N. 889 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 2001

Ordinanza  emessa  il  24  gennaio  2001 dal tribunale amministrativo
regionale  del  Molise  sul ricorso proposto da Sozio Antonino contro
Azienda sanitaria locale n. 2 "Pentria" di Isernia ed altri

Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative al conferimento e
  alla  revoca  degli incarichi dirigenziali nell'ambito del pubblico
  impiego   -   Devoluzione   al   giudice   ordinario -  Illegittima
  costituzione   in  capo  all'A.G.O.,  in  materia  di  controversie
  promosse  dai  pubblici dipendenti, di una giurisdizione esclusiva,
  in  contrasto  con  i principi espressi dal legislatore delegante -
  Eccesso di delega.
- D.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, art. 18.
- Costituzione, artt. 76 e 77.
(GU n.44 del 14-11-2001 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 716 del 2000,
proposto  da  Sozio  Antonino,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
Mariella  Antonilli  e  Antonio  Scuncio,  con  domicilio  eletto  in
Campobasso, via Garibaldi n. 9, presso lo studio legale Pizzuti;
    contro  l'Azienda  sanitaria locale n. 2 "Pentria" di Isernia, in
persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa
dall'avvocato   Umberto  Paolo  Bevacqua,  con  domicilio  presso  la
segreteria  di  questo Tribunale amministrativo regionale; la Regione
Molise, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa
dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato,  presso  la cui sede, in
Campobasso,  via  Garibaldi n. 124, e' domiciliata e nei confronti di
Di   Fiore  Bernardino,  controinteressato,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Vincenzo  Colalillo,  presso  il  cui studio in Campobasso,
Corso Umberto I n. 43, ha eletto domicilio, per l'annullamento previa
sospensione   dell'esecuzione,   del   verbale   del   Comitato   del
dipartimento  di  prevenzione  presso  la  A.U.S.L. di Isernia datato
13 luglio  2000,  della  delibera A.U.S.L. n. 661 del 12 agosto 1999,
del  provvedimento  n. 286  del 31 luglio 2000, della delibera n. 358
del  13  maggio  1999, nonche' di ogni altro provvedimento connesso o
consequenziale, ancorche' di data ed estremi sconosciuti;
    Visto  il  ricorso  con i relativi allegati, nonche' l'istanza di
sospensione dei provvedimenti impugnati presentata in via incidentale
dal ricorrente;
    Visti gli atti di costituzione e le memorie delle amministrazioni
intimate e della parte controinteressata;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita,  nella  camera  di  consiglio  del  24  gennaio  2001,  la
relazione del referendario Orazio Ciliberti;
    Udite,   altresi',  le  parti,  come  da  verbale  di  camera  di
consiglio;
    Ritenuto, in fatto e in diritto, quanto segue.

                           Fatto e diritto

    I. - Il ricorrente impugna la delibera n. 286 del 31 luglio 2000,
con  la  quale  la A.U.S.L. n. 2 "Pentria" di Isernia ha affidato, in
via provvisoria, al dirigente sanitario controinteressato, l'incarico
di responsabile del dipartimento di prevenzione, nonche' di tutti gli
atti preordinati e presupposti inerenti l'articolazione organizzativa
del  dipartimento  medesimo  (cosiddetto  D.I.P.)  e  di  quelli  che
disciplinano  il procedimento di scelta della figura apicale chiamata
a  dirigere  la  struttura dipartimentale. Deduce la violazione degli
art. 5  e  17 della legge regionale n. 2/1997, degli artt. 7-quater e
17-bis  del d.lgs. n. 502/1992, della deliberazione G.R. n. 1096/1997
e  dell'art. 3  della  legge n. 241/1990, il difetto di motivazione e
varie  figure  dell'eccesso di potere, in quanto il ricorrente assume
di  essere  stato  illegittimamente pretermesso in fase di formazione
della  terna nell'ambito della quale la A.U.S.L. ha operato la scelta
del  dirigente  apicale  del  D.I.P.,  ancorche' il ricorrente stesso
dirigesse da oltre cinque anni l'unita' operativa di sanita' animale,
facente  parte integrante del dipartimento, e tale incarico gli desse
diritto a candidarsi per la posizione apicale.
    Si  costituiscono in giudizio la A.U.S.L., la Regione Molise e la
parte  controinteressata,  eccependo in via preliminare il difetto di
giurisdizione  di questo Tribunale amministrativo regionale in quanto
l'art. 68   comma  primo  del  d.lgs.  3 febbraio  1993  n. 29,  come
sostituito  dall'art. 29  del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 e modificato
dall'art. 18  del  d.lgs.  29 ottobre 1998 n. 387, devolva al giudice
ordinario,  in  funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie
relative  ai  rapporti  di  lavoro  alle  dipendenze  delle pubbliche
amministrazioni  "incluse le controversie concernenti l'assunzione al
lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la
responsabilita' dirigenziale".
