N. 915 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2001
Ordinanza emessa il 17 settembre 2001 dal GUP del tribunale di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Pirrello Giuseppe Mafia - Misure di previsione - Persona sottoposta con provvedimento definitivo a misura di prevenzione - Obbligo di comunicazione della variazioni patrimoniali non inferiori a venti milioni - Configurazione dell'omessa comunicazione quale reato di mero sospetto - Eccessivita' del trattamento sanzionatorio previsto - Lesione del principio di ragionevolezza - Violazione del principio di inviolabilita' della liberta' personale - Compromissione della differenziazione tra misura di sicurezza e pena - Lesione del principio della personalita' della responsabilita' penale - Contrasto con il principio di proporzionalita' e della finalita' rieducativa della pena. - Legge 13 settembre 1982, n. 646, artt. 30 e 31. - Costituzione, artt. 3, 13, primo comma, 25 e 27, primo comma [e comma terzo].(GU n.46 del 28-11-2001 )
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ordinanza Il giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Caltanissetta, Considerato: che nei confronti di Pirrello Giuseppe, nato a Riesi il 18 aprile 1958, il p.m. ha esercitato l'azione penale in relazione al delitto di cui all'art. 30, legge n. 646/1982 (punito ai sensi del successivo art. 31); che la contestazione mossa al citato imputato si fonda sull'assunto secondo cui lo stesso, sebbene sottoposto con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ai sensi delle leggi n. 1423/56 (decreto del 14 gennaio 1986, e 575/65 (decreto del 20 gennaio 1997, non avrebbe comunicato al nucleo di Polizia Tributaria del luogo di dimora abituale, nei termini previsti dalla norma in questione, tutte le variazioni nell'entita' e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore a venti milioni di lire (in particolare costituiscono oggetto dell'imputazione gli immobili acquistati rispettivamente in data 5 giugno 1995, 6 giugno 1998, 25 giugno 1998 e 24 maggio 1999; che tuttavia appare evidente come lo scopo perseguito dalla norma in questione (consistente nell'esigenza, da parte dell'apparato statuale, di prevenire il pericolo di un potenziale reimpiego di denaro sporco, ad opera di soggetti ritenuti essere comunque vicini a cosa nostra, mediante un costante monitoraggio delle variazioni del patrimonio dei predetti, possa comunque essere agevolmente raggiunto mediante una semplice verifica presso la competente Conservatoria dei RR.II., ad opera della Polizia tributaria (come del resto e' accaduto nella presente fattispecie, in cui tra l'altro il Pirrello aveva preventivamente chiesto persino specifica autorizzazione al Tribunale di Caltanissetta - Sezione misure di prevenzione, per potersi recare presso il notaio incaricato di rogare le compravendite immobiliari sopra richiamate); che allora l'attuale formulazione della norma in contestazione (la quale viene a sanzionare penalmente la semplice condotta omissiva, a prescindere dall'eventualita' che quello stesso risultato sia stato concretamente raggiunto per altra via, sembra contrastare con i principi costituzionali consacrati dagli artt. 27, comma 3, e 13 comma 1 della Costituzione, richiedendo, il primo, che la reazione all'illecito corrisponda alla sua effettiva gravita', non potendosi perseguire altrimenti alcuna azione rieducativa mediante un trattamento sanzionatorio sproporzionato rispetto al disvalore del fatto, il secondo, che la punizione penale intervenga solo allorquando sia esaurita qualsiasi possibilita' di tutela attraverso strumenti repressivi che non incidano su di un bene di rango cosi' elevato: simili considerazioni non possono non tenere conto del fatto che il nostro sistema punitivo si basa sul doppio binario sanzione penale/sanzione amministrativa; che invero la scelta di ricorrere alla reazione di tipo penale non puo' che essere riservata a quelle condotte maggiormente disfunzionali rispetto alle esigenze di conservazione di un determinato assetto sociale: in caso contrario verrebbe ad essere messa in crisi quella funzione di orientamento dei contegni individuali, propria della sola pena criminale; che infine, tale ultimo profilo appena evidenziato sembra determinare un ulteriore motivo di contrasto tra la normativa richiamata nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dal p.m. ed i principi costituzionali consacrati nell'art. 27 comma I: il carattere personale della responsabilita' penale presuppone che la minaccia dell'intervento punitivo di tipo criminale (e quindi l'efficacia motivante di un simile precetto, sia connessa esclusivamente alla eventuale realizzazione di particolari condotte, connotate dall'evidenza del disvalore del fatto; che sul punto e' bene evidenziare come lo stesso potere esecutivo abbia riconosciuto la validita' di un tale criterio di orientamento delle scelte punitive rimesse al legislatore ordinario, il quale dovrebbe allora tenere conto della particolare tipologia dell'illecito e quindi della peculiare natura dell'interesse protetto dalla norma: simile considerazione si fonda sull'esame del testo della Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 