N. 35 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 settembre 2001
Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione Lombardia, depositato in cancelleria il 18 ottobre 2001 Universita' - Svolgimento delle attivita' assistenziali - Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante le linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra Regioni ed Universita' - Provvedimento adottato ai sensi dell'art. 8, comma 2, della legge n. 59/1997 (che disciplina le ipotesi nelle quali non venga raggiunta la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni) - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Lombardia - Denunciata mancata concreta concessione alla Regione della possibilita' di pervenire ad un accordo Definizione dettagliata di automatismi per la individuazione del numero e delle caratteristiche delle strutture e del personale - Contrasto con i contenuti dell'accordo intervenuto l'8 agosto 2001 (in data precedente rispetto a quella di pubblicazione del provvedimento denunciato) tra Governo, Regioni e Province autonome, e successivamente recepito dal decreto legge n. 347/2001 - Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni - Lesione delle competenze costituzionalmente attribuite alla Regione in materia sanitaria, in particolare in materia di programmazione ed organizzazione dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera - Lesione dell'autonomia aziendale. - D.P.C.M. 24 maggio 2001 in toto e, in parte qua, in relazione agli artt. 1, commi 2 e 4; 2, comma 3, lett. b); 3, commi 1 e 8; 4, commi 3 e 7, lett. f); 10, commi 2 e 6. - Costituzione, artt. 5, 114, 117, 118 e 119.(GU n.45 del 21-11-2001 )
Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di Giunta regionale n. 6220 del 1 ottobre 2001, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per l'annullamento del D.P.C.M. 24 maggio 2001, recante "Linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra regioni e universita' per lo svolgimento delle attivita' assistenziali delle universita' nel quadro della programmazione nazionale e regionale ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517. Intesa, ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 9 agosto 2001, in toto ed in parte qua in relazione ad alcuni articoli. F a t t o Con il D.P.C.M. 24 maggio 2001 il Governo, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 517/1999, ha dettato "linee guida" per la definizione dei protocolli d'intesa tra le regioni e le universita', finalizzati a disciplinare lo svolgimento delle attivita' assistenziali dell'universita' nel quadro della programmazione nazionale e regionale. Il D.P.C.M. in esame si compone di 10 articoli, nei quali vengono fissate le "linee guida" alle quali dovranno adeguarsi le regioni e le universita' nella stipula dei suddetti protocolli. Gli articoli 1 e 2 individuano le modalita' attraverso le quali, rispettivamente, realizzare forme di partecipazione delle universita' alla programmazione sanitaria regionale, e pervenire alla integrazione tra le attivita' assistenziali e le attivita' didattiche e di ricerca (art. 2). Gli articoli 3, 4 e 5 dettano disposizioni ai fini della definizione, da parte dei protocolli di intesa, rispettivamente: dei criteri e parametri "delle attivita' assistenziali necessarie e non vicariabili per le attivita' istituzionali della facolta' di medicina e chirurgia" (art. 3); dell'organizzazione interna delle aziende ospedaliero-universitarie (art. 4); dell'atto aziendale e degli altri atti di gestione delle aziende ospedaliero-universitarie (art. 5). Gli articoli 6 e 7 indicano i criteri - che dovranno essere recepiti dai protocolli di intesa - sulla base dei quali attuare in concreto il principio di leale collaborazione tra il servizio sanitario regionale e le universita' (art. 6), nonche' la collaborazione tra universita' e regione per soddisfare le esigenze del servizio sanitario regionale connesse alla formazione degli specializzandi, alla formazione infermieristica, tecnica, alla riabilitazione e alla prevenzione. Gli articoli 8 e 9 dettano, rispettivamente, disposizioni in ordine alle "aziende ospedaliere universitarie integrate con il servizio sanitario regionale" (art. 2, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 517/1999), nonche' norme transitorie e finali. L'articolo 10 individua le concrete modalita' di compartecipazione delle regioni e delle universita' ai risultati di gestione delle aziende ospedaliero-universitarie. Il D.P.C.M. 24 maggio 2001 risulta lesivo del ruolo riconosciuto dalla Costituzione alle Regioni sia nel suo complesso, in quanto adottato in violazione del principio di leale collaborazione, sia con riguardo ad alcune specifiche disposizioni in esso contenute, le quali, oltre a ledere le competenze in materia di assistenza sanitaria, attribuite alle Regioni dalla Costituzione e confermate dalla giurisprudenza costituzionale, contraddicono precedenti accordi intervenuti - in attuazione del principio di leale collaborazione - tra lo Stato e le Regioni e recepiti in atti legislativi successivi a tali accordi. D i r i t t o 1. - Violazione degli articoli 5, 114, 117 e 118 della Costituzione in relazione al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni e all'articolo 8 della legge n. 59/1997 e alla giurisprudenza costituzionale in materia. L'esame dell'iter procedurale che ha condotto all'adozione del D.P.C.M. impone di ritenere che esso sia stato adottato in violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni. L'epigrafe del D.P.C.M. riassume chiaramente l'iter che ha condotto alla sua adozione: "Visto l'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517; Visto l'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59; Considerato che nelle riunioni di Conferenza permanente per rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dell'8 marzo, del 22 marzo, del 19 aprile e del 24 aprile 2001 non e' stata raggiunta l'intesa di cui all'art. 8, comma 1, della citata legge n. 59 del 1997; Ritenuto di dover procedere ai sensi dellart. 8, comma 2, della citata legge n. 59 del 1997; Visto il parere della competente Commissione parlamentare per le questioni regionali, espresso nella seduta del 17 maggio 2001; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 17 maggio 2001". Il D.P.C.M, come si evince dalla stessa epigrafe, e' stato adottato nelle forme e con le modalita' previste per gli atti di indirizzo e coordinamento dall'articolo 8 della legge n. 59/1997. Nel caso di specie, il provvedimento e' stato adottato ai sensi del comma secondo dell'articolo 8 della legge n. 59/1997, che disciplina le ipotesi nelle quali non venga raggiunta la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. L'articolo 8, comma 2, della legge n. 59/1997 stabilisce, intatti, che "qualora nel termine di quarantacinque giorni dalla prima consultazione l'intesa non sia stata raggiunta, gli atti di cui al comma 1 (di indirizzo e coordinamento) sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta". Nel caso di specie, come risulta dalla stessa epigrafe, l'intesa con la Conferenza non e' stata raggiunta ed il Governo ha adottato comunque il D.P.C.M., seguendo la procedura delineata dal comma 2 dell'articolo 8 della legge n. 59/97. Il D.P.C.M., infatti, ha avuto la ferma opposizione delle Regioni in quanto definisce in modo dettagliato automatismi per la individuazione del numero e caratteristiche delle strutture e del personale, che dovranno, sulla base dei protocolli d'intesa, fornire l'attivita' assistenziale necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali di didattica e di ricerca delle universita'. Nell'esercizio dei poteri conferitigli dal secondo comma dell'articolo 8, tuttavia, il Governo non e' stato rispettoso del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni. In proposito nel verbale della seduta della Conferenza Stato-Regioni del 25 maggio 2001 si legge che "Le Regioni, infine, hanno lamentato che il Governo, approvando lo schema di atto di indirizzo e coordinamento concernente le linee guida relative ai protocolli d'intesa da stipulare tra Regioni ed Universita' per lo svolgimento delle attivita' assistenziali il 17 maggio 2001, e' venuto meno ad una prassi. Sulla scorta di quest'ultima, infatti, il termine previsto dall'art. 8 della legge n. 59/1997 decorre dalla seduta in cui e' stata constatata la mancata intesa, 19 aprile 2001, e non gia' da quella in cui e' stato intrapreso l'esame del provvedimento (8 marzo 2001)". Sebbene, infatti, l'articolo 8, comma 2, della legge n. 59/1997 stabilisca che il Governo, in caso di mancata intesa con la Conferenza, puo' comunque adottare gli atti di indirizzo e coordinamento nel termine di 45 giorni "dalla prima consultazione", nella prassi dei rapporti tra lo Stato e le Regioni tale disposizione e' stata costantemente interpretata nel senso che il termine dei 45 giorni decorre dalla seduta in cui viene constatata la mancata intesa e non dalla seduta in cui viene intrapreso l'esame del provvedimento. Nel caso di specie, come risulta dalla stessa epigrafe, l'atto di indirizzo e coordinamento e' stato adottato molto tempo prima (il 17 maggio 2001) del termine di 45 giorni dalla seduta in cui e' stata constatata la mancata intesa (19 aprile 2001). Con riguardo alla giurisprudenza costituzionale sul punto, per quanto codesta ecc.ma Corte, con sentenza 408/98, si sia pronunciata nel senso di considerare legittima la previsione del comma 2 dell'articolo 8 della legge n. 59/97, e' pur vero che nella stessa decisione, ha precisato che: "l'ipotesi che il Governo utilizzi questa sua facolta' (il potere di provvedere unilateralmente) per svuotare di senso la prescrizione dell'intesa, o non rispetti l'esigenza di esplorare effettivamente le possibilita' di accordo, attiene alla sfera delle eventualita' di fatto, frutto di una patologia costituzionale, sempre suscettibili di controllo e di rimedio ove si tenga conto che il principio di leale cooperazione deve in ogni caso informare, ancorche' non sia esplicitamente richiamato dalla legge, i rapporti reciproci fra Stato e Regioni" (cfr. anche Corte cost. 110 e 206/01). Nel caso di specie, la circostanza che il Consiglio dei ministri si sia "precipitato" ad approvare il D.P.C.M. e non abbia atteso che trascorressero almeno 45 giorni dalla constatazione della mancata intesa con la Conferenza denota chiaramente l'assenza del minimo intento di quest'ultimo di esplorare la possibilita' di un accordo, con evidente violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni. A cio' si aggiunga che anche la Commissione parlamentare per le questioni regionali, chiamata ad esprimere parere sul provvedimento, non ha manifestato un'adesione incondizionata. Nel parere reso in data 17 maggio 2001, infatti, la Commissione manifesta perplessita' proprio su alcune delle norme che non avevano ricevuto il consenso delle Regioni. Nel parere citato, in proposito, si legge: "considerata l'opportunita' di realizzare un coordinamento efficace tra il sistema regionale sanitario e le universita'; rilevata l'opportunita' di considerare, all'articolo 4, comma 6, lett. f), secondo periodo, che la nomina del direttore sia effettuata non solo fra i professori universitari; esprime parere favorevole con la seguente osservazione: valuti il Governo l'opportunita' di specificare puntualmente, all'articolo 10, comma 2, secondo periodo, le ulteriori modalita' di compartecipazione delle regioni e delle universita'". Nonostante le osservazioni della Commissione parlamentare per le questioni regionali, il Governo ha proceduto all'approvazione del provvedimento nello stesso giorno in cui la Commissione parlamentare ha rilasciato il parere. La ricostruzione storica dell'iter che ha condotto all'approvazione del D.P.C.M., la costante interpretazione dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 59/97 nella prassi dei rapporti tra lo Stato e le Regioni e l'orientamento assunto sulla questione dalla giurisprudenza costituzionale impongono di ritenere che il Governo, nell'approvare il D.P.C.M. in data 17 maggio 2001 abbia violato, non concedendo concretamente alle regioni la possibilita' di pervenire ad un accordo, il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, cosi' come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in proposito Corte costituzionale sentt. 359/85; 151 e 153/86; 214/1988; 101 e 138/89; 21 e 351/91; 389 e 520/95; 393/99). 2. - Violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione in relazione al d.lgs. n. 502/92, al d.lgs. n. 517/99 e al d.lgs. n. 112/98. Violazione degli articoli 5, 114, 117 e 118 della Costituzione in relazione al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, al d.lgs. n. 281/97, articoli 1 e 4, all'Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome dell'8 agosto 2001, nonche' al decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, da parte dell'articolo 1, commi 2 e 4; dell'articolo 2, comma 3, lett. b); dell'articolo 3, commi 1 e 8; dell'articolo 4, commi 3 e 7, lett. f); e dell'articolo 10, commi 2 e 6. L'esatta comprensione della lesione della sfera e delle competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni realizzata dalle singole norme del D.P.C.M. richiede una breve premessa. Va preliminarmente precisato, infatti, che il D.P.C.M., oggetto del presente conflitto, pur essendo stato approvato dal Consiglio dei ministri in data 17 maggio 2001, e' stato adottato in data 24 maggio 2001 ed e' stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo nell'agosto del 2001 (n. 184 del 9 agosto 2001). Prima della pubblicazione, e quindi dell'entrata in vigore del D.P.C.M., e' intervenuto l'Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome, recante "integrazioni e modifiche agli accordi sanciti il 3 agosto 2000 e il 22 marzo 2001 in materia sanitaria" dell'8 agosto 2001. I contenuti dell'Accordo sono stati successivamente recepiti dal d.l. 18 settembre 2001, n. 347, recante "Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria". Sia l'Accordo che il d.l. n. 347/2001 intervengono su aspetti disciplinati dal D.P.C.M. 24 maggio 2001 operando, tuttavia, in una direzione opposta al D.P.C.M. 1. - L'Accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 integra e modifica gli accordi del 3 agosto 2000 e del 22 marzo 2001, intervenuti tra i Ministri del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, le Regioni e le Province autonome in materia di spesa sanitaria. Con tale accordo, da un lato, il Governo si e' impegnato ad incrementare il concorso dello Stato al finanziamento del S.S.N. per l'anno 2001, con riferimento ad un livello di spesa pari a L. 138.000 miliardi, dall'altro, le Regioni si sono impegnate, per le ipotesi di emersione di disavanzi rispetto a tale somma, ad assumere a proprio carico la copertura dei relativi oneri, nonche' al rispetto di una serie di condizioni indicate al punto 2 dell'Accordo. In particolare, in relazione all'"obiettivo di una evoluzione dei finanziamenti che mantenga un quadro stabile nel tempo", l'Accordo ha definito, per il triennio 2002-2004, il