N. 885 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 agosto 2001

Ordinanza  emessa  il  10  agosto  2001  dal tribunale di Bologna nel
procedimento civile vertente tra Cressati Claudio e Brindisi Caterina

Procedimento civile - Competenza per territorio - Foro delle cause in
  cui  sono  parti i magistrati - Spostamento di competenza stabilito
  dall'art. 30-bis cod. proc. civ. (con rinvio all'art. 11 cod. proc.
  pen.)   -   Applicabilita'  anche  all'esecuzione  forzata,  ed  in
  particolare  a  quella promossa per obblighi di fare e non fare (ex
  art. 612  cod.  proc.  civ.) - Conseguente devoluzione del processo
  esecutivo  ad  un  giudice  diverso  da quello individuato ai sensi
  dell'art. 26   cod.   proc.  civ.  -  Irragionevole  disparita'  di
  trattamento  -  Aggravamento  delle  condizioni  di esercizio della
  difesa   -   Contrasto   con  il  principio  del  giudice  naturale
  precostituito  per  legge  - Violazione dei principi di ragionevole
  durata  del processo e di buon andamento dell'amministrazione della
  giustizia   -   Incidenza   sul  principio  dell'unitarieta'  della
  giurisdizione
- Cod.  proc.  civ., art. 30-bis, in relazione all'art. 11 cod. proc.
  pen. e all'art. 1 disp. att. cod. proc. pen.
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, 97, 101 e 111.
(GU n.44 del 14-11-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Nella  procedura  n. 1325/2001  R.G. promossa da Claudio Cressati
contro  Caterina Brindisi ex art. 612 c.p.c., cui e' stata riunita la
procedura  n. 1444/2001  promossa da Caterina Brindisi contro Claudio
Cressati  con  altro ricorso ex art. 612 c.p.c.; a scioglimento della
riserva d'udienza e spirato il termine concesso alle parti, esaminati
gli  ulteriori  scritti difensivi, il g.e. ha pronunciata la seguente
ordinanza;
                            Premesso che
    A. - Con ricorso 24 luglio 2001 svolto ex art. 612 c.p.c. Claudio
Cressati, coniuge separato di Caterina Brindisi, magistrato esercente
le  funzioni  presso  il tribunale di Gorizia (dunque nell'ambito del
distretto  di  Trieste),  chiedeva  al  tribunale  di  Bologna, quale
giudice dell'esecuzione forzata di cui all'art. 26 comma 3 c.p.c., la
determinazione   delle  modalita'  di  esecuzione  del  provvedimento
assunto  in sede di separazione dei coniugi dal tribunale di Bologna,
con  ordinanza  presidenziale  emessa ex art. 708 c.p.c. il 30 maggio
2001;  in  tale  provvedimento,  tra  le altre, si adottava una delle
prescrizioni conformative dell'abitazione gia' proposte, e sia pur in
via  subordinata,  dallo stesso Cressati: la concessione al marito di
separare  completamente,  a  proprie  cura  e  spese, un appartamento
interno  alla  piu'  ampia  (circa  1300 mq) villa tipizzante la casa
coniugale,  cosi' potendo tornarvi per l'abitazione, una volta finiti
i  lavori:  intimata  con  precetto  l'esecuzione  spontanea  di tale
disposizione  in data 9 luglio 2001, dato atto che essa non era stata
preceduta  da  un  ingresso  assentito nell'immobile per l'inizio dei
lavori, si instava direttamente al g.e. con l'odierno ricorso;
    B. - Parimenti,  con separato ricorso depositato l'8 agosto 2001,
anche  la  moglie  separata  Brindisi  instava avanti al tribunale di
Bologna in funzione di g.e., e dunque ex art. 612 c.p.c. chiedendo la
determinazione  delle  modalita'  di  prelievo  forzoso  delle  "cose
personali"  che,  dalla  villa  di abitazione, il marito Cressati non
aveva   nel  frattempo,  e  nonostante  speculare  precetto  lasciato
inadempiuto  (e notificato il 24 luglio 2001), provveduto a ritirare;
all'udienza  9 agosto  2001 il g.e. dava atto alle parti del deposito
anche  di questo secondo ricorso, riunito preliminarmente al primo ed
oggetto  di  trattazione congiunta, sulla non opposizione di entrambe
le parti;
    C. - All'unica  udienza dunque convocata per e tenuta il 9 agosto
2001,  sulla  base  della  ritenuta  urgenza  ex  art. 92 ord. giud.,
statuita  in  calce  al  primo ricorso con decreto del Presidente del
tribunale  di  Bologna  del 3 agosto 2001, il g.e. prendeva atto che,
come dichiarato preliminarmente dal ricorrente nell'atto introduttivo
e  confermato  dalla  difesa della resistente, lo parte obbligata era
all'epoca  della  proposizione  del  ricorso  (data  di  deposito  in
cancelleria:  24  luglio 2001) ed e' attualmente magistrato esercente
le  funzioni  presso  il  tribunale  di Gorizia; la stessa parte, per
quanto premesso, e' la creditrice alla prestazione vanamente intimata
ed   oggetto   del   secondo  ricorso  promosso  ex  art. 6l2  c.p.c.
