N. 367 ORDINANZA 6 - 16 novembre 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  militari - Reato di insubordinazione con ingiuria o minaccia -
  Fatto  commesso da militare per cause estranee al servizio in danno
  di  pubblico  ufficiale  -  Mancata  esclusione della punibilita' -
  Lamentata  violazione  dei principi di eguaglianza e ragionevolezza
  alla  luce  della  intervenuta  abrogazione  del  reato  comune  di
  oltraggio   a   pubblico  ufficiale  -  Questione  risolvibile  dal
  rimettente   nell'esercizio   dei   suoi  poteri  interpretativi  -
  Manifesta inammissibilita'.
- Cod. pen. mil. di pace, artt. 189 e 199.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.45 del 21-11-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare Ruperto;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio
ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero
ALBERTO CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 189 e 199 del
codice  penale  militare  di  pace,  promosso con ordinanza emessa il
12 ottobre  2000  dal  giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
militare  di  Padova  nel  procedimento  penale  a  carico  di T. C.,
iscritta  al  n. 151  del  registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 10,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2001.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 10 ottobre 2001 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del  12 ottobre  2000  il  giudice
dell'udienza   preliminare   del  Tribunale  militare  di  Padova  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 189  e  199 cod. pen. mil.
pace, nella parte in cui non escludono la punibilita' per il reato di
insubordinazione  con  ingiuria  o  con  minaccia  "in ordine a fatti
compiuti  da  un  militare  per  cause  estranee e non collegabili al
servizio  da  lui  prestato  ma  inerenti  il  servizio  di  pubblico
ufficiale svolto dalla persona offesa dal reato";
        che  il  rimettente  premette che nel caso di specie il fatto
oggetto  del  giudizio riguarda una persona che, in abiti civili e in
compagnia  di  persone  non  militari,  aveva  apostrofato con parole
oltraggiose  e  minacciose  un maresciallo dei carabinieri in divisa,
precisando  che solo in un momento successivo era stato accertato che
l'autore  del  fatto  era  un  militare  di leva in licenza; da detto
accertamento ha preso avvio il procedimento penale, che sottolinea il
giudice  a  quo  -  "puo'  dirsi  almeno  in  parte dovuto al casuale
accertamento  dello status di militare del soggetto agente, in nessun
modo collegato allo svolgimento dei fatti";
        che  nell'ordinanza  il  giudice  di  merito  afferma  che la
disposizione  dell'art. 199  cod.  pen. mil. pace, nella parte in cui
esclude    l'applicabilita'    della    fattispecie    incriminatrice
dell'art. 189  dello  stesso codice qualora il fatto che configura il
reato  di  insubordinazione con minaccia o ingiuria sia commesso, tra
l'altro, "per cause estranee al servizio" e alla disciplina militare,
sarebbe  da  riferire  -  alla  stregua  della  "lettera della norma"
nonche'      dell'interpretazione      "fatta      propria      dalla
dottrina maggioritaria  e  da  una costante giurisprudenza" - al solo
serviziosvolto     dalla    persona    ingiuriata    o    minacciata,
indipendentemente   da   ogni   relazione   con  il  servizio  svolto
dall'autore  del  fatto;  che,  pertanto,  nel caso sottoposto al suo
giudizio,  poiche' il maresciallo dell'arma dei carabinieri "e' stato
oggetto di frasi ingiuriose e minacciose proprio a causa del servizio
da  lui  svolto  e della divisa da lui indossata, non puo' escludersi
l'applicabilita'   dell'art. 189   cod.  pen. mil.  pace",  donde  la
rilevanza della questione sollevata;
        che  il  giudice  a  quo  dopo  aver  svolto una disamina dei
diversi   orientamenti   interpretativi   registratisi  a)  circa  la
configurabilita'    del    concorso   formale   fra   il   reato   di
insubordinazione  con  minaccia  e ingiuria e il reato di oltraggio a
pubblico  ufficiale,  configurabilita'  di recente esclusa in ragione
del  principio di specialita', con applicazione dunque del solo reato
(speciale)   militare,   e   b)  circa  il  divario  nel  trattamento
sanzionatorio  rispettivamente  previsto  per  i due reati anzidetti,
ritenuto non discriminatorio dalla giurisprudenza comune generalmente
in  base  alla  considerazione  della maggiore gravita' dell'illecito
penale   militare,   fa   richiamo   a  talune  pronunce  rese  dalla
giurisprudenza  costituzionale,  nelle  quali la Corte, esaminando la
materia in esame e in particolare i rapporti tra i reati militari e i
reati  comuni,  ha  parlato  talora  di  gravita' equiparabile fra le
fattispecie (sentenza n. 188 del 1996), ma - sottolinea il rimettente
-  "pur  sempre  evidenziando che il rispetto del rapporto gerarchico
militare  e'  elemento  aggiuntivo rispetto al disvalore espresso dai
reati avverso pubblici ufficiali" (sentenza n. 278 del 1990);
        che,  cio'  premesso,  il  rimettente  muove dall'intervenuta
abrogazione  del  delitto  di  oltraggio a pubblico ufficiale a opera
dell'art. 18  della  legge  25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo
per  la  depenalizzazione  dei  reati  minori  e modifiche al sistema
penale  e  tributario),  entrata in vigore anteriormente al fatto per
cui  egli  procede,  per  affermare  che,  se  da un lato ha perso di
rilievo  la  questione  del concorso formale fra oltraggio a pubblico
ufficiale e insubordinazione con minaccia o ingiuria, dall'altro lato
tale  intervento  legislativo  ha  radicalmente "ribaltato" l'assetto
normativo   valutato   come   non   irragionevole   dalla   ricordata
giurisprudenza;
        che    appunto   l'abolitio   criminis   relativamente   alla
fattispecie comune - per molti aspetti assimilabile a quella militare
-  determina il rimettente a sollevare, in riferimento ai principi di
uguaglianza  e ragionevolezza sanciti dall'art. 3 della Costituzione,
la  questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 189 e 199
cod.  pen. mil.  pace, nella parte in cui rendono possibile che siano
sanzionate  penalmente  condotte di minaccia e di offesa all'onore di
un   superiore,   causate  dal  servizio  di  pubblico  ufficiale  da
quest'ultimo  svolto,  ma  non  collegate  in  alcun modo al servizio
svolto dal (militare) soggetto attivo del reato;
        che  il  giudice  rimettente  afferma in particolare che, una
volta  venuta  meno  la norma incriminatrice di cui all'art. 341 cod.