quadro finanziario complessivo ed esaustivo delle risorse statali utilizzabili per finanziare la spesa sanitaria pubblica - nel quale si fa riferimento alla quota per il 2001 incrementata, di anno in anno, in relazione all'andamento del PIL previsto nel DPEF 2002/2004 - ed ha individuato, anno per anno, le risorse da destinare al finanziamento del SSN per gli anni dal 2002 al 2004 (par. 6). Nell'ambito dell'Accordo, inoltre, il Governo, "al fine di consentire alle regioni di mantenere i tetti prefissati", si e' assunto l'impegno di adottare, con appositi strumenti legislativi di urgenza o con corsia preferenziale, una serie di misure indirizzate tra le altre: a) alla definizione di meccanismi di contenimento della spesa; b) all'attribuzione alle Regioni di una potesta' autorizzatoria in materia di sperimentazioni gestionali ex articolo 9-bis del d.lgs. n. 502/92; c) all'attribuzione alle Regioni della piena potesta' di riconoscimento ai presidi ospedalieri dello status di azienda ospedaliera, con modifica dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/92; d) all'adeguamento delle previsioni normative concernenti la dotazione dei posti letto ospedalieri per acuti fissando il nuovo parametro di quattro posti tetto per mille abitanti; e) alla definizione di misure di contenimento della spesa farmaceutica. (par. 9). Sempre al par. 9 dell'Accordo, il Governo si e' impegnato "ad attribuire alle Regioni, fermo restando quanto gia' richiamato alle lett. b) e c) del presente punto, autonomia nel settore dell'organizzazione della Sanita'". Sempre nell'ambito del suddetto Accordo, il Governo si e' assunto l'impegno ad emanare "previa intesa con le Regioni entro il 31 dicembre 2001, tutti i provvedimenti necessari a riconfermare la piena riconduzione delle attivita' assistenziali svolte dalle Aziende Ospedaliere universitarie (miste e/o policlinici) alla programmazione regionale, prevedendo un'adeguata corresponsabilizzazione finanziaria delle Universita' per la loro parte". Conclude l'Accordo, infine, l'impegno del Governo "ad adottare ogni provvedimento normativo e/o amministrativo, necessario all'attuazione del presente Accordo, anche a modifica, integrazione o abrogazione di norme vigenti incompatibili con quanto convenuto col presente Accordo". 2. - In attuazione di tale accordo, e' stato emanato recentemente il d.l. 18 settembre 2001, n. 347, recante "Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria". All'articolo 1, recante "Patto di stabilita' interno", il d.l., in relazione alla finalita' "del concorso delle autonomie regionali al rispetto degli obblighi comunitari della Repubblica ed alla conseguente realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2002-2004", stabilisce che l'ammontare delle spese correnti per l'esercizio 2002, al netto delle spese per interessi passivi, delle spese finanziate da programmi comunitari e delle spese relative all'assistenza sanitaria delle regioni a statuto ordinario, non puo' superare l'ammontare degli impegni a tale titolo relativi all'esercizio 2000, aumentati del 4,5 per cento. Per gli esercizi 2003 e 2004, il d.l. prevede l'applicazione di un incremento pari al tasso di inflazione programmato indicato dal documento di programmazione economico finanziaria. Con riguardo alle spese per l'assistenza sanitaria, il d.l. stabilisce che l'ammontare di tali spese resta regolato, sino al 2004, nei termini stabiliti dall'accordo Stato-regioni, approvato l'8 agosto 2001 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome (art. 1, comma 1). L'articolo 3, recante "Disposizioni in materia di equilibrio dei presidi ospedalieri e di sperimentazioni gestionali", al comma 2, prevede che le regioni adottano le disposizioni necessarie: a) per stabilire l'obbligo delle aziende sanitarie ed ospedaliere di garantire l'equilibrio economico dei singoli presidi ospedalieri; b) per individuare le tipologie degli eventuali provvedimenti di riequilibrio; c) per determinare le misure a carico dei direttori generali nell'ipotesi di mancato raggiungimento dell'equilibrio economico. Il comma 6 dell'articolo 3, sempre in attuazione dell'Accordo Stato-Regioni, modifica l'articolo 9-bis del d.lgs. n. 502/1992, in materia di sperimentazioni gestionali, nel senso dell'attribuzione alle Regioni, anziche' alla Conferenza Stato-Regioni, del potere di autorizzare i programmi di sperimentazione gestionale. Il comma 1 dell'articolo 3, inoltre, introduce una importante modifica al d.lgs. n. 502/92, nella parte in cui, nell'aggiungere all'articolo 19 il comma 2-bis, prevede che: "Non costituiscono principi fondamentali, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, le materie di cui agli articoli 4, comma 1-bis, e 9-bis. In proposito, l'articolo 19 del d.lgs. n. 502/92 qualifica tutte le norme contenute nel d.lgs. n. 502/92 "principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione": a seguito della modifica introdotta dal d.l. n. 347/01 non costituiscono invece piu' principi fondamentali le disposizioni dettate dagli articoli 4, comma 1-bis e quelle di cui al 9-bis del d.lgs. n. 502/92. Si tratta di una modifica di un'importanza considerevole se si tiene a mente, in particolare, che l'articolo 4, comma 1-bis del d.lgs. n. 502/92, come introdotto dal d.lgs. n. 229/99, individua i requisiti cui viene subordinata, di fatto, la costituzione o la conferma in azienda ospedaliera dei presidi ospedalieri. Il risultato e' quello di un considerevole ampliamento della potesta' organizzativa delle Regioni in materia. Per effetto di tale norma, inoltre, non costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione neppure le norme dettate dall'articolo 9-bis del d.lgs. n. 502/92 in materia di sperimentazioni gestionali. Il comma 3 dell'articolo 3, infine, precisa che "Fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali o dei provvedimenti adottati in applicazione dei commi 1 (4, comma 1-bis e 9-bis del d.lgs. n. 502/1992 non piu' principi fondamentali) e 2 (poteri delle regioni in materia di equilibrio economico delle A.O.), continuano ad applicarsi tutte le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 502/92, come modificate dal presente articolo". Il comma 5 dell'articolo 3 del d.l. stabilisce, inoltre, che "gli effetti finanziari positivi o negativi derivanti dall'entrata in vigore delle leggi o dei provvedimenti regionali adottate ai sensi del presente decreto sono acquisiti o ricadono sui bilanci delle singole regioni". L'articolo 4 del d.l. n. 347/01, infine, nel dettare norme in materia di "Accertamento e copertura dei disavanzi", al comma 3, stabilisce che "gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati, nel rispetto dell'accordo Stato-Regioni 2001, sono coperti dalle regioni con le modalita' stabilite da norme regionali che prevedano alternativamente o cumulativamente l'introduzione di: a) misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l'introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa; b) variazioni dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste nella normativa vigente; c) altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci. L'articolo 12 del d.l. n. 347/01 stabilisce, infine, che i principi desumibili dal presente decreto costituiscono norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica. Le disposizioni del D.P.C.M. censurate in questa sede, oltre ad essere lesive delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni, si pongono in aperto contrasto con i contenuti dell'Accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 e del decreto legge n. 347/01. Ora se si tiene a mente, come gia' anticipato, che il D.P.C.M. e' stato pubblicato in data 9 agosto 2001, ossia dopo l'Accordo intervenuto tra lo Stato e le Regioni e in contrasto con i contenuti di tale Accordo, risulta evidente la violazione degli articoli 5, 114, 117 e 118 della Costituzione in relazione al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni come attuato dal d.lgs. n. 281/97 (cfr. in proposito Corte costituzionale sentt. 