N. 441 ORDINANZA 19 - 28 dicembre 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Incompatibilita' del giudice - Giudice che abbia
  gia'  emesso  il  decreto  che dispone il giudizio nei confronti di
  coimputati  del medesimo fatto-reato - Mancata previsione della sua
  incompatibilita' a partecipare al giudizio abbreviato nei confronti
  di  imputati  che  abbiano  richiesto di essere processati con tale
  rito  -  Prospettato  contrasto  con  i principi di imparzialita' e
  terzieta'  del giudice, con il diritto di difesa e con il principio
  del giudice naturale - Manifesta inammissibilita' della questione.
- Cod. proc. pen., art. 34, comma 2.
- Costituzione, artt. 24, 25 e 111, secondo comma.
(GU n.1 del 2-1-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso con ordinanza emessa il
27 settembre  2000 dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di  Lecce nel procedimento penale a carico di R. C. e altri, iscritta
al  n. 245  del  registro  ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 14, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 7 novembre 2001 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto che il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Lecce   ha   sollevato,  con  ordinanza  del  27 settembre  2000,  in
riferimento   agli   artt. 24,   25   e  111,  secondo  comma,  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34,
comma  2,  del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non
prevede   che  non  possa  partecipare  al  giudizio  abbreviato  nei
confronti di taluni imputati che abbiano chiesto di essere processati
con  tale  rito  il  giudice  che  in precedenza abbia emesso, previa
separazione del procedimento originariamente unitario, il decreto che
dispone  il  giudizio  nei  confronti  di altri imputati del medesimo
fatto-reato;
        che  il  rimettente muove dalle recenti modifiche legislative
alla  disciplina  dell'udienza  preliminare,  introdotte con la legge
16 dicembre   1999,   n. 479   (Modifiche   alle   disposizioni   sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni in materia di contenzioso
civile  pendente,  di  indennita'  spettanti  al giudice di pace e di
esercizio  della  professione  forense),  che  avrebbero radicalmente
trasformato  la configurazione di detta udienza "richiedendo ormai al
giudice  anche  un'attivita' di giudizio, sia pure in negativo, prima
di  emettere  il decreto che dispone il giudizio", con la conseguenza
che tale momento del procedimento "non puo' piu' essere ritenuto mero
atto di impulso processuale, ma il compendio di un'intensa e puntuale
attivita' di giudizio";
        che,  ad  avviso  del rimettente, l'emissione del decreto che
dispone  il  giudizio  nei  confronti  dei  coimputati  del  medesimo
fatto-reato   -   nella  specie,  del  delitto  di  associazione  per
delinquere  -,  e'  stata  necessariamente preceduta da una implicita
valutazione  della posizione degli imputati che lo stesso giudice ora
si trova a giudicare con il rito alternativo;
        che  il  giudice  a  quo  dubita  quindi  della  legittimita'
costituzionale della norma impugnata, traducendosi l'ipotesi in esame
in  un  vulnus  dei principi di imparzialita' e terzieta' del giudice
(art. 111, secondo comma, della Costituzione), nonche' in una lesione
tanto  del  diritto  di  difesa  spettante  alle parti (art. 24 della
Costituzione) quanto del principio del giudice naturale precostituito
per legge (art. 25 della Costituzione);
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.
    Considerato  che  il giudice rimettente chiede a questa Corte una
pronuncia  che  estenda  l'istituto dell'incompatibilita' del giudice
all'ipotesi  in  cui questi, chiamato a giudicare alcuni imputati con
il  rito abbreviato, nell'ambito di un precedente procedimento penale
abbia gia' emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti di
altri coimputati del medesimo fatto-reato;
        che, come questa Corte ha avuto piu' volte modo di affermare,
se il pregiudizio che si assume lesivo dell'imparzialita' del giudice
deriva  da  attivita'  da questi compiute al di fuori del giudizio in
cui  e'  chiamato a decidere - siano esse attivita' non giudiziarie o
attivita'   giudiziarie   svolte   in  altro  giudizio  -,  si  verte
nell'ambito  di  applicazione  degli istituti dell'astensione e della
ricusazione  (artt. 36  e  37 cod. proc. pen.), anch'essi preordinati
alla  salvaguardia  delle  esigenze  di  imparzialita' della funzione
giudicante,  ma  secondo  una  logica  a  posteriori  e  in  concreto
(sentenze  n. 283  e n. 113 del 2000, n. 351, n. 308, n. 307 e n. 306
del 1997; ordinanze n. 431, n. 277, n. 178 e n. 133 del 1999);
        che,  in  particolare, pur non potendo escludersi che, per il
peculiare  atteggiarsi  delle singole fattispecie, l'attivita' che il
giudice   abbia   compiuto   in   un  precedente  procedimento  possa
determinare  un  pregiudizio  alla  sua  imparzialita' nel successivo
procedimento a carico di altro o di altri concorrenti, in simili casi
-  al  di  la'  delle  ipotesi  particolari che hanno dato luogo alle
sentenze  n. 371 del 1996 e n. 241 del 1999 - soccorre sia l'art. 36,
comma  1,  lettera  h),  cod.  proc.  pen.,  nell'interpretazione non
restrittiva  alla  quale  vincola  il  principio  del giusto processo
(sentenza  n. 113  del  2000),  sia  l'art. 37  cod. proc. pen., come
risultante   dalla   sentenza   n. 283  del  2000  di  questa  Corte,
attribuendosi in tal modo ai piu' duttili strumenti dell'astensione e
della  ricusazione  il  compito di realizzare il principio del giusto
processo   attraverso   valutazioni  caso  per  caso  e  senza  oneri
preventivi di organizzazione delle attivita' processuali;
        che,  secondo  i  precedenti  appena  citati, lo strumento di
tutela contro l'eventuale pregiudizio all'imparzialita' del giudice -
pregiudizio  da  accertarsi  in  concreto  -,  derivante  da  una sua
precedente   attivita'  compiuta  in  un  separato  procedimento  nei
confronti  di  coimputati  del  medesimo fatto-reato, non puo' essere
ravvisato  in  ulteriori  pronunce  sull'art. 34, comma 2, cod. proc.
pen.,   ma   deve   essere   ricercato   nell'ambito  degli  istituti
dell'astensione e della ricusazione;
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma  2,  del codice di
procedura  penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 25 e 111,
secondo   comma,   della   Costituzione,   dal  giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  di  Lecce,  con  l'ordinanza indicata in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 dicembre 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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