N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 settembre 2001

Ordinanza  emessa il 28 settembre 2001 dal tribunale di Castrovillari
nel procedimento penale a carico di Abbruzzese Francesco

Processo   penale   -   Dibattimento   -   Contestazioni   nell'esame
  testimoniale  -  Dichiarazioni,  precedentemente rese, lette per le
  contestazioni  e  valutate  ai  fini della credibilita' del teste -
  Acquisizione   e  valutazione  quale  prova  dei  fatti  -  Mancata
  previsione  -  Irragionevolezza  -  Contrasto  con  il principio di
  effettivita'   della   tutela   giurisdizionale  -  Violazione  del
  principio  del  contraddittorio  -  Lesione  del  principio  di non
  dispersione dei mezzi di prova.
- Codice  di  procedura  penale,  art.  500, comma 2, come modificato
  dall'art. 16 della legge 1 marzo 2001, n. 63.
- Costituzione,  artt. 3, 24, primo comma, 111, primo e quarto comma,
  e 112.
(GU n.5 del 30-1-2002 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sulle  questioni  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 500  comma  2  c.p.p.,  per
violazione degli artt. 2, 3, 24 comma 1, 25 comma 2, 101 e 112 Cost.,
nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni utilizzate per le
contestazioni  e  valutate  ai  fini della credibilita' del testimone
possano  essere  acquisite  e  valutate anche ai fini della prova dei
fatti in esse affermati e, alternativamente, dell'art. 500 commi 1, 2
e  3 c.p.p., in riferimento e per contrasto con gli artt. 3, 24 comma
1,  25  comma  2,  111 commi 4 e 5 Cost., nella parte in cui consente
l'ingresso    in    dibattimento,    tramite   contestazione,   delle
dichiarazioni  rese  precedentemente dal testimone ad una delle parti
del  processo, trattandosi di dichiarazioni acquisite unilateralmente
e  non  nel  contraddittorio  tra  le  parti,  sollevate dal pubblico
ministero all'udienza del 22 giugno 2001; sentite le parti,

                            O s s e r v a

    La  questione  sollevata  dal pubblico ministero appare rilevante
nel  presente  giudizio,  atteso  che  nel corso dell'esame del teste
Colonna  Francesco, all'udienza del 27 aprile 2001, questi dichiarava
di  non  essere  in grado di precisare, in relazione alle circostanze
oggetto della segnalazione dal medesimo effettuata ai C.C. di Cassano
Jonio  in  data 31 agosto 1998, se il rumore che egli aveva avvertito
prima  del  rinvenimento di una pistola in prossimita' del cassonetto
posto  nelle  immediate vicinanze del suo locale, fosse riconducibile
al  rombo  di  un  ciclomotore  ovvero  di altro veicolo motorizzato,
mentre,  nel corso delle sommarie informazioni rese agli operatori di
p.g.  nell'immediatezza  del  fatto,  il testimone aveva affermato di
avere  sentito  dall'interno  del suo locale "il rombo di un motorino
che  passava  a  gran velocita'". Piu' volte sollecitato dal pubblico
ministero,  il  teste  affermava  di  non essere neppure certo che il
rumore  avvertito  fosse quello di un motore, contrariamente a quanto
dichiarato  nella  fase  delle  indagini  preliminari.  Cio' induceva
l'organo   di   accusa  a  sollevare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 500  c.p.p., nei termini sopra indicati. La
decisivita' della circostanza in parola ai fini dell'accertamento dei
fatti  oggetto  di imputazione risulta evidente, ove si consideri che
gli  operatori  di  p.g.  hanno  riferito  di  avere avvistato, nelle
medesime  circostanze  di  tempo e di luogo, l'imputato a bordo di un
ciclomotore.  Poiche'  le  dichiarazioni  oggetto di contestazione da
parte della pubblica accusa non possono essere acquisite al fascicolo
del  dibattimento  ne'  di  esse e' consentita, a norma dell'art. 500
comma 2 c.p.p., alcuna utilizzazione ai fini della prova dei fatti in
esse  affermati, la menzionata questione di costituzionalita' risulta
indubbiamente rilevante nell'odierno processo.