359/85; 151 e 153/86; 214/88; 101 e 138/89; 21 e 351/91; 389 e 520/95; 393/99; 110 e 206/01). A cio' si aggiunga che il D.P.C.M. e' stato adottato ai sensi del secondo comma dell'articolo 8 della legge n. 59/97, ossia a fronte di una mancata intesa con le Regioni, mentre i contenuti dell'Accordo, essendo stati concordati tra lo Stato e le Regioni, sono stati adottati nel pieno rispetto di tale principio. A tale principio fa riferimento lo stesso Accordo nella parte in cui richiama la legislazione ai sensi della quale e' stato sottoscritto. Si tratta, in particolare, dell'articolo 2, comma l, del d.lgs. n. 281/97, ai sensi del quale "al fine di garantire la partecipazione delle regioni e delle province autonome a tutti i processi decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale, la Conferenza Stato-Regioni, promuove e sancisce accordi di cui all'articolo 4"; e dell'articolo 4 del d.lgs. n. 281/97, ai sensi del quale "Governo, regioni e province autonome, in attuazione del principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalita', economicita' ed efficacia dell'azione amministrativa, possono concludere in sede di Conferenza Stato-Regioni accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attivita' di interesse comune. Gli accordi si perfezionano con l'espressione dell'assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano". A cio' si aggiunga che, a fronte dell'impegno assunto dal Governo nell'Accordo ad "adottare ogni provvedimento normativo e/o amministrativo, necessario all'attuazione del presente Accordo, anche a modifica, integrazione o abrogazione di norme vigenti incompatibili con quanto convenuto col presente Accordo", il D.P.C.M. 24 maggio 2001 detta disposizioni chiaramente incompatibili con i contenuti dell'Accordo stesso. Con riguardo al d.l. n. 347/01, inoltre, che costituisce diretta attuazione dell'Accordo dell'agosto 2001, il D.P.C.M. si pone, dal punto di vista formale, come una fonte di grado inferiore, e, dal punto di vista sostanziale, come fonte superata dai contenuti del Decreto legge. In considerazione del ruolo e delle competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni dagli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, del principio costituzionale di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, come concretamente attuato dal d.lgs. n. 281/97 e dall'Accordo dell'8 agosto 2001 e recepito dal d.l. n. 347/01, deve ragionevolmente ritenersi che non spetta allo Stato dettare le seguenti disposizioni del D.P.C.M. oggetto del presente conflitto. 2.1.- Articolo 1, commi 2 e 4. 1. - L'articolo 1 del D.P.C.M, nel disciplinare le forme di partecipazione delle universita' alla programmazione sanitaria, al comma 2, prevede che "prima dell'adozione o dell'adeguamento del piano sanitario regionale, le regioni e le province autonome acquisiscono formalmente, in ordine alle materie di cui al co. 1, il parere delle universita' sedi della facolta' di medicina e chirurgia ubicate nel proprio territorio ... Il parere delle universita' e' reso direttamente e puo' anche essere espresso attraverso il comitato regionale di coordinamento delle universita' di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 25/1998. Il parere si intende espresso in senso favorevole qualora non pervenga entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta". Sempre nell'ottica della partecipazione delle universita' alla programmazione sanitaria, al comma 4, l'articolo 1 prevede che "per le materie che implicano l'integrazione tra attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca, i protocolli d'intesa tra la regione o la provincia autonoma e le universita' prevedono forme di collaborazione nell'elaborazione e nella stesura di proposte per la formulazione del piano sanitario regionale o di altri documenti o progetti concernenti la programmazione attuativa regionale e locale, tenendo conto dei programmi di sviluppo delle facolta' di medicina e chirurgia, deliberati dalle stesse e approvati dagli organi dell'ateneo... ". Tali disposizioni risultano chiaramente lesive dell'autonomia regionale in materia di programmazione ed indirizzo: e' doveroso precisare che la Regione potra', autonomamente, richiedere il parere sugli atti programmatori del settore socio-sanitario non solo alle universita' ma anche a tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, saranno ritenuti portatori di interessi in quest'ambito. Prevedere, tuttavia, la richiesta di un parere obbligatorio, e il termine di 60 giorni per l'espressione dello stesso, e precisare nell'atto di indirizzo e coordinamento la procedura prevista dall'articolo 1, comma 14, del d.lgs. n. 502/92, cosi' come novellato dal d.lgs. n. 229/99 - peraltro impugnato da questa Regione con ricorso in via principale promosso di fronte a codesta ecc.ma Corte costituzionale - non fa che confermare l'invasivita' nella sfera regionale del livello centrale. I commi 1 e 4 dell'articolo 1, nel dettare le disposizioni indicate, risultano, pertanto, fortemente invasivi delle competenze riconosciute alle Regioni in materia di assistenza sanitaria dagli articoli 117 e 118 della Costituzione e, particolare delle competenze regionali in materia di programmazione sanitaria, come concretamente disciplinate dagli articoli 1 e 2 del d.lgs. n. 502/92. A cio' si aggiunga che anche il d.lgs n. 112/98, all'articolo 115, co. 2, lett. a), ha espressamente previsto il trasferimento alle Regioni delle funzioni e dei compiti relativi "all'approvazione dei piani e dei programmi di settore non aventi rilievo e applicazione nazionale". 2. - Va, inoltre, segnalato che tali disposizioni contrastano con lo stesso d.lgs n. 517/99 del quale il D.P.C.M. 24 maggio 2001 costituisce attuazione. L'articolo 2, comma 1, lett. c), del d.lgs n. 517/99 si limita, infatti, a prevedere, tra i criteri da porre a fondamento dell'atto di indirizzo e coordinamento, la definizione "delle linee generali della partecipazione delle universita' alla programmazione sanitaria regionale". Sarebbe stato, pertanto, sufficiente fissare nel D.P.C.M. il principio della partecipazione delle Universita' alla programmazione sanitaria e lasciare alle Regioni, nell'esercizio della potesta' di programmazione e di organizzazione, delle quali sono titolari, la definizione delle modalita' concrete di tale partecipazione. 3. - A cio' si aggiunga che dall'Accordo dell'8 agosto 2001 proviene una indicazione di segno opposto: nell'ambito dell'Accordo, infatti, il Governo si e' impegnato ad emanare provvedimenti diretti alla riconduzione "piena" delle attivita' assistenziali delle aziende ospedaliere alla programmazione regionale non, invece, ad assicurare la partecipazione delle universita' alla programmazione regionale. I commi 2 e 4 dell'articolo 1, pertanto, contraddicono anche gli impegni assunti dal Governo nell'Accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001, in violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni cosi' come concretamente attuato dal d.lgs n. 281/97. 