N. 918 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 luglio 2001
Ordinanza emessa il 25 luglio 2001, dal tribunale per i minorenni di L'Aquila nel procedimento di adozione relativo a R.K.J. Adozione e affidamento - Adozione internazionale - Affido preadottivo di durata annuale - Riconoscimento quale principio fondamentale del diritto di famiglia e dei minori - Mancata previsione - Illogica discriminazione del minore straniero rispetto a quello italiano. - Legge 4 maggio 1983, n. 184, artt. 22, 23, 25, 33, commi 1 e 2; legge 31 dicembre 1998, n. 476, artt. 34, comma 2, 35, comma 3, 4 e 6, e 37-bis. - Costituzione, art. 3.(GU n.46 del 28-11-2001 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DELL'ABRUZZO - L'AQUILA Il Tribunale per i minorenni di L'Aquila, riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei signori: 1) dott. Giovanni Manera, Presidente estensore; 2) dott.ssa Pia Di Giulio, Giudice O.; 3) dott. Aldo Costanzo D'Alfonso, Componente privato; 4) dott.ssa Paola Berardi, Componente privato; ha emesso la seguente ordinanza; nel procedimento di adozione internazionale n. 20/2001 relativo al minore R. K. J., nato il 7 novembre 1996 in Leticia (Colombia). Letti gli atti, osserva in Fatto e diritto Con istanza del 18 aprile 2001 i signori P. V. e C. A. chiedevano che questo Tribunale ordinasse la trascrizione, nei registri dello stato civile del loro Comune di residenza, del provvedimento straniero di adozione del minore R. K. J., pronunciato dal Tribunale Promiscuo di Famiglia di Leticia (Colombia) il 29 marzo 2001. Il 26 aprile 2001 il P.M.M. esprimeva parere favorevole all'accoglimento dell'istanza. Comparsi all'udienza del 22 giugno 2001 davanti al Presidente dott. Manera, i coniugi P. e C. dichiaravano che avevano visto per la prima volta K. il 22 marzo 2001 e da allora lo avevano preso e tenuto con loro in Colombia per una ventina di giorni; che erano tornati in Italia l'11/4 c.a.; che avevano incaricato, per seguire la loro pratica di adozione, il CIFA di Torino. Il 28 giugno 2001 questo T.M. acquisiva nuovamente il parere del P.M.M. e quindi deliberava nella Camera di Consiglio del 25 luglio 2001. Rilevanza della questione La soluzione del dubbio se l'affido preadottivo della durata di un anno costituisca o meno tuttora un principio fondamentale del nostro diritto di famiglia e dei minori relativamente all'adozione d'un minore straniero e' indubbiamente rilevante nel presente procedimento, poiche' solo se si ritiene che l'affido preadottivo non costituisca un principio fondamentale il tribunale puo' (nel concorso delle altre condizioni richieste dall'art. 35, commi 2, 3 e 6) ordinare la trascrizione del provvedimento estero di adozione nei registri dello stato civile italiano, mentre, se si ritiene che l'affido preadottivo della durata di un anno sia ancora condizione indispensabile per poter pronunciare l'adozione, mancando in concreto l'esperimento dell'affido, lo stesso tribunale deve rifiutare la trascrizione e continuare a "manipolare" il provvedimento straniero, riconoscendolo efficace come affidamento preadottivo (come sostenuto da alcuni Autori: cfr., in tal senso, P. Morozzo della Rocca, La riforma dell'adozione internazionale, Utet, 1999, pag. 96). Non manifesta infondatezza La questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 34, comma 2 e 35, commi 3 e 6 della legge n. 476/1998, ad avviso del Collegio, oltre ad essere rilevante, non e' manifestamente infondata, onde va rimessa al giudizio di codesta Onorevole Corte. E' sufficiente rilevare, al riguardo, che la legge n. 476/1998, attuativa della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993, ha innovato profondamente la previgente disciplina dell'adozione internazionale introdotta dalla legge n. 184/1983, ma disegnando un quadro normativo caratterizzato da poche certezze e da molti dubbi, ambiguita' ed incertezze. Uno dei principi essenziali della nuova legge (che spesso viene trascurato a passato sotto silenzio o non considerato nella sua