(n. 1444/2001);  tale  circostanza  di per se' rende tale fattispecie
diversa   da  quella,  gia'  considerata  in  sede  di  ordinanza  di
rimessione  alla  Corte costituzionale pronunciata da trib. Bologna -
g.e.  il  3 dicembre  1999,  che  ha  intercettato  recente  negativo
accoglimento   da   parte   della   Consulta;  nel  caso  considerato
(condominio  piazza  Monzoni, n. 3 di Carrara (MS) contro l'esecutato
Federico  Governatori  in  un  pignoramento presso terzi) il debitore
aveva svolto le funzioni di magistrato (presso la Pretura di Bologna)
ed  alla  data  dell'udienza  (la  seconda fissata avanti al g.e., in
fatto  la  prima in cui era resa la dichiarazione di terzo) lo stesso
non  era piu' appartenente alla correlativa pubblica amministrazione,
per  pensionamento intervenuto il 2 ottobre 1999; pur dandosi atto da
parte  del  g.e. che in virtu' del principio di cui all'art. 5 c.p.c.
la  proprio  competenza  andava  comunque  stabilita in ragione dello
stato  di fatto esistente al momento della proposizione della domanda
e  con  riguardo  alla  legge  in  allora  vigente,  veniva  rilevata
d'ufficio  la  questione della eventuale incompetenza del g.e. stesso
ex  art. 30-bis c.p.c.; tale disposizione, infatti, entrata in vigore
nei  termini  ordinari  e dopo la sua introduzione con l'art. 9 della
legge 2 dicembre 1998, n. 420, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il
7  dicembre 1998, n. 286 e considerando perfezionato il pignoramento,
al   piu',   al  momento  dell'esaurimento  delle  notifiche  di  cui
all'art. 543  c.p.c.,  cioe'  al 12 luglio 1999, avrebbe giustificato
l'applicazione  diretta  della  novella codicistica alla fattispecie;
Corte  costituzionale,  con  ordinanza  n. 235  del 6 luglio 2001, ha
peraltro  dichiarato  la  manifesta  inammissibilita' della questione
stessa  avendo  deciso  che il principio di cui all'art. 5 c.p.c. "e'
inapplicabile ove un mutamento dello stato di fatto (nella specie, la
cessazione  del  magistrato  dal  servizio)  faccia  sopravvenire  la
competenza   del   giudice   adito   quando   competente   non  era";
l'applicazione della menzionata regola di diritto vivente (della c.d.
competenza  sopravvenuta)  non si attaglia pero' al caso in esame: la
vicenda  non  si e' ripetuta nella fattispecie e pur tuttavia i dubbi
di  legittimita'  costituzionale  della  norma  di  spostamento della
competenza del foro dell'esecuzione forzata residuano quali intatti;
                        in fatto e in diritto
    1. - Invero,  interpretando  "il  momento  di  proposizione della
domanda"  di  cui  all'art. 30-bis  c.p.c.  come equivalente all'atto
introduttivo  dell'esecuzione  forzata  di  obblighi di fare e di non
fare  (la  data  del  deposito  del  ricorso  in cancelleria), questo
giudice  del  tribunale  di  Bologna  ravvisa  in  tale  sequenza  il
riscontro del primo presupposto, di carattere temporale non limitato,
di  cui  all'art. 5 c.p.c.; la novita' introdotta poi dal legislatore
del  1998  si  correla  sia  alla  soppressione  del  referente della
reciprocita'  quale  modello di individuazione del giudice competente
sia  all'estensione  altresi'  al  giudizio civile di un nuovo schema
designativo  precostituente  giudici diversi; se e' vero che la legge
420/98  ha  infatti,  modificando l'art. 11 c.p.p., predeterminato ex
novo  il  giudice naturale del processo penale per il caso in cui sia
persona  sottoposta  ad  indagini  o  imputato  o  persona  offesa  o
danneggiata  un  magistrato  e  nell'eventualita'  che  la competenza
ordinaria  si  debba,  in  mancanza,  radicare avanti a giudice dello
stesso  distretto  giudiziario  (salvo  l'ulteriore  spostamento  per
funzioni   venute   ad  esercitare  anche  nel  nuovo  distretto,  ex
art. 30-bis   comma 2  c.p.c.),  meno  agevole  e'  l'identificazione
razionale  del  presupposto  di spostamento di competenza riferito ai
vari  tipi  di  giudizio civile; per esso la novella ha infatti usato
l'espressione  "cause  in  cui  sono comunque parti magistrati" e, al
secondo  comma,  evoca  la  "chiamata  in  giudizio"  quale  atto cui
riferirsi per determinare un secondo spostamento di competenza;
    2. - Ritiene  questo  giudice che la dizione impiegata non possa,
allo  stato  della  interpretazione  possibile  e senza delimitazioni
normative quali pur evocate in via ipotetica da recenti arresti degli
stessi   giudici   costituzionali  per  la  legislazione  previgente,
escludere  che  tuttavia  anche  il  processo dell'esecuzione forzata
imponga  un  mutamento  di  competenza  con  devoluzione del relativo
procedimento,  nella  vicenda de qua, proprio al tribunale di Bologna
in  funzione di giudice dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e
non fare (secondo la tabella "A" annessa alla legge 420/98 e non piu'
in  ragione  del  luogo  ove  dovrebbe  essere  adempiuto, ex art. 26
comma 3   c.p.c.);   cio'   deriva   dallo   stesso   dato   testuale
dell'art. 30-bis c.p.c. che, nel riferirsi a "cause [...] che secondo
le  norme  del presente capo sarebbero attribuite alla competenza" di
un   dato   giudice   opera   un   sicuro   richiamo   agli  istituti