    Sotto   il   profilo   della   valutazione  della  non  manifesta
infondatezza  della  questione  osserva  il  tribunale  che l'attuale
formulazione   dell'art. 500  c.p.p.,  come  modificato  dalla  legge
n. 63/2001,  stabilisce al comma 2 che "le dichiarazioni lette per la
contestazione  possono essere valutate ai fini della credibilita' del
teste", con cio' escludendo la possibilita' di acquisire al fascicolo
per  il  dibattimento tali dichiarazioni e di valutarle ai fini della
prova  dei  fatti  in esse affermati, valutazione gia' consentita dal
testo  previgente  della  norma  citata,  secondo  il quale "quando a
seguito   della   contestazione   sussiste  difformita'  rispetto  al
contenuto  della  deposizione,  le  dichiarazioni  utilizzate  per la
contestazione sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e sono
valutate  come prova dei fatti in esse affermati, se sussistono altri
elementi  di prova che ne confermano l'attendibilita'." (formulazione
introdotta  dalla  legge  n. 356/1992 a seguito della pronuncia della
Corte  costituzionale  n. 255/1992,  che dichiarava la illegittimita'
dell'art. 500 c.p.p. nella sua originaria formulazione).
    La  disposizione  in  questione,  nella sua attuale formulazione,
appare  in contrasto con il dettato previsto dagli artt. 3, 24, 111 e
112  Cost.  per  le  motivazioni  gia' evidenziate nell'ordinanza del
Tribunale  di  Rossano datata 25 giugno 2001, pienamente condivise da
questo collegio.
    "La  Costituzione  con  l'art. 111  ha  recepito, nell'ambito del
processo  penale,  il  principio  del  contraddittorio in una duplice
accezione:  oggettiva,  nel  primo  periodo del quarto comma di detto
articolo,   ove  il  contraddittorio  e'  inteso  come  strumento  di
formazione  della  prova;  soggettiva,  nel terzo comma e nel secondo
periodo del quarto comma, con riferimento al diritto dell'accusato di
confrontarsi con l'accusatore.
    Il principio del contraddittorio in senso oggettivo, sia pure con
i  temperamenti  previsti  dal  quinto comma della medesima norma, fa
emergere   in   forma   inequivocabile   il   principio   del  libero
convincimento  del  giudice  nella valutazione della prova, principio
inteso  come  liberta'  del  giudice  di valutare la prova secondo il
prudente apprezzamento con l'obbligo di dare conto in motivazione.
    Tale  principio, gia' conquista delle prime codificazioni moderne
e  recepito  nell'attuale  art. 192  c.p.p.,  diventa  un  necessario
corollario del principio del giusto processo e del contraddittorio in
senso  oggettivo,  in  quanto  e'  ontologicamente  inconcepibile  un
sistema  processuale  ispirato a detti principi ed al contempo legato
ad un sistema di valutazione legale della prova.
    Il  principio  del contraddittorio e dell'oralita' caratteristici
di  un  sistema  accusatorio, postulando che la prova si formi in via
immediata  innanzi  alle parti ed al giudice, fornendo agli stessi un
patrimonio  di  percezioni  e  sensazioni  che  superano  lo  sterile
contenuto  delle  dichiarazioni, richiedono, in punto di valutazione,
che   la   prova   sia   valutata  liberamente  secondo  il  prudente
apprezzamento, ma al di fuori da ogni schematismo e gerarchia.
    Se   cosi'   e',   il   principio   costituzionale   del   libero
convincimento,  pur  potendo  subire  limitazioni  all'interno  di un
quadro  normativo  che  garantisca  il  cittadino dallo sconfinamento
nell'arbitrio  (si vedano esemplificativamente i successivi commi del
citato  art. 192  c.p.p.),  subisce  un  "vulnus"  inaccettabile  con
l'art. 500, secondo comma, c.p.p., come modificato dall'art. 16 della
legge  n. 63/2000,  che introduce un "veto", quando stabilisce che le
dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere valutate solo
ed unicamente ai fini della credibilita' del teste.
    Simile  discrasia  e'  stata  sottolineata  anche  dalla dottrina
giuridica  dei  paesi  di  diritto  anglosassone,  notoriamente  piu'
avvezza    allo    studio    delle    problematiche   connesse   alla
cross-examination,  che  ha  sottolineato  la  contraddizione  di  un
sistema  che,  da  un  lato consente, durante l'impeachment, l'uso di
dichiarazioni  rese out of the court al solo fine di porre nel dubbio
l'attendibilita'   del   teste,   dall'altro,   registra   la   forte
"tentazione"  esercitata  sul  convincimento  della  giuria  da dette
dichiarazioni  predibattimentali che, per essere piu' vicine ai fatti
appaiono spesso piu' fedeli e genuine di quelle rese in dibattimento,
suscettibili, al contrario - come e' accaduto nel caso di specie - di
perdere precisione e nitidezza con il passare del tempo.
    In  tal  senso  si  e'  mosso  l'ordinamento federale consentendo
l'utilizzabilita'  come  substantive  evidence,  dunque al fine della
decisione,  delle dichiarazioni in questione se introdotte durante la
cross-examination e rese sotto giuramento (Federal Rules of Evidence,
801).