4. - Con riguardo alla recente giurisprudenza costituzionale in materia di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, si segnala la sentenza 110/01, con la quale la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del d.lgs n. 96/99, recante "Intervento sostitutivo del Governo per la ripartizione di funzioni amministrative tra Regioni ed enti locali a norma dell'art. 4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59", nella parte in cui era applicabile alla Regione Veneto, con la seguente motivazione: "La norma delegante stabilisce che l'esercizio del potere sostitutivo del Governo deve avvenire "sentite le regioni inadempienti". Ma, alla stregua del materiale probatorio prodotto dalle parti e di quello acquisito a seguito dell'ordinanza istruttoria di questa Corte (di cui si da' conto nella narrativa in fatto), risulta che nessun contatto diretto tra il Governo e la Regione Veneto e' stato dal primo promosso al fine di acquisire il parere della seconda circa l'attivazione del potere sostitutivo previsto dall'art. 4, comma 5, della legge n. 59 del 1997". Con sentenza 206/01, inoltre, la Corte ha accolto la questione di costituzionalita' sollevata nei confronti dell'articolo dall'art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 443 del 1999, censurato perche' approvato dal Governo in un testo parzialmente diverso da quello risultante dall'intesa sancita nella Conferenza Stato-Regioni. La Corte ha cosi' stabilito che: "la modifica introdotta nel decreto base dall'art. 3, co. 1, lett. a), del d.lgs. n. 443 e' infatti difforme dall'intesa raggiunta, e dunque perviene ad una definizione dell'area dei compiti di rilievo nazionale, conservati in capo allo Stato, diversa da quella concordata. Poiche' il Governo non ha motivato specificamente tale difformita' dal testo dell'intesa, essa da luogo a violazione dell'art. 1, comma 4, lett. c), della legge n. 59/97, e dunque, indirettamente, a violazione dell'art. 76 della Costituzione". 2.2. - Articoli 2, comma 3, lett. b); e 3, comma 1. 1. L'articolo 2 detta disposizioni finalizzate all'integrazione delle attivita' assistenziali e di ricerca stabilendo, in particolare, al comma 3, che, a tal fine, i protocolli d'intesa individuano: a) in conformita' con le scelte definite dal piano sanitario regionale, le aziende ospedaliero-universitarie per le attivita' assistenziali necessarie allo svolgimento delle funzioni istituzionali di didattica e ricerca dell'universita'; b) le modalita' attraverso le quali le aziende e le strutture, di cui al punto a), concorrono sia alla realizzazione dei compiti istituzionali dell'universita' sia al raggiungimento degli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale e regionale, attraverso l'efficace e sinergica integrazione delle attivita' assistenziali con quelle di formazione e di ricerca. A tale scopo definiscono i criteri generali per l'adozione dell'atto aziendale di cui all'art. 3, co. 2, del d.lgs n. 517/99, individuano le attivita' assistenziali coerenti e necessarie allo svolgimento delle funzioni istituzionali di didattica e di ricerca dell'universita' e stabiliscono i principi ed i criteri per la costituzione, l'organizzazione ed il funzionamento dei dipartimenti ad attivita' integrata. Il successivo articolo 3, inoltre, nel definire criteri e parametri delle attivita' assistenziali, stabilisce, al primo comma, che "nel protocollo d'intesa le regioni e le province autonome e le universita' definiscono i parametri, per tipologia e volume, delle attivita' assistenziali necessarie e non vicariabili per le attivita' istituzionali della facolta' di medicina e chirurgia. Tali parametri sono rapportati al numero programmato degli iscritti al primo anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, salvo quanto previsto al successivo articolo 7, tenendo conto dell'indispensabile contributo delle strutture del S.S.N. alla formazione del personale dell'area sanitaria e degli specializzandi. Per le strutture di degenza, il numero di posti letto messo a disposizione delle facolta' di medicina e chirurgia per lo svolgimento delle attivita' didattiche e di ricerca, e' determinato, di norma, in tre posti letto per ogni studente iscritto al primo anno del corso di laurea in medicina e chirurgia,&d,; e' previsto nei protocolli d'intesa, che indicano i criteri di assegnazione tenendo conto delle dimensioni minime previste per le strutture e della dotazione di personale universitario ... ". Le norme dettate dall'articolo 2, comma 3, lett. b), e dall'articolo 3, comma 1, primo e terzo periodo, operano una illegittima invasione delle competenze spettanti alle Regioni, in virtu' degli articoli 117 e 118 della Costituzione, in particolare delle competenze in materia di programmazione ed organizzazione dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera. L'articolo 2, comma 3, lett. b), risulta lesivo in quanto subordina l'individuazione, da parte dei protocolli di intesa, delle attivita' assistenziali e dei relativi parametri alle esigenze delle attivita' istituzionali delle facolta' di medicina e chirurgia. L'articolo 3, comma 1, primo e terzo periodo, lede le competenze regionali in quanto individua, direttamente ed in materia dettagliata per le strutture di degenza, il numero dei posti letto messo a disposizione della facolta' di medicina e chirurgia. Le attribuzioni costituzionali delle regioni in materia trovano la loro disciplina, a livello legislativo, nell'articolo 2 del d.lgs n. 502/1992 a norma del quale "spettano alle regioni e alle provincie autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia sanitaria ed ospedaliera", ed, in particolare, "la determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attivita' destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle U.S.L. e delle aziende ospedaliere, le attivita' di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette U.L.S. ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualita' delle prestazioni sanitarie". La titolarita' in capo alle Regioni di tali competenze e' stata, inoltre, costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. n. 74/2001, 272/2001; 63/00; 408/1998; 156/1996; 274 e 107/1988; 99/1987; 219/1984 ampiamente citata infra sub. par. 2.3.). 2. Le disposizioni in questione, inoltre, non risultano neppure pienamente coerenti con il d.lgs. n. 517/1999 di cui il D.P.C.M. 24 maggio 2001 costituisce attuazione, che, al contrario, nell'indicare al Governo i criteri per l'adozione dell'atto di indirizzo e coordinamento appare rispettoso delle competenze regionali in materia. In proposito, con riguardo alla definizione dei rapporti tra attivita' assistenziale e attivita' di didattica e di ricerca, l'articolo 1 del d.lgs. n. 517/1999, alla lett. a), si limita a indicare al Governo di "promuovere e disciplinare l'integrazione dell'attivita' assistenziale, formativa e di ricerca del S.S.N. e universita'". L'uso dell'espressione "attivita' assistenziali necessarie allo svolgimento delle funzioni istituzionali di didattica e di ricerca dell'universita'" di cui l'art. 2, comma 3, lett. b), del D.P.C.M. denota, al contrario, l'interno del Governo di subordinare l'individuazione delle attivita' assistenziali da svolgere presso le aziende ospedaliero-universitarie a quelle di didattica e di ricerca, piu' che quello di "integrare" i due tipi di attivita' e di renderle coerenti, secondo quanto prescritto dal d.lgs. n. 517/1999. Considerazioni analoghe valgono per la disposizione contenuta nell'articolo 3, comma 1, primo periodo, del D.P.C.M. a fronte di quanto stabilito sul punto dall'articolo 