importanza fondamentale) e' il principio di sussidiarieta' dell'adozione internazionale. Un altro punto fermo della nuova disciplina (finalizzato a contrastare il c.d. mercato dei minori) e' l'obbligo imposto dall'art. 31 agli aspiranti genitori adottivi di rivolgersi ad uno degli Enti autorizzati (previsti dall'art. 39-ter) per farsi assistere nello svolgimento delle pratiche di adozione internazionale. Anche tale obbligo (sanzionato penalmente dalla nuova ipotesi di reato prevista dall'art. 72-bis della legge n. 476) ingenera qualche perplessita' sulla natura di tali Enti, non riuscendosi a comprendere come gli stessi possano essere definiti senza fine di lucro (art. 39-ter lettera d) quando i coniugi che sono costretti a chiedere la loro assistenza spesso dichiarano apertamente di aver dovuto versare per tale assistenza alcune decine di milioni. Altro punto qualificante della nuova disciplina dell'adozione internazionale e' la diversita' di effetti riconosciuti dalla legge n. 476 ai provvedimenti stranieri di adozione. Mentre, infatti, la legge n. 184/1983 stabiliva che i provvedimenti stranieri (di adozione, d'affidamento ecc.) non avevano efficacia in Italia senza la loro delibazione da parte del T.m. ai sensi dell'art. 32, invece la legge n. 476/1998 introduce una disposizione di maggior rispetto dei provvedimenti stranieri, in quanto "l'adozione pronunciata all'estero produce nell'ordinamento italiano gli effetti di cui all'art. 27", ossia l'acquisto dello stato di figlio legittimo degli adottanti, l'assunzione del loro cognome e la cessazione dei rapporti con la famiglia di origine. Mentre la c.d. "delibazione" del provvedimento straniero da parte del T.m., ai sensi dell'art. 32 della legge n. 184, non era una vera delibazione, in quanto il c.d. provvedimento straniero non veniva riconosciuto come tale (cioe' come provvedimento straniero) efficace nel nostro ordinamento, ma tale provvedimento era assunto solo come presupposto di fatto del decreto con il quale il giudice italiano costituiva direttamente ed autonomamente l'adozione (dopo aver desunto, dal provvedimento straniero, la sussistenza dello stato di effettivo abbandono del minore straniero all'estero ed il consenso al suo espatrio definitivo in Italia), invece in base alla nuova legge e' il provvedimento straniero in quanto tale che ha efficacia diretta in Italia. Ma, preso atto che a seguito della nuova disciplina il provvedimento straniero di adozione pronunciato all'estero prima dell'arrivo del minore in Italia (ex art. 35) ha efficacia diretta in Italia, in quanto "l'adozione pronunciata all'estero produce nell'ordinamento italiano gli effetti di cui all'art. 27"; dubbi, incertezze e discussioni cominciano a sorgere sulla natura dell'efficacia del provvedimento straniero, nel senso che e' controverso se il provvedimento straniero di adozione abbia o meno efficacia automatica in Italia (ai sensi degli artt. 64, 65 e ss. della legge n. 218 del 1995). Nonostante la maggioranza dei commentatori della nuova legge ritenga che il provvedimento straniero abbia efficacia automatica nel nostro ordinamento (cfr., in tal senso, L. Sacchetti, Il nuovo sistema dell'adozione internazionale, Maggioli, Rimini, 1999, pag. 128) il Collegio ritiene di non poter condividere tale opinione, in quanto essa riceve una smentita testuale ed inequivocabile dal fatto che i commi 2 e 3 dell'art. 35 impongono al T.m. di verificare che nel provvedimento straniero risulti la sussistenza delle condizioni delle adozioni internazionali previste dall'art. 4 della Convenzione (art. 35, comma 2) e di accertare che l'adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori (art. 35, comma 3). Il T.m. deve, cioe', verificare che le autorita' competenti dello Stato straniero abbiano stabilito che il minore era adottabile e che abbiano constatato, dopo aver debitamente vagliato le possibilita' di affidamento del minore nello Stato di origine, che l'adozione internazionale corrispondesse al suo superiore interesse (art. 4 Conv. e