N. 59 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 dicembre 2001
Ordinanza emessa il 18 dicembre 2001 dal tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Gamberini Roberto ed altro e I.N.P.S. Infortuni sul lavoro e malattie professionali - Esposizione ultradecennale all'amianto - Rivalutazione del periodo assicurativo con moltiplicazione per il coefficiente 1,5 - Applicabilita' del beneficio ai lavoratori in pensione di vecchiaia e di anzianita' al momento dell'entrata in vigore della legge n. 257/1992 (come modificata dalla legge n. 271/1993) - Mancata previsione - Irrazionalita' - Ingiustificato deteriore trattamento dei pensionati di vecchiaia e di anzianita' rispetto a quelli di invalidita' nonche' rispetto ai lavoratori disoccupati e agli stessi pensionati di vecchiaia e di anzianita' dopo l'entrata in vigore della legge n. 257/1992 - Incidenza sulla garanzia previdenziale. - Legge 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 (come modificato dalla legge 4 agosto 1993, n. 271), legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 25. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 38, comma secondo.(GU n.7 del 13-2-2002 )
IL GIUDICE DI PACE A scioglimento della riserva che precede; Letti gli atti ed esaminati i documenti della causa; Osserva in fatto e diritto 1. - I due ricorrenti sono stati dipendenti della Compagnia Portuale di Ravenna: dal 1 marzo 1962 al 30 aprile 1987 Gamberini Roberto; dal 23 marzo 1964 al 30 aprile 1987 Spadoni Gabriele; sono andati in pensione di anzianita' entrambi con decorrenza dal 1 maggio 1987; i ricorrenti hanno ricevuto dall'INAIL l'attestazione positiva di esposizione all'amianto per oltre un decennio ex art. 13, comma 8, legge n. 257/1992 (come modificato con legge n. 271/1993), essendo stata riconosciuta la loro esposizione per tutto il periodo di lavoro svolto alle dipendenze della Compagnia Portuale; secondo quanto accertato in sede amministrativa (v. atto di indirizzo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 20 aprile 2000; doc. in atti) per i lavoratori che esercitavano le loro mansioni nella compagnia portuale di Ravenna (come per altri lavoratori portuali di altri porti italiani) l'esposizione all'amianto, attraverso manipolazione diretta, ha avuto inizio dalla data di assunzione (iscrizione nei registri portuali) e si e' consumata prima dell'entrata in vigore della legge n. 257/1992 essendo la stessa cessata il 31 dicembre 1990; secondo quanto risulta dallo stesso atto ministeriale, l'esposizione quantitativamente maggiore si e' avuta negli anni 60, mentre in seguito sono migliorate le tecniche di imballaggio della sostanza che pure non sono valse ad evitare una esposizione nociva; i due ricorrenti, dopo aver ricevuto l'attestato di esposizione, hanno richiesto all'INPS l'applicazione dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 (come modificato dalla legge n. 271/1993) il quale riconosce in beneficio della rivalutazione contributiva in questi termini: "per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, e' moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5"; secondo i conteggi non contestati depositati in giudizio, in forza del riconoscimento del beneficio per una esposizione ad amianto ultradecennale il ricorrente Spadoni maturerebbe una differenza di lire 66.803 mensili sul rateo di pensione in godimento, mentre Gamberoni avrebbe diritto ad una maggiorazione della pensione di lire 158.822 mensili; l'I.N.P.S. non ha pero' accolto la richiesta dei ricorrenti ai quali, come risulta dal provvedimento, in atti ha risposto nei seguenti termini: "pur risultando dalla dichiarazione INAIL un periodo di esposizione all'amianto di oltre dieci anni la S.V. titolare di pensione alla data di entrata in vigore della legge n. 257/1992 (28 aprile 1992) non era in attivita' lavorativa ala data di entrata in vigore dei provvedimenti in oggetto: 28 aprile 1992 e 5 agosto 1993"; in sostanza l'INPS sostiene che il beneficio non spetti ai lavoratori pensionati prima della legge n. 257/1992, per il solo fatto di essere tali; anche la giurisprudenza costante della Corte di cassazione afferma che l'art. 13, comma 8, non si applichi in favore dei lavoratori esposti che siano andati in pensione di anzianita' o di vecchiaia, prima dell'entrata in vigore della legge n. 257/1992. La questione che deve essere esaminata sul piano costituzionale investe dunque il problema dei destinatari del beneficio contributivo di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 come modificato con legge n. 271/1993. 2. - La Corte costituzionale si e' gia' occupata della norma in oggetto sotto profili diversi da quelli che vengono qui in rilievo, attraverso una pronuncia (sentenza n. 5/2000) con la quale sono stati lucidamente ed esattamente ricostruiti origine, presupposti e finalita' della disposizione; nella stessa pronuncia la Corte costituzionale ha superato i dubbi di legittimita' costituzionale che erano stati sollevati in relazione alla determinatezza dei destinatari del beneficio correlandone l'individuazione alle condizioni di operativita' del T.U. 1124/65 sulle malattie professionali. 