1, comma 2, lett. d), del d.lgs. n. 519/1999. Mentre, infatti, il d.lgs. n. 517/1999 si limitava a prevedere che il Governo avrebbe dovuto indicare i parametri delle attivita' assistenziali "secondo criteri di funzionalita' e coerenza con le esigenze di ricerca e di didattica", l'articolo 3, comma 1, del D.P.C.M., nel dare attuazione a tale norma, compie un'evidente forzatura stabilendo che i protocolli definiscano i parametri "delle attivita' assistenziali necessarie e non vicariabili per le attivita' istituzionali delle facolta' di medicina e chirurgia". Con riguardo, infine, alla individuazione da parte dell'articolo 3, comma 1, terzo periodo, del D.P.C.M., del numero dei posti letto messo a disposizione delle facolta' di medicina e chirurgia possono farsi analoghe considerazioni. Le indicazioni fornite al Governo dal d.lgs. n. 517/1999 erano, infatti, cosi' circoscritte: individuazione del numero massimo di posti letto "anche in rapporto al numero degli studenti iscritti ai corsi di laurea della facolta' di medicina e chirurgia ed alle esigenze della ricerca, prevedendo inoltre i criteri e le modalita' per il progressivo adeguamento agli standard fissati e la contestuale riduzione dei posti letto, anche in attuazione del Piano sanitario regionale". 3. A cio' si aggiunga che, a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 347/2001 all'articolo 19 del d.lgs. n. 502/1992 - nella parte in cui si stabilisce che: "Non costituiscono principi fondamentali, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, le materie di cui agli articoli 4, comma. 1-bis e 9-bis" - i poteri delle Regioni nella definizione dei requisiti delle aziende ospedaliere sono stati ulteriormente ampliati. Tale modifica legislativa si riflette anche sulle competenze regionali in materia di Aziende ospedaliero-universitarie, in virtu' dell'applicabilita' alle stesse della disciplina dettata dall'articolo 4 del d.lgs. n. 502/1992, per espressa previsione e dello stesso articolo 4 del d.lgs. n. 502/1992 dell'articolo 2 del d.lgs. n. 517/1999. Con riguardo a tali aziende, infatti, l'articolo 4, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 ha stabilito che: "per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonche' di didattica del S.S.N., nel rispetto dei criteri e delle modalita' di cui ai comma 1-bis e seguenti, possono essere costituiti o confermati in aziende ... le aziende di cui all'art. 6 (Aziende ospedaliero-universitarie) della legge n. 419/1998, secondo le specifiche disposizioni definite in sede di attuazione della delega ivi prevista ... Le disposizioni del presente decreto, salvo quanto in esso diversamente disposto, non si applicano ai policlinici universitari e alle aziende ove insistono le facolta' di medicina e chirurgia prima della data indicata dalle disposizioni attuative della delega prevista dall'articolo 6 della legge n. 419/1998; ove tale data non sia prevista, dette disposizioni si applicano a partire dal 1 aprile 2000". Il d.l. n. 517/1999, attuativo della delega di cui all'articolo 6 della legge 419/1998, a sua volta, all'articolo 2, commi 7 e 8, richiama la disciplina dettata dal d.lgs. n. 502/1992 e, in particolare, dall'articolo 4, estendendone l'applicazione anche alle aziende ospedaliero-universitarie, salvo le diverse disposizioni ivi previste. Il risultato ditali modifiche introdotte dal d.l. n. 347/2001 e', pertanto, quello di un considerevole ampliamento della potesta' organizzativa delle Regioni anche con riguardo all'organizzazione della Aziende ospedaliero-universitarie. Anche alla luce dei recenti interventi legislativi, pertanto, il D.P.C.M. 24 maggio 2001, nel dettare disposizioni estremamente dettagliate, viola profondamente le competenze regionali in materia di assistenza ospedaliera. 4. - Le norme dettate dagli articoli 2, comma 3, lett. b) e 3, comma 1, integrano, infine, una violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, in relazione agli impegni assunti dal Governo nell'accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 di attribuire alle Regioni autonomia nel settore dell'organizzazione della Sanita'" e di emanare i provvedimenti necessari alla piena riconduzione delle attivita' assistenziali svolte dalle aziende ospedaliero-universitarie alla programmazione regionale. Tali norme, inoltre, realizzano una contraddizione in termini in ragione dei vincoli di spesa oggettivi che sussistono nel settore sanitario e che sono stati concordati nell'accordo Stato-Regioni 8 agosto 2001 e confermati dal d.l. n. 347/01, per la chiara individuazione dei quali si rinvia a quanto ampiamente esposto infra sub par.2.4. 5. - In relazione alle considerazioni che precedono va, infine, precisato che, in questa sede, non si intende disconoscere la necessita' che vi sia coerenza e funzionalita' tra le attivita' assistenziali e quelle di ricerca e di didattica svolte presso le aziende ospedaliero-universitarie; si contesta, tuttavia, la rigidita' con la quale viene configurato il rapporto tra i due tipi di attivita' e la totale estromissione delle Regioni, vere titolari della programmazione e della organizzazione dell'assistenza ospedaliera regionale nonche' responsabili dei costi della stessa. 2.3. - Articoli 3, comma 8; 4, comma 3 e comma 7, lettera f). 1. - L'articolo 3 del D.P. C.M. al comma 7, fissa il principio in base al quale le attivita' e le strutture assistenziali complesse, funzionali alle esigenze di didattica e di ricerca sono individuate sulla base di soglie operative, indicate nei protocolli d'intesa, consistenti in livelli minimi di attivita'. Una volta stabilito tale principio, al successivo comma 8, l'art. 3 precisa che per le attivita' assistenziali, tali livelli sono rappresentati dal numero minimo di casi trattati o dai volumi minimi di attivita' richiesti dalla programmazione regionale per garantire l'adeguata qualificazione della struttura. Per le esigenze della didattica e della ricerca sono rappresentati dal numero di professori e ricercatori universitari assegnati alla struttura, nonche' dal numero medio di allievi che ad essa ordinariamente afferiscono". Il successivo articolo 4, nel dettare indirizzi per l'organizzazione interna delle aziende ospedaliere universitarie, al comma 3, prevede che i protocolli d'intesa individuano le strutture assistenziali complesse essenziali alle esigenze di didattica e di ricerca dei corsi di laurea in medicina e chirurgia, attenendosi a quanto previsto all'articolo 3 ed ai seguenti criteri: a) livello minimo di attivita' necessaria per garantire una adeguata qualificazione della struttura in relazione ai compiti assistenziali; b) rispetto dei volumi e delle tipologie previsti nei piani annuali di attivita' e negli accordi di fornitura; c) adeguata presenza di professori e ricercatori universitari nella dotazione organica dell'unita' operativa". Al comma 7, l'articolo 4 stabilisce, inoltre, che "i protocolli d'intesa, nel rispetto delle previsioni dell'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 8-quater, comma 3, del d.lgs. n. 502/92 definiscono i criteri di attuazione dell'organizzazione dipartimentale", ed individua, alle lett. da a) ad f), i criteri cui i protocolli stessi dovranno attenersi. Alla lett. f) in particolare il comma 7 prevede che "il direttore del dipartimento ad attivita' integrata e' nominato dal direttore generale d'intesa con il rettore ..... Per i dipartimenti individuati nella programmazione concertata delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca, qualificati come essenziali ai fini dell'espletamento