art. 35, comma 1, legge n. 476/1998) e deve, inoltre, accertare che l'adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori (valutati in relazione al superiore interesse del minore), onde, solo se tali accertamenti siano positivi (e se la C.A.I. abbia certificato la conformita' dell'adozione alle disposizioni della Convenzione ed autorizzato l'ingresso ed il soggiorno permanente del minore in Italia), il T.m. puo' ordinare la trascrizione del provvedimento straniero nei registri dello stato civile. Dalle superiori premesse discende la conseguenza che il T.m. non puo' autorizzare la trascrizione se dal provvedimento straniero non risulti la sussistenza dello stato di abbandono del minore all'estero o la constatata impossibilita' di sistemazione del minore nel suo Paese di origine (e, ad avviso del Collegio, dal provvedimento straniero devono risultare e nello stesso devono essere indicati specificamente i vari tentativi fatti in concreto per sistemare il minore nel suo Paese ed evitare lo sradicamento dalla sua Nazione e l'espatrio definitivo all'estero, consentito solo in caso di constatata impossibilita' di una sistemazione nel Paese di origine: il fondamentale criterio di sussidiarieta' dell'adozione internazionale esige che siano davvero fatti e specificamente indicati nel provvedimento i predetti tentativi di far restare il minore nel suo Paese, e non ci si puo' appagare, per ritenere soddisfatto tale principio, di una mera affermazione generica, che dichiari l'impossibilita' di sistemazione del minore nel suo Paese senza indicare gli effettivi predetti tentativi, altrimenti tale affermazione diventa una vuota clausola di stile). Ugualmente la trascrizione non puo' essere disposta se manchino le predette certificazioni della C.A.I. o se l'adozione si riveli contraria ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto dei famiglia e dei minori (art. 35, comma 3). Sembra pacifico che la C.A.I. possa dichiarare che l'adozione internazionale risponde al superiore interesse del minore soltanto se dalla documentazione trasmessa dall'autorita' straniera risulti che il minore e' adottabile (ossia in stato di effettivo, dichiarato abbandono all'estero) e l'impossibilita' (nel senso dinanzi precisato) di procedere ad un'adozione o ad un affidamento del minore nello Stato di origine. La mancanza della prova dello stato di abbandono del minore all'estero o della inutile ricerca di una sistemazione del minore nel Paese di origine devono bloccare il procedimento di adozione ed indurre il T.m. a rifiutare la trascrizione (cfr., in tal senso, Sabina A.R. Galluzzo, Il diritto di famiglia e dei minori, Il sole 24 Ore, 1999, n.389). Alle stesse conseguenze il T.m. deve pervenire quando accerti la mancanza dei requisiti voluti dall'art. 35, comma 6 [alle lettere da a) ad e)], tutti ritenuti pacificamente di importanza fondamentale. Poiche' la verifica e l'accertamento demandati al T.m. dall'art. 35, commi 2 e 3 integrano una valutazione di merito circa la conformita' o meno del provvedimento straniero di adozione ai principi della Convenzione ed ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori (il cui esito condiziona la trascrivibilita' o meno del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile), e' di tutta evidenza che il provvedimento straniero non puo' avere efficacia automatica nel nostro ordinamento, in quanto solo il positivo accertamento di tutti i predetti requisiti da parte del T.m. autorizza la trascrivibilita' del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile, trascrizione che il T.m. deve rifiutare quando accerti l'insussistenza dei requisiti voluti dalla legge. Cio' chiarito, resta da stabilire se tra i principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori rientri o meno quello di un anno di affidamento preadottivo, gia' richiesto dalla nostra legge per l'adozione sia nazionale (artt. 22 e 25 legge n. 184/1983) che internazionale (art. 33, comma 1 della legge n. 184/1983) e non piu' richiesto dall'art. 35, commi 