dell'esecuzione  forzata,  appunto ricompresi - quanto alle regole di
competenza - nel capo Io ("del giudice") del titolo Io ("degli organi
giudiziari") del libro Io del c.p.c.;
    3. - La  presunta  estraneita'  dell'art. 3-bis c.p.c. ai casi di
competenza  territoriale  non  derogabile  di cui all'art. 28 c.p.c.:
trattasi,  quanto  a  tale  seconda  disposizione,  di disciplina che
contempla,  tra  gli  altri,  il  foro  dell'esecuzione  forzata che,
proprio  in  base  al  primo  comma  dell'art. 38  c.p.c., vincola al
rilievo   officioso   all'inizio  del  processo,  evento  (a  volerne
l'assimilazione  al  processo  esecutivo)  verificatosi essendo stata
sottoposta  la  questione alle parti all'udienza del 9 agosto 2001 ed
anzi  essendosi  riservato  il g.e., dopo il contraddittorio anche su
tale  punto,  di eventualmente esplicitare subito e in via definitiva
la   propria   non   competenza:   contestualmente  va  dubitato  che
un'interpretazione   siffatta  dell'art. 30-bis  c.p.c.  possa  dirsi
costituzionalmente  coerente con un ragionevole assetto regolativo di
altri   interessi   parimenti  tutelati  nell'ambito  dell'esecuzione
forzata  ed  il  cui ingiustificato sacrificio sembra derivare da una
assoluta  prevalenza data al foro derogatorio fissato in via generale
ed  all'apparenza  cogente  dall'art. 11  c.p.p,  cui  rinvia appunto
l'art. 30-bis  c.p.c.; e cio' nonostante l'intera vicenda processuale
contrapponente  i  coniugi  Cressati-Brindisi  sia  stata finora, per
scelta  della  magistrato-Brindisi  in  sede  di  separazione  e  per
elezione  processuale  del  marito-Cressati  in  sede  di  esecuzione
forzata  (e  poi  della  stessa  Brindisi)  quella di investire delle
"cause"  il  tribunale  di  Bologna:  pari efficacia preclusiva viene
inoltre  qui negata al provvedimento presidenziale del 30 maggio 2001
che  infatti,  sul punto, non esplicita alcun avviso, nemmeno adesivo
alla qualificazione di competenza indicata da parte ricorrente:
                   Osserva invero questo g.e. che:
    a. - Il  legislatore  penale  storicamente  per  primo  ha inteso
assicurare  l'esigenza generale di estraneita' effettiva ed apparente
del  magistrato  rispetto  agli  interessi  del  processo, tutelando,
attraverso  la  previsione  di  uno  deroga  all'unico  foro  di  cui
all'art. 8  c.p.p.,  uno spostamento dell'attivita' giudiziaria anche
distante  dal  luogo  della  commissione del reato; essendo invero il
processo  penale deputato essenzialmente all'accertamento di esso, e'
stata  ritenuta  prevalente sul criterio generale individuativo della
competenza   per   territorio   la   piu'  apprezzabile  esigenza  di
neutralizzare  il  rischio,  cosi'  censito  dal  legislatore, di una
qualche  influenza  proprio  sulla  genuinita'  dell'accertamento del
fatto  ascritto  all'imputato (quando tale sia il magistrato o questo
abbia  assunto  la  veste  di  danneggiato  o  parte offesa) quale vi
potrebbe  essere  in correlazione ai rapporti sussistenti all'interno
dell'organizzazione  giudiziaria  tra  organi e singoli componenti di
essi;  il  prestigio  e  l'indipendenza  della  magistratura (e della
funzione  giurisdizionale) sono dunque garantiti assicurando in primo
luogo  che  il convincimento giudiziale alla base del processo penale
si  formi  al  di  fuori  del contesto operativo in cui esercita o e'
venuto  ad  esercitare  le  funzioni  il  magistrato imputato o parte
offesa;
    b. - Se  tale  assetto  e'  stato piu' volte ritenuto compatibile
costituzionalmente  con  gli  artt. 3  e  25  della  Costituzione  e,
soprattutto,  non  incoerente  con la omessa previsione di una regola
omologa  altresi'  per  il  processo  civile  (almeno fino alla legge
420/1998),  cio'  e'  parso  agli  stessi  giudici costituzionali (ed
ancora  recentemente)  il  frutto  di  alcune differenze di fondo tra
queste  due  partizioni dell'attivita' giurisdizionale; si e' infatti
osservato (Corte costituzione 12 marzo 1998, n. 51 e 6 novembre 1998,
n. 370) che la pluralita' dei fori sussistente in genere nel processo
civile rinvia ad una "molteplicita' di interessi, riguardanti persone
e cose, che vengono in considerazione relativamente alle varie liti",
esprimendosi  la  medesima  esigenza di imparzialita' e terzieta' del
giudice  secondo modalita' attuative "non necessariamente identiche a
quelle  previste  per il processo penale"; nel processo civile, anzi,
la stessa "formazione del convincimento del giudice" appare orientata
da un apprezzabile e determinante "impulso paritario delle parti";
    c. - Di  regola,  nell'ambito del processo civile, le esigenze di
non  condizionamento del giudice sono dunque assolte con la ordinaria
previsione  degli  istituti  dell'astensione  e  della ricusazione ex
artt. 51-52  c.p.c.;  quando  il  legislatore  ha  ritenuto  che,  in
relazione alla materia dell'accertamento, concorressero altre cautele
la  cui  osservanza  non poteva dirsi sicuramente assolto mediante il
ricorso ai subprocedimenti descritti ha fissato la singola deroga con
apposita  legge:  cio'  e'  avvenuto per i giudizi di responsabilita'
connessa  ai  danni  recati  dal  magistrato nell'esercizio delle sue
funzioni, in cui proprio il diverso foro di cui all'art. 11 c.p.p. e'