    II.  -  La  norma dell'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998, emanata in
forza  della legge delega 15 marzo 1997 n. 59, presenta, ad avviso di
questo  collegio,  profili di illegittimita' costituzionale, peraltro
gia' rilevati dall'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale,
emessa   il  22  settembre  2000  dal  tribunale  di  Genova,  in  un
procedimento civile.
    Infatti,  gli  atti  di conferimento degli incarichi dirigenziali
rivestono  natura  di  provvedimenti  amministrativi.  La tesi che li
configura  quali  atti  negoziali  paritetici  non e' condivisibile e
contrasta con la stessa legge.
    L'attuale  disciplina  dell'accesso  al  ruolo  dirigenziale vede
tipicamente  scissi  il  profilo  dell'instaurazione  del rapporto di
lavoro  da  quello  del conferimento di funzioni dirigenziali. Mentre
nel   rapporto   di  lavoro  del  dirigente  privato  i  due  aspetti
normalmente  coincidono,  nel  settore  pubblico  tali  momenti  sono
separati,  atteso  che  il  dirigente  accede  al ruolo attraverso un
concorso    per   esami,   ma   l'assunzione   alle   dipendenze   di
un'amministrazione   non   comporta   di   per   se'   l'attribuzione
dell'incarico dirigenziale. La qualifica dirigenziale, specie dopo la
ricomposizione  unitaria della dirigenza operata dal d.lgs. n. 80 del
1998, costituisce un presupposto per lo svolgimento della funzione di
direzione, che necessita dell'assegnazione dell'incarico.
    A  mente  dell'art. 19  del  d.lgs. n. 29 del 1993, nella vigente
versione, l'incarico dirigenziale pubblico e' frutto del concorso tra
atto unilaterale della amministrazione, con il quale l'incarico viene
conferito,  e  contratto  stipulato  con  il  dirigente,  destinato a
definire   l'oggetto,   gli   obiettivi   da  conseguire,  la  durata
dell'incarico  ed  il  corrispondente trattamento economico. La nuova
disciplina   distingue   chiaramente   la   fase   del   conferimento
dell'incarico  da quella della determinazione dei contenuti specifici
dell'incarico e delle condizioni richieste per lo svolgimento.
    Invero,  un'autorevole  giurisprudenza amministrativa, anche dopo
la  privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ha continuato a
sostenere  che  gli  atti  di  conferimento di incarichi dirigenziali
restano provvedimenti amministrativi e non atti negoziali espressione
dell'autonomia contrattuale (Tribunale amministrativo regionale Lecce
I  6 febbraio  1999 n. 271; Tribunale amministrativo regionale Milano
II 21 gennaio 1999 n. 160; contra: Tribunale amministrativo regionale
Catania   ordinanza   17 maggio  1999  n. 1043).  Per  gli  incarichi
attribuibili  a  dirigenti  dello  Stato,  nell'art. 19 commi terzo e
quinto  del  d.lgs.  n. 80/1998  si  prevede espressamente che quelli
apicali   siano   conferiti  con  d.P.R.,  previa  deliberazione  del
Consiglio  dei  ministri, e con decreto del dirigente generale quelli
di fascia inferiore.
    Orbene,   se   l'incarico  dirigenziale  non  avesse  una  natura
giuridica  ed  una  funzione  diverse  da  quelle  del  contratto tra
amministrazione e dirigente, non si spiegherebbero ne' le particolari
formalita'  di  cui  viene  rivestito  l'atto  di  incarico,  ne'  la
necessita'  di  tenerlo  distinto dall'atto di natura privatistica al
quale si accompagna.
    Cio'  che  in  sostanza  si  ritiene di poter sostenere e' che la
distinzione   delle   fasi   provvedimentale   e   negoziale   deriva
esplicitamente  dal  dettato  normativo,  la  qual  cosa  consente di
concludere per la natura di provvedimento amministrativo dell'atto di
conferimento  dell'incarico,  potendosi qualificare il contratto come
accessivo al provvedimento.
    Da tale considerazione discendono i fondati dubbi di legittimita'
costituzionale  della  normativa  di cui al citato art. 18 del d.lgs.
n. 387/1998,  nella parte in cui espressamente attribuisce al giudice
ordinario le controversie concernenti il conferimento degli incarichi
dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni.