3 e 6 e dall'art. 34, comma 2 della legge n. 476 per l'adozione internazionale. La maggioranza degli Autori ritiene che un periodo di affidamento preadottivo (della durata di un anno) non costituisca piu' un principio fondamentale del nostro diritto relativamente all'adozione internazionale, a seguito della novella piu' volte citata (legge n. 476/1998) (cfr., in tal senso, L. Sacchetti, op. cit, pag. 129. Contra: P. Morozzo, op. cit., pag. 96). Il Collegio ritiene di non poter condividere tale opinione, considerata la ratio dell'istituto dell'affidamento preadottivo, che e' quella di verificare in concreto se l'inserimento del minore adottabile (o in stato di dichiarato, definitivo abbandono e che ha gia' subito seri pregiudizi dalla protratta mancanza di adeguate cure parentali) nella nuova famiglia abbia o meno probabilita' di successo, tanto da poter poi procedere alla formale adozione. Invero non ha senso pronunciare subito l'adozione senza una verifica in concreto di una positiva integrazione di quel particolare minore in quella nuova particolare famiglia, poiche' se il "rodaggio" costituito dal periodo di affido non ha esito positivo, non ha alcuna utilita' inserire formalmente il minore nella nuova famiglia, occorrendo revocare l'affido preadottivo e procedere a nuovi tentativi di altri affidi preadottivi, e cioe' a successivi inserimenti del minore adottabile (e privo di famiglia) in altri nuclei familiari. Il "rodaggio" costituito dall'affido preadottivo, ad avviso del Collegio, e' sempre necessario in ogni tipo di adozione legittimante (sia nazionale che internazionale), poiche', data la situazione di abbandono in cui e' vissuto il minore (condizione di fatto indispensabile per poterlo dichiarare adottabile), e' nozione di comune esperienza che l'integrazione d'un minore (che ha negativamente sperimentato sulla sua pelle le negative conseguenze della carenza non temporanea di idonee cure parentali) in una famiglia estranea e' sempre difficile ed aleatoria (anche quando i minori siano in tenera eta', poiche', secondo i cultori delle scienze umane, i bimbi risentono delle condizioni di vita sfavorevoli sin dal seno materno ed anche nei primi mesi di vita), donde la necessita' d'un esperimento, che verifichi in concreto se l'integrazione di quel particolare minore (adottabile) in quella nuova, peculiare famiglia (non biologica, ma degli affetti) abbia o meno probabilita' di successo e consenta all'adottabile di inserirsi tanto proficuamente nel nuovo nucleo da diventarne parte integrante e nuovo membro o figlio legittimo a tutti gli effetti, come se fosse stato generato biologicamente dagli adottanti. La durata di almeno un anno dell'affido preadottivo integra una verifica d'una situazione di fatto (integrazione piena d'un membro estraneo in un nuovo nucleo familiare), che e' ontologicamente necessaria in ogni forma di adozione legittimante (nazionale ed internazionale). Il "rodaggio" costituito dal periodo di un anno di affido preadottivo (necessario per l'adozione nazionale) deve ritenersi ugualmente indispensabile anche per l'adozione internazionale, in quanto e' evidente che, se e' sempre difficile l'inserimento di un minore adottabile italiano in una nuova famiglia di accoglienza o "degli affetti", le difficolta' di inserimento d'un minore straniero in una nuova famiglia sono ancora maggiori, in quanto il minore straniero (oltre ai traumi derivanti dall'abbandono, che sono comuni a quelli risentiti dal minore italiano adottabile) ha altri gravi problemi, derivanti dalla sua diversa etnia, dalle diverse caratteristiche somatiche e biopsichiche, dall'avulsione dal suo ambiente e dal traumatico inserimento in un contesto sociale completamente nuovo e diverso per lingua, costumi, tradizioni ecc. E', pertanto, illogico ed assurdo ritenere che l'inserimento d'un minore italiano adottabile in una nuova famiglia sia una situazione difficile (che richiede l'esperimento positivo d'un congruo "rodaggio" prima di potersi procedere all'adozione), mentre