stato  prescelto quale necessario dalla legge 13 aprile 1988, n. 117;
cio'  non e' invece avvenuto, dunque confermandosi l'ordinarieta' del
rimedio  dell'astensione-ricusazione  nei  giudizi  civili, e pur con
riguardo  al solo parametro della "terzieta'" del giudice ex art. 111
Cost.,  in  rapporto  ad altre fasi dello stesso processo e non a una
diversa  ragione  di collegamento con la competenza, per l'esclusione
di  alcuna "forza di prevenzione" impeditiva delle funzioni complesse
del  giudice delegato ai fallimenti, assommanti dunque legittimamente
sia  le  funzioni  di possibile autore dei provvedimenti cautelari ex
art. 146  l.fall.  e  giudice  della causa di responsabilita' sociale
prima  autorizzata  (cosi' Corte costituzione 31 maggio 2001, n. 176)
sia  quelle  di  giudice dell'accertamento sommario del passivo e poi
istruttore  e  codecisore  nel  successivo giudizio di opposizione ex
artt. 98-99   l.fall.   (cosi'  Corte  costituzione  28 maggio  2001,
n. 167);   proprio   tali   due  precedenti,  tra  l'altro,  sembrano
confermare   la   profonda   diversita'  di  parametro  individuativa
della"funzione"  del  giudice  civile,  pur  trattandosi  di  vicende
estranee  alla  materia  della "competenza per territorio" e tuttavia
accomunabili   per   la  riflessione  sul  collegamento  del  "giusto
processo"  (perche'  diretto da giudice terzo ed imparziale) rispetto
all'esecuzione forzata;
    d. - Stesso  tentativo  di  provocare  un  allargamento  di  tale
breccia  ha  trovato, come ricordato sopra, puntuale non accoglimento
presso  la  Consulta che non ha mancato, fino alla stessa prossimita'
della  legge  420/1998,  di specificare che "solo il legislatore puo'
stabilire,   nell'esercizio  del  suo  potere  discrezionale,  quando
ricorra  quell'identita'  di  ratio  che  imponga l'estensione pura e
semplice  del  criterio  di  cu  all'art. 11  c.p.p.  [...] e quando,
invece,   quella   ratio  non  ricorra  affatto  o  sia  realizzabile
attraverso  la  previsione  di  un  foro derogatorio appropriato alla
specifica  materia.  Cosi'  da  evitare che vengano sacrificati altri
interessi   e  valori  costituzionalmente  rilevanti,  come  potrebbe
accadere   ove,  ad  esempio,  per  un'esecuzione  forzata  -  specie
concorsuale  --,  o  per una causa divisorio, o per un regolamento di
confini,  finisse col diventare competente il giudice di un distretto
assai lontano dal foro attualmente singulatim, previsto nel codice di
rito   civile,  quale  sarebbe  quello  risultante  dal  nuovo  testo
dell'art. 11  c.p.p.  gia'  approvato da uno dei rami del Parlamento"
(Corte   Cost.   51/1998);   tale   identita'   di   ratio  e'  stata
incidentalmente  ritenuta  compatibile  con le previsioni derogatorie
dei  giudizi  di  responsabilita'  professionale  del  magistrato  ex
l. 117/1998 (cosi' anche Corte Cost. 370/1998);
    e. - In  realta' la dizione usata dal legislatore all'art. 30-bis
c.p.c.,  riferendosi  indifferentemente  a  tutte  "le cause in cui i
magistrati   sono   comunque   parti",  non  permette,  gia'  in  via
interpretativa,  di  rinvenire singole partizioni del processo civile
nelle  quali  l'esigenza  di  radicare  il  processo  presso  il foro
naturale  codicistico sia prevalente rispetto a quella fissata in via
generale  dall'art. 30-bis  c.p.c.  ed  a  sua  volta  annulla, in un
indistinguibile  coacervo  richiamante  tutti  i  processi civili, di
cognizione  ordinaria  e  di  esecuzione  forzata,  le  differenze di
necessario trattamento gia' cospicuamente rilevate dalla stessa Corte
costituzionale  (almeno  nei  due  precedenti  citati del 1998); tale
osservazione,  semmai, puo' maturare un convincimento di dubbio sulla
logicita' e ragionevolezza della nuova scelta operata dal legislatore
del  1998,  ma  non sembra permettere al giudice una propria, sicura,
ricognizione  della  natura  cosi'  speciale  di  talune  materie  da
giustificare, per come disciplinate in via legislativa anteriore alla
legge 420/1998,  una  deroga  alla successiva norma che fissa, ora in
via generale, lo spostamento di competenza anche per i giudizi civili
in  cui  sia  parte il magistrato: cio' invero ha fondato il corretto
radicamento,  de  jure condito, del ricorso ex art. 612 c.p.c. avanti
al  tribunale di Bologna da parte di Cressati: ne' e' possibile, come
detto,  qualificare come soggetto diverso dalla "parte" il debitore o
comunque  la  parte obbligata nei procedimenti di esecuzione forzata,
semmai  riservando  tale  qualifica  al  medesimo  solo  nei  giudizi
incidentali  nascenti  eventualmente  da  essi  (ad es. l'opposizione
all'esecuzione  forzata  od  agli  atti  esecutivi  o  di  terzo o le
controversie  ex  art. 512  c.p.c.  o  la  divisione ex artt. 599-601
c.p.c.);    puo'   convenirsi   infatti   sulla   attenuazione   che,
nell'espropriazione  privata,  lo statuto della "parte" tipizzante il
processo   di   cognizione   registra,   ma   proprio  l'impiego  (in
innumerevoli  norme: ad es. l'art. 485 c.p.c. che contrappone "parti"
ad  "interessati",  l'art. 495  c.p.c.  che  impone di decidere sulla
conversione  dopo  aver  sentito le parti, gli artt. 530 e 569 c.p.c.