3. - Sulla vicenda che ha condotto all'attuale formulazione della norma, occorre ricordare che la Cassazione nelle sue prime pronunce (senza cogliere il valore delle modifiche che erano gia' state appositamente introdotte nel testo della norma) aveva collegato il beneficio in questione alla cessazione dell'uso dell'amianto disposto con la stessa legge n. 257; ed aveva quindi sostenuto la tesi che il beneficio fosse destinato a sopperire alla perdita del posto di lavoro per i lavoratori del c.d. settore amianto e pertanto fosse da riconoscere ai soli lavoratori in attivita' di servizio a quella data in determinate aziende. La Corte costituzionale ha superato questa tesi limitativa, contrastante con la volonta' del legislatore, ed ha messo in evidenza come la legge n. 257/1992 abbia una disciplina composita, preveda una varieta' di benefici ("una diversificata gamma di benefici previdenziali") distinti per natura, presupposti e destinatari; in particolare la Corte si e' soffermata sull'evoluzione legislativa che aveva subito questa specifica disposizione (l'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992), che era stata ad un certo punto novellata con un decreto legge (il n. 139 del 5 giugno 1993) col quale si faceva riferimento ad una categoria piu' ristretta di lavoratori "dipendenti delle imprese che estraggono o utilizzano amianto come materia prima ...". Ebbene a questo proposito la Corte costituzionale, richiamando a ragion veduta gli atti parlamentari, ha ribadito: "In sede di conversione del predetto provvedimento d'urgenza, la legge 4 agosto 1993, n. 271 ha soppresso la locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono o lavorano l'amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse , cosi' intendendo soddisfare - secondo quanto si evince dai lavori preparatori - l'esigenza di attribuire centralita', ai fini dell'applicazione del beneficio previdenziale all'assoggettamento dei lavoratori all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, escludendo al tempo stesso, ogni selezione che potesse derivare dal riferimento alla tipologia dell'attivita' produttiva del datore di lavoro". Dunque secondo la pronuncia della Corte costituzionale non e' possibile alcuna limitazione del beneficio ai soli lavoratori appartenenti al c.d. settore amianto (ovvero ad astratte categorie merceologiche), perche' il beneficio e' stato voluto per tutti i lavoratori comunque esposti alla sostanza nociva per oltre dieci anni (questo essendo in verita' l'unico semplice presupposto che la norma richiede per la sua applicazione). 4. - Del resto per convincersi di questo basta leggere il resoconto della seduta della Camera dei deputati del 12-14 luglio 1993 in cui venne illustrata (dal relatore on. Morgando) la finalita' dell'emendamento specificamente introdotto dalla Commissione lavoro della Camera "facendo riferimento non alla tipologia dell'attivita' produttiva dell'azienda - come nelle modifiche introdotte al Senato - bensi' all'assoggettamento o meno all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto"; "le modifiche introdotte dalla Commissione tendenti a sopprimere una parte del primo comma del decreto dell'art. 1 del decreto-legge, volte a far si' che per tutti i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni l'intero periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5". Verso questa univoca direzione interpretativa si sono mosse pure tutte le circolari applicative emesse all'indomani della legge dall'INPS e dall'INAIL, enti chiamati a garantire la corretta applicazione della norma in sede amministrativa. Dopo la sentenza della Corte costituzionale, anche la Corte di cassazione, che pur aveva utilizzato la tesi originaria (della limitazione del beneficio al settore amianto) come argomento centrale e determinante per respingere in tutta una serie di sentenze le domande dei lavoratori pensionati (cfr. ad esempio la prima sentenza sull'argomento del 7 luglio 1998 n. 6605), lo ha ora disatteso esplicitamente come risulta dalla sentenza n. 4913 del 3 aprile 2001 (sentenza resa tuttavia nei confronti di lavoratori non pensionati) con la quale ha riconosciuto: "la legge del 4 agosto 1993 n. 271 di conversione del decreto-legge 193/1993 non resse quindi al confronto parlamentare sicche' venne eliminato il riferimento ai lavoratori di "imprese che estraggono o utilizzano amianto come materia prima" e si segui' una soluzione che tenendo conto della capacita' di produrre danni sull'organismo in relazione al tempo di esposizione consente una maggiorazione dell'anzianita' contributiva per tutti i dipendenti che siano esposti all'amianto per piu' di dieci anni". 5. - In coerenza con la volonta' del legislatore, la ratio del beneficio in questione viene oramai correttamente ricondotta da tutti gli interpreti ad una finalita' di natura compensativa-risarcitoria; non piu' di ammortizzatore sociale o di tutela preventiva della salute, come si affermava nelle prime sentenza della Cassazione (allorche' si parlava pure di "finalita' chiaramente perseguita di allontanamento dei lavoratori in relazione ... a fatti di esposizione avvenuti nel passato ..."). Anche su questo versante la sentenza n. 5/2000 della Corte costituzionale ha offerto una interpretazione difficilmente superabile. La Corte costituzionale ha ricordato che la ratio della normativa non puo' essere ne' di riparazione per la perdita del posto (o di incentivo all'esodo), ne' di "prevenzione" dal rischio (da ritenersi scongiurato, almeno sul piano dell'ordinamento, dopo la legislazione preventiva emanata con il decreto legislativo n. 277/1991 sull'amianto, e dopo che la stessa legge n. 257/1992 aveva disposto la cessazione dell'uso dell'amianto); bensi' secondo la stessa Corte costituzionale: "Lo scopo della disposizione va rinvenuta nella finalita' di offrire ai lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni) un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialita' morbigene". La stessa Corte ha poi richiamato sotto il profilo del rischio tutelato tutte le patologie correlate all'amianto ("patologie quali esse siano"); ed ha sottolineato come ai fini dell'individuazione dei destinatari del beneficio la norma andasse necessariamente correlata con i presupposti di operativita' del sistema di assicurazione obbligatoria sulle malattie professionali (pertanto pure espressamente richiamato nel corpo della stessa disposizione); sistema, il cui funzionamento e' incentrato (sia dal punto di vista oggettivo, sia dal punto di vista soggettivo) sul concetto del rischio ambientale; com'e' noto, la nozione di rischio ambientale vale per la nostra ultradecennale giurisprudenza, (Cass. 29 luglio 1942 n. 2246 e da ultimo Cass. sez. unite 3476/94), sia per delimitare oggettivamente le attivita' protette, sia per individuare i soggetti che sono tutelati nell'ambito delle attivita' protette (a prescindere dalla "manualita'" della mansione). Anche la Cassazione condivide oramai questa interpretazione e nella sentenza sopra citata (Cass. 4913/2001) ha riconosciuto (in una sentenza resa nei confronti di un lavoratore non pensionato) che la norma mira ad attribuire un beneficio che tiene conto della capacita' dell'amianto di procurare danni all'organismo dei lavoratori. Nulla autorizza quindi ad allontanarsi nell'applicazione della disposizione da questa chiara ricostruzione del suo tenore normativo gia' effettuata dalla Corte costituzionale; che' anzi a sostegno di questa ricostruzione potrebbero essere richiamati ulteriori elementi logici e testuali, di carattere scientifico e di natura normativa, interni ed esterni alla disposizione, tutti armonicamente diretti a convalidare la fondatezza della stessa interpretazione. 6. - Sotto il profilo scientifico e' oramai divenuto un dato di comune esperienza, un patrimonio condiviso dalla giurisprudenza italiana (cfr. Cass. sent. 5 ottobre 1999, est. Battisti; Cass. 2 luglio 1999, Romis; Cass. 11 maggio 1998, Tatozzi) avvalorato da ricerche e consulenze epidemiologiche e da letteratura medica inoppugnabili, il fatto che l'uso su larga scala di questa sostanza ha comportato conseguenze nefaste e drammatiche sul piano sanitario e sociale per i lavoratori. Un dato che fa riflettere sotto questo aspetto e' contenuto nella relazione approvato dalla Commissione lavoro del Senato il 22 luglio 1997 a seguito di una indagine conoscitiva; concludendo, dopo diversi mesi, un ampio ed approfondito lavoro "con numerosissimi audizioni, raccolta di dati e documenti, sopralluoghi" la Commissione dichiarava a proposito della nocivita' dell'amianto "che benche' sia noto che l'impiego di tale sostanza sia all'origine dei tumori dell'apparato respiratorio e che l'utilizzo eccessivo che se ne e' fatto negli anni passati avrebbe determinato secondo una stima approssimativa, circa 4000 casi di tumore di origine professionale all'anno, i riconoscimenti di tumore come malattia professionale sono soltanto una decina ogni anno". 7. - Sul punto e' inoltre utile ricordare che e' assolutamente dimostrato dalla letteratura medica il fatto che il lavoratore che sia stato esposto all'amianto non si libera mai del rischio di contrarre una malattia asbesto correlata. Si tratta di un rischio che ovviamente non cambia in funzione della circostanza che un soggetto sia pensionato o meno ad una certa data; e che per la caratteristica lunghezza del periodo di latenza che lo contraddistingue potrebbe intervenire anche ad oltre 30 anni dall'esposizione (per il mesotelioma); il punto e' anche convalidato sul piano giuridico dall'allegato 8 al t.u. 1124/65 ove non sono previsti limiti al periodo massimo di indennizzabilita' dalla cessazione del lavoro, per le malattie correlate all'asbesto; dal che si evince pure che la speranza di vita attesa nella categoria dei lavoratori esposti all'amianto e' minore rispetto all'aspettativa di vita in generale. 8. - Si consideri, sotto questo profilo, che l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) nel suo primo rapporto, recentemente pubblicato (giugno 2001) - dopo l'attivazione del registro nazionale dei mesoteliomi (previsto dall'art. 36 del decreto legislativo n. 277/1991, traendo origine dall'art. 17 della direttiva comunitaria n. 477/1983) - ha documentato una incidenza crescente nel corso degli ultimi anni del numero dei (soli) mesoteliomi (secondo i dati raccolti nelle 5 regioni che hanno attivato il sistema di sorveglianza e di registrazione dei casi), con una previsione di ulteriori incrementi (fino al picco di massima diffusione della neoplasia previsto per il 2015 e 2018). Secondo le stime pure effettuate nel rapporto (998 casi del 1994) si puo' fondatamente sostenere che sono attesi circa diecimila casi nei prossimi dieci anni (senza contare l'altrettanto mortale asbestosi ed il cancro polmonare). Uno dei settori piu' a rischio tra le esposizioni di origine professionale e', secondo la ricerca dell'ISPESL, proprio quello dell'attivita' portuale. 9. - Sul piano strettamente giuridico e' pure importante ricordare la condanna che lo Stato italiano ha subito nel 1990 dalla Corte di giustizia della CEE (sentenza 13 dicembre 1990 n. 240) per inadempimento agli obblighi del trattato, non avendo recepito ed attuato la direttiva CEE n. 477 sulla prevenzione del rischio amianto risalente al 1983 (direttiva successivamente recepita nel 1991 con il decreto legislativo n. 277/1991). Questo dato di fatto vale anche a sostenere che se lo Stato italiano si fosse piu' tempestivamente attivato per l'applicazione della direttiva CEE sarebbero maturate piu' rapidamente le condizioni giuridiche e culturali per una piu' efficace prevenzione dall'amianto, e cio' avrebbe probabilmente impedito l'insorgenza di molte malattie da amianto. Questa stessa premessa non e' stata poi estranea alle ragioni che hanno portato alla specifica norma in oggetto; basta leggere le dichiarazioni contenute negli atti parlamentari che documentano il passaggio nelle due Camere, ai fini della conversione, del gia' menzionato decreto-legge di modifica dell'art. 13, comma 8: "L'Italia e' stata per molti anni inadempiente quanto all'adeguamento delle disposizioni comunitarie, che gia' dieci anni fa prevedevano per i Paesi membri misure di prevenzione e di protezione per i lavoratori utilizzatori dell'amianto", (intervento dell'on. Muzio, effettuato alla Camera dei deputati). 