l'inserimento d'un minore straniero adottabile in una nuova famiglia di accoglienza rappresenti una situazione piu' facile o meno grave (di quella del minore italiano adottabile) e per la quale sia possibile pronunciare subito l'adozione senza farla precedere da una congrua durata (che per l'adozione internazionale dovrebbe essere anche maggiore di quella prevista per un minore italiano) di una seria verifica della piena integrazione del minore nel nuovo nucleo familiare. Occorre ricordare che, proprio per le difficolta' insite in ogni inserimento d'un membro estraneo (quale un adottabile) in una nuova famiglia di accoglienza, la legge impone, per l'adozione d'un minore italiano (ed in passato anche per il minore straniero: art. 33, comma 1 legge n. 184/1983) un periodo di affido preadottivo per verificare se il trapianto o "innesto" del minore nel nuovo nucleo si risolva positivamente o se si verifichino gravi difficolta' di ambientamento (tali da far revocare l'affido) ma che, anche quando l'affido preadottivo abbia esito negativo, la legge prevede che il T.m. debba ricercare altre nuove famiglie disposte ad accogliere il minore, e cioe' di fare altri tentativi ponderati di nuovi affidi preadottivi, non potendo il minore adottabile (e per definizione privo di famiglia) restare solo e crescere e maturare senza una "propria" idonea famiglia (cfr. artt. 2, 3, 29, 30, 31 Cost.). Considerata la natura e la finalita' dell'affido preadottivo, la legge prevede in caso di suo esito negativo la revoca dello stesso, proprio per consentire al T.m. di compiere ulteriori tentativi di trovare per il minore adottabile un'idonea famiglia in grado di corrispondere alle sue esigenze. Invece, ritenendo possibile rendere efficace il provvedimento straniero come adozione anche senza il preventivo esperimento d'un congruo periodo di affido preadottivo, si introduce una ulteriore disarmonia nel sistema, perche' si impedisce che il minore straniero non integratosi nella nuova famiglia adottiva possa essere inserito in altre famiglie adottive, in quanto la legge, mentre prevede la revoca dell'affido preadottivo (v. art. 23 legge n. 184/1983) quale conseguenza fisiologica della mancata positiva integrazione del minore nel nuovo nucleo, giustamente non contempla la revoca dell'adozione, in quanto, avendo l'adozione legittimante efficacia piena, in nessun caso ne e' consentita la revoca. Percio' coloro che ritengono che il T.m. possa ordinare la trascrizione del provvedimento straniero di adozione nei registri dello stato civile italiano anche quando l'adozione non sia stata preceduta da un anno di affidamento preadottivo, non considerano che in tal modo viene attuata un'odiosa e perniciosa discriminazione a danno del minore straniero adottabile rispetto a quello italiano. Del resto il nostro legislatore forse si e' reso conto di tali disarmonie quando ha previsto (art. 34, comma 2) che "per almeno un anno, ai fini di una corretta integrazione familiare e sociale, i servizi socio-assistenziali degli enti locali e gli enti autorizzati, assistono gli affidatari, i genitori adottivi ed i minori" e riferiscono in ogni caso al T.m. sull'andamento dell'inserimento e su eventuali difficolta' per gli opportuni interventi. Ma e' da sottolineare che l'assistenza per un anno e' prevista solo su richiesta degli interessati; che essa non equivale ad un vero affido preadottivo e che tale assistenza non ha alcuna utilita' dopo che sia stata ordinata la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile, in quanto la trascrizione "produce gli effetti di cui all'art. 27", ossia rende il minore figlio legittimo degli adottanti (oltre che cittadino italiano) a tutti gli effetti, onde non e' piu' consentita la revoca dell'adozione ne' una tutela piena del minore straniero (garantita solo da altri inserimenti adottivi, resi impossibili o ostacolati dall'acquisito status di figlio legittimo ai sensi dell'art. 27). Alla facile, prevedibile obiezione che anche i figli legittimi possono essere dati in