che  prevedono l'udienza per l'audizione delle parti prima di emanare
l'ordinanza  di  vendita,  l'art. 548  c.p.c. che condiziona l'inizio
dell'istruzione della causa alla istanza di parte rivolta al g.e., lo
stesso  art. 612  c.p.c.  che  prescrive  di acquisire l'avviso della
parte  tenuta  al  facere  o  al  non  facere, ecc.) ancora di questa
dizione  implica solo una diversa allocazione delle facolta' connesse
al  contraddittorio  ed  ai  poteri  di  controllo  della inevitabile
scansione  che  conduce  alla realizzazione del compendio pignorato o
all'attuazione   del  titolo  esecutivo  senza  la  cooperazione  del
debitore;  tale  distinzione, invece, non vale ad escludere che essa,
gia'  per  previsione  normativa, non possa essere abbracciata da una
disciplina,  come  quella dettata dall'art. 30-bis c.p.c., che appare
perentoria  nel  riferirsi  ad ogni causa ed all'essere il magistrato
comunque  parte nel processo civile (quale, del tutto ovviamente, non
puo non essere considerato anche il processo esecutivo):
    f. - Cio' premesso appare a questo g.e. che l'estensione altresi'
ai  giudizi dell'esecuzione forzata, ed in particolare all'esecuzione
forzata  degli  obblighi  di  fare  e  di  non fare, non possa essere
qualificato,  sebbene  discendente  dall'attuale  art. 30-bis c.p.c.,
disposizione  compatibile con gli artt. 3, 24-25, 97, 101, 111 Cost.;
la  questione,  gia'  sollevata  dal  tribunale di Torino con ord. 26
luglio  1999  e  non  accolta (Corte Cost. 4 luglio 2001, n. 215) con
riferimento   ad   un   giudizio   civile  dedotto  con  riguardo  ad
obbligazioni    di   un   magistrato   non   connesse   all'esercizio
dell'attivita'  professionale, trova con tale precedente questo punto
di   contatto:   si   condivide   invero  il  giudizio  di  apparente
irragionevole  necessita'  normativa  di  derogare,  rispetto ad ogni
altra   controversia   civile,  il  principio  del  giudice  naturale
precostituito  per  legge cosi' aggravando le condizioni della difesa
(artt. 24-25   Cost.),   nonche'  di  instaurare  una  disparita'  di
trattamento  rispetto agli altri cittadini (art. 3 Cost.); la vicenda
torinese,  peraltro,  non  ha  rinvenuto  recezione diretta presso la
Corte  costituzionale in quanto lo stesso giudice remittente ha posto
nei  lavori  parlamentari alla legge 420/1998 la fonte di una diversa
interpretazione,   di   diritto   positivo,   della  novella  di  cui
all'art. 30-bis  c.p.c,  finendo cosi' con l'ammettere la propria non
competenza  quale  discendente  da  un'interpretazione  della  legge,
intesa  come  allo  stato di per se' restrittivamente circoscrivibile
siccome  disciplina  derogatoria  per  i  soli  casi  gia' ipotizzati
dall'art. 11  c.p.p.  (cioe'  i  risarcimenti  dei  danni,  ex art. 4
legge 117/88);  nella  presente  fattispecie  bolognese,  invece,  la
premessa  da cui muove questo giudice e' che l'art. 30-bis c.p.c. non
sia  interpretabile  in  alcun  senso  restrittivo,  cioe' non vi sia
spazio  alcuno,  ovviamente  nemmeno  ricollocabile  in una impropria
devoluzione validativa ermeneutica rimessa alla Corte costituzionale,
per  discernere  singoli casi di aggancio della diversa competenza ex
art. 11  c.p.p.  selezionati in relazione alla "materia" o al tipo di
"responsabilita'" del magistrato;
    g. - Si  osserva  inoltre  che  anche Corte costituzione 4 luglio
2001,   n. 216   ha   parimenti   rigettato  altre  cinque  questioni
rispettivamente  sollevate da App.Milano 27 ottobre 1999, trib.Rimini
17   gennaio  2000  (in  funzione  di  g.i.  e  con  due  ordinanze),
trib.Rimini  17  gennaio  2000  (in  funzione  di presidente), ancora
App.Milano    8    marzo   2000,   senza   tuttavia   dover   entrare
approfonditamente  nel  "merito" della norma impugnata, perche' altri
parametri  sono  stati  pregiudizialmente  elevati  a  ragione  delle
rispettive   decisioni;   cosi'   le  prime  tre  non  hanno  trovato
accoglimento   in   quanto   il   dubbio,   ex  Corte  costituzionale
n. 216/2001,  di fatto verteva sul mancato assoggettamento alla nuova
disciplina  di  giudizi gia' pendenti al momento di entrata in vigore
della  legge 420/98  che,  radicando  solo  per l'avvenire e avanti a
giudici  diversi  ex art. 30-bis c.p.c. le cause, e stata ritenuta il
frutto  di  una  legittima  scelta discrezionale del legislatore, sia
quanto  all'art. 3  Costituzione  sia  per  il  rispetto  del  giusto
processo,   invocato   ex  art. 111  Cost.;  l'ord.  Pres.trib.Rimini
17 gennaio 2000 e' stata ritenuta inammissibile poiche' sollevata nel
corso  di  un  procedimento  per  la  richiesta  di  astensione  c.d.