delle funzioni assistenziali della facolta' di medicina correlate ai settori scientifico-disciplinari, il direttore e' scelto fra i professori universitari, salvo diverse determinazioni previste nei protocolli di intesa, per specifici casi, ferma restando comunque la titolarita' dell'universita' per la didattica e la ricerca. Anche con riguardo alle norme di cui agli articoli 3, comma 8, 4, comma 3 e comma 7, lett. f) il Governo ha operato una illegittima invasione della sfera dei poteri spettanti alle Regioni, incidendo sulle competenze organizzative e programmatorie di cui queste ultime sono titolari in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera. In particolare, l'articolo 3, comma 8, invade le competenze regionali in quanto individua direttamente e dettagliatamente i livelli minimi di attivita' sia con riguardo alle strutture assistenziali complesse funzionali alle esigenze di didattica e di ricerca sia con riguardo alle esigenze della didattica e della ricerca. L'articolo 4, comma 3 risulta lesivo in quanto prevede l'individuazione da parte dei protocolli di intesa delle strutture assistenziali complesse "essenziali alle esigenze di didattica e di ricerca dei corsi di laurea di medicina e chirurgia", e definisce, alle lett. a) b) e c), "criteri" molto dettagliati. L'articolo 4, comma 7, lett. f) viola la potesta' organizzative regionale e la stessa autonomia aziendale in quanto, da un lato, prevede l'intesa con il rettore per la nomina, da parte del direttore generale, del direttore di dipartimento ad attivita' integrata, dall'altro, stabilisce che il direttore dei dipartimenti individuati come essenziali per l'espletamento delle funzioni assistenziali della facolta' di medicina, sia scelto fra i professori universitari. Gli articoli richiamati introducono criteri strutturali ed organizzativi che definiscono un modello rigido a livello nazionale non lasciando spazio alla autonoma definizione regionale, esautorano l'autonomia organizzativa delle aziende ospedaliere di riferimento, predeterminandone perfino tipologie e volumi di attivita'. Gli automatismi previsti per la determinazione delle strutture semplici e complesse, inoltre, favoriscono proliferazioni non sostenute da reali necessita' assistenziali e didattiche e di cui non e' possibile valutare l'impatto economico per la regione. Il risultato, di nuovo, e' quello di una illegittima invasione delle competenze riconosciute alle Regioni dagli articoli 117 e 118 della Costituzione in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera ed, in particolare, della potesta' organizzativa regionale. Tali norme realizzano, inoltre, una lesione dell'autonomia aziendale, in netto contrasto con le stesse previsioni del d.lgs. n. 502/1992 come modificato dal d.lgs. n. 229/1999. 2. - Con riguardo alla potesta' organizzativa delle Regioni in materia, la giurisprudenza costituzionale si e' pronunciata costantemente nel senso del riconoscimento della stessa in capo alle Regioni. In proposito nella sentenza n. 156 del 1996, si legge: "la potesta' di emanare norme per l'organizzazione, la gestione e il funzionamento delle U.S.L. e dei loro servizi come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture, rientrano nella materia dell'assistenza sanitaria e ospedaliera" di competenza regionale ex art. 117 Cost.". Di recente, la Corte, con la sentenza n. 63 del 2000, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 4, comma 1, del d.l. n. 175/1997, nella parte in cui demandava al Ministero della sanita', di emanare le "linee guida dell'organizzazione dell'attivita' libero-professionale intramuraria", in quanto la materia oggetto dell'atto ministeriale riguardava la competenza delle regioni in ordine alla organizzazione del servizio sanitario. Nella motivazione, la Corte ha precisato che "l'intervento dello Stato in questa ultima materia non puo' quindi esplicarsi se non nelle forme e nei limiti propri delle materie attribuite alle Regioni, cioe' attraverso la legislazione di principio, o di riforma, o attraverso l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento" (cfr. anche Corte cost. n. 272/00). Ora e' si vero che, nel caso di specie, lo Stato e' intervenuto a disciplinare la materia con un atto di indirizzo e coordinamento, ma e' anche vero che, nell'esercizio di tale funzione, il Governo non si e' limitato a fissare principi, ma ha dettato norme estremamente dettagliate e, in quanto tali, lesive delle competenze regionali in materia. In proposito la Corte ha piu' volte ribadito il principio in base al quale le disposizioni dirette a porre principi concernenti l'organizzazione delle unita' sanitarie locali vanno considerate come norme fondamentali di riforma economico sociale (sent. n. 274 e n. 107/1988). Ma, nell'ambito di questo orientamento, ha precisato che neppure una riforma economico-sociale puo' integralmente estromettere le regioni dalle materie di loro competenza (sent. n. 219/1984) e che le eventuali disposizioni di dettaglio, che accompagnino le predette norme fondamentali, sono tali da vincolare l'esercizio delle competenze regionali soltanto ove siano legate con principi della riforma da un rapporto di coessenzialita' e di necessaria integrazione (sent. n. 99/1987). Recentemente, la Corte, con sentenza n. 74 del 2001, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di alcune norme del d.lgs. n. 469/1997 proprio perche' lesive della potesta' organizzativa regionale. Nella decisione menzionata si legge, in particolare che: "il coinvolgimento di competenze proprie, postula che sia conservata alle Regioni quella discrezionalita' organizzativa che deve essere ad esse riconosciuta nelle materie e per le funzioni di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione Non puo' essere infatti consentito, in tali materie, ridurre l'ambito della scelta politica del legislatore regionale ad una attivita' di pura esecuzione di una disciplina statale di dettaglio ferma la possibilita' per lo Stato di delineare il modello organizzativo con disposizioni di principio, deve residuare alla Regione uno spazio di libera scelta in ordine alla disciplina dell'organizzazione, che non puo' essere compresso senza pregiudicarne lo statuto costituzionale di autonomia. 3. - Le norme dettate dagli articoli 3, comma 8; 4, comma 3 e comma 7, lett. f), poi, si pongono in aperto contrasto con l'accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 e con gli impegni assunti in quella sede dal Governo. In particolare, esse contraddicono apertamente, in violazione del principio di leale collaborazione come attuato dal d.lgs. n. 281/1997, l'impegno del Governo di attribuire alle regioni autonomia organizzativa nel settore dell'organizzazione della sanita' (par. 9) nonche' quello di emanare tutti i provvedimenti necessari a riconfermare la piena riconduzione delle attivita' svolte dalle Aziende ospedaliero-universitarie alla programmazione regionale (par. 13). 4. - Con riguardo, infine, alla norma (art. 4, comma 7, lett. f), secondo periodo), che disciplina le modalita' della nomina del direttore dei dipartimenti individuati come essenziali per l'espletamento delle funzioni assistenziali della facolta' di medicina, si ricorda, inoltre, che, nel parere reso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali in data 17 maggio 2001, la commissione, rilevava "l'opportunita' di considerare all'art. 4, comma 6, lett. f), secondo periodo, che la nomina del direttore sia effettuata non solo fra i professori universitari". 2.4. - Articolo 10, commi 2 e 6. 