adozione quando versino in situazione di abbandono e' agevole replicare che, se cio e' vero, e', pero', altrettanto vero ed innegabile che, per i minori stranieri divenuti subito figli degli adottanti italiani a seguito della trascrizione della sentenza straniera di adozione nei registri dello stato civile italiano, non puo' procedersi subito ad altri affidamenti preadottivi (come sarebbe possibile se l'adozione straniera non venisse subito trascritta nei registri dello stato civile), ma occorre mettere in moto la complessa procedura per la dichiarazione di adottabiita' e che solo quando tale dichiarazione sara' divenuta definitiva sara' possibile procedere a nuovi affidamenti preadottivi. E' vero che l'art. 35, comma 6, lettera e) della legge n. 476 dispone che il T.m. non puo' ordinare la trascrizione ... quando "l'inserimento del minore nella famiglia adottiva si e' manifestato contrario al suo interesse", ossia quando si sono verificate gravi difficolta' di idonea convivenza e non si e' verificata una positiva integrazione del minore straniero nella nuova famiglia. Ma, avendo la legge n. 476 eliminato la necessita' del periodo di un anno di affidamento preadottivo (richiesta dall'art. 33, comma 1, della legge n. 184/1983) quale condicio sine qua non per poter riconoscere il provvedimento straniero quale adozione e non avendo parlato mai tale legge di affidamento preadottivo quale principio fondamentale del nostro diritto di famiglia e dei minori (relativamente all'adozione internazionale), il giudice, richiesto dagli interessati (come nel caso di specie) di ordinare subito la trascrizione del provvedimento straniero di adozione nei registri dello stato civile agli effetti dell'art. 27, non potrebbe rifiutare tale adempimento imponendo il previo esperimento di un anno di affidamento preadottivo, che non e' previsto (e quindi e' escluso) dalla legge n. 476. Ad infirmare la validita' delle considerazioni che precedono non puo' valere il rilievo che il denunciato sospetto di illegittimita' costituzionale non potrebbe sussistere perche' l'adozione nazionale e quella internazionale riguarderebbero situazioni diverse, in quanto e' agevole replicare in contrario che la situazione di fatto (difficolta' di inserimento d'un minore adottabile in una famiglia estranea) e' la stessa sia nell'adozione nazionale e sia in quella internazionale, come identica e' la situazione giuridica, in quanto entrambe tali forme di adozione hanno efficacia piena o legittimante (ai sensi dell'art. 27), onde la denunciata disparita' di trattamento appare illogica ed irrazionale e quindi evidente ed innegabile la violazione del principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 della Carta costituzionale. I rilievi che precedono non sono smentiti dal fatto che con una recentissima pronuncia la Corte costituzionale ha ribadito che rientra nella discrezionalita' del legislatore la possibilita' di disciplinare diversamente i procedimenti di adozione nazionale ed internazionale (cfr. Corte costituzionale, ordinanza 6-14 giugno 2001, n. 192, Pres. Ruperto, rel. Contri; Corte costituzionale sentenza 5 febbraio 1938, n. 10, in Guida al diritto n. 7/1998, 56 ss.). Tale principio non sembra invocabile nel caso di specie per affermare l'infondatezza della presente eccezione di illegittimita', poiche' la questione decisa nell'ordinanza citata riguardava un problema diverso. Ed, invero, mentre il tribunale minorile napoletano dubitava della legittimita' costituzionale della diversa disciplina legislativa che prevede un'astratta dichiarazione di idoneita' degli aspiranti genitori adottivi solo nella procedura di adozione internazionale e non pure in quella di adozione nazionale, la presente questione concerne il dubbio se un periodo di affidamento preadottivo (della durata d'un anno) costituisca o meno un principio fondamentale del nostro diritto di famiglia e dei minori, come tale valido sia nell'adozione nazionale che in quella internazionale. Ed a proposito del dubbio di illegittimita' sollevato