1983, afferente alla problematica della distinzione tra illecito penale ed illecito amministrativo, come pure di quella del 5 febbraio 1985, riguardante l'individuazione dei parametri di differenziazione tra delitti e contravvenzioni (invero una lettura costituzionalmente orientata del nostro sistema punitivo richiede necessariamente che l'intervento penale, quanto meno allorquando si ricolleghi alla previsione di delitti, venga circoscritto essenzialmente alla tutela di beni costituzionalmente significativi, residuando le restanti forme di sanzione per la salvaguardia di beni non rilevanti per la Costituzione o comunque non contrastanti con i principi in essa sanciti); che nella fattispecie, poi, venendo punita con la pena criminale una condotta di mera disubbidienza risulta essere compromessa anche quella differenziazione tra misura di sicurezza e pena, pure prevista dagli artt. 25 e 27 della Costituzione: in altre parole, la criminalizzazione del mero omesso avviso comporta di fatto la trasformazione del delitto di cui agli artt. 30 e 31 legge n. 646/1982 in una misura esclusivamente preventiva, volta a colpire la semplice pericolosita' sociale (presunta) dell'agente; che infatti il combinato disposto degli artt. 30 e 31 della legge citata comporta chiaramente la creazione di un delitto di mero sospetto, volto a sanzionare un contegno in se' ne' lesivo ne' pericoloso, il quale tuttavia lascia presumere l'avvenuta commissione di altro reato, vale a dire il reimpiego di denaro sporco per effettuare gli acquisti oggetto del richiesto atto di denuncia o comunque la monetizzazione di quei beni costituenti provento di precedente attivita' illecita: tale presunzione tra l'altro non puo' essere vinta in alcun modo atteso che all'omissione in esame consegue inevitabilmente l'irrogazione di una pena detentiva da due a sei anni di reclusione (piu' una consistente multa) oltre alla confisca dei beni (o del denaro); a prescindere dall'eventuale prova fornita circa la legittima provenienza della somma utilizzata per stipulare il relativo contratto di acquisto del cespite in contestazione; che, ancora, la qualificazione in termini di delitto di una tale condotta illecita contrasta in ogni caso con il principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 della Costituzione: la Corte costituzionale, invero, pur ribadendo il principio secondo cui e' compito esclusivo del legislatore quello di individuare il disvalore oggettivo dei fatti tipici e quindi il loro diverso grado di offensivita', ha comunque statuito come simile compito debba essere svolto attraverso un'adeguata articolazione dei trattamenti sanzionatori (Corte costituzionale n. 285/1991), precisando come siffatto potere discrezionale trovi pur sempre un limite nella manifesta irragionevolezza delle scelte operate o comunque nell'esercizio arbitrario di una siffatta potesta' (Corte costituzionale n. 333/1991; prima ancora n. 1/1971, 139/1982; 126/1983); che allora occorre osservare in primo luogo come la mera condotta di omissione disciplinata dagli artt. 30 e 31 legge n. 646/1982 (per la quale e' prevista la reclusione da due a sei anni e la multa da 20 a 40 milioni di lire, oltre alla confisca del bene o del denaro sia sanzionata in maniera ben piu' grave rispetto al contegno volto ad attribuire ad altri, in maniera fittizia, la titolarita' di beni o valori al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione o comunque al fine di agevolare delitti destanti particolare allarme sociale, quali ricettazione o riciclaggio (l'art. 12-quinquies, comma 1, legge n. 356/1992 prevede esclusivamente una sanzione detentiva, identica nei limiti edittali a quella appena ricordata); inoltre la violazione di cui agli artt. 30 e 31 legge n. 646/1982, viene qualificata in termini di delitto quando invece il primo comma dell'art. 9 della legge n. 1423/56 prevede una mera contravvenzione per punire colui il quale violi la sorveglianza semplice; il secondo comma, relativo invece alla punizione delle condotte tenute in spregio della sorveglianza speciale, sanziona un simile delitto con la reclusione da uno a cinque anni e quindi, ancora una volta, con una pena inferiore rispetto a quella prevista per l'omessa denuncia delle variazioni patrimoniali realizzate dal soggetto sottoposto a misura di prevenzione; che per tutto quanto fin qui considerato la questione di legittimita' costituzionale sopra enunciata appare non manifestamente infondata; che la questione e' rilevante in causa, perche' in questa sede deve farsi applicazione delle norme denunciate per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal p.m.;
P. T. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 30 e 31 della legge n. 646/1982, in riferimento agli artt. 3, 13, comma I, 25 e 27, comma I, della Costituzione; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e sospende la decisione in ordine alla richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti di Pirrello Giuseppe; Dispone che la presente ordinanza (letta in udienza) sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Caltanissetta, addi' 17 settembre 2001 Il giudice per l'udienza preliminare: Leopoldo De Gregorio 01C1124