N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2001
Ordinanza emessa il 3 maggio 2001 dal tribunale di Ascoli Piceno (pervenuta alla Corte costituzionale il 17 gennaio 2002) nel procedimento penale a carico di Amin Khalil Khsse Processo penale - Dibattimento - Contestazioni nell'esame testimoniale - Dichiarazioni, precedentemente rese, lette per le contestazioni e valutate ai fini della credibilita' del teste - Acquisizione e valutazione anche quale prova dei fatti - Mancata previsione - Incidenza sul libero esercizio dei diritti fondamentali - Irragionevolezza - Lesione dei principi di legalita' e di indipendenza del giudice - Violazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. - Cod. proc. pen., art. 500, comma 7, come modificato dall'art. 16 della legge 1 marzo 2001, n. 63. - Costituzione, artt. 2, 3, 25, 101 e 111, comma sesto.(GU n.7 del 13-2-2002 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Vista la questione di illegittimita' costituzionale prospettata dal p.m. presso il Tribunale di Ascoli Piceno, sostituto procuratore della Repubblica dott. Umberto Gioele Monti, alle udienze del 18 aprile 2001 e del 2 maggio 2001 nel processo a carico di Amin Khalil Khsse (proc. n. 306/1999 M 16); Rilevato che, nel suddetto processo, il teste Pignotti Stefano ha dichiarato di non ricordare i fatti che egli aveva narrato alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari e segnatamente il fatto di aver acquistato dall'imputato una dose di eroina; Rilevato che il teste non ha confermato le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari a seguito delle rituali contestazioni da parte del p.m. sulla base del verbale contenuto nel fascicolo del p.m., continuando ad asserire di non ricordare i fatti e di non ricordare di aver reso le dichiarazioni in questione alla polizia giudiziaria; Rilevato che il p.m., a seguito delle contestazioni di cui sopra, chiedeva che il suddetto verbale fosse acquisito al fascicolo del dibattimento, ma la difesa dell'imputato, ai sensi dell'art. 500 comma n. 7 c.p.p. negava il proprio consenso; Ritenuto che il processo non possa essere definito senza l'applicazione delle norma di cui all'art. 500 comma n. 7 c.p.p., in relazione alla norma di cui al comma n. 2 del medesimo articolo, relativamente alle quali il p.m. ha prospettato la questione di illegittimita' costituzionale, sia verbalmente, all'udienza del 18 aprile 2001, sia con deposito di una memoria all'udienza del 2 maggio 2001, dovendosi stabilire se il verbale delle dichiarazioni rese dal Pignotti ed utilizzato dal p.m. per le contestazioni possa essere utilizzato da questo organo giudicante soltanto al fine di valutare la credibilita' del teste o possa invece essere pienamente utilizzato ai fini dell'accertamento della penale responsabilita' dell'imputato, indipendentemente dalla sussistenza del presupposto di cui al comma n. 4 del citato articolo 500 c.p.p. o del consenso delle parti, come previsto dal comma 7 del medesimo articolo; Ritenuto che la questione di illegittimita' costituzionale di cui sopra non sia manifestamente infondata, per i seguenti motivi. Va rilevato, anzitutto, che la norma in questione e' stata introdotta con la legge del 1 marzo 2001, n. 63, emanata in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione in materia di giusto processo e che, in tale articolo, e' stato introdotto il principio del contraddittorio nella formazione della prova, quale precetto costituzionale, con la conseguenza che la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La norma che impedisce l'acquisizione del verbale delle dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari, nei termini di cui sopra, appare ictu oculi estranea all'ambito di applicazione dei principi costituzionali suddetti, sia perche', se il verbale e' stato utilizzato per le contestazioni, il teste non si e' "volontariamente sottratto all'esame", perche' l'esame e' sicuramente avvenuto con la partecipazione, o quanto meno con la presenza, della difesa dell'imputato, sia perche' il principio del contraddittorio nella formazione della prova non puo' ritenersi violato se l'iter di formazione della prova stessa ammetta il pieno utilizzo, dopo l'esame del teste in contraddittorio, delle dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari. Tali rilievi, come e' stato posto in evidenza dal p.m. dott. Monti nella sua memoria e come e' stato altresi' rilevato dell'ordinanza del tribunale di Firenze sez. II del 6 aprile 2001, nella quale e' stata ritenuta non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale delle medesime norme, consentono di ritenere ancora attuale, pur dopo la modifica dell'art. 111 della