dal giudice partenopeo la Consulta ha giustamente risposto che la questione era manifestamente infondata, perche' la diversa disciplina si giustifica con il fatto che nell'adozione nazionale l'"abbinamento" e' fatto dal giudice italiano (donde la inutilita' di una generica dichiarazione di idoneita' degli adottanti), mente nell'adozione internazionale l'abbinamento e' fatto dal giudice straniero, onde occorre una preventiva, astratta dichiarazione di idoneita' per essere sicuri che il giudice straniero affidi i minori a persone munite dei requisiti voluti dalla nostra legge. Il principio affermato nella citata, recente ordinanza non sembra applicabile al caso di specie, anche perche', se le procedure dell'adozione nazionale e di quella internazionale possono essere diverse, invece i requisiti sostanziali richiesti agli adottanti sono gli stessi (come confermato dal rinvio dell'art. 30 all'art. 6 legge n. 184/1983 e succ. mod.) ed il periodo di affido preadottivo, quale principio fondamentale dei nostro diritto di famiglia, sembra piu' un requisito di carattere sostanziale (analogo a quelli dei limiti di eta', della durata del matrimonio e della non separazione) che una disposizione di carattere processuale. Ma, anche volendo ritenere che il periodo di affido sia una norma procedimentale, il principio della diversita' delle procedure non potrebbe giustificare la necessita' dell'esperimento dell'affido preadottivo solo nell'adozione nazionale e non pure in quella internazionale, in quanto la ratio dell'affido preadottivo e' la stessa in entrambe tali forme di adozione, come sopra gia' rilevato. Privo di pregio appare il rilievo che gli ordinamenti stranieri non prevedono in genere l'affidamento preadottivo, perche' l'affidamento preadottivo e' un principio fondamentale del nostro diritto minorile e perche' l'art. 35 comma 3 della legge n. 476/1998 autorizza la trascrizione della sentenza straniera di adozione solo se il T.m. riconosce che essa non e' contraria ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori, con la conseguenza della non trascrivibilita' di tale sentenza straniera, se viene confermato che l'affidamento preadottivo costituisce tuttora un principio fondamentale della nostra legge in subiecta materia. La sottolineata disparita' di trattamento appare ancor piu' evidente, innegabile ed incomprensibile quando si ricordi che il periodo di un anno di affidamento preadottivo e' richiesto non solo per l'adozione dei minori italiani (artt. 22 e 25 legge n. 184/1983 anche nel testo modificato dalla legge n. 149/2001), ma anche per i minori stranieri adottandi a norma dell'art. 37-bis (ai quali si applicano gli artt. 22 e 25 legge n. 184/1983) e per i minori stranieri trasferiti in Italia in forza d'un provvedimento non di adozione, ma di affidamento preadottivo ai sensi dell'art. 35, comma 4 della legge n. 476/1998. L'unico rimedio per evitare le disarmonie sopra evidenziate ed un'illogica e pregiudizievole discriminazione del minore straniero rispetto a quello italiano e' quello di sollevare la presente eccezione di illegittimita' costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 134 Cost; Visto l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87 solleva, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 34, comma 2; 35, commi 3 e 6 della legge n. 476/1998, nella parte in cui tali articoli non prevedono per l'adozione internazionale la durata di un anno di affido preadottivo quale principio fondamentale del nostro diritto di famiglia e dei minori, in relazione all'art. 33, commi 1 e 2 della legge n. 184/1983 e suc. mod. agli artt. 22, 23 e 25 legge n. 184/1983 (come modificati dalla legge n. 149/2001) ed agli artt. 37-bis e 35, comma 4 della legge n. 476/1998, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della Cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti ed al P.M. in sede nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. L'Aquila, addi' 25 luglio 2001 Il Presidente estensore: Manera 01C1127