da quello delle opere. In base a tali premesse si deve concludere che il mutamento di destinazione costituisce una categoria edilizia a se' stante ed autonomamente disciplinata e sanzionata. Con l'ulteriore conseguenza che, quando ad essa si accompagnino lavori la cui esecuzione richiede un titolo concessorio, puo' configurarsi un concorso di reati edilizi. Dall'ampliamento della portata applicativa dell'art. 8 della legge n. 47/1985 discende l'impossibilita' di ricavare una interpretazione della disposizione dell'art. 25 u.c. della stessa legge conforme a Costituzione, non potendo la stessa legittimare altro che una normativa regionale che sottoponga a sanzione penale condotte identiche a quelle gia' punite dalle norme statali e che quindi sanzioni anche le modificazioni solo funzionali; 4) che occorre anche risolvere le interferenze tra la normativa statale e quella regionale sulla materia della ristrutturazione, perche' non e' possibile qualificare gli interventi rilevati diversamente da opere di ristrutturazione edilizia in base all'interpretazione del combinato disposto dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 e dell'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (cfr. Cass. sez. III n. 8332 del 23 luglio 1994, Cannarsa e n. 4021 del 10 gennaio 1997, imp. Cozzolino; Cass. sez. III sent. 8602 del 27 luglio 1996, Pruneri; Cass. sez. III sent. 1776 del 19 febbraio 1982; Cons. Stato sez. V sent. 567 dell'11 aprile 1995; Cons. Stato sez. V sent. 1559 del 21 dicembre 1994). In base alla normativa statale, le opere edilizie funzionali al mutamento d'uso non si possono qualificare in termini di manutenzione straordinaria, atteso il vincolo di tali interventi al mantenimento della destinazione d'uso, ne' come di restauro conservativo in quanto, in base all'art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457, con tali lavori e' possibile imprimere all'immobile una destinazione d'uso differente da quella originaria, a condizione che sia compatibile con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo edilizio. Gli interventi ammissibili in tale prospettiva sono quelli che tendono alla conservazione degli elementi costitutivi dell'edificio (e' possibile il loro consolidamento, ripristino e/o rinnovo), perche' l'inserimento di elementi alieni in tanto e' compatibile, in quanto riguardi elementi accessori. Di certo non si puo' qualificare come inserimento di elemento accessorio la creazione di un servizio igienico e di un locale cucina, consistendo in un intervento che determina una trasformazione delle caratteristiche tipologiche e strutturali dell'immobile preesistente. Gli artifizi interpretativi cui si deve ricorrere per ricondurre gli interventi ad una categoria postulante il titolo autorizzatorio risultano palesi, una volta che si rapporti la condotta concreta alla fattispecie prevista dall'art. 31 lett. d) legge citata, che qualifica come "interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". Il che e' quanto accade nel caso di specie, dove con l'alterazione degli elementi costitutivi dell'edificio, e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, e' stata modificata l'originaria vocazione commerciale dell'immobile. Ne' deve trarre in inganno che la maggior parte delle opere eseguite, salvo l'apertura della luce, presenti carattere interno. L'attivita' di ristrutturazione puo' attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi alla nozione di "opere interne". L'elemento caratterizzante, che determina la qualificazione, e' la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente, ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio (concetto del tutto differente dal recupero architettonico) attraverso la realizzazione di un immobile in tutto o in parte nuovo. Rilevato che la presente ordinanza costituisce il primo atto che viene portato a conoscenza degli indagati ed in relazione al quale puo' sussistere un interesse delle parti a dedurre, ai sensi dell'art. 369 c.p.p. si reputa necessario garantire ai prevenuti la possibilita' di esercitare la facolta' di nominare difensori di fiducia.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto l'art. 4 comma 1 lett. e), comma 5 nn. 1) e 2) e comma 2 della legge regionale Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, nonche' l'articolo 25 ultimo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47 in relazione agli artt. 3 e 25 della Costituzione nei sensi di cui in motivazione; Sospende il procedimento iscritto al n. 00/3230 del registro delle notizie di reato ed al n. 00/3219 del registro g.i.p.; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli indagati, anche avvalendosi dell'ausilio della polizia giudiziaria, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Invita ai sensi e per gli effetti previsti dall'art. 369 c.p.p. Annesi Stefano, Coccoluto Domenico e Bagatti Enrico ad esercitare la facolta' di nominare un difensore di fiducia. Grosseto, addi' 23 novembre 2000 Il giudice per le indagini preliminari: Mammone IL TRIBUNALE Esaminati gli atti del procedimento penale sopra emarginato a carico di: Annesi Stefano, nato a Roma il 25 giugno 1960; Coccoluto Domenico, nato a Monte Argentario il 25 settembre 1937; Bagatti Enrico, legale rappresentante della CERITEC, con sede legale in Roma, via Manfredo Fanti n. 19, da compiutamente generalizzare; Vista la propria ordinanza in data 23 novembre 2000 con la quale e' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, nonche' della legge della Regione Toscana n. 52 del 14 ottobre 1999; Rilevato che per errore di battitura nel corpo della motivazione e nel dispositivo sono state indicate, quali norme regionali viziate d'incostituzionalita', "l'art. 4, comma 1, lettera e), comma 5, nn. 1) e 2), e comma 2" invece che "l'art. 4, comma 1, lettera e), comma 5 e comma 2, lettera d), nn. 1) e 2)"; D i s p o n e A parziale rettifica dell'ordinanza in data 23 novembre 2000, emessa nel procedimento n. 00/3230 del registro delle notizie di reato e n. 00/3219 del registro G.I.P., che dove si legge "l'art. 4, comma 1, lett. e) comma 5, nn. 1) e 2), e comma 2" si legga "l'art. 4, comma 1, lett. e), comma 5 e comma 2, lett. d), nn. 1 e 2)" della legge regionale Toscana 14 ottobre 1999 n. 52. Manda alla cancelleria per la notificazione agli indagati, anche avvalendosi dell'ausilio della polizia giudiziaria, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e la comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Ordina l'unione del presente decreto all'ordinanza in data 23 novembre 2000. Grosseto, addi' 19 dicembre 2000 Il giudice per le indagini preliminari: Mammone 01C1045