    Il    problema,   pertanto,   sussiste   e   supera   i   confini
dell'ordinamento interno.
    Invero,  il  procedimento  di formazione della prova non puo' che
essere  visto  in  chiave  unitaria,  giacche'  il  meccanismo  delle
contestazioni  costituisce  il  mezzo  dialettico per far emergere la
verita'  processuale,  per cui, la dichiarazione in precedenza resa e
successivamente  contestata,  entra  nel  contraddittorio delle parti
(per   utilizzare   un  espressione  utilizzata  dalla  stessa  Corte
costituzionale  nella  sentenza n. 255 del 1992), si pone in rapporto
di  immediatezza con il giudice e con le altre parti processuali (che
sul   punto  hanno  facolta'  di  interloquire)  e  non  puo'  essere
ingiustificatamente esclusa dalla piena valutazione del giudice.
    Sul  punto  occorre  rilevare che la Corte costituzionale - in un
quadro  normativo diverso, ma che gia' conteneva in nuce i successivi
sviluppi    -    nel   dichiarare   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 500  in una formulazione simile all'attuale, si e' espressa
nei seguenti termini: "in secondo luogo, posto che il nuovo codice fa
salvo  (e  in  aderenza ai principi costituzionali, non poteva essere
altrimenti)  il  principio  del  libero  convincimento,  inteso  come
liberta' del giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente
apprezzamento, con l'obbligo di dare conto in motivazione dei criteri
adottati  e  dei  risultati  conseguiti (art. 192), la norma in esame
impone  al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel
contesto  della  stessa  decisione...  in  quanto,  se  la precedente
dichiarazione  e' ritenuta veritiera, e per cio' stesso sufficiente a
stabilire l'inattendibilita' del teste nella diversa deposizione resa
in  dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta
introdotta  in  giudizio, entrata quindi nel patrimonio di conoscenze
del  giudice  ed  esaminata  nel  contraddittorio delle parti (con la
presenza   del   teste   che  rimane  comunque  sottoposto  all'esame
incrociato)  non possa essere utilmente acquisita al fine della prova
dei fatti in essa affermati" (Corte cost. sent. n. 255 del 1992).
    Da  tali  autorevoli  assunti  deriva  che  il  meccanismo  della
contestazione  pone  nel contraddittorio delle parti la dichiarazione
contestata  e  come  tale  impone,  nel rispetto dell'art. 111, terzo
comma, c.p.p., l'acquisizione del suo contenuto a fini valutativi, in
quanto  parte  essenziale  di  un procedimento probatorio ispirato al
modello costituzionale.
    Ed  invero  la  disciplina  del  procedimento di formazione della
prova,  sia  pure  conforme  alle  garanzie costituzionali del giusto
processo,  non puo' introdurre limitazioni di tale portata da privare
di   efficacia   la   legge   penale,   cosi'   violando  il  diritto
costituzionale  di  azione  e,  in  definitiva, privando di effettiva
tutela  i  diritti  inviolabili  riconosciuti  dalla  Costituzione  e
salvaguardati  dalla  legge  penale.  Sotto  tale  profilo continua a
dispiegare   effetto,  pur  nel  mutato  assetto  costituzionale,  il
principio  di  non dispersione dei mezzi di prova che, nell'ambito di
attuazione  del  principio del contraddittorio nella formazione della
prova,   deve   contemperarsi  con  il  principio  dell'oralita',  da
intendersi  come  criterio  guida,  nei  casi in cui la prova non sia
compiutamente acquisibile con il metodo orale.
    In  effetti puo' osservarsi che il principio del contraddittorio,
assunto  a cardine del nuovo modello processuale, non coincide con il
principio  dell'oralita'  del  processo,  ma si integra con lo stesso
assumendo tuttavia contorni piu' ampi.
    In   sostanza,   se  il  procedimento  nel  suo  complesso  resta
finalizzato  ad  ottenere  contributi  probatori genuini, non si puo'
concludere che la prova debba essere il frutto solo ed esclusivamente
del  contraddittorio "orale" delle parti, essendo sufficiente che gli
elementi  di  prova  siano  prodotti  davanti  l'imputato in pubblica
udienza "nel" contraddittorio delle parti.
    In  proposito  occorre  rilevare  che  lo  stesso art. 111 Cost.,
accanto  al  principio  del  contraddittorio ha espresso un principio
gia'   enucleato  dal  sistema  in  via  interpretativa  dalla  Corte
costituzionale: il principio di non dispersione dei mezzi di prova.
    Il  quinto  comma  dell'articolo in questione prevede tre casi di
deroga  al principio del contraddittorio determinati dall'esigenza di
salvaguardare  la  genuinita'  della  prova  in  ipotesi  di consenso
dell'imputato,  accertata  impossibilita'  di  natura oggettiva e per
effetto di provata condotta illecita.