10. - La ratio essenziale del beneficio sta dunque nel fatto che a fronte di un uso massiccio e generalizzato di questa sostanza, i lavoratori sono stati lasciati per lungo tempo in balia della sua azione nociva senza informazioni e senza protezioni adeguate; si tratta di una riparazione postuma che il legislatore ha voluto offrire a questi lavoratori che hanno corso e corrono tuttora gravi rischi per la loro salute. Se dunque e' questo il contesto storico, sociale e giuridico che ha portato alla norma in oggetto, non puo' la stessa legge, senza ledere palesemente il principio di eguaglianza, lasciare fuori dal proprio ambito di operativita' (non considerare "lavoratore"), un soggetto, il quale, benche' pensionato, sia stato esposto all'amianto per piu' di dieci anni, prima dell'entrata in vigore della legge; non puo' escludere dal beneficio un lavoratore che si sia trovato precisamente nella stessa situazione di pericolo descritta dalla norma, la quale considera essenzialmente l'esposizione subita dai lavoratori prima dell'entrata in vigore della legge ("lavoratori che siano stati esposti"). La stessa legge non puo' negare il rischio che ha corso questo lavoratore il piu' delle volte in termini maggiormente nocivi (sotto il profilo quantitativa, della conoscenza, dei mezzi di prevenzione) rispetto alle esposizioni piu' recenti, avvenute quando del problema amianto si parlava di piu' ed i lavoratori sapevano qualcosa in piu' della sua pericolosita'. Si pensi cosa avveniva sotto il profilo tutela della salute dei lavoratori, prima che con il d.lgs. 277/91 venisse imposto un imponente apparato di prevenzione e di tutela del lavoro rispetto all'esposizione all'amianto; nei periodi in cui, come emerge quotidianamente nelle cause che si trattano su questo argomento, si impastava l'amianto con le mani, si raschiava, tagliava, sagomava, spolverava, spazzava, amianto senza adottare nessuna misura di prevenzione (ed alcune volte adottando come misure protettive proprio strumenti con presenza di amianto). Sotto questo stesso aspetto occorre riflettere che e' storicamente accertato e scientificamente documentato, anche in sentenze della Cassazione, che piu' si va indietro nel tempo nella ricostruzione delle condizioni dell'esposizione alle fibre di amianto e tanto piu' emerge che nel passato l'esposizione dei lavoratori fosse maggiormente elevata; con apprezzabile possibilita' quindi l'esposizione subita da un pensionato e' stata piu' elevata di quella subita in tempi piu' recenti da un lavoratore non pensionato. Si pensi che nel passato si assicurava il rischio asbestosi a concentrazioni di fibre migliaia di volte piu' elevate di quelle ritenute necessarie in tempi piu' recenti ai fini dell'assicurazione. La stessa Cassazione con sentenza n. 2441/1991 osservava a proposito dei limiti di concentrazione valevoli per il pagamento del premio supplementare per asbestosi: "si deve ricordare come l'associazione degli igienisti industriali (A.I.D.I.I.) con le delibere annuali che definiscono i valori limite di soglia (c.d. T.L.V.) in genere recependoli dalla American Conference of Governemental Industrial Hygienist (A.C.G.I.H.), da ultimo ad esempio per il 1987-1988 con riguardo all'asbesto ha fissato tali valori nel modo seguente: Amosite 0,5 fibre per cm cubo; crisotilo 2 fibre per cm cubo; crocidolite 0,2 per cm cubo; altre forme 2 fibre per cm cubo". Si trattava di valori altissimi che venivano richiesti ancora nel 1987-1988 per il pagamento del premio per asbestosi; nell'ordine di migliaia di volte superiori a quelli richiesti solo dopo tre anni con il d.lgs. 277/1991 (art. 24, comma 3). Basta fare una semplice comparazione con le dovute equivalenze: se nel 1988 erano necessarie per pagare il premio per asbestosi 2 fibre per cm3 (pari a 2000 fibre/litro), nel 1991 secondo il d.lgs. 277 ne occorrono 0,1 fibre per cm3 (pari a 100 fibre/litro); con una differenza di 1900 fibre di amianto in un litro. Non si puo' tacere poi che, come risulta da tutte le pubblicazioni scientifiche sull'argomento, negli anni '60 il limite era di 12 fibre per cm cubo ossia 12000 fibre/litro (11900 fibre in piu); e quelle richieste negli anni '70 erano di 5 fibre per cm cubo ossia 5000 fibre/litro (4900 fibre di differenza). Ebbene un lavoratore che ha lavorato in una simile condizione, secondo la norma in oggetto non sarebbe considerato esposto, pur essendo stato probabilmente soggetto ad un rischio piu' elevato dell'altro lavoratore a cui il beneficio viene invece accordato. Il fatto e' talmente vero che lo stesso I.N.A.I.L. ha affermato (nonostante alcune contrarie pronunce di giudici di merito) che il presupposto per il riconoscimento del beneficio previsto dalla norma non possa essere costituito dal pagamento del premio per asbestosi per la ragione fondamentale che "in passato i criteri meno rigorosi potevano aver escluso quest'obbligo anche per lavoratori oggi considerati esposti" (v. introduzione alla nota Contarp sulla valutazione dell'esposizione all'amianto ai fini dei benefici previdenziali). 