Costituzione, la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 255/1992, con la quale la Corte aveva ritenuto costituzionalmente illegittimo il disposto dell'art. 500 c.p.p. all'epoca vigente, che non consentiva, con disciplina analoga a quella attuale, l'utilizzazione delle dichiarazioni, rese dai testi al dibattimento e gia' utilizzate per le contestazioni, quale materiale probatorio su cui poteva fondarsi la decisione del giudice, al di la' della valutazione critica della credibilita' del teste. Va rilevato, infatti, che la stessa censura di "irragionevolezza" del complesso di norme allora vigenti, cosi' come ritenuta dalla Corte costituzionale nella suddetta sentenza, puo' essere avanzata riguardo al complesso di norme nuovamente introdotte in materia, con la recente modifica dell'art. 500 c.p.p., anche in quanto, se "il fine primario e ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'" (sent. C.C. n. 255/1992) e se, dunque, le norme del processo penale devono tendere a tale finalita', non appare logico e ragionevole ammettere che le dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari non possano essere utilizzate quale materiale probatorio "pieno". In tal modo, infatti, il giudice non riuscirebbe, nella motivazione della sentenza, che pure e' imposta dallo stesso art. 111 della Costituzione al comma n. 6, a contemperare logicamente l'esclusione della credibilita' del teste, che renda in dibattimento dichiarazioni difformi rispetto a quanto ha dichiarato nel corso delle indagini preliminari, con l'affermazione di una verita' processuale sicuramente parziale, derivante dall'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari. Il giudice, infatti, pur dando atto che, in ipotesi, il teste in dibattimento ha dichiarato il falso, sarebbe poi costretto ad emanare una decisione conforme alle dichiarazioni ritenute false, proprio perche' non puo' attingere ai verbali in questione quale materiale probatorio utilizzabile ai fini dell'affermazione della colpevolezza o meno dell'imputato ("la norma in esame impone al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione, in quanto, se la precedente dichiarazione e' ritenuta veritiera e percio' stesso sufficiente a stabilire l'inattendibilita' del teste nella diversa deposizione resa in dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta introdotta nel giudizio, entrata nel patrimonio di conoscenze del giudice, ed esaminata nel contraddittorio delle parti, non possa essere utilmente acquisita al fine della prova dei fatti in essa affermati (C.C. n. 252/1992). A tal proposito, si ritiene che la normativa in questione, oltre a porsi in contrasto con l'art. 111 comma n. 6 della Costituzione, sia altresi' contrastante con l'art. 2 della Costituzione (in quanto, di fatto, ostativa al libero esercizio dei diritti fondamentali) e con l'art. n. 24 della Costituzione (perche', limita gravemente, di fatto, il diritto di azione, con regole che rendono estremamente difficile la dimostrazione in giudizio della penale responsabilita' dell'imputato, con conseguenti pronunce assolutorie, dovute alla sostanziale impossibilita' di "vincere" la presunzione di innocenza dell'imputato e con conseguente frustrazione dei diritti delle vittime dei reati). Peraltro, va rilevato che le dichiarazioni rese dal teste nel dibattimento potrebbero essere poste a fondamento di un separato processo nei suoi confronti per falsa testimonianza, essere utilizzate in tale sede e condurre ad un'affermazione di penale responsabilita' del teste proprio sulla base della loro riconosciuta falsita', mentre invece, nel processo in cui le stesse dichiarazioni erano state rese, il sistema normativo in esame vieterebbe comunque l'utilizzabilita' di dichiarazioni precedentemente rese dal teste ed in contrasto con quelle rese in dibattimento senz'alcuna possibilita', per il giudice, di avvalersi del materiale probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari, oltretutto con contrasto di giudicati. La previsione del comma 4 dell'art. 500 c.p.p., inoltre, non appare idonea a garantire che comunque la verita' emerga nel corso del dibattimento attraverso le deposizioni testimoniali, anche perche' e' possibile (e in pratica assai probabile) che non emerga, nel corso del dibattimento o in altra sede, che il teste abbia subito minacce o sia stato sottoposto a violenza, offerta di danaro o altra utilita' (e' appena il caso di rilevare che in tali casi, e soprattutto nel caso di violenza o minaccia, ben difficilmente il fatto potra' emergere in dibattimento o in altra sede, a meno che il teste non si decida coraggiosamente a denunciare il fatto: in tale ipotesi, ovviamente, puo' prevedersi