    In tali casi il recupero di dichiarazioni che rimontano alla fase
istruttoria  del  processo diviene necessario, in deroga al principio
del contraddittorio nella formazione della prova.
    Detta  disposizione,  che  indica tassativamente i casi in cui e'
consentita   deroga,   non   inficia  le  argomentazioni  addotte  in
precedenza,  in  quanto  concerne  l'utilizzabilita'  di prove che si
siano    formate    "fuori"   dal   contraddittorio   e   non   "nel"
contraddittorio, e tuttavia, confermando l'esistenza nell'ordinamento
del  principio  di  non  dispersione  di  mezzi  di prova, impone una
ragionevole  interpretazione  del  procedimento  di  formazione della
prova  assunta  "nel"  contraddittorio  che  tenga  conto di tutto il
materiale  utilizzato  nel suo contesto e salvaguardi il principio di
effettivita' del processo penale.
    Infine  occorre  rilevare  che tale interpretazione non contrasta
con  il  principio  del contraddittorio in senso soggettivo (art. 111
Cost.,  comma  4,  secondo  periodo e art. 6 paragrafi 1 e 3 d) della
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo), che impone di offrire
all'imputato  un'occasione  adeguata  e sufficiente di contestare una
testimonianza  a  carico  e  interrogare  l'autore  al  momento della
deposizione o successivamente.
    Un ulteriore profilo di non manifesta infondatezza dell'eccezione
sollevata e' rinvenibile in relazione all'art. 24 Cost.
    Il   sistema   processuale  come  attualmente  congegnato  e'  in
contrasto  con  i  diritti  di  cui  e' portatrice la persona offesa,
costituita  parte civile, innanzi alla quale il processo penale perde
le sue connotazioni di effettivita' di tutela.
    In  sostanza,  nel  sistema vigente, il "non ricordo" pronunciato
dal   teste   e'   meccanismo  sufficiente  per  demolire  l'impianto
accusatorio  che  costituisce  il  presupposto della domanda di parte
civile.
    Inutile  sottolineare  che  lo stesso meccanismo e' anche il piu'
comodo  per  il teste renitente, in quanto consente di far leva su un
fattore   fisiologico  (comprensibile,  tenuto  conto  che  spesso  i
dibattimenti  si celebrano a distanza di parecchi anni dalla raccolta
delle dichiarazioni) che lo pone al riparo dalle conseguenze ben piu'
gravose di un espresso rifiuto a sottoporsi ad esame.
    E'  utile  precisare,  inoltre,  che  difficilmente  emergono  in
dibattimento  circostanze dalle quali poter desumere che il testimone
e'  stato  sottoposto  a  violenza, minaccia o offerta di denaro, con
conseguente  inapplicabilita',  di fatto, del meccanismo previsto dal
comma 4 dell'art. 500 c.p.p.
    E'  innegabile,  pertanto,  che  il  sistema  attuale, da un lato
fornisce  una comoda scappatoia per eludere l'obbligo di dire il vero
che  grava  sul  teste,  dall'altro rischia di ancorare le risultanze
probatorie  a fenomeni soggettivi extraprocessuali (come la capacita'
o   meno   di  ricordare  del  teste)  che  minano  il  principio  di
effettivita' della tutela giurisdizionale.
    Sotto  tale  aspetto  la  questione  risulta  non  manifestamente
infondata  anche  con riferimento all'art. 3 Cost., in considerazione
dell'evidente  irragionevolezza  dell'attuale sistema di assunzione e
di valutazione della prova nel processo penale.
                              P. Q. M.
    Il Tribunale di Castrovillari vista la legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Ritenutane  la  rilevanza  nel  presente  processo,  dichiara non
manifestamente    infondata    la    questione    di   illegittimita'
costituzionale  dell'art.  500, comma secondo, c.p.p. come modificato
dall'art. 16  della  legge n. 63/2001, nella parte in cui non prevede
che  le  dichiarazioni  lette  per  la  contestazione  possano essere
acquisite  al  fascicolo  del  dibattimento e valutate come prova dei
fatti affermati, per contrasto con l'art. 3, 111 commi 1 e 4, 112, 24
comma 1, Cost.
    Sospende   il  giudizio  in  corso  nei  confronti  dell'imputato
indicato   nella   epigrafe   della   presente   ordinanza  e  ordina
trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma.
    Manda  alla cancelleria per gli adempimenti conseguenti, relativi
alla  notifica  della  presente ordinanza al Presidente del Consiglio
dei  ministri  e  ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e per
gli altri adempimenti di legge.
        Castrovillari, addi' 28 settembre 2001
                        Il Presidente: Calio
02C0015