discrezionale ex art. 51 comma 2 c.p.c., avente natura amministrativa
e  non  giurisdizionale;  App.  Milano  8 marzo  2000 e' stata infine
ritenuta  irricevibile  perche' con essa il giudice remittente si era
solo  limitato  a  richiamare  la pendenza della precedente questione
gia'  sollevata,  senza  impugnare specifiche (anche le stesse) norme
avanti alla Corte costituzionale;
    h. - Permangono  dunque,  in ragione della inesistenza del limite
della  competenza  sopravvenuta di cui all'art. 5 c.p.c. gia' elevato
da   Corte  Cost.  n. 235/2001  a  causa  di  inammissibilita'  della
questione  sollevata  da  tribunale  di  Bologna  3 dicembre 1999, le
stesse  argomentazioni di dubbio (semmai rafforzate dall'introduzione
del  novellato  art. 111  Cost.):  la  disparita'  di trattamento (ex
art. 3  Cost.)  e  l'aggravamento delle condizioni di esercizio della
difesa (ex art. 24 Cost.) concernono in primo luogo il creditore (del
facere  o  del  non  facere)  che promuove l'esecuzione forzata: gia'
distanziandosi  l'oggetto dell'attivita' giurisdizionale da un vero e
proprio  accertamento  in sede contenziosa delle pretese obbligazioni
civili   (e  non  derivanti  da  attivita'  professionale)  verso  il
magistrato  o  del  magistrato-creditore  verso  un  comune debitore,
l'espropriazione forzata e' processo che, per definizione, presuppone
il titolo esecutivo e, con esso, puo' prescindere, pur senza divenire
attivita'   amministrativa,   dal   rito  ordinario  o  speciale  che
contrapponga un terzo al magistrato (e viceversa) nella contestazione
in  ordine  alla affermazione del diritto di credito; in ogni caso la
relazione  processuale  fra  le  "parti"  del  processo esecutivo non
risulta  di  regola (ed in particolare nel caso de quo) in alcun modo
incisa  dalla  qualita'  di  magistrato  della  obbligata, chiamata a
subire  l'eventuale dictum, del g.e. in ragione dell'inadempimento di
un  obbligo  fungibile  comune,  in  cui  cioe'  e' assente qualunque
riflesso  della  predetta condizione professionale, come non puo' non
dirsi  quando  il  debitore  sia  tale  per  prestazioni  a contenuto
patrimoniale  inerenti  allo  status di coniuge separato; tuttavia lo
stesso  svolgimento  ancora  processuale dell'esecuzione, l'esercizio
dei  poteri  ablatori  del  g.e. sui beni dell'esecutato, i poteri di
intervento  coattivo  nei  luoghi  del  debitore  e la finalizzazione
satisfattiva  degli  atti  implicano il rispetto, indistintamente, di
norme che, nel modo piu' celere ed efficace possibile, dunque davanti
al  giudice  naturale  precostituito  per  legge  ex  art. 25  Cost.,
consentano  al creditore il soddisfacimento della propria pretesa; da
questo  punto  di vista proprio l'inizio dell'espropriazione, in caso
di  applicazione  letterale  dell'art. 30-bis  c.p.c., altererebbe in
modo  rilevante il corretto e tempestivo incardinamento del processo;
infatti  nell'esecuzione  mobiliare  (art. 518 c.p.c.) ed immobiliare
(art. 557  c.p.c.)  l'ufficiale  giudiziario  deposita in cancelleria
l'atto  di  pignoramento,  originando  cosi'  l'inizio della sequenza
degli  adempimenti  endoprocessuali  che, culminando nella nomina del
g.e.,  concorrono  ad  individuare  (confermandola) la competenza del
l'ufficio:  anche  dovendosi  applicare  l'art. 30-bis  c.p.c.  e non
volendo  immaginare  un  passaggio  sistematico  di rilievo officioso
dell'incompetenza   ex  art. 28  e  38  c.p.c.  da  parte  del  g.e.,
occorrerebbe   congegnare,   proprio  per  garantire  il  fisiologico
funzionamento  della  norma,  che gia' con il primo atto del processo
(deposito  in  cancelleria  del pignoramento) l'ufficiale giudiziario
provveda  a  concorrere all'esatto incardinamento del medesimo avanti
al g.e. per territorio competente ovvero la parte depositi il ricorso
avanti   al  giudice  della  sede  capoluogo  della  corte  d'appello
individuata   ex   art. 11   c.p.p.:   ora,   tale   eventualita'  e'
assolutamente  improbabile,  non  derivando  (a parte i provvedimenti
connessi  alla  responsabilita'  professionale e sempre che il titolo
esecutivo  lo  riporti  esplicitamente)  dal  titolo  esecutivo nella
generalita'  dei casi la qualita' di magistrato della parte esecutata
o  comunque  cio'  essendo del tutto casuale; ne' puo' dirsi che tale
cognizione  sia  o  debba  essere  presente  in capo al creditore del
magistrato,  tanto  piu'  quando - come nella fattispecie - il debito
sia   di   natura  privata,  cioe'  non  professionale,  per  cui  le
obbligazioni  assunte (o poste giudizialmente) in sede di separazione
fra  coniugi  non onorate ed oggetto di riscontro nell'ordinanza resa
ex  art. 708  c.p.c.  hanno  reso  possibile  in via di mero fatto la
cognizione  della qualita' di magistrato della debitrice, senza pero'
che cio' dovesse risultare dalla modulazione indefettibile degli atti
del  processo,  come  in pratica sarebbe proprio del solo giudizio di
responsabilita' ex legge 13 aprile l988, n. 117; va poi ricordato che
ne' esiste un pubblico registro dei magistrati paragonabile al P.R.A.
o alla Conservatoria per i beni immobili o al registro delle imprese,
ne'  e'  configurabile  un  qualche  onere  della parte procedente ad
escludere   o   conoscere   siffatta  qualita'  prima  di  promuovere
l'esecuzione  forzata;  dunque lo spostamento al foro di cui all'art.