pen.,   "condotte   identiche   risultano  penalmente  irrilevanti  o
sanzionate  con  la  reclusione  militare  sino a tre anni, a seconda
della   qualita'  di  civile  o  di  militare  del  soggetto  agente,
indipendentemente  da  ogni effettiva offesa del bene giuridico della
disciplina  militare",  e  che  cio'  comporterebbe  la  lesione  del
principio di uguaglianza;
        che la suddetta diversita' di disciplina, collegata alla sola
appartenenza  alle  forze armate dell'autore del fatto, sarebbe ancor
meno giustificabile - ancora secondo il giudice a quo - se rapportata
alla  recente  tendenza del legislatore, manifestatasi anche nei piu'
recenti  provvedimenti  di  depenalizzazione,  a non ritenere la mera
qualifica  di pubblico ufficiale quale ragione idonea a giustificare,
di  per  se',  una piu' rigorosa tutela penale, nel quadro di un piu'
generale  ripensamento  quanto  alla  struttura e alle funzioni delle
forze armate;
        che,   alla  stregua  di  questo  mutato  assetto  normativo,
conclude  il  rimettente,  non appare ragionevole collegare alla sola
qualita'  di militare un differenziato e deteriore trattamento penale
"a  tutela  di  una  nozione  formale  e  generalistica di disciplina
militare,  invasiva  di  ogni  momento  della  vita  del militare, in
servizio o fuori servizio, anche in assenza di ogni effettiva lesione
o collegamento con i rapporti gerarchici inerenti il servizio svolto"
dall'autore del fatto.
    Considerato che il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
militare  di Padova solleva questione di legittimita' costituzionale,
in  riferimento  all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 189 e 199
cod.  pen. mil. pace, nella parte in cui non escludono la punibilita'
per  insubordinazione  con  ingiuria  o  con minaccia relativamente a
fatti compiuti da un militare per cause estranee e non collegabili al
servizio  da  lui  prestato  ma  inerenti  al  servizio  di  pubblico
ufficiale svolto dalla persona offesa dal reato;
        che l'art. 199 citato esclude l'applicabilita' dell'art. 189,
che  prevede  come  reato l'insubordinazione con minaccia o ingiuria,
quando  il  fatto  "e' commesso per cause estranee al servizio e alla
disciplina  militare"  e  che  il giudice rimettente afferma che tale
clausola  di  esclusione  del  reato  di  insubordinazione  opera con
riguardo  soltanto  alla  condizione  in  cui in concreto si trova la
persona  ingiuriata  o  minacciata,  essendo  irrilevante l'eventuale
inesistenza   di   una   correlazione  col  servizio  militare  della
situazione in cui si e' trovato ad agire l'autore del fatto;
        che   la   questione   di   costituzionalita'   si   basa  su
quest'interpretazione  ed  e'  indirizzata a ottenere da questa Corte
una  pronuncia  che,  in  forza  del  principio  di  uguaglianza e di
ragionevolezza  alla  luce  dell'avvenuta  abrogazione  del  reato di
oltraggio  a  pubblico ufficiale (art. 18 della legge 25 giugno 1999,
n. 205),  impedisca per l'appunto tale interpretazione, escludendo la
punibilita'  del  fatto  quando l'ingiuria o la minaccia siano bensi'
indirizzate a un militare in servizio, ma da parte di un militare non
in servizio;
        che  l'interpretazione  che il giudice rimettente pone a base
della  questione  di  costituzionalita'  che  egli  solleva sarebbe -
secondo le sue espressioni - indotta dalla lettera della disposizione
censurata     e     sarebbe     comunque    fatta    propria    dalla
dottrina maggioritaria e da una costante giurisprudenza;
        che, al contrario di quanto affermato, la lettera della legge
non  conduce  a  un'interpretazione obbligata nel senso dianzi detto,
un'interpretazione  che  il giudice rimettente intende avvalorare col
riferimento  agli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza:
orientamenti  ai  quali  - qualora anche essi fossero (e nella specie
non  sono)  univoci  -  non  puo'  assegnarsi  un  valore  limitativo
dell'autonomia interpretativa del giudice;
        che  l'iniziativa del giudice rimettente si configura dunque,
impropriamente,     come     strumento     rivolto    a    promuovere
un'interpretazione  della legge alla quale non e' precluso al giudice
stesso  di pervenire, nell'esercizio di poteri interpretativi che gli
sono propri e che non richiedono alcun avallo costituzionale;
        che  pertanto,  indipendentemente  dalla valutazione circa la
legittimita'  costituzionale  della  norma  sottoposta  all'esame  di
questa   Corte,   la   questione   proposta  deve  essere  dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 189 e 199 del codice penale
militare   di   pace,  sollevata,  in  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione,  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  del Tribunale
militare di Padova, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 16 novembre 2001
                      Il cancelliere: Fruscella
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