    L'impianto normativo contenuto nell'art. 68 del d.lgs. n. 29/1993
(significativamente  modificato  dalla  legge delega n. 59/1997 e dai
relativi   d.lgs.  n. 80/1998  e  387/1998)  configura,  in  tema  di
contenzioso promosso dai dipendenti di pubbliche amministrazioni, una
bipartizione  in base alla quale gli atti relativi all'organizzazione
della   p.a.   (o   almeno   quelli  attinenti  alle  linee  generali
dell'organizzazione  stessa,  come  le definisce l'art. 2 comma primo
del   d.lgs.  n. 29  citato)  sono  provvedimenti  presupposti  degli
specifici  atti  di  gestione  dei  rapporti di pubblico impiego, che
invece  hanno  natura  paritetica  (art. 4).  L'atto  privatistico di
gestione  e'  quello che incide direttamente sul rapporto e che viene
direttamente conosciuto dal giudice ordinario, mentre i provvedimenti
amministrativi di organizzazione, in quanto atti presupposti, vengono
conosciuti   in   via   incidentale   e,   se  ritenuti  illegittimi,
disapplicati dal giudice ordinario.
    Tale   impianto,   nella   versione   precedente   alla  modifica
dell'art. 18  del d.lgs. n. 387/1998, non poneva particolari problemi
di  conformita'  della  legge  alla  Costituzione, in quanto gli atti
amministrativi di natura organizzativa che incidono dall'esterno e di
riflesso  sul  rapporto di lavoro, non appartengono all'oggetto della
domanda,  rilevando  ai  fini della decisione solo come presupposto e
non come fonte diretta della lesione lamentata.
    Invece,  il richiamato art. 18 del d.lgs n. 387/1998, nella parte
in  cui devolve al giudice ordinario anche le controversie in tema di
conferimento  (o revoca) di incarichi dirigenziali, a prescindere dai
sottostanti   atti   di   gestione,  lo  investe  direttamente  della
cognizione  di  interessi  legittimi,  vale  a  dire  configura nella
materia  del  pubblico  impiego  una  giurisdizione esclusiva in capo
all'a.g.o.
    Il  collegio  rileva  che  il legislatore delegato, con il d.lgs.
n. 387/1998,  ha violato gli art. 76 e 77 della Costituzione, laddove
ha  investito  l'a.g.o. di giurisdizione esclusiva su una determinata
materia,  non solo in difetto di una espressa delega in tal senso, ma
addirittura   in   presenza   nella  legge  delega  medesima  di  una
riaffermazione  del  principio  del  riparto  di  giurisdizione nella
materia.
    Infatti, la lettera g) dell'art. 11 della legge delega n. 59/1997
devolve  al  giudice  ordinario  "tutte  le  controversie relative ai
rapporti  di  lavoro  dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni,
ancorche'   concernenti   in   via  incidentale  atti  amministrativi
presupposti, ai fini della disapplicazione ...". Emerge con chiarezza
che  il  legislatore  delegante  abbia voluto prevedere espressamente
nella  materia del pubblico impiego la devoluzione alla giurisdizione
ordinaria  delle  sole  controversie  concernenti diritti soggettivi,
lasciando  al  giudice  amministrativo  la cognizione degli interessi
legittimi.   L'espresso   richiamo   alla   cognizione   degli   atti
amministrativi   in   via  incidentale  ed  al  limitato  fine  della
disapplicazione  ha  senso  solo  nel quadro di una giurisdizione del
giudice   ordinario   non  estesa  agli  interessi  legittimi  e  non
comprensiva    del   potere   di   annullamento   del   provvedimento
amministrativo.
    L'art. 103  della  Costituzione consente al legislatore ordinario
di istituire, in una determinata materia, una giurisdizione esclusiva
del   Consiglio   di   Stato   e  degli  altri  organi  di  giustizia
amimnistrativa,  per la tutela di diritti ed interessi legittimi, ed,
in  via  generale,  attribuisce  ad  essi  la  tutela degli interessi
legittimi nei confronti della pubblica amministrazione. Tale criterio
generale  di  riparto  della giurisdizione ha origine dall'evoluzione
storica   degli   istituti   di   giustizia  amministrativa  e  dalla
particolare   natura   delle   funzioni  giurisdizionali  svolte  dal
complesso  Consiglio di Stato - tt.aa.rr., che, per definizione della
stessa  Costituzione  (art. 100 primo comma), sono funzioni di tutela
della   giustizia   nell'amministrazione.   Non   vi   e'  una  norma
costituzionale che, viceversa, attribuisca o riconosca all'a.g.o. una
giurisdizione  esclusiva  per materia nei confronti della p.a., anche
se  l'art. 113  prevede,  generalizzando,  che "contro gli atti della
pubblica  amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale
dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi  dinanzi  agli organi di
giurisdizione  ordinaria  o amministrativa" e che "la legge determina
quali  organi  di  giurisdizione  possono  annullare  gli  atti della
pubblica  amministrazione  nei  casi e con gli effetti previsti dalla
legge  stessa".  La Costituzione, pertanto, ha espressamente previsto
che  il legislatore possa demandare al giudice ordinario il potere di
disporre  l'annullamento  di  atti  dell'amministrazione  pubblica, e
tuttavia  finora  si  e' ritenuta vigente nell'ordinamento una regola
generale,  ricavabile  dal  divieto esplicito di sentenze costitutive
(di  annullamento  di  atti  o  di condanna ad un facere) del giudice
ordinario  nei  confronti  dell'amministrazione  pubblica,  contenuto
negli artt. 4 comma secondo e 5 della cosiddetta legge abolitrice del
contenzioso amministrativo (Legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E).