11. - Deve essere inoltre rimarcato come sia pacificamente acclarato che la norma di cui si tratta non richieda affatto l'attualita' dell'esposizione, al momento della sua entrata in vigore, come presupposto per il riconoscimento del beneficio; conta quindi (anche) l'esposizione che e' avvenuta al passato prima dell'entrata in vigore della legge; conta l'esposizione ultradecennale subita dal lavoratore quale che sia il sua status occupazionale al momento dell'entrata in vigore (disoccupato o sospeso o occupato in altro settore e magari non piu' esposto). Sul punto dei destinatari del beneficio la Cassazione, mentre aveva sostenuto in diverse pronunce che era necessario essere lavoratori attivi al momento dell'entrata in vigore della norma (vedi ad es. Sez. unite 207/1999 in sede di regolamento di giurisdizione, secondo cui i beneficiari dell'art. 13, comma 8, sono costituiti da "lavoratori necessariamente in attivita' di servizio" e che quindi non possono essere pensionati), ora la Cassazione ammette che non sia piu' necessaria l'attualita' dell'attivita' di servizio al momento dell'entrata in vigore della legge. Illuminante a questo proposito e' la recente sentenza della Cassazione 5764/01 con la quale e' stato esteso il beneficio di legge ai lavoratori disoccupati al momento dell'entrata in vigore della legge. La Corte sostiene " ... per la spettanza del beneficio poi non assume rilevanza che i soggetti svolgessero o meno attivita' lavorativa alla data di entrata in vigore della citata legge n. 257/1992, considerato che letteralmente cio' che rileva come elemento ostativo del beneficio e' solo il fatto che a tale data i lavoratori avessero gia' conseguito la pensione di vecchiaia o di anzianita' ovvero di inabilita' e, dall'altro, che il requisito dell'attualita' lavorativa comporterebbe un'ingiustificata disuguaglianza fra i lavoratori transitati in settori diversi dall'amianto e i lavoratori che, pur avendo contratto l'asbestosi o comunque essendo rimasti esposti al rischio di malattia per oltre dieci anni siano rimasti disoccupati; ne' la necessita' dell'attualita' lavorativa puo' essere dedotta dalle disposizioni di cui all'art. 80, comma 25, legge 23 dicembre 2000 n. 388." ... La norma si rivolge quindi secondo questa giurisprudenza a tutti i lavoratori, anche a coloro che non erano in servizio all'atto dell'entrata in vigore della legge, ma ciononostante non riguarderebbe i pensionati. Si tratta di una soluzione fortemente illogica e sperequata; se si devono considerare i rischi di esposizione avvenuti nel passato da soggetti che non erano in servizio, la platea dei destinatari inevitabilmente - per le stesse ragioni di eguaglianza richiamate dalla Cassazione a proposito dei disoccupati, licenziati, di chi ha cambiato settore - si allarga anche oltre: a tutti i lavoratori esposti all'amianto nel passato. Se si abbandona (com'e' obbligatorio dato il tenore della modifica introdotta con la legge n. 271/93, il criterio (insostenibile) della perdita del posto di lavoro in atto, al momento dell'entrata in vigore della legge nessuna giustificazione sembra possa sorreggere una discriminazione fra diversi lavoratori esposti nel passato, nell'uno o nell'altro settore, in attivita' o meno, pensionati o meno, pensionati di anzianita' o meno. Se rileva il rischio alla salute subito nel passato da chicchessia si impone l'affermazione del principio "che a parita' di rischio non puo' che esservi parita' di tutela" (come afferma costantemente la Corte costituzionale in relazione al t.u. 1124/65; v. da ultimo Corte cost. sent. 137/89). 12. - Questa disparita' e' divenuta ora ancora piu' tangibile, allorche' da ultimo la giurisprudenza ha superato anche l'ostacolo letterale che era stato opposto alle rivendicazioni dei pensionati; la Cassazione affermava infatti che per "lavoratori" ex art. 13, comma 8 devono intendersi i soli "soggetti ancora attivi nel campo del lavoro ed ai fini di prestazioni non ancora usufruite"; recentemente pero' la Corte di cassazione ha affermato che l'argomento letterale non sia preclusivo e decisivo ed ha esplicitamente sostenuto (sent. n. 5746 del 19 aprile 2001): "Non sono esclusi invece dalla rivalutazione dei periodi contributivi i titolari di pensione o di assegno di invalidita' poiche' ai medesimi si addice la qualifica di lavoratori dato che il godimento della prestazione non preclude lo svolgimento di attivita' lavorativa e che per essi vi e' l'esigenza di incrementare l'anzianita' assicurativa per poter conseguire le prestazioni di vecchiaia". Dunque anche i pensionati possono essere considerati lavoratori secondo la Cassazione; solo ad alcuni di essi si addice pero' il termine lavoratori, mentre ad altri non si addice; solo ad alcuni pensionati ante legge n. 257 spetta il beneficio, ad altri non spetta: ma davvero non si intuisce in base a quale giusta e razionale ragione. 