11  c.p.p.  (come integrato dalla tabella di cui all'art. 1 disp.att.
c.p.p.),   realizza   un  aggravio  delle  condizioni  difensive  del
creditore  ed  un  costo  ulteriore,  quantomeno da un punto di visto
temporale,  circa  il  realizzo  del  credito  stesso,  con apparente
violazione  degli  art. 3,  24  e  25  della  Costituzione  (esulando
ovviamente  da  tale rilievo, data la natura officiosa del riscontro,
ogni considerazione di mera opportunita' connessa alle aspettative di
realizzo   del   credito   dei   ricorrenti:   il   giusto,   perche'
ragionevolmente durevole, processo, sara' attuato anche ogniqualvolta
vi   sia  sollevata  questione  di  costituzionalita',  potere-dovere
giudiziale   che  non  e'  sacrificabile  di  per  se'  da  una  mera
enunciazione del diritto correlativamente posto dall'art. 6 C.E.D.U.,
dall'art. 111  Cost.,  dalla  l. 89/2001): la considerazione rinviene
una  sua  peculiare  e  autonoma evidenza proprio nella procedura per
obblighi  di  fare  e  non  fare:  qui  il distanziamento del giudice
dall'attivita'  di  conformazione  con  atti esecutivi del titolo non
ottemperato  spontaneamente  e'  anche  e  (ancor  piu)  visibilmente
"fisica",  poiche'  si storicizza in una separazione territoriale dal
luogo  in  cui l'obbligo andrebbe attuato (ex art. 26 comma 3 c.p.c.)
per  migrare  al luogo legislativamente distante dall'area geografica
di  operativita'  del  magistrato-g.e.,  cio'  integrando una lesione
direttamente  apprezzabile  anche  dell'art. 111 Cost., non potendosi
assicurare  una  celerita'  ed  economia  di  efficacia  al  processo
esecutivo  "governato"  da  giudice  di  altro  distretto rispetto ai
luoghi  di  attuazione del titolo esecutivo azionato: al contempo, ex
artt. 3,  24-25,  111,  Cost., pari lesione si configura a carico del
debitore  magistrato,  per  il  quale  si  riscontra  una  situazione
deteriore  di  irrazionale trattamento rispetto alla sorte del comune
debitore  dedotto nell'esecuzione forzata, potendo egli apprestare le
proprie  difese  e,  comunque, partecipare al processo esercitando le
facolta'  ivi  previste solo a patto di spostarsi in altro distretto,
oltre  il  luogo in cui si trovano i beni aggrediti (nelle esecuzioni
mobiliari  ed  immobiliari)  ovvero, come nel caso, oltre il luogo in
cui  si dovrebbe attuare l'obbligo inevaso (l'immobile in cui attuare
l'ordinanza  di  separazione  e' sito in Farra d'Isonzo, provincia di
Gorizia);  la  stessa  non giustificabile disparita' di trattamento e
per  le  stesse  ragioni  si  verifica  con  riguardo  al  magistrato
creditore,  l'esercizio  del  cui  diritto  di  credito  subisce  una
compressione del tutto speculare e parimenti censurabile;
    i. - Presente   procedura,   peraltro,   esprime   una  ulteriore
peculiarita', esclusivamente attinente al rito, in quanto ex art. 612
c.p.c.  non  si  ha  un  atto  di  ufficiale  giudiziario identico al
pignoramento  su  beni,  bensi'  un mero deposito del ricorso con cui
l'avente  diritto  al  facere  o  al  non  facere  dovrebbe  porre la
competenza  per territorio in una relazione strettamente ancorata, ex
art. 26  c.p.c.,  in  ragione del luogo in cui la stessa prestazione,
vanamente  intimata,  non  e'  stata  eseguita:  tuttavia la forma di
evocazione  in  giudizio  dell'esecutato  (ricorso avanti al g.e. del
luogo  di  adempimento  predeterminato  dell'obbligo)  in  quanto non
simile  a quella che coincide con l'inizio dell'ordinario giudizio di
cognizione  potrebbe  far  ritenere  che,  almeno  per questo tipo di
esecuzione  forzata, non ricorra il dubbio di irrazionale trattamento
prima  tratteggiato;  in  realta',  a  parte  la  irragionevolezza di
un'eventuale  diversa-disciplina, quanto alla competenza esecutiva, a
seconda della sola forma dell'atto introduttivo dell'espropriazione o
dell'esecuzione  forzata,  se  si applicasse anche all'esecuzione per
obblighi   di  fare  o  non  fare  l'art. 30-bis  c.p.c.  (come  pare
ineludibile   a   questo  giudice  secondo  l'attuale  portata  della
disposizione  dubitata  di  costituzionalita)  sarebbe inevitabile il
riscontro   di   una  propagazione  anche  all'ufficio  ed  alla  sua
organizzazione   amministrativa   degli  effetti  di  aggravio  delle
condizioni  processuali  di esercizio della funzione giurisdizionale,
con  cattivo  funzionamento  dell'amministrazione  della giustizia ex
art. 97 Cost., dovendo il magistrato coordinare e conformare obblighi
da  un  sito manifestamente distante da quello che invece, in ragione
di  territorio,  configura  per  tradizione  e  base normative la sua
relazione con i vari tipi di esecuzione forzata (lex rei sitae e, per
l'espropriazione  presso  terzi,  il  luogo  in  cui  ha residenza il
debitor  debitoris,  tutti fori selezionati attentamente con riguardo
all'attivita'  materiale  in  cui si declinera' la potesta' esecutiva
dello  Stato,  rimedio  alla  vietata  autotutela):  l'incaricato del
giudice,  l'ufficiale  giudiziario,  nello  fattispecie  attivata  ex
art. 612  c.p.c.  dovrebbe  recarsi  a  Gorizia  per sovrintendere ai
lavori  di  conformazione  di un'unita' autonoma abitativa nella piu'
ampia  proprieta'  immobiliare  oggetto  di  assegnazione  in sede di
separazione  ovvero  per  curare  la  cernita  e  l'asporto  dei beni
personali  al Cressati; parimenti le stesse persone nominabili (quali
ad  es. tecnici, periti, imprese, depositari) dal g.e. in ausilio del
medesimo ufficiale giudiziario dovrebbero essere coordinate ancora da
Bologna per attivita' materiali da compiersi nel distretto triestino;
inoltre  le  stesse  "difficolta'"  di  cui fa menzione il successivo
art. 613  c.p.c.,  spesso  involgenti sopralluoghi diretti di tecnici
designati  dal  g.e.  o  talora  di  quest'ultimo,  dovrebbero essere
prontamente  decise  in  termini  vieppiu'  problematici,  dunque  in
relazione critica, oltre che con il principio di buon andamento della
pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., anche con l'art. 111 Cost.