    Si  deve  quindi concludere che l'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998,
nella  parte  in cui demanda al giudice ordinario la cognizione delle
controversie  in  tema  di  conferimento  e  revoca  degli  incarichi
dirigenziali,  presenti  profili  di  contrasto  con gli art. 76 e 77
della Costituzione, per almeno tre ordini di ragioni:
      1)  perche'  costituisce  in  capo  all'a.g.o.  in  materia  di
controversie  promosse  dai  dipendenti  pubblici,  una giurisdizione
esclusiva,  non  solo  in  difetto  di  una  espressa  delega,  ma in
contrasto con i principi espressi dallo stesso legislatore delegante;
      2)  perche',  attribuendo  al giudice ordinario, che e' giudice
dei   diritti,   la   cognizione   sugli  atti  formali  di  incarico
dirigenziale,  pone  il  dilemma  se  tali  atti abbiano attitudine a
determinare  una  degradazione  di  posizioni di diritto in interesse
legittimo,  ovvero  siano  atti  non  provvedimentali  e,  nell'uno e
nell'altro  caso,  la  cosa  si  porrebbe  in  contrasto con principi
vigenti  nell'ordinamento  (quello  cosiddetto della degradazione dei
diritti   soggettivi   e  quello  delle  particolari  formalita'  del
provvedimento),  senza  che vi sia espressa delega della legge in tal
senso;
      3)  perche'  la  cognizione  diretta  e non incidentale da pane
dell'a.g.o.   di   un   provvedimento  amministrativo  non  puo'  che
risolversi  nell'implicito riconoscimento, in capo a quel giudice, di
un  nuovo potere decisorio diverso dalla disapplicazione, vale a dire
di  un  potere  di  annullamento degli atti amministrativi, in palese
contrasto   con   il   principio   sancito  dall'art. 5  della  legge
n. 2248/1865 all. E, ed in difetto di una espressa delega legislativa
in tal senso.
    Nelle  suesposte  argomentazioni  il  collegio  ritiene quindi di
poter  condividere  in  toto  l'impostazione  data  alla questione di
costituzionalita' dal citato precedente del tribunale di Genova.
    III.  - In conclusione, il collegio ravvisa la rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 18  del  d.lgs.  n. 387/1998, nella parte in cui demanda al
giudice  ordinario  le controversie concernenti il conferimento degli
incarichi  dirigenziali,  per  contrasto  con gli artt. 76 e 77 della
Costituzione.
    IV.  -  Va  pertanto  disposta,  ai  sensi  degli  art. 134 della
Costituzione,  1  della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, 23
della legge 11 marzo 1953 n. 87, la sospensione del presente giudizio
e  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli
ulteriori adempimenti di legge meglio indicati nel dispositivo.
                              P. Q. M.
    Visti   gli   artt. 134   della   Costituzione,   1  della  legge
costituzionale  9 febbraio  1948  n. 1,  23 della legge 11 marzo 1953
n. 87,  1  delle  norme  integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale   di   cui   alla  deliberazione  della  stessa  Corte
costituzionale datata 16 marzo 1956;
    Dichiara   rilevante   e   non  manifestamente  infondata  -  per
violazione  delle  norme  costituzionali  indicate  al  capo  3 della
presente  ordinanza  -  la  questione  di legittimita' costituzionale
dell'art. 18  d.lgs.  n. 387/1998,  nella  parte  in  cui  demanda al
giudice  ordinario  le controversie concernenti il conferimento degli
incarichi dirigenziali;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale   con   la   prova   delle  avvenute  notificazioni  e
comunicazioni di cui al punto che segue;
    Dispone  che,  a cura della segreteria del tribunale, la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento.
    Cosi   deciso   in  Campobasso,  presso  la  sede  del  Tribunale
amministrativo  regionale,  nella  camera di consiglio del 24 gennaio
2001.
                       Il Presidente: Amoroso
                Il referendario estensore: Ciliberti
01C1080