13. - Un'ulteriore considerazione vale poi a rendere manifesta l'ingiustificata esclusione dei pensionati di anzianita' dall'ambito di operativita' del beneficio in oggetto, derivante dalla norma secondo la giurisprudenza. Infatti, la giurisprudenza ripete in maniera tralatizia (come residuo riflesso della superata tesi secondo cui il beneficio sarebbe destinato a sopperire alla perdita del posto di lavoro) che la norma si applichi ai soli fini del "conseguimento della pensione di anzianita' o di vecchiaia" (e quindi non potrebbe riguardare chi la pensione di anzianita' l'ha gia' conseguita all'atto della sua entrata in vigore). E' del tutto evidente pero' che la norma non operi in questi termini. Anzitutto perche' la rivalutazione contributiva riconosciuta dalla norma non e' da sola in grado di assicurare il raggiungimento di questo scopo, essenziale ed inderogabile, in vista del quale, si dice, sarebbe stata esclusivamente voluta (non per niente i prepensionamenti sono regolati a parte nella stessa legge e prescindono da qualsiasi concreta esposizione); il "conseguimento" della pensione cioe' potrebbe non essere in concreto raggiunto con la stessa concessione del beneficio (ad es. se un soggetto ha lavorato solo poco piu' di dieci anni nel "settore amianto" non va in pensione di anzianita' con poco piu' di 15 anni di contributi che sarebbero garantiti dall'applicazione del beneficio; e non va nemmeno in pensione di vecchiaia se non ha nel contempo maturato almeno i 60 anni d'eta); l'argomento non regge quindi ad una semplice verifica logica e sistematica. Ma soprattutto tale tesi e' infondata perche' il beneficio dell'art. 13, comma 8 e' stato bensi' concepito per valere sempre, sia per il conseguimento della pensione sia per la misura della pensione. Sotto questo profilo occorre tenere conto del modo in cui e' stato strutturato il beneficio dalla legge: rapportato al tempo dell'esposizione; al lavoratore spetta tanta rivalutazione contributiva quanto e' il tempo di esposizione. Anche se la stessa contribuzione non fosse sufficiente per far conseguire la pensione (da conseguire piu' in la); anche se, per converso, essa fosse invece sovrabbondante rispetto al traguardo rappresentato dal requisito contributivo minimo necessario per il conseguimento della pensione, e quindi anche se esso serva solo ad incrementare la pensione (da conseguire o gia' conseguita dopo la legge). Insomma nella norma non c'e' alcun tetto alla rivalutazione contributiva, nessuna sterilizzazione e decurtazione di periodi utili e' consentita; dice la legge: "l'intero periodo lavorativo .. e' moltiplicato per il coefficiente di 1,5"; "ai fini delle prestazioni pensionistiche" (vi sono due, non uno, argomenti testuali nella legge a questo proposito). Tutto cio' e' pacifico anche in sede amministrativa, dove l'I.N.P.S. riconosce la rivalutazione contributiva, ai singoli aventi diritto, non solo ai fini del conseguimento della pensione, ma anche ai fini dell'incremento della pensione; e cio' qualunque sia il momento in cui lo stesso incremento venga erogato. In questo senso sono tutte le disposizioni applicative dettate dall'I.N.P.S. ed i concreti provvedimenti di riliquidazione emessi dall'Istituto; e sul punto non residua alcuna discussione. Non si capisce quindi, se cosi' e', perche' al pensionato si nega anche quella parte (minore) del beneficio previsto dalla norma che potrebbe influire sulla misura della sua pensione; come sia possibile cioe' che una legge, dinanzi a due soggetti che siano trovati nella stessa identica situazione di rischio per la salute possa negare ad uno anche la parte piu' piccola (quella che vale ad incrementare la sua pensione) di quel beneficio piu' grande che eroga per intero all'altro lavoratore (ai fini del conseguimento e della misura della pensione). Il fatto e' pure riscontrato in questo giudizio; sono stati infatti depositati in atti documenti relativi a colleghi di lavoro dei ricorrenti i quali sono andati in pensione dopo la legge n. 257/1992 in forza dei contributi gia' versati; solo dopo il conseguimento della pensione questi lavoratori hanno ottenuto la liquidazione di una maggiorazione della pensione in godimento, per effetto della rivalutazione dei periodi contributivi assicurata dalla norma; in sostanza questi lavoratori hanno ottenuto dall'applicazione di questa norma un semplice aumento della misura della pensione (non gia' il conseguimento della pensione che avevano conseguito per loro conto); lo stesso aumento che chiedono i ricorrenti in questa causa e che invece la norma non riconoscerebbe secondo la giurisprudenza. 14. - Nemmeno e' possibile giustificare questa discriminazione sostenendo, come pure e' stato detto in giurisprudenza, che qualora la legge riconoscesse il beneficio ai pensionati, si aprirebbe una questione di disparita' ingiustificata di trattamento nei confronti di un eventuale pensionato che avesse gia' raggiunto il massimo contributivo ... nei cui confronti il beneficio non potrebbe essere operativo! Ma a parte il fatto che una situazione simile potrebbe essere in concreto riscontrata anche rispetto ad un lavoratore in attivita' che continui a lavorare pur avendo gia' raggiunto il massimo contributo (non c'e' nessun divieto in tal senso), occorre in ogni obiettare che il legislatore ha previsto come beneficio di tutti gli esposti una rivalutazione contributiva ed e' il legislatore che decide secondo la propria discrezionalita'; per cui in concreto il beneficio e' destinato ad operare nei limiti del sistema all'interno del quale esso si colloca. L'obiezione non e' poi fondata nemmeno in diritto anche nei confronti del pensionato che avesse gia' raggiunto il massimo della contribuzione versata, il riconoscimento del beneficio legale sarebbe in grado di portare ad un risultato permettendo la liquidazione di un supplemento di pensione ( cioe' di una quota aggiuntiva che si somma all'importo gia' determinato) ex art. 7 legge n. 155/1981 (circ. Inps 259/94). 