che il teste abbia il coraggio di reiterare in dibattimento le dichiarazioni gia' rese nel corso delle indagini preliminari). Come ha rilevato il p.m. dott. Monti, la possibilita' di recupero della dichiarazione genuina resa nel corso delle indagini preliminari ha anche una funzione di "schermo protettivo" del testimone fronte di possibili pressioni o intimidazioni, e di disincentivo dal porre in essere tali pressioni perche' esse potrebbero rivelarsi inutili. Nel sistema introdotto con la novella in questione, invece, i testi potrebbero trovarsi ad essere esposti a pressioni di ogni genere in vista del momento "cruciale" del dibattimento, posto che, ripetesi, ben difficilmente le violenze o minacce subite potrebbero emergere e consentire l'acquisizione ad ogni effetto dei verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari. Sotto altro e diverso profilo, va rilevato che la previsione normativa relativa all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari nei termini di cui sopra, inoltre rende estremamente difficile l'accertamento della verita' nell'ipotesi in cui il teste, del tutto in buona fede, non ricordi, essenzialmente a causa del tempo trascorso, i fatti sui quali viene interrogato e sui quali ha gia' riferito nel corso delle indagini preliminari: il meccanismo delle contestazioni, in questo caso, non consentirebbe comunque, in mancanza di consenso da parte della difesa dell'imputato, di acquisire i verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari e di utilizzarli come prova, con evidente frustrazione delle finalita' del processo penale. Inoltre, il disposto dell'art. 500 comma n. 7 c.p.p. introduce il principio dispositivo nel processo penale, che e' inaccettabile, perche', se il processo penale deve tendere al fine superiore dell'accertamento della verita' e se tale finalita' deve continuare ad essere considerata di superiore interesse pubblico (e cio' non pare a tutt'oggi contestabile, anche dopo la modifica dell'art. 111 della Costituzione), non si vede come possa ritenersi conforme al principio di ragionevolezza il fatto che l'ingresso delle dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari ed utilizzate per le contestazioni presuppongano l'assenso della difesa dell'imputato (assenso che verra' ovviamente negato oguiqualvolta le dichiarazioni in questione siano pregiudizievoli alla linea difensiva dello stesso). Considerando che il disposto dell'art. 111 della Costituzione impone solamente che la prova si formi in contraddittorio (comma n. 4) e che la formazione della prova al di fuori del contraddittorio debba avvenire nei casi regolati dalla legge con il consenso dell'imputato (comma n. 5), non sembra che l'impossibilita', per il giudice, di utilizzare il contenuto delle deposizioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari ed utilizzato per le contestazioni, dopo l'esame del teste in contraddittorio tra accusa e difesa, derivi dalla necessita' di dare attuazione alla modifica dell'articolo 111 cit. Infatti, ben puo' ritenersi che la prova si sia formata in contraddittorio quando semplicemente il teste sia stato esaminato in dibattimento dalle parti in contraddittorio e quando il materiale oggetto delle deposizioni rese nel corso delle indagini preliminari sia stato oggetto di rituali contestazioni: il significato, la portata, la credibilita' e la valenza probatoria di tutte le dichiarazioni rese (sia nel corso delle indagini preliminari che al dibattimento) ben potranno essere oggetto di ampio esame da parte del giudice che, in tal modo, come si e' gia' avuto modo di rilevare, potra' adempiere all'obbligo di esauriente e corretta motivazione, come impone il comma 6 dell'art. 111 della Costituzione. Sulla base di quanto sopra osservato, puo' inoltre aggiungersi che la normativa in questione si ponga comunque in contrasto con l'art. 101 secondo comma della Costituzione, che assoggetta i giudici soltanto alla legge, e con il principio di legalita' desumibile dall'art. 25 della Costituzione.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87; 1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500, comma 7 c.p.p., cosi' come modificato dall'art. 16 della legge n. 63/2001 - nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni lette per la contestazione possano essere acquisite e valutate quale prova dei fatti - per contrasto con gli artt. 2, 3, 25, 101, 111 comma n. 6 della Costituzione; 2) Sospende il processo penale sopra indicato; 3) Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, e che ne sia data comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Ascoli Piceno, addi' 3 maggio 2001 Il giudice: De Angelis 02C0044