1. - L'articolo 10 del D.P.C.M. disciplina la compartecipazione delle regioni e delle universita' ai risultati di gestione delle aziende ospedaliero-universitarie stabilendo, al primo comma, che a decorrere dalla data di costituzione dell'azienda ospedaliero-universitaria, la regione e l'universita' compartecipano ai risultati della gestione per quote percentuali determinate nei protocolli d'intesa. Il comma 2 dell'articolo 10, nell'individuare apporto delle universita', prevede che l'universita' realizza la compartecipazione di cui al comma 1 con l'apporto di: a) personale docente e non docente; b) beni mobili e immobili. Il successivo comma 6 dell'articolo 10 prevede che "in caso di risultati finanziari negativi nella gestione dell'azienda, la regione e l'universita' concordano appositi piani di rientro poliennali ... In caso di mancato accordo la regione, sentita il comitato regionale di coordinamento delle universita' di cui d.P.R. 25/1998, disdetta (sic!) il protocollo d'intesa per la parte concernente l'azienda interessata attuando le previsioni dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. 502/1992". Le disposizioni dettate dai commi 2 e 6 dell'art. 10, nel prevedere, da un lato, un contributo solo "in natura" delle universita' al sostenimento dei "costi" delle aziende ospedaliero-universitarie e, dall'altro, l'obbligo per la Regione di concordare, in caso di disavanzi nella gestione delle aziende, il piano poliennale di rientro, interferiscono pesantemente sulle competenze assicurate alle regioni dagli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. Tali norme, infatti, da un lato, definiscono un livello di partecipazione delle universita' ai costi assolutamente inadeguato, dall'altro, nell'imporre alla Regione - alla quale spetta concretamente il ripiano dei disavanzi - di concordare con le universita' i piani di rientro, limitano fortemente la potesta' organizzativa e la potesta' in materia di spesa spettanti alle Regioni in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, come attuate dalla legislazione statale e riconosciute dalla giurisprudenza costituzionale. 2. - Va, inoltre, rilevato che neppure il d.lgs. n. 517/1999, di cui il D.P.C.M. 24 maggio 2001 costituisce attuazione, esclude la possibilita' di un contributo finanziario delle Regioni ai costi di gestione delle Aziende ospedaliero-universitarie. In proposito, l'art. 7, primo comma, del d.lgs. n. 517/1999 prevede che "Regioni ed universita' concorrono con propri finanziamenti all'attuazione di programmi di rilevante interesse per la Regione e l'universita' definiti d'intesa". 3. - Tali disposizioni, inoltre, sono in contrasto con i contenuti dell'accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001, successivamente recepiti nel d.l. n. 347/2001, violando conseguentemente, anche il principio di leale collaborazione tra lo Stato e Regioni. Contraddicono, in particolare, l'impegno, assunto dal Governo nell'Accordo, ad emanare, "previa intesa con le Regioni entro il 31 dicembre 2001, tutti i provvedimenti necessari a riconfermare fa piena riconduzione delle attivita' assistenziali svolte dalle Aziende ospedaliere-universitarie (miste e/o policlinici) alla programmazione regionale, prevedendo un adeguata corresponsabilizzazione finanziaria delle Universita' per la loro parte". Sono in contrasto inoltre, con il poter attribuito alle Regioni dall'art. 3, comma 2, del d.l. n. 347/2001, di adottare tutte le disposizioni necessarie: a) per stabilire l'obbligo delle aziende sanitarie ed ospedaliere di garantire l'equilibrio economico dei singoli presidi ospedalieri; b) per individuare le tipologie degli eventuali provvedimenti di riequilibrio; c) per determinare le misure a carico dei direttori generali nell'ipotesi di mancato raggiungimento dell'equilibrio economico (comma 2)". A cio' si aggiunga che, ai sensi del comma 5 dell'art. 3 del d.l. n. 347: "gli effetti finanziari positivi a negativi derivanti dall'entrata in vigore delle leggi o dei provvedimenti regionali adottate ai sensi del presente decreto sono acquisiti o ricadono sui bilanci delle singole regioni". Ne consegue una situazione ai limiti del paradosso: da un lato, le Regioni, in funzione di un preciso accordo intervenuto con lo Stato e prima delle pubblicazione del D.P.C.M. successivamente recepito in un decreto-legge, si sono impegnate, per le ipotesi di emersione di disavanzi rispetto a finanziamenti assicurati dallo Stato, ad assumere a proprio carico la copertura dei relativi oneri, sono state autorizzate dallo Stato adottare tutti i provvedimenti - sia di natura organizzativa, che di natura finanziaria - necessari a mantenere tali impegni, e sono state responsabilizzate in ordine agli effetti finanziari di tali provvedimenti; dall'altro, si trovano a dover attuare un D.P.C.M. pienamente contrastante con gli impegni assunti e con i poteri loro conferiti. 4. -La lesione delle competenze recentemente attribuite alle Regioni e' ancora piu' evidente a fronte di quanto stabilito dall'art. 4 del d.l. n. 347/2001 proprio in ordine all'accertamento e (alla) copertura dei disavanzi" Il comma 3 dell'art. 4 attribuisce, infatti, alle egioni non solo l'onere di coprire, nel rispetto dell'accordo Stato-Regioni 2001, gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati, ma anche il potere di stabilire le modalita' attraverso le quali coprire tali disavanzi, con norme regionali che prevedano alternativamente a cumulativamente l'introduzione di: a) misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l'introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa; b) variazioni dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste nella normativa vigente; c) altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci. 5. - Non puo', inoltre, non essere rilevata la scarsa chiarezza della disposizione dettata dal comma 4 dell'art. 10 nella parte in cui prevede che, in caso di mancato accordo tra le Regioni e le universita' nella definizione dei piani poliennali di rientro, la Regione disdice il protocollo d'intesa per la parte concerrente l'azienda interessa attuando le previsioni dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992. Se con tale disposizione si riconosce implicitamente che spetta alla Regione la decisione finale in ordine alle modalita' di ripiano, privo di senso ed incomprensibile appare il richiamo all'art. 4, comma 3 del d.lgs. n. 502/1992. Tale disposizione stabilisce, infatti, che "sono ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione i policlinici universitari, che devono essere inseriti nel sistema di emergenza sanitaria di cui al d.P.R. 27 marzo 1992".
P. Q. M. La Regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare che: non spetta allo Stato disciplinare, in violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni e in maniera cosi' dettagliata materie riconducibili alla potesta' organizzativa, programmatoria e di indirizzo delle Regioni in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, e, per l'effetto, annullare il D.P.C.M. 24 maggio 2001, in toto e in parte qua in relazione agli articoli 1, commi 2 e 4; 2, comma 3, lett. b); 3, commi 1 e 8; 4, commi 3 e 7, lettera f) e 10, commi 2 e 6, per violazione degli articoli 5, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione in relazione al principio e collaborazione tra lo Stato e le Regioni, al d.lgs. n. 281/1997, all'accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 e al d.l. n. 347/2001. Roma, addi' 8 ottobre 2001 Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto 01c1082