15. - Se questo e' il quadro applicativo in cui deve essere calata la disposizione in oggetto, risulta allora che la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa dei ricorrenti appaia non manifestamente infondata, oltre che rilevante. Diverse sono le doglianze di costituzionalita' che possono essere sollevate nei confronti della norma, costantemente interpretata dalla giurisprudenza ed applicata in sede amministrativa nel senso che abbia lasciato fuori dal proprio ambito applicativo i lavoratori che abbiano conseguito la pensione di anzianita', come i ricorrenti, prima dell'entrata in vigore della legge, pur essendo stati esposti all'amianto per piu' dieci anni (prima della legge, come i loro colleghi a cui il beneficio e' stato invece riconosciuto ai soli fini dell'incremento della pensione): a) in primo luogo questa norma viola l'art. 3 e l'art. 38, secondo comma della Costituzione perche', pur dinanzi all'accertata sussistenza della medesima situazione di rischio ("esposizione ad una sostanza che presenti potenzialita' morbigena rispetto alle malattie quali esse siano che l'amianto e' capace di generare"), considerata come necessario presupposto per il riconoscimento di un beneficio di natura previdenziale, la norma nega lo stesso beneficio, senza alcuna giusta e razionale ragione, a soggetti che si sono trovati nella identica situazione di fatto richiesta per la sua applicazione; deve ritenersi infatti che a tanto non possa giungere la legge senza porsi in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza; b) in secondo luogo non si intuisce in base a quale criterio logico e di giustizia la legge possa discrezionalmente distinguere (ex art. 3 e 38 Cost.) i lavoratori che fossero pensionati di anzianita' o di vecchiaia al momento della sua entrata in vigore, dai lavoratori pensionati di invalidita', dai lavoratori disoccupati, da chi avesse cambiato azienda, al momento del vigore della legge, da parte; e dall'altra parte, dagli stessi pensionati di anzianita' dopo la legge e per i quali la legge operi ai soli fini della misura della pensione; perche' cioe' a tutti questi soggetti il beneficio sia stato concesso ed ai pensionati di anzianita' o di vecchiaia prima della legge la norma non lo conceda. c) in terzo luogo e' pure violato il principio di razionalita' e di coerenza normativa ex art. 3 Cost. perche' se la norma fosse quella che sostiene la giurisprudenza dominante (pur fra tantissime contraddizioni) essa sarebbe in conflitto con la sua stessa ratio (offrire un indennizzo a tutti i lavoratori che sono stati esposti ad un rischio ritenuto morbigeno), perche' finisce per negare lo stesso indennizzo ad un circoscritta categoria di soggetti che hanno subito la stessa esposizione parimenti morbigena per motivi di lavoro. La questione si ripete e' esemplificata chiaramente nel caso di specie in cui i ricorrenti sono colleghi di lavoro di una serie di lavoratori ai quali il beneficio e' stato gia' accordato pur non essendo del settore amianto, pur non avendo rischiato la perdita di nessun posto di lavoro, pur non avendo beneficiato della rivalutazione ai fini del conseguimento della pensione, ma solo al fine di incrementare la misura della pensione di anzianita' (un vantaggio quest'ultimo che potrebbe essere ottenuto anche dai ricorrenti). 16. - Per quanto occorrer possa, l'eccezione di legittimita' costituzionale deve essere sollevata anche nei riguardi dell'art. 80, comma 25 della legge finaziaria n. 388/2000, nel caso in cui si ritenga che anche questa norma, pur esssendo norma dall'ambiguo significato, abbia disposto l'esclusione dei pensionati ante legge n. 257/1992 dal godimento del beneficio. La norma recita: "In caso di rinuncia all'azione giudiziaria promossa da parte dei lavoratori esposti all'amianto aventi i requisiti di cui alla legge 27 marzo 1992, n. 257 e cessati dall'attivita' lavorativa antecedente all'entrata in vigore della predetta legge, la causa si estingue e le spese e gli onorari relativi alle attivita' antecedenti all'estinzione sono compensati. Non si da' luogo da parte dell'I.N.P.S. al recupero dei relativi importi oggetto di ripetizione di indebito nei confronti dei titolari di pensione interessati". Anzitutto dal punto di vista letterale, non e' chiaro a chi si rivolga questa disposizione, posto che almeno nella prima parte essa si riferisce letteralmente a tutti i lavoratori esposti della legge n. 257, non solo a quelli dell'art. 13, comma 8 (ma anche ai malati ed ai lavoratori delle cave previsti negli altri commi dell'art. 13). In secondo luogo non si intuisce perche' si debba rinunciare alla domanda e come si possa estinguere la causa, se, come dice la stessa norma, l'azione deve essere stata promossa dai "lavoratori esposti aventi i requisiti di cui alla legge 27 marzo 1992 n. 257". Nemmeno la successiva condizione dettata dalla norma, ossia essere "cessati dall'attivita' lavorativa antecedentemente all'entrata in vigore della legge" puo' spiegare l'estinzione di un procedimento giudiziario promosso per conseguire il beneficio ex art. 13, comma 8, perche' e' oramai acclarato che la norma, comunque interpretata, non possa lasciare fuori dal proprio ambito applicativo i soggetti la cui esposizione era di fatto, per qualsiasi motivo cessata, prima dalla legge (i licenziamenti, i disoccupati, coloro che avevano cambiato lavoro per un qualsiasi motivo, ed oggi i pensionati di invalidita); la norma, come si e' detto, non richiede come suo presupposto applicativo l'attualita' dell'esposizione ne' un rapporto di lavoro in atto al momento dell'entrata in vigore della legge, ed oggi secondo la Cassazione si applica anche ai pensionati di invalidita' civile che non lavoravano all'atto della entrata in vigore della legge. Se tuttavia si volesse sostenere che la norma valga esclusivamente nei confronti dei pensionati di cui alla seconda parte ("titolari di pensione