per l'ordinata, efficace e sollecita attuazione del titolo esecutivo,
in  un  ambito  organizzativo  di  evidente  irragionevole previsione
conformativa,  rispetto  al  luogo di cui all'art. 26 comma 3 c.p.c.,
rispetto alla durata ragionevole del processo, anche come recepita ex
L. 89/2001 nell'ambito del precetto di cui all'art. 6 C.E.D.U. e come
voluta  dall'autonomo  parametro  costituzionale;  cio'  permette  di
aggiungere  l'ulteriore  dubbio  circa la coerenza di siffatta norma,
cosi'   interpretata,   con   il   principio  dell'unitarieta'  della
giurisdizione   che   ex  art. 101  Cost.  dovrebbe  assicurare  pari
condizioni  di accesso alla tutela giurisdizionale del credito, senza
ingiustificati  allontanamenti  dal foro previsto in via generale per
una  pronta  soddisfazione dello stesso in via di esecuzione forzata;
va  inoltre  rilevato che l'intento legislativo, volto ad evitare che
il  magistrato  sia  parte  di un processo affidato al "collega della
porta  accanto",  rivela,  pur  nel programmatico presidio del valore
dello   terzieta'   ed   imparzialita'  del  giudice,  una  manifesta
illogicita',  allorche' il c.d. costo della lontananza sia sopportato
in  ogni  caso  in cui il magistrato esercita le funzioni all'interno
della  medesima unita' territoriale, il distretto di corte d'appello,
geograficamente assai vasta: all'infuori della responsabilita' di cui
alla  legge  117/1988,  l'estensione  dell'art. 30-bis c.p.c. ad ogni
procedimento  civile  e, tra questi, altresi' all'esecuzione forzata,
in  cui  il legame del foro competente con il territorio e' del tutto
caratterizzante,   non   pare  altrettanto  razionale,  omettendo  di
considerare  che la presunzione di attenuata imparzialita' altrimenti
presente  presso  tutti i giudici del medesimo distretto non apprezza
la    peculiare   iniziativa   delle   parti   anche   nel   processo
dell'esecuzione  forzata  e  comunque  la connotazione essenzialmente
finalistica   e  meno  (ovvero  diversamente  e  solo  sommariamente)
accertativa  di  esso rispetto al comune giudizio ordinario civile di
cognizione;
    j. - E'  dunque l'intera esecuzione forzata (in cui e' possibile,
tra  l'altro,  intervenire  ad  opera di un terzo, la cui qualita' di
magistrato   incrementerebbe   la   doverosa   traslazione  del  foro
competente  ex art. 11 c.p.p.) che, pianamente sussumibile nell'ampia
espressione  impiegata dall'art. 30-bis c.p.c., esige un controllo di
compatibilita'  costituzionale  quanto  alla competenza di un giudice
diversa  da  quello  di  cui all'art. 26 (e comunque comma 3) c.p.c.,
apparendo  la  questione  non manifestamente infondata; la questione,
nella  presente vicenda, si palesa come rilevante, non potendo questo
g.e.  proseguire  nelle  attivita' di giudice preposto all'esecuzione
forzata  contro  un  magistrato  ovvero all'esecuzione promossa da un
magistrato,  dunque  definire  i  procedimenti,  se  la  norma che ne
presuppone  la competenza, qui ravvisata preliminarmente in contrasto
con  plurime  disposizioni  costituzionali,  non  sia  stata  in  via
pregiudiziale riscontrata per tale coerenza o meno;
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 612, 26, 30-bis c.p.c., 1 legge costituzionale 9
febbraio 1948, 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara, d'ufficio, rilevante e non manifestamente infondata nel
presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale, di cui
in   motivazione,   relativa  all'art. 30-bis  c.p.c.,  in  relazione
all'art. 11  c.p.p. e all'art. 1 disp. att. c.p.p., per contrasto con
gli  artt. 3,  24,  25,  97,  101, 111 Cost., nella parte in cui tale
norma  assoggetta  l'esecuzione  forzata  ed  in  particolare  quella
promossa per obblighi di fare e non fare ex art. 612 c.p.c. contro un
obbligato,  che sia magistrato ovvero da un magistrato verso un terzo
obbligato,  alla  competenza  di  un giudice diverso da quello di cui
all'art. 26 c.p.c.;
    Sospende il presente giudizio;
    Dispone  che la presente ordinanza, a cura della Cancelleria, sia
con  urgenza  notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del
Consiglio dei ministri, sia comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento e trasmessa, insieme a tutti gli atti del procedimento
(previa  formazione dell'indice ex art. 36 disp.att. c.p.c.) e con la
prova  delle  predette  notificazioni  e  comunicazioni,  alla  Corte
costituzionale.
    Cosi' deciso in Bologna, il 10 agosto 2001
             Il giudice dell'esecuzione mobiliare: Ferro
01C1076