interessati"), la stessa disposizione che prevede la compensazione delle spese processuali, difetta in questa parte di reale utilita'; perche' le stesse domande del pensionato, in quanto promosseper ottenere una prestazione previdenziale, rientrerebbero nell'ambito dell'art. 152 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. e quindi, anche in mancanza della rinuncia alla prosecuzione del giudizio, non sarebbero assoggettabili al pagamento delle spese processuali sostenute dagli istituti convenuti, siccome questo genere di domande difficilmente potrebbero essere pure qualificate come manifestamente infondate o temerarie. In ogni caso laddove la norma, nella seconda parte, stabilisce che non si faccia luogo al recupero dei relativi importi oggetto di ripetizione di indebito, in conseguenza della rinucia dell'azione da parte del pensionato e della estinzione del procedimento, sembra presupporre (oppure implicitamente disporre) che i benefici stabiliti dall'art. 13 non si applichino ai pensionati, tant'e' che qualifica come indebito le eventuali prestazioni gia' erogate. Anche questa norma puo' essere dunque fatta oggetto delle stesse censure di costituzionalita' che si sollevano nei confronti dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257; ed anche perche' la stessa norma sembra configurare, e per i soli lavoratori esposti all'amianto cessati dall'attivita' prima dell'entrata in vigore della legge (art. 3 Cost.), una forma indiretta di coazione a rinunciare alla prosecuzione del giudizio. 17. - Nemmeno il problema della copertura finanziaria che viene sempre genericamente sollevato avverso le domande dei pensionati puo' rappresentare un argomento valido per sottrarre la norma dalle censure di costituzionalita' sopra esposte. Sul punto occorre rilevare che la legge ha una copertura finanziaria, come e' gia' stato affermato dalla stessa Corte costituzionale (che non e' di soli 72 miliardi come e' stato sostenuto in giurisprudenza, perche' lo stanziamento di 72 miliardi, stabilito con l'art. 1 del decreto-legge n. 169/93 e' aggiuntivo a quello che era previsto nell'art. 13, comma 12, della legge n. 257/92 di lire 110 miliardi). Detto cio' va osservato che la preoccupazione per la sufficienza di questa copertura non puo' valere in una unica direzione soggettiva (per i pensionati di anzianita' soltanto), una volta accertato che i lavoratori pensionati hanno pari dignita' costituzionale per rientrare nella categoria dei destinatari del beneficio previsto dall'art. 13, comma 8. Tanto piu' se si tiene conto che secondo le stime effettuate dall'I.N.A.I.L. il beneficio in oggetto e' stato gia' riconosciuto ad oltre 15.000 lavoratori esposti. Se il problema della copertura c'e', esso dovrebbe valere quindi per tutti coloro che hanno titolo per essere destinatari del beneficio. L'esigenza del contenimento della spesa non puo' invece autorizzare un uso sperequato e discriminatorio della discrezionalita' normativa, che sconfini nella aperta violazione di altri principi cardine dell'ordinamento costituzionale (cfr. Corte cost. sent. 136/2001). Si consideri come anche sotto il profilo distributivo, della graduazione e dell'equa ripartizione delle risorse finanziarie impegnate dal legislatore, la norma in esame si segnali per l'enorme disparita' di trattamento che ingenera, senza alcun bilanciamento, fra le due categorie di lavoratori (pensionati e non) poste a raffronto; infatti l'aver conseguito o meno la pensione viene elevato ad elemento differenziale rispetto ad un beneficio che e' destinato a funzionare non solo ai fini del conseguimento della pensione ma anche sulla sua misura; per cui, come si e' gia' messo in rilievo, la norma produce questa situazione: rispetto a due lavoratori che hanno avuto la stessa identica esposizione nel passato (magari cessata per entrambi prima della legge n. 257, come per i ricorrenti ed i loro colleghi considerati in questa causa), ad uno si riconosce tutta la sua esposizione e tutto il beneficio ai fini del conseguimento della pensione ed anche oltre ai fini della misura della pensione; all'altro, per il solo fatto di aver gia' conseguito la pensione, si nega radicalmente tutto, anche quella parte del beneficio che potrebbe agire sulla misura della pensione; il che appare privo di una adeguata e coerente giustificazione. Per ultimo, ma non ultimo, va pure osservato come la preoccupazione di carattere finanziario nei confronti dei pensionati valga meno che nei confronti degli altri beneficiari: si tratta infatti di soggetti che a parita' (e forse maggiore gravita) di rischio, costano meno del lavoratore che invece col beneficio puo' andare in pensione: costano meno in termini di presumibile periodo di godimento della pensione perche' sono mediamente piu' anziani, e costano meno in termini di sottrazione all'onere di contribuzione avendo gia' conseguito la loro pensione in forza del lavoro svolto e senza alcun beneficio previdenziale.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92 (come modificato dalla legge n. 271/93, e dell'art. 80, comma 25, della legge n. 388/2000, in relazione agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che spetti l'erogazione del beneficio della rivalutazione contributiva ai lavoratori esposti all'amianto che si trovassero in pensione al momento dell'entrata in vigore della legge n. 257 (come mod. dalla legge n. 271/93); Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e di darne comunicazione al Presidente del Senato e al Presidente della Camera ed alle parti del presente giudizio. Ravenna, addi' 18 dicembre 2001. Il giudice: Riverso 02C0063